La notte
di
beatrice
genere
pulp
Roma, il Pasquino
tornai a casa, inseguita da quattro gatti intenti ad assaltare il pacchetto che avevo; un'altra lettera attendeva infilata sotto il portone, riconobbi il sigillo ma non l'aprii, la misi insieme all'altra entrando in casa e salutando.
Per Perla fu la prima cena con un'assoluta rarità: un ingrediente prezioso, mescolato nella crosta del pasticcio di piccione che a me era piaciuto a palazzo, le chiesi:
"Nina, ti piace??!",
"ma mangiano sta roba i porporati?"
tirando via la crosta,
"non ti piace..."
dissi mesta,
"l'agrodolce mi piace, ma questo è uno strano dolceamaro, non fa per me, che cos'è?"
gustandosi invece il pasticcio,
"è cacao, l'amarognolo è cacao; lo porta un mercante di Firenze, viene dai Caraibi. Il resto però vedo che gradisci!"
esclamai felice,
"si, ferroso, il piccione è la carne più buona di tutte per me. Che sono i Caraibi?",
"sono una terra, mi diceva ieri il cardinale, nel nuovo mondo, oltre il mare; ti ricordi quando andammo ad Ostia tutta quell'acqua?",
Perla annuì,
"ecco, sono così lontani, oltre tutta quell'acqua, che non si vedono; battaglie di navi per quel sapore!",
"mah! vuoi mettere una bella laccatura al miele come fanno dai Borghese?"
lei serafica,
"Nina, Nina... sono gusti nuovi, vedrai che successo!! ...Senti, domani mattina vado via all'alba, voglio arrivare presto li dal cardinale",
"sarà, sto cacao... Bambina mia, dimmi, ma torni per pranzo?",
"non lo so, forse no",
"però non si fa così, ci sono i clienti che poi si stufano e non tornano, poi non so cosa dire... per oggi ho inventato che stavi poco bene, ma non si può fare sempre come ci pare!"
mi rimproverò preoccupata,
"Nina, me lo hai detto tu che non sono da due lustrini, chi mi vuole prende anche i capricci"
Il cuscino rosso rimase in casa quella sera e restammo sul letto a chiacchierare della giornata, alla traballante luce di una candela.
Non mi affacciai nemmeno quando mi sentii chiamare da Antonio, assegnato quella notte alla ronda nel rione marzio; anzi soffiai sulla candela e mi accoccolai nuda fra le braccia della mia Nina.
Passai le ore del sonno a sognare Federico, subivo il fascino dell'uomo e, onesta, del potere, ma ero attratta anche dalla sua cultura e dalla sua gentilezza. Turbata però dal suo ruolo. Lo chiamai in quel buio di luna con un filo di voce, baciai Perla più di una volta nell'illusione delle sue labbra; lei, che mi aveva cresciuta dall'età di sette anni, assecondava quel mio gesto come se l'aspettasse da sempre.
La mattina arrivò in punta di piedi nel senso letterale.
Ancora nero nel cielo, un gatto entrò dalla finestra e si arrotolò fra le mie gambe, dando inizio alla sua accurata pulizia, con ritmo e precisione muoveva la testina ed ogni passaggio di linguina sul suo pelo era una carezza per la mia intimità, mi vergogno a scriverlo ma mi provocò una leggera eccitazione, il mio odore l'attirò e lui assaporò curioso quelle labbra già godute da molti eredi dei Cesari.
Era il caso mi alzassi, così feci. Baciai Nina ancora addormentata, mi preparai e scappai fuori che cominciava appena a schiarire l'oriente, mi volevo regalare, in quell'aria frizzante, la 'cavalcata papale' e puntai, lungofiume, ponte Sant'Angelo.
Arrivai a palazzo Altoviti, e vidi scendere da una carroza un mio buon amico fiorentino:
"Giovanni!"
salutai festosa gettandogli le braccia al collo,
"Chiara, mia bella, che ci fai da queste parti a quest'ora?"
afferrandomi per la vita e alzandomi di peso,
"lunga storia; dimmi tu, piuttosto, come mai qui a Roma?",
"i'babbo, due affari da concludere e servivo qui, ma torno via fra un paio di giorni; come diamine sei conciata?"
allontanandosi per guardarmi,
"ti piace? sembro o no una domestica?"
facendo una giravolta con inchino,
"strana lo sei da tanto, ci rinuncio",
"porta i miei saluti a Pierozzo e digli che può venire a trovarmi quando vuole, mi fa piacere",
"ma dai entra, c'è mamma è tanto che non ti rivede",
"sono di fretta, davvero, però dille che... forse mi fermo una di queste sere prima di cena",
"ci conto, ho portato un po' di manzo frollato bene che in questo posto solo pecore c'hanno"
disse sorridendo,
"giullare d'un Battista! buoni affari, ci vedremo sul tardi forse o domani"
mi allontanai col sorriso, affrontando il primo tratto del 'possesso' dopo il ponte: via del banco di santo spirito, colle imposte dei cambi ben serrate, ancora giù fino al Pasquino, dove vidi due ragazzini scappare via veloci ridendo, mi incuriosì uno scritto fra i tanti, lo sfilai e lo portai con me, proseguii salutando come una papessa i bottegai che aprivano;
ero felice più che dopo una notte con Antonio.
Arrivai al palazzo che era giorno fatto, dalla finestra della lavanderia usciva il giallo delle lanterne accese, la porticina era però serrata.
Una guardia dall'alto del cammino di ronda mi intimò:
"altolà, chi va là!?",
"sono nuova, a servizio giusto da ieri",
"nome!",
non sapevo se dire il mio nome, poi stavo per farlo e da dentro due voci:
"Nicola, g'ho capio chi la xe, lassa.…",
"sicuro? fa ti, mi visto niente",
la porta si aprì senza nemmeno un cricchiolio e disse:
"buongiorno, mattiniera oggi!"
un sorriso bianco fra due labbra piene,
"buongiorno, come hai.. non importa",
"ho l'orecchio fino. Mi chiamo Giacomo, tu?",
"Cec... Chiara, devo andare"
arrossendo come una stolta,
"da Teresa certo, ma non dormi qui come tutti?",
"poi ti racconterò"
infilai diretta in lavanderia,
"ti porto un barile d'acqua pulita, almeno fai meno viaggi"
disse lui e ringraziai.
"Tusa, ben sveglia! le pulizie su le stanno facendo, vai nelle cucine al di là dello scalone e prendi la colazione per sua eminenza, portala su ma torna giù subito a stirare, per il tempo della messa".
Eseguii. Al nono rintocco, Teresa, con un sorriso mi disse che potevo salire, sistemai la camera non finita e spalancai le finestre, una voce dalla strada:
"che bella sguattera c'ha sua eminenza adesso!",
"Antonio!!!",
"gli costi ancora meno: ti paga a parole invece che a giuli!",
"che ne sai, zotico ignorantone!",
"ma ti piace questo zotico..."
mettendosi in mostra ridendo ed indicandoselo,
"zozzo! vai a letto che sei stanco!"
rietrai innervosita,
"Cecilia, Cecilia mio piacere... Cecilia, mio rotondo sedere..."
canticchiava allontanandosi; raggiunsi la stanza dei libri.
Presi il biglietto del Pasquino e provai a leggerlo, con quel poco che sapevo, e un sospetto mi venne:
la lupa d. por.o rip...a
.r ro..o da fi....ra .a ca.a.o
pia... Ro.a la .ua ...a
.od. l. .u. .ra.i. .r porpora.o
"buongiorno mia devota studentessa",
"buongiorno Federico"
nascondendo rapida il foglietto,
"che hai lì?"
domandò avendomi scoperta subito,
"l'ho visto al Pasquino e una mano mi ha guidata a prenderlo, ecco, leggi pure",
...
"opperbacco! sai che c'è scritto?",
scossi la testa e continuò:
"ha a che fare con noi, prego iddio che sia l'unico",
"che dice?"
chiesi curiosissima,
"te lo leggo, anzi no lo usiamo per esercizio come un crittografato",
"crittoche?"
mi scappò sbalordita e lui con un bacio sulla guancia:
"giusto.... è cercare le lettere nascoste"
poi, indicando la parola e se stesso:
"questa quale sarà?",
"porporaso... porporavo... porpo..."
continuai a inventare finché non centrai:
"porporato!!! e allora questa è porto!!
e questa con tre t?",
"prova, lE vocali lE sai tuttE mEno una..."
"tatta no, è scritto diverso e nemmeno tutta... sciocca è la E, grazie"
ricambiai il bacio di prima e continuai, di lettera in lettera fino alla fine e lessi:
la lupa de porto ripetta
er rosso da finestra ha cavato
piagne Roma la sua tetta
gode le su grazie er porporato
"ma questo non è vero!!"
protestai,
"sai leggere! e questa è satira, tesoro, benvenuta nella congrega delle sue vittime"
sorridendo,
"leggo perché ci sei tu; il cuscino però l'ho tolto davvero...",
"ne sono felice, devo trovarti un impiego ma non ti voglio sguattera o cuoca; per adesso sei studente ed è mio compito mantenerti, ti verserò una dote di quaranta scudi al mese sul banco degli Altoviti",
"sono fiorentini, li conosco da quando ero piccola!",
"tanto meglio!"
parlammo ancora e quella mattina cominciai anche a scrivere; la campana suonò il rintocco sul finire di un dettato, come il giorno prima, insistette perché rimanessi; non mi pareva il vero; per il secondo giorno di fila nessun uomo varcò la porta di casa mia. A pranzo bevvi un goccio di troppo, ma anche lui, per tutto il pomeriggio fui alticcia.
Provai a leggere, tante difficoltà, ma mi divertii con i racconti: Dioneo e il suo monaco: uno spasso, ci guardammo e ridemmo, in quel momento affogai nei suoi occhi neri, una nebbia tutto intorno al suo volto sfumava i suoi capelli scuri e luccicanti di qualche filo d'argento, la sua pelle morbida e chiara accarezzai e un rossore si impossessò delle sue gote, il sorriso serio divenne bonario sotto i baffi alla moda di Francia, come si diceva, mi afferrò la mano e la baciò; distese la fronte, spaziosa insegna della sua mente, quando mi strinsi nelle sue spalle larghe e sicure; coll'accento veneziano, così divertente e sempre ricacciato in gola, mi disse sorridendo: "questo è molto sconveniente!" e mi strinse a sé.
Suonò il campanello, andai all'anticamera e trovai, sul comò, un vassoio d'argento con due coppe e due calici d'acqua, tornata al salottino mi disse:
"questa è una novità, una modifica alla ricetta del Buontalenti, fiorentino come te",
"ma è fresca! ed ha un po' quel sapore amarognolo di ieri",
"è un sorbetto al cacao infatti, brava! ti piace?",
"molto, c'è anche del latte: un cacaolatte!",
"giusto! ...ti macchi..."
col cucchiaino mi pulì l'angolo delle labbra e gustò, poi:
"col tuo sapore ancora meglio",
quel gesto intimo mi colpì, non staccai gli occhi dai suoi, gli tolsi di mano la coppa posandola sul tavolino, tirai su la gonna scoprendo caviglie e ginocchia, si meravigliò, e ancor di più appena mi sedetti sulle sue cosce allargando le mie;
con le mani afferrai il suo bel viso e lo baciai sulle labbra, rigido all'inizio si sciolse piano abbracciandomi e regalandomi un bacio vero; più bello di quello sognato, più bello di qualsiasi altro ricevuto.
Non tornai a casa quella notte.
lo ammetto credo di essere stata la prima popolana di Roma a gustare il sorbetto al cioccolato lodato e ricettato qualche decennio dopo dal Magalotti.
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storia di una fiorentina del '600
puntate pubblicate:
- redenzione
- cecilia e antonio
- i finti genitori
- palazzo venezia
- la notte
- il risveglio
- chiara e gianbattista
- cecilia e alessandro
- la scommessa
tornai a casa, inseguita da quattro gatti intenti ad assaltare il pacchetto che avevo; un'altra lettera attendeva infilata sotto il portone, riconobbi il sigillo ma non l'aprii, la misi insieme all'altra entrando in casa e salutando.
Per Perla fu la prima cena con un'assoluta rarità: un ingrediente prezioso, mescolato nella crosta del pasticcio di piccione che a me era piaciuto a palazzo, le chiesi:
"Nina, ti piace??!",
"ma mangiano sta roba i porporati?"
tirando via la crosta,
"non ti piace..."
dissi mesta,
"l'agrodolce mi piace, ma questo è uno strano dolceamaro, non fa per me, che cos'è?"
gustandosi invece il pasticcio,
"è cacao, l'amarognolo è cacao; lo porta un mercante di Firenze, viene dai Caraibi. Il resto però vedo che gradisci!"
esclamai felice,
"si, ferroso, il piccione è la carne più buona di tutte per me. Che sono i Caraibi?",
"sono una terra, mi diceva ieri il cardinale, nel nuovo mondo, oltre il mare; ti ricordi quando andammo ad Ostia tutta quell'acqua?",
Perla annuì,
"ecco, sono così lontani, oltre tutta quell'acqua, che non si vedono; battaglie di navi per quel sapore!",
"mah! vuoi mettere una bella laccatura al miele come fanno dai Borghese?"
lei serafica,
"Nina, Nina... sono gusti nuovi, vedrai che successo!! ...Senti, domani mattina vado via all'alba, voglio arrivare presto li dal cardinale",
"sarà, sto cacao... Bambina mia, dimmi, ma torni per pranzo?",
"non lo so, forse no",
"però non si fa così, ci sono i clienti che poi si stufano e non tornano, poi non so cosa dire... per oggi ho inventato che stavi poco bene, ma non si può fare sempre come ci pare!"
mi rimproverò preoccupata,
"Nina, me lo hai detto tu che non sono da due lustrini, chi mi vuole prende anche i capricci"
Il cuscino rosso rimase in casa quella sera e restammo sul letto a chiacchierare della giornata, alla traballante luce di una candela.
Non mi affacciai nemmeno quando mi sentii chiamare da Antonio, assegnato quella notte alla ronda nel rione marzio; anzi soffiai sulla candela e mi accoccolai nuda fra le braccia della mia Nina.
Passai le ore del sonno a sognare Federico, subivo il fascino dell'uomo e, onesta, del potere, ma ero attratta anche dalla sua cultura e dalla sua gentilezza. Turbata però dal suo ruolo. Lo chiamai in quel buio di luna con un filo di voce, baciai Perla più di una volta nell'illusione delle sue labbra; lei, che mi aveva cresciuta dall'età di sette anni, assecondava quel mio gesto come se l'aspettasse da sempre.
La mattina arrivò in punta di piedi nel senso letterale.
Ancora nero nel cielo, un gatto entrò dalla finestra e si arrotolò fra le mie gambe, dando inizio alla sua accurata pulizia, con ritmo e precisione muoveva la testina ed ogni passaggio di linguina sul suo pelo era una carezza per la mia intimità, mi vergogno a scriverlo ma mi provocò una leggera eccitazione, il mio odore l'attirò e lui assaporò curioso quelle labbra già godute da molti eredi dei Cesari.
Era il caso mi alzassi, così feci. Baciai Nina ancora addormentata, mi preparai e scappai fuori che cominciava appena a schiarire l'oriente, mi volevo regalare, in quell'aria frizzante, la 'cavalcata papale' e puntai, lungofiume, ponte Sant'Angelo.
Arrivai a palazzo Altoviti, e vidi scendere da una carroza un mio buon amico fiorentino:
"Giovanni!"
salutai festosa gettandogli le braccia al collo,
"Chiara, mia bella, che ci fai da queste parti a quest'ora?"
afferrandomi per la vita e alzandomi di peso,
"lunga storia; dimmi tu, piuttosto, come mai qui a Roma?",
"i'babbo, due affari da concludere e servivo qui, ma torno via fra un paio di giorni; come diamine sei conciata?"
allontanandosi per guardarmi,
"ti piace? sembro o no una domestica?"
facendo una giravolta con inchino,
"strana lo sei da tanto, ci rinuncio",
"porta i miei saluti a Pierozzo e digli che può venire a trovarmi quando vuole, mi fa piacere",
"ma dai entra, c'è mamma è tanto che non ti rivede",
"sono di fretta, davvero, però dille che... forse mi fermo una di queste sere prima di cena",
"ci conto, ho portato un po' di manzo frollato bene che in questo posto solo pecore c'hanno"
disse sorridendo,
"giullare d'un Battista! buoni affari, ci vedremo sul tardi forse o domani"
mi allontanai col sorriso, affrontando il primo tratto del 'possesso' dopo il ponte: via del banco di santo spirito, colle imposte dei cambi ben serrate, ancora giù fino al Pasquino, dove vidi due ragazzini scappare via veloci ridendo, mi incuriosì uno scritto fra i tanti, lo sfilai e lo portai con me, proseguii salutando come una papessa i bottegai che aprivano;
ero felice più che dopo una notte con Antonio.
Arrivai al palazzo che era giorno fatto, dalla finestra della lavanderia usciva il giallo delle lanterne accese, la porticina era però serrata.
Una guardia dall'alto del cammino di ronda mi intimò:
"altolà, chi va là!?",
"sono nuova, a servizio giusto da ieri",
"nome!",
non sapevo se dire il mio nome, poi stavo per farlo e da dentro due voci:
"Nicola, g'ho capio chi la xe, lassa.…",
"sicuro? fa ti, mi visto niente",
la porta si aprì senza nemmeno un cricchiolio e disse:
"buongiorno, mattiniera oggi!"
un sorriso bianco fra due labbra piene,
"buongiorno, come hai.. non importa",
"ho l'orecchio fino. Mi chiamo Giacomo, tu?",
"Cec... Chiara, devo andare"
arrossendo come una stolta,
"da Teresa certo, ma non dormi qui come tutti?",
"poi ti racconterò"
infilai diretta in lavanderia,
"ti porto un barile d'acqua pulita, almeno fai meno viaggi"
disse lui e ringraziai.
"Tusa, ben sveglia! le pulizie su le stanno facendo, vai nelle cucine al di là dello scalone e prendi la colazione per sua eminenza, portala su ma torna giù subito a stirare, per il tempo della messa".
Eseguii. Al nono rintocco, Teresa, con un sorriso mi disse che potevo salire, sistemai la camera non finita e spalancai le finestre, una voce dalla strada:
"che bella sguattera c'ha sua eminenza adesso!",
"Antonio!!!",
"gli costi ancora meno: ti paga a parole invece che a giuli!",
"che ne sai, zotico ignorantone!",
"ma ti piace questo zotico..."
mettendosi in mostra ridendo ed indicandoselo,
"zozzo! vai a letto che sei stanco!"
rietrai innervosita,
"Cecilia, Cecilia mio piacere... Cecilia, mio rotondo sedere..."
canticchiava allontanandosi; raggiunsi la stanza dei libri.
Presi il biglietto del Pasquino e provai a leggerlo, con quel poco che sapevo, e un sospetto mi venne:
la lupa d. por.o rip...a
.r ro..o da fi....ra .a ca.a.o
pia... Ro.a la .ua ...a
.od. l. .u. .ra.i. .r porpora.o
"buongiorno mia devota studentessa",
"buongiorno Federico"
nascondendo rapida il foglietto,
"che hai lì?"
domandò avendomi scoperta subito,
"l'ho visto al Pasquino e una mano mi ha guidata a prenderlo, ecco, leggi pure",
...
"opperbacco! sai che c'è scritto?",
scossi la testa e continuò:
"ha a che fare con noi, prego iddio che sia l'unico",
"che dice?"
chiesi curiosissima,
"te lo leggo, anzi no lo usiamo per esercizio come un crittografato",
"crittoche?"
mi scappò sbalordita e lui con un bacio sulla guancia:
"giusto.... è cercare le lettere nascoste"
poi, indicando la parola e se stesso:
"questa quale sarà?",
"porporaso... porporavo... porpo..."
continuai a inventare finché non centrai:
"porporato!!! e allora questa è porto!!
e questa con tre t?",
"prova, lE vocali lE sai tuttE mEno una..."
"tatta no, è scritto diverso e nemmeno tutta... sciocca è la E, grazie"
ricambiai il bacio di prima e continuai, di lettera in lettera fino alla fine e lessi:
la lupa de porto ripetta
er rosso da finestra ha cavato
piagne Roma la sua tetta
gode le su grazie er porporato
"ma questo non è vero!!"
protestai,
"sai leggere! e questa è satira, tesoro, benvenuta nella congrega delle sue vittime"
sorridendo,
"leggo perché ci sei tu; il cuscino però l'ho tolto davvero...",
"ne sono felice, devo trovarti un impiego ma non ti voglio sguattera o cuoca; per adesso sei studente ed è mio compito mantenerti, ti verserò una dote di quaranta scudi al mese sul banco degli Altoviti",
"sono fiorentini, li conosco da quando ero piccola!",
"tanto meglio!"
parlammo ancora e quella mattina cominciai anche a scrivere; la campana suonò il rintocco sul finire di un dettato, come il giorno prima, insistette perché rimanessi; non mi pareva il vero; per il secondo giorno di fila nessun uomo varcò la porta di casa mia. A pranzo bevvi un goccio di troppo, ma anche lui, per tutto il pomeriggio fui alticcia.
Provai a leggere, tante difficoltà, ma mi divertii con i racconti: Dioneo e il suo monaco: uno spasso, ci guardammo e ridemmo, in quel momento affogai nei suoi occhi neri, una nebbia tutto intorno al suo volto sfumava i suoi capelli scuri e luccicanti di qualche filo d'argento, la sua pelle morbida e chiara accarezzai e un rossore si impossessò delle sue gote, il sorriso serio divenne bonario sotto i baffi alla moda di Francia, come si diceva, mi afferrò la mano e la baciò; distese la fronte, spaziosa insegna della sua mente, quando mi strinsi nelle sue spalle larghe e sicure; coll'accento veneziano, così divertente e sempre ricacciato in gola, mi disse sorridendo: "questo è molto sconveniente!" e mi strinse a sé.
Suonò il campanello, andai all'anticamera e trovai, sul comò, un vassoio d'argento con due coppe e due calici d'acqua, tornata al salottino mi disse:
"questa è una novità, una modifica alla ricetta del Buontalenti, fiorentino come te",
"ma è fresca! ed ha un po' quel sapore amarognolo di ieri",
"è un sorbetto al cacao infatti, brava! ti piace?",
"molto, c'è anche del latte: un cacaolatte!",
"giusto! ...ti macchi..."
col cucchiaino mi pulì l'angolo delle labbra e gustò, poi:
"col tuo sapore ancora meglio",
quel gesto intimo mi colpì, non staccai gli occhi dai suoi, gli tolsi di mano la coppa posandola sul tavolino, tirai su la gonna scoprendo caviglie e ginocchia, si meravigliò, e ancor di più appena mi sedetti sulle sue cosce allargando le mie;
con le mani afferrai il suo bel viso e lo baciai sulle labbra, rigido all'inizio si sciolse piano abbracciandomi e regalandomi un bacio vero; più bello di quello sognato, più bello di qualsiasi altro ricevuto.
Non tornai a casa quella notte.
lo ammetto credo di essere stata la prima popolana di Roma a gustare il sorbetto al cioccolato lodato e ricettato qualche decennio dopo dal Magalotti.
piccolo spazio pubblicità
storia di una fiorentina del '600
puntate pubblicate:
- redenzione
- cecilia e antonio
- i finti genitori
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