Colazione in via Dante: irish coffee
di
PabloN
genere
masturbazione
Finalmente Milano. Scendo dal treno, frammisto a orde di manager che trascinano trolley controllando, nervosamente, gli eleganti orologi da polso. La cerco nella folla che, sempre, riempie le banchine di Milano centrale. Di fronte al tabellone degli arrivi una nera chioma fluente si muove con leggerezza. Riporto alla mente l’immagine che mi sono fatto di lei. Una mano si allunga, lo spazio che ci divide si accorcia. Presto l'immaginazione incontrerà la realtà. Le dita incontrano con emozione la stoffa che copre la spalla. Una testa si gira, i capelli descrivono un'onda che smuove l'aria e la riempie del suo profumo. Il nero lucente della sua chioma si muove come le punte degli abeti nei racconti che mi hanno rapito. Occhi orientali mi scrutano. Ora sono certo. Riconosco l'occhio che mi guardava dall'avatar. Occhi profondi, disegnati da una matita leggera, acque nere e limpide.
“ Ti avevo detto che sarebbe stato molto più semplice per me trovare te, che il contrario!” le dico
Sorride, la bocca coperta dalla mascherina. La sfila, e mi bacia sulla guancia. La sua pelle morbida appoggiata alla mia. Contatto tra due mondi uniti nelle parole in un luogo senza materia.
Il tatto annulla la distanza. Calore, odore, segnali subliminali.
Mi guarda, come se mi cercasse in una memoria confusa. Gli occhi orientali si rilassano e sento per la prima volta la sua voce.
“Vieni!”
La sua mano afferra il mio polso. Una presa gentile e decisa. Ritrovo il suo modo, unico, di conciliare gli estremi. Le parole si accordano al corpo. Le stelle alla corporeità.
Quasi attraversando un corridoio spazio-temporale ci ritroviamo a passeggiare tra il Duomo e il Castello Sforzesco.
Di fronte a noi via Dante, ricca, altezzosa, superba. Piena di locali luccicanti, negozi, miscellanea di gente di diverse nazioni. Profumi eccessivi, eleganza eccessiva. Ma c’è lei. Tutto passa in secondo piano.
Sembra volare tra i tavoli come un rapace in cerca di preda. Ha passo leggero, ma percepisco la decisione di chi scala le montagne, il contatto con la terra. Lo vedo nel modo di muoversi delle sue gambe, imperioso e leggiadro. L’intenzione della spinta che la fa volare. Riconosco la sua scrittura nel corpo che si muove accanto a me. Finché i suoi occhi sono attratti da un nido lasciato incustodito.
Ci sediamo, in quello che appare un salotto, mentre industriali in giacca e cravatta ci sfiorano frettolosi insieme a turisti curiosi.
Il cameriere in livrea, che sembra materializzarsi dal nulla, si avvicina con simulata gentilezza.
La sua voce sicura gli fornisce un'indicazione precisa, sintetica.
“Due Irish coffee, please”
Italiano e inglese, vicini e lontano. Ancora una volta due estremi conciliati.
Ci guardiamo. Siamo stati parole senza voce, occhi senza volto. Reali solo nella fantasia. Ora i due mondi collidono. Cerchiamo quanto di vero fosse nell'immaginazione e quanto di immaginario ci sia nella realtà.
Il cameriere torna recando le fumanti bevande. Deliziosi aromi si diffondono nell’aria, mescolando l’intenso sentore del whisky alla dolcezza morbida della panna, uniti dall’intensità del cioccolato, bevanda degli antichi Dei Aztechi.
La mascherina scende a liberare le nari da ogni barriera si frapponga al godimento di questo piacere.
Il suo cucchiaino scende. Oltrepassa la morbidezza della panna, affondando nel nero denso, liberando il sentore pungente del whisky.
Comodamente avvolto dalla poltroncina, incrocio le gambe, inspirando l’aria inquinata di Milano, inebriato dal profumo di lei sospinto dalla brezza e dall’alcool portato dalla sottile nebbiolina che sale dalla tazza fumante.
La contemplo al di là di quel velo sottile. La scrittrice dagli occhi profondi, capace di portarti nell’immensità dello spazio e di farti precipitare nell'anima oscura senza mai perdere la dolcezza. Abile tessitrice di trame erotiche delicate e bollenti.
Mi chiede il perché di quel Pablo. Con un sorriso rivolgo lo sguardo alle nobili architetture che ci circondano e pare che questo già soddisfi la sua curiosità più d’ogni circostanziata spiegazione.
Immergo il cucchiaino, mescolando sentori e consistenze, attirato dal piacere promesso dall’oscura bevanda. Ne assaggio a piccoli sorsi, mescolando il sapore al brivido che guardarla armeggiare con la posata appena intinta mi procura.
Le sue labbra si chiudono appena sul metallo, suggendone il bianco nettare sapido del potente liquore. La lingua percorre le forme, completando l’opera appena abbozzata. Una vertigine di sensualità naturale. Mi trascina in licenziosi pensieri, con la grazia innocente del suo sguardo orientale.
Suscita sensazioni che scivolano in basso, una fellatio senza contatto.
La lingua disegna percorsi con la grazia di un maestro di Shodo. La osservo incantato. Vinco il ritegno e, avvicinandomi un poco, le dico:
“ Certo che se fossimo soli, così, a vederti volteggiare con quella punta di fragola attorno a quel fortunato cucchiaino…”
Lascio la frase sospesa. Lei affonda la katana nel punto più scoperto del mio sguardo e, con simulato pudore mi chiede:
“ Ah ah, cosa faresti?”
“Beh..” pausa per riprendere fiato e lasciarmi attraversare dalla lama dei suoi occhi di fuoco
“ Sinceramente, me ne tirerei una”
Il viso mi si vela di rosso mentre attendo la risposta della mia geisha-samurai.
I suoi occhi esplorano lo spazio attorno, furtivi e incandescenti, poi spinge l’affondo e termina l’opera.
“ Per essere sincera, Beppe, io me la sto già tirando!”
Per un momento soffoco una risata, ma poi considero che solo la mano sinistra è visibile, sostegno al cucchiaino. La destra scomparsa al disotto del tavolo.
“ Ma dai!” le dico.
Lei morde il cucchiaino, poi lo sfila dalle labbra con un lungo sospiro.
Mi metto comodo, ascolto il suo respiro farsi lungo e cadenzato.
Il suo sguardo mi fissa, inchiodandomi alla poltroncina.
Non so cosa accada al disotto del piano di questo tavolino. Non so in che mondo stia ora fluttuando, quale universo l’accolga. So di essere una presenza sfumata ai suoi occhi, un dettaglio in quel mondo in cui ora si trova. Non posso vedere. Nemmeno vorrei. Godo del suo respiro impetuoso, del rossore che dal collo sale a colorarle il viso.
Il cucchiaino affonda nella panna, porta alla bocca una generosa dose di caffè e whisky. Ogni inibizione è ora caduta. Il cucchiaino e le sue dita sono la stessa cosa, entrambi affondati in un caldo piacere.
Si morde le labbra, tentativo estremo di impedire al grido, che attende nel suo ventre, di salire alle labbra.
Il suo corpo grida, nel silenzio irreale di questo momento. Le sue pupille dilatate, la vampa che le arrossa il volto, il respiro bloccato, manifestano l’orgasmo avvenuto. Un lieve velo di sudore le imperla la fronte, appiccicando una ciocca. Umida aureola.
La guardo, ammirato e compiaciuto.
Il suo respiro si libera allo schiudersi delle labbra, ed ora è affannoso e profondo.
Il cameriere si avvicina, la guarda. Nota le piccole perle di sudore che luccicano sulla sua fronte.
“ Tutto bene signori, Is It all right?”
“ Direi proprio di sì” lo rassicura lei. Per quanto perplesso fa un lieve inchino d’ordinanza e ossequiando si ritira.
Lei si accascia sul cuscino, mentre le labbra si aprono ad un sorriso rilassato.
“ Bene!” affermo, guardando la mia orientale complice “ Direi che la giornata volge al meglio”
“ Ti avevo detto che sarebbe stato molto più semplice per me trovare te, che il contrario!” le dico
Sorride, la bocca coperta dalla mascherina. La sfila, e mi bacia sulla guancia. La sua pelle morbida appoggiata alla mia. Contatto tra due mondi uniti nelle parole in un luogo senza materia.
Il tatto annulla la distanza. Calore, odore, segnali subliminali.
Mi guarda, come se mi cercasse in una memoria confusa. Gli occhi orientali si rilassano e sento per la prima volta la sua voce.
“Vieni!”
La sua mano afferra il mio polso. Una presa gentile e decisa. Ritrovo il suo modo, unico, di conciliare gli estremi. Le parole si accordano al corpo. Le stelle alla corporeità.
Quasi attraversando un corridoio spazio-temporale ci ritroviamo a passeggiare tra il Duomo e il Castello Sforzesco.
Di fronte a noi via Dante, ricca, altezzosa, superba. Piena di locali luccicanti, negozi, miscellanea di gente di diverse nazioni. Profumi eccessivi, eleganza eccessiva. Ma c’è lei. Tutto passa in secondo piano.
Sembra volare tra i tavoli come un rapace in cerca di preda. Ha passo leggero, ma percepisco la decisione di chi scala le montagne, il contatto con la terra. Lo vedo nel modo di muoversi delle sue gambe, imperioso e leggiadro. L’intenzione della spinta che la fa volare. Riconosco la sua scrittura nel corpo che si muove accanto a me. Finché i suoi occhi sono attratti da un nido lasciato incustodito.
Ci sediamo, in quello che appare un salotto, mentre industriali in giacca e cravatta ci sfiorano frettolosi insieme a turisti curiosi.
Il cameriere in livrea, che sembra materializzarsi dal nulla, si avvicina con simulata gentilezza.
La sua voce sicura gli fornisce un'indicazione precisa, sintetica.
“Due Irish coffee, please”
Italiano e inglese, vicini e lontano. Ancora una volta due estremi conciliati.
Ci guardiamo. Siamo stati parole senza voce, occhi senza volto. Reali solo nella fantasia. Ora i due mondi collidono. Cerchiamo quanto di vero fosse nell'immaginazione e quanto di immaginario ci sia nella realtà.
Il cameriere torna recando le fumanti bevande. Deliziosi aromi si diffondono nell’aria, mescolando l’intenso sentore del whisky alla dolcezza morbida della panna, uniti dall’intensità del cioccolato, bevanda degli antichi Dei Aztechi.
La mascherina scende a liberare le nari da ogni barriera si frapponga al godimento di questo piacere.
Il suo cucchiaino scende. Oltrepassa la morbidezza della panna, affondando nel nero denso, liberando il sentore pungente del whisky.
Comodamente avvolto dalla poltroncina, incrocio le gambe, inspirando l’aria inquinata di Milano, inebriato dal profumo di lei sospinto dalla brezza e dall’alcool portato dalla sottile nebbiolina che sale dalla tazza fumante.
La contemplo al di là di quel velo sottile. La scrittrice dagli occhi profondi, capace di portarti nell’immensità dello spazio e di farti precipitare nell'anima oscura senza mai perdere la dolcezza. Abile tessitrice di trame erotiche delicate e bollenti.
Mi chiede il perché di quel Pablo. Con un sorriso rivolgo lo sguardo alle nobili architetture che ci circondano e pare che questo già soddisfi la sua curiosità più d’ogni circostanziata spiegazione.
Immergo il cucchiaino, mescolando sentori e consistenze, attirato dal piacere promesso dall’oscura bevanda. Ne assaggio a piccoli sorsi, mescolando il sapore al brivido che guardarla armeggiare con la posata appena intinta mi procura.
Le sue labbra si chiudono appena sul metallo, suggendone il bianco nettare sapido del potente liquore. La lingua percorre le forme, completando l’opera appena abbozzata. Una vertigine di sensualità naturale. Mi trascina in licenziosi pensieri, con la grazia innocente del suo sguardo orientale.
Suscita sensazioni che scivolano in basso, una fellatio senza contatto.
La lingua disegna percorsi con la grazia di un maestro di Shodo. La osservo incantato. Vinco il ritegno e, avvicinandomi un poco, le dico:
“ Certo che se fossimo soli, così, a vederti volteggiare con quella punta di fragola attorno a quel fortunato cucchiaino…”
Lascio la frase sospesa. Lei affonda la katana nel punto più scoperto del mio sguardo e, con simulato pudore mi chiede:
“ Ah ah, cosa faresti?”
“Beh..” pausa per riprendere fiato e lasciarmi attraversare dalla lama dei suoi occhi di fuoco
“ Sinceramente, me ne tirerei una”
Il viso mi si vela di rosso mentre attendo la risposta della mia geisha-samurai.
I suoi occhi esplorano lo spazio attorno, furtivi e incandescenti, poi spinge l’affondo e termina l’opera.
“ Per essere sincera, Beppe, io me la sto già tirando!”
Per un momento soffoco una risata, ma poi considero che solo la mano sinistra è visibile, sostegno al cucchiaino. La destra scomparsa al disotto del tavolo.
“ Ma dai!” le dico.
Lei morde il cucchiaino, poi lo sfila dalle labbra con un lungo sospiro.
Mi metto comodo, ascolto il suo respiro farsi lungo e cadenzato.
Il suo sguardo mi fissa, inchiodandomi alla poltroncina.
Non so cosa accada al disotto del piano di questo tavolino. Non so in che mondo stia ora fluttuando, quale universo l’accolga. So di essere una presenza sfumata ai suoi occhi, un dettaglio in quel mondo in cui ora si trova. Non posso vedere. Nemmeno vorrei. Godo del suo respiro impetuoso, del rossore che dal collo sale a colorarle il viso.
Il cucchiaino affonda nella panna, porta alla bocca una generosa dose di caffè e whisky. Ogni inibizione è ora caduta. Il cucchiaino e le sue dita sono la stessa cosa, entrambi affondati in un caldo piacere.
Si morde le labbra, tentativo estremo di impedire al grido, che attende nel suo ventre, di salire alle labbra.
Il suo corpo grida, nel silenzio irreale di questo momento. Le sue pupille dilatate, la vampa che le arrossa il volto, il respiro bloccato, manifestano l’orgasmo avvenuto. Un lieve velo di sudore le imperla la fronte, appiccicando una ciocca. Umida aureola.
La guardo, ammirato e compiaciuto.
Il suo respiro si libera allo schiudersi delle labbra, ed ora è affannoso e profondo.
Il cameriere si avvicina, la guarda. Nota le piccole perle di sudore che luccicano sulla sua fronte.
“ Tutto bene signori, Is It all right?”
“ Direi proprio di sì” lo rassicura lei. Per quanto perplesso fa un lieve inchino d’ordinanza e ossequiando si ritira.
Lei si accascia sul cuscino, mentre le labbra si aprono ad un sorriso rilassato.
“ Bene!” affermo, guardando la mia orientale complice “ Direi che la giornata volge al meglio”
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Pensieri da Bar: Un maritoracconto sucessivo
Pensieri da Bar: Una moglie
Commenti dei lettori al racconto erotico