Oriana (3)
di
Hermann Morr
genere
sentimentali
( Capitoletto di transizione. Niente azione per questa volta. )
All'alba del ventitré di ottobre, Oriana sedeva nella cucina di casa Musetti, con le spalle al calore del camino acceso.
I suoi familiari erano già nei campi a completare le sistemazioni per l'inverno, genitori, fratelli, sorelle, Giulèn e gli altri lavoranti, mentre lei rimaneva da sola in cucina a fare colazione, come sempre.
Fin da piccola, da quando erano comparsi i primi segni del talento, era stata esclusa dalle attività normali della famiglia, aveva potuto partecipare a qualche lavoro per gioco, ma poi era cresciuta abbastanza da essere affidata alla sora Melandra e non se ne era più parlato. Era cresciuta sola.
Aveva del latte appena munto, ancora caldo del ventre della vacca, una piadina fatta con farina di castagne e orzo, con sopra una fettina di quella caciotta che si fa in Lunigiana, dal sapore delicato che si sposava con la dolcezza della composta di carrube.
Arrotolò tutto assieme e ci infilò dentro la lingua, pensando alla vulva della sua maestra, come gliela aveva leccata quando si erano date l'addio, poco dopo il risveglio.
Melandra aveva esaurito il suo compito ed era tornata a Spezia nell'attesa che un'altra famiglia chiedesse i suoi servizi, Oriana era ancora più sola, una maga lo è sempre, può avere tutti gli uomini che vuole, ma non un marito, non può avere una famiglia.
Sentì battere alla porta e gridare da fuori :
" Uei Oriana, sei pronta ? Se andiamo di passo buono possiamo essere al castello prima di mezzogiorno ! "
Aveva almeno degli amici. Flavio si era offerto di accompagnarla su a Gaggio, lo raggiunse fuori, era coperto da un gran tabarro nero, cappello da pioggia e stivali, perchè era una fredda mattinata.
Anche lei aveva abiti da viaggio, una mantella rossa col cappuccio, calzettoni di lana fissati alle cosce con cinturini, una borsa a tracolla in cui teneva la veste bella da indossare al castello.
Passarono per il bosco dei salici, perchè Oriana potesse ancora salutare i parenti al lavoro, prima la parte degli alberi bianchi, da legno, poi saltarono il canale d'irrigazione dove si gettava in una pozza, che in primavera si sarebbe vestita dei fiori gialli di celidonia, e si addentrarono nella macchia dei salici purpurei, dalla luce ultraterrena. Poi scavalcarono il recinto della proprietà e si trovarono sulla strada, già piena di gente indaffarata.
Chi portava fascine sulle spalle, chi conduceva il cavallo da tiro attaccato a un carro e chi falciava l'erba ai margini, e per ognuno c'era un saluto.
Solo quando arrivarono al bivio e si arrampicarono per la carrettiera che saliva alla loro destinazione, si trovarono soli, tra l'arancione delle foglie e il grigio delle nubi.
" Sei così cortese ad accompagnarmi. Non saranno arrabbiati i tuoi per il fatto che vai in giro ? "
" No. Adesso che ho combattuto, mio padre non mi da dei lavori. Vorrebbe piuttosto che andassi a Genova a fare il balestriere, è tutto semplice per lui : due anni di ferma, buona paga, o si finisce ammazzati o si torna con i soldi per sposare. "
" Tu non vorresti ? "
" Io vorrei vedere il mondo e suonare la mia ghironda. Vorrei incontrare una compagnia di musici vaganti per potermi unire a loro. "
" E poi ? Non torneresti più ? "
" Non lo so. Non posso sapere cosa sarà. "
Così ragionando arrivarono dove il sentiero passa tra due grandi pietre, su cui sono incisi dei volti, li chiamano Faciòn da quelle parti, o Marcolfe, e se ne trovano ovunque a guardare i confini e le entrate.
Appena traversato quel confine e messo piede nelle terre gaggiane videro subito cambiare il tempo, i raggi del sole forarono le nubi e l'aria si fece più calda, bruscamente.
" E tu ? Perchè ti vogliono qua ? Saranno arrabbiati per la battaglia ? E se ti mettessero in prigione ? "
" Non si può imprigionare una maga dopo averla invitata, e hanno anche dato la parola al Podestà. "
" Spariamo la mantengano anche .. "
Il bosco ai lati della carrettiera lasciò il posto a pascoli per le pecore, accuratamente terrazzati e dominati da un rivellino in cima alla strada, oltre il quale si stendeva lo spiazzo dei mercati e delle sagre.
Attraversarono il rivellino e lo spiazzo deserto, attraversarono la porta delle mura esterne senza che nessuno li fermasse. Tra la muraglia esterna e il castello vero e proprio si accatastavano le abitazioni di servitori e cavalieri, soldati e artisti, le strette vie erano lastricate e piene di gente cortese, ben vestiti, sorridenti, si sentivano parlare lingue sconosciute.
Era come se la corte di re Carlo si fosse trasferita in quell'angolo sperduto tra gli Appennini.
Ma le corti costano e tutta quella gente non sembrava capace di coltivarsi il cibo. Oriana non s'intendeva di politica o economia, ma ugualmente intuiva per qual motivo dovessero mettere a sacco le valli.
Finalmente davanti al cancello interno trovarono un intendente in loro attesa, che molto si scusò per non esser loro venuto incontro, dicendo di non averli riconosciuti per via che pensava di veder arrivare l'importante ospite con un seguito molto più numeroso.
Di esser importanti non lo sapevano, però doveva essere vero perchè a tutti e due furono assegnati degli alloggi di un lusso mai visto, c'erano persino i materassi con le piume dentro e le tinozze per fare il bagno con l'acqua scaldata. e dovevano anche fare presto a sistemarsi, che stava per cominciare il banchetto.
Proprio così aveva detto l'intendente, banchetto, come nelle favole. Oriana a quel punto non aveva più per la testa battaglie o congiure, la sua unica paura, anzi terrore, era che il suo vestito della festa, comprato due anni prima da uno che diceva di venire da Roma, non risultasse all'altezza.
All'alba del ventitré di ottobre, Oriana sedeva nella cucina di casa Musetti, con le spalle al calore del camino acceso.
I suoi familiari erano già nei campi a completare le sistemazioni per l'inverno, genitori, fratelli, sorelle, Giulèn e gli altri lavoranti, mentre lei rimaneva da sola in cucina a fare colazione, come sempre.
Fin da piccola, da quando erano comparsi i primi segni del talento, era stata esclusa dalle attività normali della famiglia, aveva potuto partecipare a qualche lavoro per gioco, ma poi era cresciuta abbastanza da essere affidata alla sora Melandra e non se ne era più parlato. Era cresciuta sola.
Aveva del latte appena munto, ancora caldo del ventre della vacca, una piadina fatta con farina di castagne e orzo, con sopra una fettina di quella caciotta che si fa in Lunigiana, dal sapore delicato che si sposava con la dolcezza della composta di carrube.
Arrotolò tutto assieme e ci infilò dentro la lingua, pensando alla vulva della sua maestra, come gliela aveva leccata quando si erano date l'addio, poco dopo il risveglio.
Melandra aveva esaurito il suo compito ed era tornata a Spezia nell'attesa che un'altra famiglia chiedesse i suoi servizi, Oriana era ancora più sola, una maga lo è sempre, può avere tutti gli uomini che vuole, ma non un marito, non può avere una famiglia.
Sentì battere alla porta e gridare da fuori :
" Uei Oriana, sei pronta ? Se andiamo di passo buono possiamo essere al castello prima di mezzogiorno ! "
Aveva almeno degli amici. Flavio si era offerto di accompagnarla su a Gaggio, lo raggiunse fuori, era coperto da un gran tabarro nero, cappello da pioggia e stivali, perchè era una fredda mattinata.
Anche lei aveva abiti da viaggio, una mantella rossa col cappuccio, calzettoni di lana fissati alle cosce con cinturini, una borsa a tracolla in cui teneva la veste bella da indossare al castello.
Passarono per il bosco dei salici, perchè Oriana potesse ancora salutare i parenti al lavoro, prima la parte degli alberi bianchi, da legno, poi saltarono il canale d'irrigazione dove si gettava in una pozza, che in primavera si sarebbe vestita dei fiori gialli di celidonia, e si addentrarono nella macchia dei salici purpurei, dalla luce ultraterrena. Poi scavalcarono il recinto della proprietà e si trovarono sulla strada, già piena di gente indaffarata.
Chi portava fascine sulle spalle, chi conduceva il cavallo da tiro attaccato a un carro e chi falciava l'erba ai margini, e per ognuno c'era un saluto.
Solo quando arrivarono al bivio e si arrampicarono per la carrettiera che saliva alla loro destinazione, si trovarono soli, tra l'arancione delle foglie e il grigio delle nubi.
" Sei così cortese ad accompagnarmi. Non saranno arrabbiati i tuoi per il fatto che vai in giro ? "
" No. Adesso che ho combattuto, mio padre non mi da dei lavori. Vorrebbe piuttosto che andassi a Genova a fare il balestriere, è tutto semplice per lui : due anni di ferma, buona paga, o si finisce ammazzati o si torna con i soldi per sposare. "
" Tu non vorresti ? "
" Io vorrei vedere il mondo e suonare la mia ghironda. Vorrei incontrare una compagnia di musici vaganti per potermi unire a loro. "
" E poi ? Non torneresti più ? "
" Non lo so. Non posso sapere cosa sarà. "
Così ragionando arrivarono dove il sentiero passa tra due grandi pietre, su cui sono incisi dei volti, li chiamano Faciòn da quelle parti, o Marcolfe, e se ne trovano ovunque a guardare i confini e le entrate.
Appena traversato quel confine e messo piede nelle terre gaggiane videro subito cambiare il tempo, i raggi del sole forarono le nubi e l'aria si fece più calda, bruscamente.
" E tu ? Perchè ti vogliono qua ? Saranno arrabbiati per la battaglia ? E se ti mettessero in prigione ? "
" Non si può imprigionare una maga dopo averla invitata, e hanno anche dato la parola al Podestà. "
" Spariamo la mantengano anche .. "
Il bosco ai lati della carrettiera lasciò il posto a pascoli per le pecore, accuratamente terrazzati e dominati da un rivellino in cima alla strada, oltre il quale si stendeva lo spiazzo dei mercati e delle sagre.
Attraversarono il rivellino e lo spiazzo deserto, attraversarono la porta delle mura esterne senza che nessuno li fermasse. Tra la muraglia esterna e il castello vero e proprio si accatastavano le abitazioni di servitori e cavalieri, soldati e artisti, le strette vie erano lastricate e piene di gente cortese, ben vestiti, sorridenti, si sentivano parlare lingue sconosciute.
Era come se la corte di re Carlo si fosse trasferita in quell'angolo sperduto tra gli Appennini.
Ma le corti costano e tutta quella gente non sembrava capace di coltivarsi il cibo. Oriana non s'intendeva di politica o economia, ma ugualmente intuiva per qual motivo dovessero mettere a sacco le valli.
Finalmente davanti al cancello interno trovarono un intendente in loro attesa, che molto si scusò per non esser loro venuto incontro, dicendo di non averli riconosciuti per via che pensava di veder arrivare l'importante ospite con un seguito molto più numeroso.
Di esser importanti non lo sapevano, però doveva essere vero perchè a tutti e due furono assegnati degli alloggi di un lusso mai visto, c'erano persino i materassi con le piume dentro e le tinozze per fare il bagno con l'acqua scaldata. e dovevano anche fare presto a sistemarsi, che stava per cominciare il banchetto.
Proprio così aveva detto l'intendente, banchetto, come nelle favole. Oriana a quel punto non aveva più per la testa battaglie o congiure, la sua unica paura, anzi terrore, era che il suo vestito della festa, comprato due anni prima da uno che diceva di venire da Roma, non risultasse all'altezza.
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