Marisa 2
di
Troy2a
genere
tradimenti
Mi piaceva scopare con Marisa, cazzo se mi piaceva. E a lei piaceva scopare,
Allora, mi dicevo, perché non devo approfittarne, per il momento? Per lasciarla avevo tutto il tempo.
Così, un pomeriggio che avevamo scopato come ricci, ci ritrovammo stesi sulla nostra coperta di pile, sotto la nostra coperta di stelle, a pochi passi dal mare. Lei mi coccolava, come al solito, intrecciando le sue dita tra i pochi peli del mio petto, mentre con la lingua stuzzicava un mio capezzolo.
“Sai? Mi è proprio piaciuto farlo con paparino, ho goduto tantissimo.”
“Vuoi rivederlo?”
“Non ti dà fastidio?”
“Dovrebbe?”
“Non lo so. Sei geloso?”
“Ma che dici! Si tratta solo di sesso, no?” nel cuore avevo un tumulto indicibile di emozioni che, se fossi stato collegato alla macchina della verità, sarebbe schizzata come un sismografo di fronte ad una scossa del nono grado Richter, ma lei non sembrò accorgersene.
“Organizzi tu?” chiese.
“Certamente! Gli scrivo subito, anzi, facciamolo insieme.”
Non ci dilungammo in inutili convenevoli, lei non volle. Scrivemmo solo di aver passato un bel pomeriggio con lui e che ci sarebbe piaciuto passarne un altro. Cinque giorni dopo, la sua risposta mi attendeva presso il solito ufficio postale. Neanche lui si dilungava in inutili convenevoli, ma ci teneva a dirci di non avere voluto cercarci, vista la differenza d'età che non deponeva a suo favore. Ci proponeva di raggiungerlo a casa sua in qualsiasi momento avessimo voluto, tanto il suo studio era sempre lì. “Se non dovessi esserci, aspettatemi. Non dovrei tardare!” chiudeva la lettera.
Lessi la lettera la sera, insieme a Marisa.
“Quando andiamo?” le chiesi.
“Domani!” rispose lei, seccamente.
Oreste ci aprii la porta sorridente, ma non ebbe il tempo di dire una parola: Marisa le si gettò al collo-
“Ciao, paparino! Mi sei mancato, sai?”
“Mi siete mancati anche voi!” rispose lui, portandosela letteralmente di peso dentro casa. Apprezzai quel suo plurale, pur consapevole che fosse lei quella desiderata. Trascorremmo con lui tutto il resto della giornata. Loro fecero l'amore per un paio d'ore, con io che guardavo dalla solita poltrona. Poi lui la invitò a fare una doccia.
“Se non avete problemi, andiamo a mangiare una pizza insieme.”
“Non ne abbiamo!” si affrettò a rispondere lei. Effettivamente, capitava che uscissimo a pomeriggio e ce non facessimo ritorno a casa se non dopo cena. I suoi si sentivano tranquilli, se era con me. Così, ci ritrovammo a cenare con lui, come fossimo vecchi amici, o meglio come fossimo una famiglia. Devo dire che non potevo sentirmi escluso: fuori dal letto, l'attenzione di lui si distribuiva equamente tra me e Marisa. Ed anche lei tornava ad essere la ragazza innamorata, sempre attaccata al mio braccio ed alla ricerca dei miei occhi.
Dopo quel giorno, già la volta successiva che ci trovammo a scopare lei mi chiese
“Quando andiamo di nuovo da paparino?”
“Ti sei innamorata di lui?” le chiesi.
“No! Sei scemo? Mi piace scopare con lui, ad essere sincera godo più che con te, mi fa stare bene anche quando non scopiamo. Ma io amo solo te ed è con te che voglio stare. Quindi, se non vuoi che lo vediamo più, non lo vedremo. Anche se mi dispiace.”
Rimase ferma, incombendo su di me, nella posizione che aveva assunto per parlarmi, con il seno che sfiorava il mio petto. Attendeva che dicessi qualcosa, ma io restavo in silenzio a guardarla ed a pensare che forse era arrivato il momento di lasciarla, che avrei trovato qualcun'altra da scopare.
“Quindi?” la sua voce, dal tono secco, ma non irritato, mi convinse a riemergere dai miei pensieri e ad articolare una risposta immediata.
“Domani ci andiamo!” risposi ed il suo viso si illuminò, prima di precipitare su di me a riempirmi di baci.
Oreste non sembrò sorpreso di vederci, ma contento sì. Parò bene il solito salto con cui Marisa si fiondò tra le sue braccia e non si sottrasse alle sue labbra. Io mi guardai intorno: per strada, fortunatamente non c'era nessuno. Lei prese l'iniziativa: ci prese per mano entrambi e ci condusse in camera da letto. Ormai conosceva bene quella casa. Si spoglio subito, senza parlare, offrendosi alle sue mani che sapevano sapientemente accarezzarla.
Io presi il mio solito posto, sulla poltrona, vicino alla porta: sarei potuto scappare in qualsiasi momento ed i due porci, probabilmente, se ne sarebbero accorti solo dopo essersi appagati. Ma neanche questa volta lo feci: restai a guardarli, con Marisa che lo cavalcava nel suo solito modo, alternando trotto a galoppo, movimenti sussultori a quelli ondulatori. Poi lui la tirò giù, a forza, tirandola dalle braccia, la baciò quasi con violenza. Quindi, sempre tenendole il capo, le sussurrò qualcosa nell'orecchio, che io non riuscii a sentire, anche perché utilizzo l'orecchio opposto al mio punto di osservazione, coperto dal capo di lei Marisa rispose con lo stesso bisbiglio, ma stavolta io ebbi modo di sentire la risposta e di risalire anche alla domanda.
“Sono ancora vergine lì!”
Restarono così: il capo dell'una accanto al capo dell'altro, fino a che lei non si sollevò, guardandomi con fierezza, quasi con tracotanza.
“Hei, cornuto! Vuoi essere il primo a rompermi il culo? Bada che non mi fermo!”
Non mi aveva mai chiamato cornuto, non mi aveva mai parlato con quel tono. Capivo di dover essere arrabbiato, ma sentivo, invece, un'eccitazione mai provata prima. “Troia!” pensai “Questa è la prima e l'ultima volta che me lo dici. Hai chiuso!” Ma tutto rimase dentro di me.
“Mi sembra più giusto che sia lui a farlo. D'altronde, l'iniziativa l'ha presa lui, no?”
“Hai ragione!” rispose, senza neanche tentennare per un attimo. “Come vuoi che mi metta?” chiese, rivolta ad Oreste.
Lui non rispose. Con un'incredibile delicatezza, che contrastava con la veemenza con cui lei lo aveva cavalcato, la fece alzare in piedi, la piegò sul letto, a gambe larghe e, ponendosi alle sue spalle, cominciò a leccarle l'orifizio anale, con dolcezza e sapienza. Io guardavo disgustato: non avrei mai pensato si assistere ad una scena simile e non rientrava i n quei comportamenti che il mio pudore giudicava possibili. Come in ogni atto, in ogni gesto, Oreste non sembrava avere nessuna fretta: si gustava ogni singolo gemito che riusciva a strapparle e lei, palesemente, gradiva, assecondando il lavoro di lui facendo roteare con consumata perizia il suo culo, agevolando i colpi di lingua, che disegnava tratti come fosse un pennello.
Ed io... io cominciavo a guardare con morbosità, mista ad un piacere crescente, che si traduceva in un'inevitabile, quanto poderosa erezione.
Oreste continuò a leccare, alternando i movimenti rotatori intorno al buchino con affondi decisi che facevano sparire la lingua dentro per qualche poco. Quindi si rialzò.
“Ed ora è il tuo momento, puttanella!” lo disse con un tono talmente dolce, che si intuiva non ci fosse nulla di offensivo. Si sputò sulla mano e la passò sulla cappella, poi puntò deciso il culo di lei. Scivolò piano, seguendo il suo costume, con lei che stringeva il lenzuolo e si mordeva il labbro. Ma non fece nulla per fermarlo, mentre il cazzo di lui si intrufolava nell'intestino, rendendola donna anche dal lato B. le scopò il culo che pareva non dover più smettere: continuavo a meravigliarmi della resistenza di quell'uomo. Poi si stese sul letto, invitandola ad andare sopra di lui; ma la fece voltare in modo che gli desse le spalle. E quando lei fece per infilarsi il cazzo nella fica, la fermò, fermo e gentile come sempre e lei capii di dovergli dare ancora il culo. Se lo infilò e cominciò ad andare su e giù.
“Dai! Vieni anche tu: Facciamola godere come merita!” mi invitò Oreste. Provai a rifiutare, senza troppa convinzione: avevo il cazzo che mi scoppiava e le palle cominciavano a farmi male. Così, quando lo ripeté, misi un attimo a spogliarmi ed a raggiungerli. I miei occhi si incrociarono con quelli di lei: mi sorrise ed in quel sorriso ci lessi tutto il sentimento che ci legava. La baciai. Ma, imbranato come ero, ci misi un po', prima di capire come potevo entrare dentro di lei, nonostante avesse il culo pieno del cazzo di Oreste. Ed anche quando, dopo diversi tentativi, riuscii, me ne venni subito, rischiando, anche, di riempirla, ancora non prendeva la pillola e sarebbe stato un bel casino. Le inondai la pancia e lei mi sorrise di nuovo, mentre con le dita raccoglieva un po' di sborra e se la portava alla bocca.
Oreste durò ancora qualche minuto, poi le comunicò che stava per sborrare: lei si sfilò rapidamente ed andò a ricevere il suo seme in bocca, ingoiando tutto.
Dovetti riconoscere che non avevo voglia di alzarmi, che mi piaceva restare lì, disteso con lei tra di noi.
“Sto divinamente con voi! Mi fate sentire una regina!” dicendolo mi baciò, facendomi sentire il gusto della sborra di lui e l'odore del suo culo. Poi si girò verso di lui e fece altrettanto. “Sono la regina del mondo, grazie a voi!”
Allora, mi dicevo, perché non devo approfittarne, per il momento? Per lasciarla avevo tutto il tempo.
Così, un pomeriggio che avevamo scopato come ricci, ci ritrovammo stesi sulla nostra coperta di pile, sotto la nostra coperta di stelle, a pochi passi dal mare. Lei mi coccolava, come al solito, intrecciando le sue dita tra i pochi peli del mio petto, mentre con la lingua stuzzicava un mio capezzolo.
“Sai? Mi è proprio piaciuto farlo con paparino, ho goduto tantissimo.”
“Vuoi rivederlo?”
“Non ti dà fastidio?”
“Dovrebbe?”
“Non lo so. Sei geloso?”
“Ma che dici! Si tratta solo di sesso, no?” nel cuore avevo un tumulto indicibile di emozioni che, se fossi stato collegato alla macchina della verità, sarebbe schizzata come un sismografo di fronte ad una scossa del nono grado Richter, ma lei non sembrò accorgersene.
“Organizzi tu?” chiese.
“Certamente! Gli scrivo subito, anzi, facciamolo insieme.”
Non ci dilungammo in inutili convenevoli, lei non volle. Scrivemmo solo di aver passato un bel pomeriggio con lui e che ci sarebbe piaciuto passarne un altro. Cinque giorni dopo, la sua risposta mi attendeva presso il solito ufficio postale. Neanche lui si dilungava in inutili convenevoli, ma ci teneva a dirci di non avere voluto cercarci, vista la differenza d'età che non deponeva a suo favore. Ci proponeva di raggiungerlo a casa sua in qualsiasi momento avessimo voluto, tanto il suo studio era sempre lì. “Se non dovessi esserci, aspettatemi. Non dovrei tardare!” chiudeva la lettera.
Lessi la lettera la sera, insieme a Marisa.
“Quando andiamo?” le chiesi.
“Domani!” rispose lei, seccamente.
Oreste ci aprii la porta sorridente, ma non ebbe il tempo di dire una parola: Marisa le si gettò al collo-
“Ciao, paparino! Mi sei mancato, sai?”
“Mi siete mancati anche voi!” rispose lui, portandosela letteralmente di peso dentro casa. Apprezzai quel suo plurale, pur consapevole che fosse lei quella desiderata. Trascorremmo con lui tutto il resto della giornata. Loro fecero l'amore per un paio d'ore, con io che guardavo dalla solita poltrona. Poi lui la invitò a fare una doccia.
“Se non avete problemi, andiamo a mangiare una pizza insieme.”
“Non ne abbiamo!” si affrettò a rispondere lei. Effettivamente, capitava che uscissimo a pomeriggio e ce non facessimo ritorno a casa se non dopo cena. I suoi si sentivano tranquilli, se era con me. Così, ci ritrovammo a cenare con lui, come fossimo vecchi amici, o meglio come fossimo una famiglia. Devo dire che non potevo sentirmi escluso: fuori dal letto, l'attenzione di lui si distribuiva equamente tra me e Marisa. Ed anche lei tornava ad essere la ragazza innamorata, sempre attaccata al mio braccio ed alla ricerca dei miei occhi.
Dopo quel giorno, già la volta successiva che ci trovammo a scopare lei mi chiese
“Quando andiamo di nuovo da paparino?”
“Ti sei innamorata di lui?” le chiesi.
“No! Sei scemo? Mi piace scopare con lui, ad essere sincera godo più che con te, mi fa stare bene anche quando non scopiamo. Ma io amo solo te ed è con te che voglio stare. Quindi, se non vuoi che lo vediamo più, non lo vedremo. Anche se mi dispiace.”
Rimase ferma, incombendo su di me, nella posizione che aveva assunto per parlarmi, con il seno che sfiorava il mio petto. Attendeva che dicessi qualcosa, ma io restavo in silenzio a guardarla ed a pensare che forse era arrivato il momento di lasciarla, che avrei trovato qualcun'altra da scopare.
“Quindi?” la sua voce, dal tono secco, ma non irritato, mi convinse a riemergere dai miei pensieri e ad articolare una risposta immediata.
“Domani ci andiamo!” risposi ed il suo viso si illuminò, prima di precipitare su di me a riempirmi di baci.
Oreste non sembrò sorpreso di vederci, ma contento sì. Parò bene il solito salto con cui Marisa si fiondò tra le sue braccia e non si sottrasse alle sue labbra. Io mi guardai intorno: per strada, fortunatamente non c'era nessuno. Lei prese l'iniziativa: ci prese per mano entrambi e ci condusse in camera da letto. Ormai conosceva bene quella casa. Si spoglio subito, senza parlare, offrendosi alle sue mani che sapevano sapientemente accarezzarla.
Io presi il mio solito posto, sulla poltrona, vicino alla porta: sarei potuto scappare in qualsiasi momento ed i due porci, probabilmente, se ne sarebbero accorti solo dopo essersi appagati. Ma neanche questa volta lo feci: restai a guardarli, con Marisa che lo cavalcava nel suo solito modo, alternando trotto a galoppo, movimenti sussultori a quelli ondulatori. Poi lui la tirò giù, a forza, tirandola dalle braccia, la baciò quasi con violenza. Quindi, sempre tenendole il capo, le sussurrò qualcosa nell'orecchio, che io non riuscii a sentire, anche perché utilizzo l'orecchio opposto al mio punto di osservazione, coperto dal capo di lei Marisa rispose con lo stesso bisbiglio, ma stavolta io ebbi modo di sentire la risposta e di risalire anche alla domanda.
“Sono ancora vergine lì!”
Restarono così: il capo dell'una accanto al capo dell'altro, fino a che lei non si sollevò, guardandomi con fierezza, quasi con tracotanza.
“Hei, cornuto! Vuoi essere il primo a rompermi il culo? Bada che non mi fermo!”
Non mi aveva mai chiamato cornuto, non mi aveva mai parlato con quel tono. Capivo di dover essere arrabbiato, ma sentivo, invece, un'eccitazione mai provata prima. “Troia!” pensai “Questa è la prima e l'ultima volta che me lo dici. Hai chiuso!” Ma tutto rimase dentro di me.
“Mi sembra più giusto che sia lui a farlo. D'altronde, l'iniziativa l'ha presa lui, no?”
“Hai ragione!” rispose, senza neanche tentennare per un attimo. “Come vuoi che mi metta?” chiese, rivolta ad Oreste.
Lui non rispose. Con un'incredibile delicatezza, che contrastava con la veemenza con cui lei lo aveva cavalcato, la fece alzare in piedi, la piegò sul letto, a gambe larghe e, ponendosi alle sue spalle, cominciò a leccarle l'orifizio anale, con dolcezza e sapienza. Io guardavo disgustato: non avrei mai pensato si assistere ad una scena simile e non rientrava i n quei comportamenti che il mio pudore giudicava possibili. Come in ogni atto, in ogni gesto, Oreste non sembrava avere nessuna fretta: si gustava ogni singolo gemito che riusciva a strapparle e lei, palesemente, gradiva, assecondando il lavoro di lui facendo roteare con consumata perizia il suo culo, agevolando i colpi di lingua, che disegnava tratti come fosse un pennello.
Ed io... io cominciavo a guardare con morbosità, mista ad un piacere crescente, che si traduceva in un'inevitabile, quanto poderosa erezione.
Oreste continuò a leccare, alternando i movimenti rotatori intorno al buchino con affondi decisi che facevano sparire la lingua dentro per qualche poco. Quindi si rialzò.
“Ed ora è il tuo momento, puttanella!” lo disse con un tono talmente dolce, che si intuiva non ci fosse nulla di offensivo. Si sputò sulla mano e la passò sulla cappella, poi puntò deciso il culo di lei. Scivolò piano, seguendo il suo costume, con lei che stringeva il lenzuolo e si mordeva il labbro. Ma non fece nulla per fermarlo, mentre il cazzo di lui si intrufolava nell'intestino, rendendola donna anche dal lato B. le scopò il culo che pareva non dover più smettere: continuavo a meravigliarmi della resistenza di quell'uomo. Poi si stese sul letto, invitandola ad andare sopra di lui; ma la fece voltare in modo che gli desse le spalle. E quando lei fece per infilarsi il cazzo nella fica, la fermò, fermo e gentile come sempre e lei capii di dovergli dare ancora il culo. Se lo infilò e cominciò ad andare su e giù.
“Dai! Vieni anche tu: Facciamola godere come merita!” mi invitò Oreste. Provai a rifiutare, senza troppa convinzione: avevo il cazzo che mi scoppiava e le palle cominciavano a farmi male. Così, quando lo ripeté, misi un attimo a spogliarmi ed a raggiungerli. I miei occhi si incrociarono con quelli di lei: mi sorrise ed in quel sorriso ci lessi tutto il sentimento che ci legava. La baciai. Ma, imbranato come ero, ci misi un po', prima di capire come potevo entrare dentro di lei, nonostante avesse il culo pieno del cazzo di Oreste. Ed anche quando, dopo diversi tentativi, riuscii, me ne venni subito, rischiando, anche, di riempirla, ancora non prendeva la pillola e sarebbe stato un bel casino. Le inondai la pancia e lei mi sorrise di nuovo, mentre con le dita raccoglieva un po' di sborra e se la portava alla bocca.
Oreste durò ancora qualche minuto, poi le comunicò che stava per sborrare: lei si sfilò rapidamente ed andò a ricevere il suo seme in bocca, ingoiando tutto.
Dovetti riconoscere che non avevo voglia di alzarmi, che mi piaceva restare lì, disteso con lei tra di noi.
“Sto divinamente con voi! Mi fate sentire una regina!” dicendolo mi baciò, facendomi sentire il gusto della sborra di lui e l'odore del suo culo. Poi si girò verso di lui e fece altrettanto. “Sono la regina del mondo, grazie a voi!”
1
voti
voti
valutazione
8
8
Commenti dei lettori al racconto erotico