L’adulterio di Ludovica Bianchi – Ep. 1. La volta del Passerini

di
genere
sentimentali

protagonisti
Ludovica Bianchi: 27 anni, project manager in cooperativa
Simona Viali: 30 anni, capa di Ludovica in cooperativa
Franco Bianchi: 35 anni, marito di Ludovica
Luciano Risamonti: 45 anni, manager della Fondazione ed ereditiero
Marino Salassi: 48 anni, subordinato a Luciano


La cartellina che cercava era sulla sua scrivania, proprio davanti alla foto che lei e Franco si erano scattati la scorsa primavera con il lago alle spalle.
«Eccola» disse a Luciano Risamonti porgendogliela con un sorriso imbarazzato. Lui ricambiò comprensivo il sorriso mentre Simona, seduta accanto a lei, tirava un sospiro di sollievo.
Quell'uomo, aveva il potere di farle dimenticare le cose. Certo, Ludovica distratta lo era sempre stata, ma con lui era diverso. Si sentiva a suo agio, sicura di sé, persino simpatica. Ma allo stesso tempo poteva bastare una sua domanda per farla arrossire come una scolaretta. Cosa che, a 27 anni compiuti, non era di certo. Dopo la laurea era tornata al paese natale, Montona, e non aveva fatto in tempo a sposare Franco che Simona l'aveva convinta ad entrare nella cooperativa di servizi sociali di cui lei era dirigente. In poco tempo si era trovata investita di sempre maggiori responsabilità fino ad essere designata a condurre quella trattativa con la fondazione rappresentata da Luciano. Una trattativa da cui dipendeva l'approvazione di un progetto importante, di quelli che potevano fare la differenza tra il chiudere baracca e l'ottenere una serie di fondi europei che avrebbero garantito alla Cooperativa un orizzonte tranquillo di almeno 10 anni. Proprio perché c'erano in ballo molti fondi, la Fondazione, che aveva sede a Bologna, aveva richiesto un incontro nei loro uffici di Montona. Dell'esposizione era stata incaricata Ludovica non perché era una brava venditrice, ma perché per lei quello non era solo lavoro: era un progetto che aveva sviluppato per anni e in cui credeva. Avrebbe dato lavoro a molta gente e l'impatto sociale sarebbe stato, per certi aspetti, rivoluzionario.
«Bene, Ludovica. È inutile che le nasconda che il suo progetto mi piace. È ancora un po' grezzo, e la cosa è stata notata. Ma ha anche un'energia innovativa tutta sua, che personalmente mi incuriosisce molto.»
«Ma... allora....»
«Allora un passo alla volta. Non voglio illuderla. La nostra fondazione riceve continuamente proposte di partenariato e purtroppo a volte siamo costretti a declinare.»
«Capisco.»
Ludovica cercò di mascherare la delusione. L'uomo si alzò e altrettanto fecero tutti gli altri della sua delegazione. Lei, Simona e gli altri della Cooperativa fecero altrettanto.
Luciano si abbottonò la giacca dell'elegante completo.
«Sarete dei nostri stasera?» chiese porgendo la mano a Ludovica.
«N-no» iniziò a rispondere lei, con la manina stretta in quella forte di lui. «Veramente la cena è per i soli dirigenti.»
«Ma certo, verrà anche Ludovica» s'intromise Simona.
Ludovica rimase di sasso. Non era stata invitata e aveva detto a Franco che l'avrebbe accompagnato alla cena con i suoi amici cacciatori.
«Molto bene. A dopo allora.»

«EVVAI! Sei stata grande!» le gridò Simona abbracciandola euforica non appena la porta si fu chiusa. Anche gli altri della Cooperativa parevano più che soddisfatti.
«Mah.. non mi pare.»
«Ma non l'hai visto come ti ascoltava? Lo sai chi è Luciano Risamonti?»
Certo che lo sapeva. A 45 anni aveva già un curriculum di livello internazionale, con vari incarichi ai vertici della commissione europea. Quando avevano saputo che la Fondazione avrebbe mandato lui, a Ludovica era bastato digitare il suo nome su google per passare un'intera giornata a seguire i link dei numerosissimi progetti che lui aveva promosso in Italia, Austria, Francia, persino in Perù.
«E poi...» le disse sottovoce Simona, facendole l'occhiolino, «tu gli piaci.»

Quella frase di Simona le era ronzata in testa tutto il pomeriggio. Sul momento aveva riso, ma poi si era ritrovata a pensare a quell'uomo. Alto, brizzolato, spalle larghe e, come aveva puntualmente rilevato Simona, aveva pure un gran bel sedere. A casa sua, mentre sceglieva il vestito per la serata, seduta sul letto di fronte alle ante aperte dell'armadio, si ritrovò a sorridere.
«Beh? Ti sei incantata, amore?» le fece Franco intento ad infilarsi la camicia di flanella a scacchi del suo club di cacciatori. Anche lui lavorava nella cooperativa, da più tempo di lei, da infermiere, ma benché fosse bravo nel suo lavoro, per lui non c'erano mai stati avanzamenti. Forse se passava il progetto....
«Non so che mettere» disse lei. Ed era vero. La Cooperativa di solito era un ambiente informale, ma quella cena era diversa. Ci sarebbero stati vari dirigenti, oltre a Luciano e gli altri.
Suonò il telefono sul comodino.
«Pronto?»
«Sei ancora in accappatoio?» le chiese Simona.
«Sì. Non so che mettere.»
«Lo sapevo.... Ti metti quello rosso che avevi al matrimonio di Giovanna.»
«Ma... sei sicura? Mi pare un po' corto, e pure scollato.»
«No, andrà benissimo. E muoviti che tra 15 minuti ti passo a prendere» concluse senza darle la possibilità di replicare.

La cena era andata benissimo. Una serata magica. Il ristorante era meraviglioso, il vino buono, e per tutta la sera Luciano era stato brillante. Aveva occhi azzurri, profondi, e le rughe ai lati degli occhi non facevano che dargli fascino. Simona, spigliata ai limiti dell'imbarazzante, aveva invece puntato Marino, uno dei colleghi di Luciano. Alla fine Ludovica era stanchissima, perché a cene come quelle ci si aspetta che uno si diverta, ma al contempo non ci si può neanche lasciar andare del tutto. Non è un veglione pasquale o una cena tra amici. Per tutto il tempo si era sentita in esame, e sapeva che in particolar modo Luciano, benché sorridente e affabile, non si era perso un suo battito di ciglia. Gli altri uomini di solito non fanno che parlare di sé. Lui invece era intervenuto solo se direttamente interpellato, ed anche allora era stato preciso e asciutto nelle risposte, mai banale e un paio di volte pure simpatico.
Quando finalmente si alzarono, ne fu lieta, ma Simona tirò fuori che dovevano assolutamente fare due passi in centro e, manco a dirlo, Marino fu l'unico a darle corda. Ludovica non vedeva l'ora di andarsene ma era in auto con Simona e le bastò un'occhiataccia della sua capa per capire che non c'era alcuna trattativa possibile.
«Beh, verrei volentieri anch'io» buttò lì Luciano. «Ho sentito che a Montona c'è un soffitto affrescato dal Passerini, e vorrei vederlo. Sempre se è possibile.»
A Ludovica cadde a terra la mandibola. Luciano conosceva la volta del Passerini! Lei adorava la volta del Passerini, sapeva tutto della volta del Passerini, poteva parlare per ore della volta del Passerini.
E lo fece. Simona si incamminò davanti per la stretta viuzza che dal ristorante portava nella piazzetta del duomo e ben presto si attaccò al braccio di Marino. Ma Ludovica non se ne accorse. Chiese a Luciano come mai conoscesse il Passerini e lui spiegò di una mostra che aveva visto a Venezia tre anni prima: la donna quasi svenne. Anche lei l'aveva vista! Luciano sapeva molto dei lavori del Passerini, ma Ludovica ne sapeva quasi tutto e non fece che parlare per tutta la via mentre lui sorrideva, annuiva e le faceva brevi domande. D'un tratto la corresse pure sul nome di uno degli allievi di Passerini ma lo fece con tale grazia che lei neanche se ne accorse. Quando furono sotto la loggia affrescata, lui alzò lo sguardo dicendo “magnifico”. Lei lo guardò in viso e lo vide con sullo sfondo la volta del Passerini. Non sentì Simona sghignazzare qualche metro più in là. Non sentì il motorino sgasare poco oltre la balaustra. In trance guardava gli occhi azzurri e le rughette di Luciano che guardava il soffitto del Passerini. Quando lui abbassò lo sguardo, lei lo stava ancora fissando e arrossì.
«E' veramente magnifico» disse. Poi alzò un mano e le tolse una ciocca di capelli dalla guancia, sfiorandola appena. «Da queste parti nascondete dei tesori meravigliosi.»
Ludovica scoprì che quando si è arrossiti, si può arrossire ancora di più.

Finalmente a casa, si tolse le scarpe e si guardò allo specchio all'ingresso. Quel vestito le stava bene addosso, lo sapeva da sola. Ma che un uomo come Luciano potesse averla notata, era una cosa al di là della sua immaginazione. Dopo averle sfiorato la guancia a quel modo, lui aveva garbatamente cambiato discorso, mentre a lei si era seccata la lingua.
Ludovica aveva grandi occhi blu, la pelle chiara che contrastava con i capelli neri. Si portò le dita a sfiorare il punto dove lui l'aveva toccata, un tocco che ancora le bruciava. Si sentì le farfalle in pancia, e non era la prima volta quella sera. Quando fuori dall'albergo l'aveva salutato, quasi le si erano piegate le ginocchia.
«Spero di rivederti presto, Ludovica» le aveva detto lui. E lei, come imbambolata aveva solo... annuito. Come una scolaretta.
Quel ricordo la fece arrossire e sorridere. Che stupida era stata. Non le era mai riuscita una risposta pronta.
Andò in camera e Franco non c'era. Guardò l'orologio e pensò che probabilmente sarebbe rincasato tra qualche ora con qualche bicchiere di vino in corpo e, cosa ancora peggiore, di sicuro avrebbe puzzato di sigaretta.
Accese la luce del abat-jour e iniziò a spogliarsi lentamente, ancora assorta dai suoi pensieri. Si tolse l'abito rosso posandolo sul letto, poi aprì l'anta dell'armadio per riporlo nelle apposite grucce. L'interno dell'anta era a specchio e Ludovica si guardò riflessa. Di nuovo pensò allo sguardo di Luciano, alla sua carezza. Ancora farfalle, ovunque, indiavolate, tanto che dovette sedersi sul bordo del letto, stringendosi nervosamente le mani in grembo. Serrò le gambe tra loro, sentendo i collant che strusciavano tra le caviglie, poi allargò un po' le ginocchia e con la mano si accarezzò la coscia.
“Se Franco, sapesse come mi sento!” pensò. “E invece è in giro con gli amici!”
La sua mano risalì la coscia, le gambe si aprirono, la sottoveste si sollevò, le dita sentirono la sua fica calda attraverso il tessuto delle calze e delle mutandine. Iniziò a premere così, a fare avanti e indietro. Aveva una voglia incredibile, incontrollabile.
Si alzò un attimo per calarsi le calze e le mutandine, poi si sedette di nuovo. Si lasciò cadere all'indietro, rimanendo in quella posizione sconcia illuminata dalla luce dell'abat-jour. Le sue dita andarono alla fica, aprirono le labbra. Sospirò di sorpresa per quanto si trovò bagnata. Con la sinistra iniziò a penetrarsi, con le dita della destra iniziò a maltrattarsi il bottoncino, l'interruttore, come lo chiamava Franco.
Ma anche se provò a pensare a suo marito, non erano state le sue carezze a ridurla così. Ben presto si trovò abbandonata al pensiero di Luciano, alle sue mani curate, alle sue spalle, alle sue rughette ai lati degli occhi, alle sue mani, alle sue mani, alle sue mani. Ansimò forte e riprese fiato. Sussurrò il suo nome “...Luciano...” e sentì un brivido che andava e veniva dal cervello alla fica passandole per le ossa, per i capezzoli turgidi che strusciavano contro la sottoveste. Venne profondamente, con le dita piantate nella fica ed il bottoncino martoriato e bollente. Sentì le dita bagnarsi del suo liquido caldo e poi venne di nuovo, gemendo forte il nome di Luciano.
Rimase un attimo a sospirare forte, prendendo aria per calmarsi.
Sentì il “click” della porta di ingresso che si apriva.
«Troppo tardi, amore» sussurrò prima di rialzarsi per finire di svestirsi, mettersi il pigiama e infilarsi a letto mentre suo marito, in bagno, pisciava fischiettando una villotta di montagna.

[chi lo desidera può trovare il seguito di questa e altre storie, corredate da immagini di dive ispiratrici, all'indirizzo: https://raccontiviola.wordpress.com/]
scritto il
2022-06-10
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