Di amicizie, mutandine e pipì
di
Chicken1973
genere
feticismo
Mia moglie mi chiede di andare a dare una mano a Paola che è sola a casa, il compagno fuori per lavoro per una settimana: ha avuto un problema con la lavatrice che ha smesso improvvisamente di funzionare; non sa dove mettere le mani e prima di chiamare un tecnico spera che magari io possa individuare cosa si sia rotto.
La richiesta di mia moglie mi dà un certo nervosismo. Non perché mi scocci. Ma perché non sono sicuro di cosa possa accadere.
Mia moglie e Paola sono molto amiche, abbiamo fatto anche qualche viaggio assieme, in tre, il suo compagno spesso assente per lavoro.
E frequentemente Laura ha scherzato sul fatto che, trovandosi in una situazione ambigua e propizia, non avrebbe potuto giurare sulla sua capacità di resistere ad una avance lesbica di Paola.
Questa possibilità ha sempre scatenato le farfalle nella mia pancia, e fantasie difficili da controllare: immagini di mia moglie e Paola nude avvinghiate, le loro fiche pelose strusciarsi, i clitoridi stimolati, l’odore di pipì e sudore invadere l’aria attorno alle loro pelvi.
Sono molto simili fisicamente: quasi 50 anni, non alte, rotondette, le curve normali per la loro età; un po’ di cellulite di cui si lamentano spesso, ma che ai miei occhi è morbidamente attraente; i seni non grandi, quelli di Paola un po’ più pieni di quelli di mia moglie.
Tutte e due pelose attorno alla fica: ebbi modo di sbirciare quella di Paola una volta che, a casa sua, arrivammo in anticipo su un appuntamento, lei che si stava ancora preparando, un pareo a coprirle i fianchi nudi perché non aveva ancora fatto in tempo a mettersi le mutandine. Una macchia scura che emerge da sotto il pareo, in mezzo alle sue cosce. Io che dissimulo noncuranza. Lei che non si capisce se si renda conto della situazione o meno.
Il tutto condito da personalità ricche, un umorismo leggero e corrosivo, amanti della musica e della libertà. Donne normali direbbero alcuni: donne attraenti e desiderabili dico io. C’è chi non inserirebbe questo in un racconto erotico, ma nel mio caso qualcosa che scatena il desiderio e la fantasia.
Prevedibile quindi la mia agitazione per la richiesta, trovarmi da solo a casa di Paola, sempre in combattimento tra desiderare che succeda qualche incidente e sperare di non essere messo alla prova, io assolutamente innamorato di mia moglie.
Alla fine accetto.
Monto in macchina, uscendo di casa salutando ma cercando di non farmi vedere: un’erezione incontrollabile rigonfia le mie mutande, più eloquente di mille parole, il mio subconscio che sventola bandiere e fa rullare i tamburi per quanto cerchi di tenerlo a freno.
Arrivo a casa di Paola, un villino isolato nella campagna vicino casa nostra, circondato da un giardino, alberi in fiore, un piccolo orto curato in un angolo, grappoli di pomodorini che pendono dall’incannucciata, fiori di zucchine che emergono dal reticolo di piante, melanzane scure nascoste tra le foglie.
lei si affaccia alla porta e mi saluta sorridente: “mio salvatore!” mi grida mentre io parcheggio.
In piedi sulla soglia, scalza, fuseaux grigi le fasciano le gambe sode ed il basso ventre morbido, si intuisce il rigonfiamento del monte di venere, pancia scoperta, una maglietta verde tagliata sotto il seno, capelli rossi raccolti sopra la testa, occhiali con una montatura leggera. Tra le braccia tiene una larga ciotola in cui sta impastando della farina con un cucchiaio di legno.
“mi odierai!” mi apostrofa continuando ad impastare, in piedi dritta, solida sulle gambe.
“ma lascia perdere…. Dimmi qual è il problema”
“vieni, ti faccio vedere” si gira per condurmi dentro casa.
Posso guardarla di spalle, il sedere tondo fasciato dal cotone grigio, morbido, da volerci poggiare la testa sopra e addormentarcisi, sfiorarlo e accarezzarlo e palparlo, infilare il viso tra le natiche, incastrare il naso tra le sue chiappe e aspirare profondamente.
La musica addolcisce l’ambiente, Billie Eilish canta sottovoce, calda, il profumo del pranzo in preparazione, libri disseminati un po’ ovunque.
Seguo Paola attraverso il salotto e poi verso la zona notte; intravedo attraverso lo spiraglio di una porta la loro camera, il letto sfatto, vestiti gettati un po’ alla rinfusa e finalmente mi conduce al bagno.
Apre la porta.
“Devi perdonarmi il disordine, ho dovuto tirare i panni fuori dalla lavatrice visto che non andava… sono un disastro lo so, puoi perdonarmi?”
Io vorrei ringraziarla piuttosto.
Un mucchio di biancheria giace per terra vicino all’elettrodomestico rotto.
Magliette, lenzuola, federe di cuscini, asciugamani, qualche camicetta.
E poi quello che temevo e che speravo: diverse mutandine fanno capolino tra i panni sporchi, il mio occhio allenato le individua subito. Ce ne sono di vari tipi diversi: molte di semplice cotone, nere, bianche, rosa, a righe orizzontali; senza decorazioni, con un fiocchetto o con un bordo di pizzo; un perizoma rosso; delle culotte bianche semitrasparenti, altre grigie di cotone quasi maschili ma la misura che mi permette di individuarle subito come di Paola e di nessun altro.
Io non penso che fosse una situazione volutamente maliziosa: probabilmente lei neanche si rendeva conto del delizioso baratro in cui mi aveva gettato. Che le sue mutandine usate potessero avere per me una qualche attrazione era fuori discussione; probabilmente neanche riteneva mi dessero fastidio, vista la totale noncuranza con cui mi aveva condotto davanti a tale spettacolo.
Infatti subito Paola si rivolge alla lavatrice: “vedi, se accendo non succede nulla, eppure la spina è attaccata…non capisco”.
Ringrazio il cielo che abbia subito sviato l’attenzione, lascio a terra la cassetta degli attrezzi e con la scusa mi siedo per terra per nascondere l’erezione che di nuovo mi assale, senza dire parola.
“senti però, ho il pranzo sul fuoco, ti scoccia se ti lascio qui da solo?”
“non ti preoccupare, non posso garantirti che risolva il problema, ma farò del mio meglio: tu vai”
“sei impagabile” esce dal bagno impastando rumorosamente la farina nella ciotola, la segue il suo sedere nascosto dal cotone grigio aderente, chiudo la porta, sento il suono del cucchiaio di legno allontanarsi.
Sono solo nel bagno: rivolgo la mia attenzione al cumulo di panni sporchi e alle sue mutandine, mi tremano le mani. Prendo quelle bianche per prime, normali sloggy, come quelle che si comprano al supermercato, un po’ sgambate ma niente più, morbide le apro davanti a me per guardarle bene, mi manca il fiato, lentamente le avvicino al viso, mi concentro sul cavallo, una striscia larga di tessuto che immagino abbia accolto e fasciato e carezzato la sua fica pelosa, la punta del naso le sfiora, timidamente aspiro l’odore, ma con disappunto non sento nulla. Aspiro un po’ più forte ma sento solo il profumo del tessuto quasi nuovo, probabilmente aveva un salvaslip a separarli dalle sue labbra, infatti non noto alcun segno sul cotone immacolato. Le lascio per cercare altro.
Passo a quelle a righine orizzontali, grigie e bianche, tocco il tessuto al centre del cavallo, ne sento la ruvidezza, non è solo cotone, qualcosa lo ha impregnato asciugandosi poi, vedo al centro il segno di un po’ di muco che deve essere uscito dalle sue labbra, ma soprattutto un alone giallino, il ricordo di una pipì non accuratamente asciugata con la carta igienica, oppure di una pisciata fatta in emergenza, magari all’aperto o in un bagno pubblico di un bar, di corsa per poter uscire prima possibile. So già cosa aspettarmi ma la delusione delle mutandine bianche precedenti mi lasciano cauto: avvicino gli slip al naso.
Ed eccolo lì. L’odore di Paola, l’odore della fica pelosa di Paola, l’odore della pipì di Paola. Dicono le rosse abbiano un odore più forte, non lo so, ma è qualcosa che mi stordisce, mi fa girare la testa dall’emozione, e pulsare il pisello dall’eccitazione. Aspiro profondamente, con qualche sussulto dovuto al nervosismo, eccolo di nuovo quell’odore, ed il calore del mio fiato riscalda il cotone e lo fa rilasciare ancora più forte ma dopo poco comincia a nascondere il profumo della sua pipì, che si mischia con il mio alito.
Sono tentato di rubarle, il cazzo mi esplode, ma mi viene un’altra immagine.
L’odore della fica e della pipì di Paola è stampato nella mia testa: la voglio guardare in viso con quell’odore ancora nelle narici; infilo la mano in tasca con le mutandine, esco dal bagno e vado in cucina.
“Paola, dove potrei trovare un cacciavite? Quelli che ho non vanno bene”
Le dita strofinano le mutandine puzzolenti di pipì, guardo Paola in faccia, i suoi capelli rossi, i suoi occhi grandi, la pancia scoperta.
“siamo dei casinisti: Giulio ha una cassetta degli attrezzi in camera da letto, nell’armadio, prova lì”
La sua voce allegra e dolce, l’odore della sua fica ancora nel mio naso, le mutandine morbide e ruvide di liquidi rappresi sotto le mie dita, la familiarità che ci unisce, io che mi sono sporto solo con la testa per non far vedere il bozzo dei pantaloni.
“grazie” e mi dirigo verso la camera; apro la porta e la riaccosto dietro di me, calzini, un reggiseno appeso alla sponda del letto, dei fuseaux neri buttati per terra, i pantaloni del suo pigiama lasciati sulle lenzuola: un’altra trappola in cui cadere. Senza pensarci due volte afferro i pantaloni del pigiama e guardo dentro, ancora quell’alone giallino sul cavallo, in mezzo alle gambe, ricordi di pisciatine notturne fatte al buio quando non si accende la luce per cercare la strada, lasciati riscaldare nel caldo delle coperte. Affondo la faccia nei pantaloni. Rieccolo quell’odore, che si accompagna all’odore lievemente sgradevole del suo sedere, ma io lo ignoro: voglio ancora l’odore della sua fica di notte e aspiro profondamente, vorrei venire lì sul momento, sborrare dove capita, ma devo tornare in me per evitare di essere scoperto.
Rimetto i pantaloni sulle lenzuola, cerco gli attrezzi nell’armadio, li trovo e li riporto con me in bagno; smonto qualche vite per far sentire che sto lavorando e che non sto facendo nulla di sospetto. Le mani tremano che non riesco quasi a centrare le viti, smonto un pannello della lavatrice che cade rumorosamente, lo appoggio al muro alla meglio. Un sospirone e riporto la mia attenzione nuovamente ai panni sporchi: le mutandine di cotone nere con l’accenno di pizzo sulle cuciture laterali.
Una irresistibile striscia bianca al centro delle mutande testimonia che la fica di Paola ha lasciato il segno, non so cosa l’abbia ridotta così, quale pensiero, quale fantasia o semplicemente quale ciclo del suo corpo di donna. Ma su quelle cazzo di mutandine nere, avvolgenti, morbide per donne e mogli e madri, c’è una cazzo di striscia bianca di muco di fica rappreso. Prima di leccarlo le odoro, per non falsarne l’aroma; cazzo quanto amo odorare le mutandine delle donne, odorare le mutandine di mia moglie, odorare le mutandine di Paola, ed immaginare la sua fica pelosa sbattuta sulla mia faccia. Con la lingua assaggio la striscia bianca, non ha un gran sapore, ma il pensiero di passare la lingua dove Paola ha passato la sua fica è un cazzotto sulla tempia. Sono perso, sono condannato.
“Paolo: ma che cazzo stai facendo?!” mi paralizzo. Paola è entrata in bagno. Non l’ho sentita arrivare, è scalza, mi fissa attonita, in una mano il mestolo di legno, l’altra mano alla bocca. E la sua fica stretta nei fuseaux grigi.
“Eh…che sto facendo?” mi sento un po’ Alberto Sordi un po’ Ataru Moroboshi di Lamù. Un deficiente. Con le mutandine nere di Paola che mi pendono dalle mani.
Lei mi guarda attonita, una splendida piccola statua minuta e morbida, incorniciata dalla porta, i suoi fianchi, la pancia scoperta, quegli occhi.
“Paola, io...”
“Stai odorando le mie mutande? Ma ti sei impazzito? Ma che hai, tredici anni?!”
Resto muto, siamo immobili, ci fissiamo come gatti pronti alla lotta.
Poi non so cosa mi sia passato per la testa: mi è caduto l’occhio ancora sulla striscia bianca di muco di fica sulla mutandina nere, ho rivisto il suo monte di venere stretto nel tessuto grigio e quei capelli rossi.
Ho riportato lentamente le mutandine al viso e le ho leccate, fissandola negli occhi dietro la sua montatura di vinile scura.
E lei è scoppiata a ridere.
“ma guarda un po’, ma cosa mi tocca scoprire. Paolo che fruga tra le mie mutande. Hai già fatto qualche altra schifezza, ti sei fatto una sega sulla mia biancheria? Qualcosa che debba sapere prima di rimettere tutto in lavatrice e trovarmi le mani impiastricciate dello sperma del marito di Laura?”
“Eh… mi spiace, non so se riesco ad aggiustare la lavatrice. “ le rispondo. Con le sue mutande in mano, l’odore di fica che arriva ancora al mio naso. Il cazzo che mi esplode. Che risposta imbecille.
“io che mi ero preoccupata per il rumore e temevo ti fossi fatto male”
“Paola, non so che dire: ho visto le tue mutande usate e non ci ho capito più nulla, è la mia debolezza, Laura te lo potrà confermare
“… o forse è meglio di no”
“be’, certo… anche no. Ma erano anni che non lo facevo. O almeno, lo facevo solo con Laura. Ma è che tu… mi sei sempre piaciuta. Anche Laura dice lo stesso di te. A me e a Laura piacciono le stesse donne”
“Quindi dovrei sentirmi lusingata! Pure io scema , ma come mi è venuto in mente? Come ho potuto non pensarci? E’ colpa mia! Ma chi lo immaginava di trovarti con il naso nelle mie mutande sporche! Non ti fa schifo?”
“Macchè… mi piace… purtroppo. O no? Senti, non c’entri nulla tu, come potevi pensare che un uomo di 50 anni avesse ancora il vizio delle mutande delle amiche?”
“non delle amiche: le MIE mutande! …e neanche il perizoma rosso: quelle nere che sembrano di mia nonna!”
“…solo perché su quelle bianche non ho trovato l’odore della tua...!”
“non ha trovato l’odore della mia fica sulle mutande bianche. Vabbè…e ora?
“Ora? Non so che dire. Fai finta che io sia ubriaco, perché sono ubriaco”
“Eh: ora c’è che io dovevo pure fare pipì e stavo venendo a chiederti se potevi lasciarmi il bagno un secondo”
“io, be’…ok, esco” senza darle tempo di reagire faccio per uscire dal bagno e superarla oltre la porta; girandole attorno struscio la punta del mio pisello sui suoi fianchi. Lei resta in silenzio. Poi fa un passo ed entra in bagno chiudendosi la porta alle spalle. Resto lì fuori stordito.
Sento i rumori di lei che si spoglia, i fuseaux che strusciano sulla sua pelle, li immagino arrotolati attorno alle caviglie, le sue mutande (di che colore oggi?) sopra tutto, il rumore della tavoletta abbassata.
Poi qualche goccia di pipì che cade nell’acqua, un suo sospiro, una sinfonia per il mio pisello impazzito. Poi si ferma.
“ma non ti fa schifo l’idea della mia pipì?”
“no Paola, non mi fa schifo: mi fa impazzire”. Pausa. Passano secondi interminabili.
“…Apri la porta, a questo punto…”
Ubbidisco: lei è seduta sul water, la fica pelosa finalmente visibile, lei poggiata con i gomiti sulle ginocchia, in avanti, le mutande bianche attorno alle caviglie, ombrate al centro dall’uso quotidiano.
“sei uno di quelli, allora…ma fammi capire: se ti dicessi di mettermi una mano sotto mentre piscio questo non ti farebbe schifo?”
Non le rispondo, mi avvicino e lentamente infilo la mano nel water: ci guardiamo negli occhi. Io serio, lei non sa se ridere. E poi comincia a pisciarmi sulla mano. Un filo caldo che esce dalla sua vagina e bagna la mia mano, il rumore dello scroscio della sua pipì nell’acqua. Muovo le dita per sentirla meglio.
“ma chi l’avrebbe immaginato?!” l’odore della sua pipì emerge da sotto la sua fica. Le ultime gocce cadono e finalmente prendo il coraggio di passarle la mano sulla vagina, allungare un dito per sentire se è asciutta o se tutta quella situazione non ha smosso qualcosa in lei. Lo ha smosso, le sue labbra sono lubrificate, aperte e accoglienti, indugio avanti e indietro; un sospiro esce dalle sue labbra. TBC
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