Mutandine in cattedra e l'alunno modello

di
genere
prime esperienze


Tesoro mio, ti scrivo per aggiornarti su quest’anno scolastico, questo 1989 che difficilmente dimenticherò.
Mettiti comodo, tira fuori il tuo odoroso cazzo adorato e una delle mutandine che ti ho lasciato per riempire il vuoto della mia assenza: ti chiedo solo di arrivare alla fine di questa mia lettera, prima di schizzarle come sono sicura farai, letto quanto ho da raccontarti.

L’assegnazione su Roma è stata un po’ sfortunata, mi è capitata una sezione piuttosto difficile, non ho voglia di combattere con i ragazzi e la tua lontananza non aiuta.
Ho provato a farcela da sola, e sditalinarmi con te al telefono sai che mi fa impazzire.
Ma le nostre lunghe interurbane, assieme all’affitto, finiscono per mangiarsi il già magro stipendio di insegnante.
Per lo stesso motivo, preferisco quindi raccontarti per lettera quanto sta accadendo, anche per chiederti un consiglio: dedicheremo ogni minuto della nostra prossima telefonata alle nostre porcate.
Alla fine, come mi hai esortata a fare nonostante le mie resistenze, ho cercato e trovato tra i miei alunni uno che mi rendesse più sopportabili le notti solitarie e le sveglie mattutine per andare a scuola.
C’è un quinto piuttosto turbolento e il caos generale mi permette libertà che altrimenti non passerebbero inosservate alla maggioranza della classe.
È palese che non goda della loro la stima, ma ho cominciato subito a scandagliare gli alunni per individuarne uno pronto ad apprezzare degnamente ciò che ho da offrire.
La cattedra rialzata mi mette in una posizione migliore per lasciar intuire quello che nascondo sotto la gonna, ma sulle prime sembrava i ragazzi non ci facessero caso più di tanto.
Per quanto accavallassi ripetutamente le gambe e passassi qualche minuto seduta in maniera oscena, la gonna corta poco sopra le ginocchia, le cosce larghe quel tanto che basta da lasciar intuire le mutande li in mezzo, non ho registrato reazioni particolari.
Ma col passare dei giorni ho visto un ragazzo passare dalle file posteriori alla prima, e non era difficile intuire cosa lo attirasse.
Lui diceva che dietro non riusciva a seguire la lezione per il rumore di fondo degli altri che chiacchieravano. Ma io vedevo dove finivano i suoi occhi.
E sentire il suo sguardo esplorare il fondo della mia gonna, su per le cosce, fino alle mie mutande bianche di cotone, ha cominciato giorno dopo giorno ad accorciare il tempo necessario perché la tua adorata fica tra le mie gambe si bagnasse come tu sai bene che sa fare.
Il fatto che questo ragazzo sia tanto educato quanto timido, mi rende il gioco ancora più gustoso: cazzo, lui si merita un premio in mezzo a questa classe di stronzetti; e la mia fica odorosa - di cui tu sei comunque il solo re e padrone, sai bene - è il miglior trofeo che possa immaginare per lui.
E per me.
Mille volte meglio dei 7 ed 8 che comunque già gli metto per il suo rendimento.

Stare lì, le gambe semiaperte, le mutandine che imprigionano la mia vulva desiderosa di attenzioni, il suo sguardo che mi fruga impaziente ma intimorito, nell’attesa dello scintillio del bianco dei miei slip in mezzo al rosa delle mie grosse cosce è stata l’unica droga che mi ha permesso di arrivare alla campanella dell’una senza mandare tutti a quel paese.

Ho deciso quindi di spingermi oltre e di avvicinarmi a lui, lasciare la cattedra per appoggiarmi al suo banco in prima fila mentre spiegavo, dargli l’impressione che il mio corpo fosse lì ad un passo, il mio ventre all’altezza della sua faccia, quasi da poter catturarne l’odore.
Timidamente lui ha cominciato ad abbandonare la mano sul bordo del banco sempre più vicino a dove io premevo il mio bacino, fino a quando un giorno ho sentito un suo piccolo dito sfiorarmi la coscia.
Doveva stare per impazzire dall’eccitazione se ha preso il rischio di essere sgamato dai suoi compagni mentre mi toccava la gamba davanti a tutti.
Meritava di più.
Non ho esitato a poggiare il mio monte di Venere sul dorso della sua mano abbandonato alla fine del banco: lui che di tanto in tanto stendeva le dita per premere sul tessuto, io che posso sentire le pareti della mia vagina diventare più umide, i miei umori affacciarsi al fondo della mia fica e lasciare una piccola macchiolina tonda sulle mutandine.
Avrei voluto gridare lì, prendergli la faccia e schiacciarla sul mio ventre fino a farlo soffocare.
Quei giorni chiudevo l’ora prima ed attendevo la campanella davanti alla porta, la prima a scappare della classe al termine della lezione: non so come le colleghe non si siano accorte delle mie furiose sgrillettate in bagno al cambio dell’ora, per quanto silenziosa cercassi di essere.
Le nostre lezioni proseguivano così, fra il mio esibire al suo sguardo la mia umida intimità ed il suo insinuare la punta delle dita dove il tessuto della gonna cedeva nel mezzo delle mie cosce, sperando di raggiungere in qualche maniera le spiagge della mia carne.
Immaginavo un duetto di masturbazioni a distanza nelle rispettive stanze a ripensare agli eventi della mattina, le mie dita nella fica, le sue strette attorno al proprio cazzo.

Finché un giorno mi decisi a recapitargli un messaggio: sfruttai la ricreazione per lasciare nel suo zaino un paio di mutandine che avevo usato per tutto il giorno precedente; la classe fuori in giardino a giocare, io da sola in aula in preda alla mia eccitazione. Accompagnai il dono con un biglietto: “al mio alunno modello” senza dimenticare di aggiungere il mio numero di telefono.
Posso solo immaginare il suo stupore quando trovò il mio prezioso regalo, arrivare a casa e chiudersi in bagno, prendere le mie mutande sporche con religiosa eccitazione e odorare nel mezzo del tessuto dove la mia fica affaticata si era adagiata strofinandosi mentre io mandavo avanti la mia indaffarata giornata.
Posso vederlo portarsi i miei slip al naso ed il suo cazzo esplodere, lui che si masturba impazzito per l’odore di piscio e fica di cui gli ho fatto esclusivo dono.

Ah, le pippe di un adolescente: quanta selvaggia e inesperta grazia nei palmi caldi delle loro mani, la presa fedele sull’asta del proprio pisello, le sacre carezze alla base del glande, fino a sentire lo sperma indisciplinato spingersi su per il canale, per aspergere il lavandino del bagno della propria appiccicosa benedizione.
Cosa non avrei dato per avere la mia bocca sulla punta del suo cazzo mentre si segava odorando la puzza della mia fica sulle mie mutande

La sua telefonata non tardò ad arrivare.

Cosa facemmo nel mio appartamento, in un pigro pomeriggio infrasettimanale (lui che disse ai suoi che andava a studiare da un amico), lo lascio alla tua immaginazione.
Mi preme solo dirti che ho trovato qualcuno più devoto di te a leccarmi la fica: e questo ti sia di monito per quando tornerò a casa.

Un solo problema: la voce ha cominciato inevitabilmente a girare a scuola.
Nessuno sembrava sospettare le nostre scopate nel mio appartamento.
Ma le mie cosce larghe in cattedra e le sue mani sulla mia gonna in classe non sono passate inosservate.
Quanta pudicizia, per così poco.
Se sapessero le oscenità che quest’alunno modello e la sua pigra insegnante combinano fuori scuola che direbbero allora?
Forse applaudirebbero invidiosi.

Ora: la preside mi ha convocato domani per informarla a riguardo.
Potrai immaginare quanto sia tesa.
È una tipa rognosa, vestita sempre di una gonna beige alle caviglie, camicetta presa dal guardaroba della nonna e ballerine.
Pare una frigida monaca, dietro i suoi occhialini.
Potrei già immaginare il tipo di moralistiche raccomandazioni che mi farebbe una donna così, che non conosce il dolce disagio di una mutandina bagnata dei propri umori per fantasie difficili da addomesticare.

Ma su questa professoressa si racconta di uno strano passato nel paese dove insegnava precedentemente.
Potrei scoprire che ne sa più di me in fatto di acerbi cazzi adolescenziali.
Potrei scoprire che sotto quella gonna è meno gelida di quanto non si pensi.
Potrei scoprire che anche lei subisce l’incantesimo del profumo della mia fica.

Ti chiedo di resistere ancora un poco prima di terminare in gloria la tua sacrosanta sega e di rispondere alla mia domanda: ti offenderesti se la tua fica profumata in mezzo alle mie cosce dovesse finire casualmente sulla faccia della preside di una scuola di Roma?
Temeresti forse di perdermi se mi abbandonassi alla lingua esperta di un’altra donna?
Dal canto mio, ti garantisco che lo faccio solo nell’interesse di mantenere il mio posto e mettere a tacere ingiuste chiacchiere che potrebbero crearmi qualche problema sul posto di lavoro.
“Non lo fo per piacer mio... “

Se vorrai chiamarmi al telefono per terminare degnamente la sega che immagino ti starai facendo, al suono della mia voce, sarò ben lieta di tenerti compagnia.

Tua per sempre

M...
scritto il
2022-08-28
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