Due storie di doccia - 1. Le conseguenze del tennis
di
RunningRiot
genere
etero
Lui sa che tecnicamente non c'è partita, e allora la butta sulla forza fisica. BOOM! BOOM! BOOM! Non ha una racchetta, ha una clava. BOOM!
Il mio tennis mancino e preciso fa invece TIC... TIC... TIC... cerca gli angoli, le righe, talvolta ci finisce pure sopra.
Lui borbotta qualche "che culo" privo in maniera deplorevole di ammirazione anatomica, riparte più BOOM-BOOM-BOOM che mai. Ma chi a tennis ci ha giocato davvero ha un vantaggio che uno che ha preso solo qualche lezione non ha: può fare tutti i boom che vuole, ma io dove finirà la pallina lo so già, prima ancora che lui la percuota. A meno che non la mandi nel campo accanto. Nel qual caso è: "Guarda che i signori le palline ce le hanno già, eh?".
Quindi è tutto Boom vs Tic. E poiché i miei Tic finiscono generalmente dentro e i suoi Boom generalmente fuori, ecco che facciamo 6-2 senza nemmeno sforare l'ora. Un po' mi dispiace, perché immagino che lui ci resti male mentre gli altri lo guardano farsi asfaltare da una ragazza. Maaa... ve l'ho mai detto che sono competitiva come una pecora blu dell’Himalaya? Sì? Ah, ecco, mi pareva.
Una delle cose belle del tennis è che, in qualche modo, è come andare in bicicletta o scopare: se l'hai imparato bene non lo scordi più. Puoi essere arrugginita, certo. Ma dopo un po' senti che tutto torna a posto: i colpi, l'impugnatura, gli spostamenti, la posizione dei piedi...
- Vedrai che prima o poi ti batto, siamo già su quella strada.
- Uh uh... sì amore.
Bisogna dire che oggi è andato meglio del solito, eh? Due game li ha fatti.
- Luca, 'ndo vai? La rete!
Un'altra cosa che chi ha fatto tennis sul serio conosce è questa: sì, è una gran rottura di coglioni ma il campo va lasciato come l'hai trovato. Eccheccavolo, mica voglio farmi parlare dietro. E soprattutto: andare a sedermi all'ombra va pure a me, mica solo a lui.
Sono sempre stata convinta che il tennis vada giocato con il caldo, ma trentaquattro gradi alle nove di mattina sono un po' troppi. Adesso saranno anche di più. Però un campo libero prima non c'era. E poi l'afa, la cosa peggiore è quella. Noi siamo allenati, eh? Facciamo un sacco di jogging. Eppure io... cioè, mi sudano le unghie. Del resto, se quando siamo arrivati la piscina era già sold out un motivo ci sarà. In più, ho la pelle caldissima. Spero di non essermi scottata.
Quindi acqua. Amore, tira fuori l'acqua. Mentre mi bevo la mia bottiglietta di Egeria lui ne fa fuori due più un Gatorade. E io non è che bevo a piccoli sorsi, eh? Che vi devo dire: un cammello, io condivido la casa con un cammello, condivido il letto con un cammello. Questa è la verità. No, un attimo. Ce n'è anche un'altra di verità.
- Amore, scusa, ma tu non avevi un'acqua minerale e un Gatorade?
- Sì.
- Quindi la mia seconda acqua te la sei scolata tu?
- Sì.
- Ma sei stronzo?
- Oooddioooo, 'na bottijetta d'acqua... 'a ricompramo.
- 'a ricomprAMO? 'a vai a comprà!
Mica è per i soldi, eh? Ma il baretto è dall'altra parte del circolo, manco un filo d'ombra.
Torna con l'acqua. Mi succede sempre così quando mi fermo e bevo: sudo come la pancetta messa a sfrigolare, zampillo, di solito dopo un po' il fontanone del Gianicolo viene a chiedermi consigli su come aumentare la gittata. Vorrei muovermi subito da qui, fa troppo caldo nonostante l'ombra. Non vorrei mai muovermi da qui, sono una medusa spiaggiata su questa sedia.
- Vabbè, 'namo a fà 'a doccia, va' - dico raccogliendo le forze residue. Molto poche.
- Famosela a casa, no?
È matto, ho il completino incollato alla pelle dal sudore e lui non è da meno. I rivoli ci colano dappertutto, pure dalle orecchie, faremmo schifo a una pustola. Non ho altra volontà che ficcarmi sotto l’acqua con tutte le scarpe. Prima calda poi, progressivamente, più fredda. Il gelo subito non l'ho mai sopportato, dovreste vedermi al mare, quando mi ci metto sotto urlando tipo kamikaze.
No, non è matto, ha qualcosa in testa. Lo capisco dallo sguardo e dal sorrisino. Il suo "famosela a casa" in realtà significa "famosela a casa, insieme, vedrai che non sarà solo una doccia". Come cavolo faccia persino a pensarla una cosa del genere non ne ho idea. Io non avrei la forza di sollevare un mignolo e nemmeno lui dovrebbe avere la forza di sollevare un mignolo. Figuriamoci sollevare altro.
E poi un'altra cosa capisco. Cioè, per meglio dire percepisco, non lo so se è così ma qualche euro ce lo scommetterei: ha voglia di rivincita. No, davvero, lo stronzetto ha voglia di quel tipo di rivincita lì: mò te faccio véde io... Non ci si crede, peggio di un ragazzino. Vedo arrivare con la velocità di un servizio di Berrettini (madonna che figo della madonna) la domanda "chi è il tuo signore e padrone?" mentre mi sta sopra. Davvero, non ci si crede, mi viene da ridere, anzi ghignare. Mister Macho non l'ha presa bene, non sopporta di perdere. Eppure c'è abituato.
- Cazzo, ma chi ci arriva a casa? - gli faccio.
In realtà ho già mollato. Non è che mi sono arrapata per l'idea, eh? E nemmeno per il sorrisino. È che non mi va di discutere, tanto lo so che è inutile.
- Sono dieci minuti, per strada non c'è nessuno...
Gli faccio "ok, 'namo", ci avviamo. Dopo una decina di metri la Madonna, che ha pure lei una passioncella per Berrettini, per fortuna mi avverte: hai guardato bene? Cazzo, è vero, alt, fermi tutti. Cioè, fermo tu, bel manzo.
- Luca, 'ndo cazzo vai?
- Ancora?
- Le scarpe, cazzo, mica me vorrai entrà in macchina e in casa con quelle scarpe... e pure i calzini, eh?
- Dio che palle - sbuffa, ma lo sa che ho ragione.
Infiliamo i sandali, lui addirittura le infradito da doccia. Nonostante ciò obietta che con quelle scarpe non posso guidare. Ma chi l'ha detto? Ma 'n do' sta scritto? "Te fanno 'a multa". "A me 'n me 'a fanno 'a multa". "Perché?". "Perché so' fregna, 'namo ché sto a annà a foco".
Io scarpe e calzini li avvolgo in uno shopper da supermercato, portato apposta. Lui getta tutto dentro il borsone. Dove ovviamente, oltre all'accappatoio, c'è anche il cambio fresco di lavatrice: maglietta, mutande, bermuda... La terra rossa invade il borsone, un tablet di Dash buttato. Allargo le braccia in un muto "ma porca troia". Un selvaggio, io faccio bocchini a un selvaggio. Potendo scegliere, forse era meglio il cammello. Almeno il gibboso lo potrei convincere a caricare la lavatrice. Di certo sarebbe più facile che convincere Luca. Ma la mamma... no, dico, la mamma: perché a te non ha mai rotto le palle?
In macchina ci si potrebbe tranquillamente cuocere il pane, ogni cosa scotta. Dal sedile al volante al cambio è tutto un limortaccitua. Grondiamo ovunque entrambi, Dio santo che schifo. Ma la prima cosa che lui fa è...? No, questa non potete indovinarla. La prima cosa che fa è spegnere l'aria condizionata.
- Sei tutta sudata e al primo starnuto ti metti a strillare che hai preso il Covid...
- Io? Tu te svegli cor mal de testa, 'a prima cosa che pensi è che c'hai un tumore ar cervello, e poi l'ipocondriaca so' io?
Detto questo, niente aria condizionata, è ovvio. E' altrettanto ovvio che il giorno in cui finisco di essere così sottona lo sgozzo nel sonno.
Che poi, farsi la doccia a casa. Sì, vabbè. Entrati mi dice "arrivo subito" perché vuole bere ancora e accendere i deumidificatori. Mi ritrovo da sola nel forno del bagno e la guardo. Cosa? Ma la vasca, è chiaro. Noi non è che abbiamo un box doccia, abbiamo una va-sca-da-ba-gno. E pure senza tenda o simili. La doccia è una cosa che va fatta con molta cautela.
Ne abbiamo parlato già. No, non di mettere un box doccia, perché per mettere quello dovremmo far uscire tutto il resto. Ciò di cui abbiamo parlato è pressappoco riassumibile in questo: Luca, ma quando tu diventi ricco, no? io direi che oltre all'attico con il terrazzone ci vorrebbe anche un superattico, anche solo per la zona notte, e naturalmente un paio di bagni belli grandi, oltre a quello di servizio. In uno sicuramente l'idromassaggio, ma nell'altro sai che ci vorrei? Una doccia enorme, non con il box, pensavo a una divisione in muratura dal resto del bagno, proprio un mini ambientino... sarebbe comodo, no?
Luca disse: "Amò, stamo almeno a due milioni e ottocentomila euro, e abbiamo fatto solo du' bagni...".
Uff, tirchio. Che poi che ci deve fare con i soldi? È chiaro che diventerà straricco, lui poi c'ha pure lo studio del padre, superavviatissimo, prima o poi il genitore si romperà il cazzo di lavorare, no?... Eppure a me una doccia del genere piacerebbe proprio, magari con un touch screen fuori che ti fa regolare la temperatura. Entri lì dentro e non pensi più a nulla. Anzi, per pensare, qualche volta ci ho pensato anche in solitaria, immaginando baci furiosi e trombate altrettanto furiose sotto centinaia di litri d'acqua. Capisco che con la siccità sempre in agguato non sia il massimo, ma è una delle mie fantasie.
- Ancora così?
Non so se arriva prima la sua voce o le sue mani sulle tette. Momento di sbroccata assoluta, come sempre quando mi sorprende da dietro in questo modo. Volto la testa all'indietro e verso l'alto per riscuotere il bacio che mi spetta. Per ragioni a me imperscrutabili, ha indosso ancora la maglietta fradicia, sotto è nudo. Abbiamo ricominciato entrambi a sudare, ma ora non ci penso più. Mi diverte, persino.
- Tanto, lo sapevo che avevi in testa questo - gli sussurro.
- Tu no? - risponde ribadendo il possesso sulle mie tette.
Ridacchio per la sua sicumera, mi abbandono con la schiena contro di lui. Peccato, ho un completino che sul retro ha solo due fasce incrociate, per il resto è scoperto. E se lui non avesse ancora la maglietta saremmo pelle contro pelle.
Ridacchio anche di più quando mi accorgo che sta cercando di abbassare le spalline. Ora, a parte il fatto che è talmente incollato al corpo dal sudore che difficilmente scivolerebbe giù, non è mica fatto per quello. Lo scollo è pure stretto, quadrato.
- Si toglie da sopra... - mormoro.
- Ah... e con gli shorts come fai, scusa? Non sono incorporati?
- mmm... no... le mutande sono separate.
- Ah, ok, pensavo...
- No, cioè, ci sono anche completi così, ma secondo me sono scomodi.
Mai e poi mai nella vita avrei creduto di fare queste disquisizioni fashion-tennis con uno che ha il cazzo scoperto e mi accarezza le tette da dietro. Anche se ammetto che non è poi tanto male.
Ok, ve lo dico subito, tanto lo so che siete già partiti e partite con le mani: non è questo il momento dell'esplosione della libidine. Nonostante io sappia più o meno perfettamente quale sarà l'evoluzione delle cose, questo è il momento del benessere, è il momento che anche se lui ha le mani sulle mie tette io mi rilasso completamente, mi sento come se fossi in piedi e appoggiata a un muro che mi abbraccia. E nonostante conosca più o meno perfettamente le sue intenzioni e che semmai la sua idea sarebbe quella di inchiodarmici, a un muro, io non colo di desiderio. Colo di sudore che il caldo di questo bagno ha ripreso a far quasi zampillare. E poiché la mente è strana, soprattutto la mia, anziché a inarrivabili amplessi et lussuriosi, io penso al completino Maria Sharapova che mi regalò papà da ragazzina. Indossato poco, troppo poco. Ci obbligavano a orribili pantaloncini, a magliette di cotone con il logo del circolo che si infradiciavano dopo cinque minuti; a completamente inutili, almeno per me, reggiseni tecnici. Di quel set che mi aveva regalato papà potevo usare solo scarpe e racchetta, il vestitino lo sfoggiavo in clandestini doppi insieme a lui, contro medici sfiatati, avvocati panzoni, giornalisti distratti. "Oh, ma tua figlia è proprio 'na gran disgraziata!". Una gran disgraziata sì, miravo direttamente in mezzo alle gambe. Voleé incrociata di rovescio a rete, difendi questa, ahi! "Topolina, non è carino...", "Ma è punto".
Ridacchio again dietro questi svolazzi del cervello, almeno fino a quando la voce di Luca non mi riporta alla cruda, torrida, realtà.
- Allora prima togli quelle...
Sarà la stanchezza, sarà il caldo, sarà che passato qualche tempo arriva anche un po' di assuefazione, non lo so. Ma se solo un anno fa mi avesse detto qualcosa tipo "resta vestita ma sfilati le mutandine" io a quest'ora non solo me le sarei già tolte, ma mi sarei anche già messa alla pecorina sul pavimento o in ginocchio a succhiarglielo. "Topolina, non è carino...", "Ma godo". Ahahahah chissà che facce farebbero i miei se un giorno dicessi loro "sapeste quanto ci godo a spompinare Luca...". Oddio, no, ste cose proprio no. La fortuna delle famiglie è che tutti sanno tutto (o quasi) ma che nessuno ne parla.
Invece adesso Luca mi dice di togliermele e io non solo me le tolgo, ma mi volto anche verso il cestino dei panni sporchi e ce le butto. Cazzata, la roba bagnata va direttamente in lavatrice. Ecco, si vede che non sono tanto lucida e che il suo piccolo ordine un po' di effetto me l'ha fatto. Le recupero e le appoggio sopra il cestino, ad memoriam. Nel frattempo la conversazione è: "Ma per forza le mutande di nonna Abelarda?". "Sono fatte per il tennis, non per la pole dance". "Disse quella che va a correre in reggiseno e con i pantaloncini incastrati tra le chiappe". "Scemo, è un top, non un reggiseno". Sui tights invece taccio strategicamente, ha ragione. Se ce l'avessi pronunciata, la zampa di cammello si vedrebbe quasi al naturale.
Mi ricordo la prima mattina che siamo andati a correre insieme, in Grecia, dopo esserci conosciuti la sera precedente. Ricordo il mio outfit e lo sguardo con il quale mi squadrò, e anche i quasi invisibili tocchi di mascara e lipstick che mi ero data. Incredibile, alle otto di mattina. Nemmeno per uscire la sera lo facevo. Lo rivedo correre davanti a me. Non so se avete visto "Quattro matrimoni e un funerale", ma a me di primo acchito aveva fatto un po' l'effetto che mi ha sempre fatto Hugh Grant in quel film: carino sì, ma un po' tonto. Poi la mattina, mentre lo vedevo correre atletico davanti alla sottoscritta, con quella schiena niente male, il sedere niente male, i polpacci forti e elastici, che si voltava e mi diceva dai-dai-dai di aumentare le frequenze li-mortacci-sua-e-meno-male-che-era-giù-di-forma... ho pensato "questo qui ha qualcosa, non è solo schifosamente bello". E non quel qualcosa che ti fa dire "ci vediamo stasera che magari ci infrattiamo?", no. Ti fa dire alla fine del jogging "torno di corsa a casa perché oggi volevamo andare a Koumpara…", sperando che a un certo punto su quella spiaggia si materializzi pure lui.
Ciò che si materializza ora sono invece le sue mani che mi tirano su il vestito. Alzo le braccia per assecondarlo ma lui non me lo sfila del tutto, mi ci avvolge la testa, mi rigira. Ridacchio "scemo...", poi la sua bocca su una tetta, a tradimento, senza che io possa vederlo. "Quanto sei scemo, dai...", mi lagno ma è magnifico. Un po' mi rode perché volevo essere io la prima a passargli la lingua sul petto e leccargli via il sudore, ma è magnifico.
La sua mano che stringe una tetta... BOOM! La sua mano che artiglia una chiappa... BOOM!
La mia mano che si insinua accarezzandogli una coscia... TIC. La mia mano che passa lasciva sui suoi coglioni... TIC. La mia mano che gli sfiora il cazzo... TIC. Cazzo. Cazzo, Luca, ma sei già così in tiro?
Il suo cazzo impennato, rampante, imbizzarrito... BOOM BOOM BOOM! Il suo Cazzo Alfa... BOOM! Due dita enormi di colpo nella fregna... BOOOOOM!
Questione di pochi secondi, ma che secondi: cazzo, si è inclinato l'asse terrestre? cazzo, mi hanno tagliato le ginocchia? cazzo, il soffitto da bianco che era si è fatto nero?
La mia inevitabile lagna... TIC. La mia inevitabile e docile resa... TIC. Il mio inevitabile e adolescenziale "così non resisto"... TIC.
Mi sa che il secondo set non lo porto a casa, serve una mignottata, un escamotage. Serve dire "Luca, aspetta con l'acqua...". Serve schiacciarsi il naso al centro del suo petto, bagnarlo di sudore, riempirlo del suo odore.
È qualcosa che magari lui nemmeno coglie, impercettibile e istintiva, spesso tu stessa lo realizzi solo dopo. Qualcosa di femmineo, non donnesco, che appartiene al mondo animale, a tutte noi mammifere. Tipo, che ne so, una pantera che si mette in posizione e alza la coda: l'invito. Le tue gambe che si allargano anche solo di un millimetro: l'invito. La scossa, i brividi, la pelle d'oca.
Facciamola dopo la doccia, ora ho voglia che mi appiccichi alle piastrelle per una scopata distruttiva, tu in piedi e io con le gambe attorcigliate sulla tua schiena.
Invece no, niente piastrelle. Invece è vasca da bagno. Un attimo prima ho i piedi sul parquet, quello dopo sulla ceramica smaltata. Nemmeno mi accorgo di essere stata sollevata e piantata lì.
La divisione dei ruoli a questo punto viene spontanea: io continuo ad asciugarti il petto con la lingua, tu ti occupi dell'acqua.
Lo fa. Srotola il tubo, apre l'acqua, dirige il getto sulle mie gambe. Stronzo, cazzo, porca troia. Meno male che anche le tubature devono essere calde perché altrimenti sarebbe gelata. Gelata non è ma, vedete, sarà il fatto che abitiamo in un sottoscala, non ne ho idea, ma quaggiù esce sempre abbastanza fresca. Gemo, miagolo "cazzo, è fredda" prima di rituffare la lingua tra i peli al centro del suo petto, prima di succhiargli un capezzolo. "Questione di secondi", sussurra. Ma intanto l’acqua risale su per le cosce. Inguine, fianco, pancia. Cazzo, adesso sì che è proprio fredda. Mi impongo di resistere, gli infilo la lingua in bocca per mugolargli dentro il mio “stronzo”, allaccio le braccia al suo collo per stringerlo.
- Girati solo un secondo… - sussurro.
Domanda perché, ma che bisogno ha di sapere il perché? Girati e basta, non rompere i coglioni. Girati e basta perché voglio farti sentire l’acqua gelata sulle reni. Perciò il soffione lo prendo io.
- Com’è?
- Inizia a scaldarsi.
Vaffanculo, mai ‘na gioia. Vaffanculo, manco la soddisfazione di sentirmi dire “che stronza”. Vaffanculo che schiena, che spalle, che promessa di forza. Vaffanculo alle mie mani che non riescono a non toccarlo.
“Tieni”, gli dico passandogli il soffione e accarezzandolo dopo averlo bagnato dal collo in giù. Lo afferra male, zampilla dappertutto, su di me sul muro, soprattutto sul pavimento. Ma non posso fare a meno di passargli la lingua sulla pelle. Non posso fare a meno di cercargli il cazzo con le mani, alla cieca.
- Quanto è duro… - sospiro appoggiando una guancia sulla sua schiena.
- E quando è duro, tu… - risponde irridente e sfrontato, totale padrone del campo.
Sono esattamente queste le parole che ratificano la mia resa. La sua presa di controllo definitiva. Perché è vero, ha ragione, ci sono momenti in cui io… Uno di questi è sentire questo bastone nella mano.
- Porco…
Giocare in difesa: io sono indifesa, io non c’entro niente, io sono la vittima, sei tu il predatore, sei tu che hai la forza, sei tu il tiranno che prende quello che vuole.
Giocare all’attacco: fammelo vedere ORA come ti prendi ciò che vuoi.
Mi volta, la punta del suo uccello mi sfiora il ventre. La nostra distanza equivale in modo preciso alla misura del suo cazzo. Un giorno prendo un righello, giuro. La nostra distanza gli consente di fare, lui a me, un gioco che ogni tanto faccio a me stessa. La mano si insinua tra le gambe, il getto d’acqua rivolto verso l’alto, schizza, bagna, mi colpisce. Mi colpisce lì, dopo un po’ mi colpisce bene, dopo un po’ sembra che me lo stia facendo da sola per come mi colpisce bene. Mi allaccio al suo collo, giusto nel caso in cui le ginocchia dovessero cedere più di quanto stiano già cedendo. Qualcosa nel mio corpo va per conto suo: le cosce che si aprono un po’ di più, per esempio, per fare spazio; il bacino che cerca l’angolo migliore, per esempio, per consentire al getto d’acqua di colpire tutti i punti strategici.
Qualcosa nel mio cervello dice che un insulto è il modo migliore per spingerlo ad andare avanti.
- Che maiale che sei...
Lo sospiro abbandonandomi completamente, cosa pericolosissima da fare in una vasca da bagno. Sono sorretta solo dalle mie braccia agganciate a lui, da una parte desidero che la sua masturbazione acquea non abbia fine, dall'altra che tutta la sua forza che vedo e che sento sotto le mani abbia finalmente il sopravvento e che mi prenda e mi spappoli da qualche parte.
La sua risposta, invece, è da tipico stronzetto qual è lui. Un tipico modo di farmi capire chi ha il comando. Un tipico "disse lei" di quelli che piacciono a lui.
- Disse lei godendo come una maiala...
- Ogni maiale ha bisogno di una maiala...
Lo dico per il puro gusto di ribattere qualcosa, per pura abitudine. Ma in realtà sento che non c'è più nessun bisogno di parlare. L'unico bisogno che c'è in questo momento è che le mie voglie vengano flagellate e che le sue si sfoghino.
La parola chiave è questa: voglia.
Ho voglia di essere inchiodata sulle piastrelle. Ho voglia di correre in camera da letto. Ho voglia che la mia pelle e la mia bionditudine grondino acqua sul lenzuolo e sul materasso, che li inzuppino almeno quanto sono inzuppata io. Ho voglia di guardarci nello specchio accanto al letto e dirgli "amore, fammi tutto". Ho voglia di vedere il suo cazzo sparire dallo specchio perché mi ha trafitta. Ho voglia di sentire la mia vagina che urla "siiiiì", ho voglia di sentire il mio collo dell'utero che dice "ahia!". Ho voglia di piagnucolare di fottermi a lungo, ho voglia di piagnucolare di venirmi subito dentro. Ho voglia di supplicare “fa’ piano”, ho voglia di supplicare "sfondami", ho voglia di supplicare "sculacciami più forte!".
Lui invece ha voglia di un pompino, ha voglia di sentirselo avvolto dal calore della mia lingua e del mio palato, ha voglia di trasformare la mia gola in una fica accogliente.
- Succhiami il cazzo, prendilo tutto.
L’imprinting del sesso, l’ordine ineludibile, il “succhiami il cazzo” che mi ha sempre fatto schiudere istintivamente le labbra. Per tutti, figuriamoci per lui.
E quindi sì, gli succhio il cazzo. E quindi sì, me lo spingo in fondo il più veloce che posso. E quindi sì, mi aggrappo alle sue natiche per aiutarmi. E quindi sì, mi soffoco. E quindi sì, mi eccito a soffocarmi, potrei venire soffocandomi, mugolandogli addosso, sentendolo dire “succhia, bocchinara, succhia”.
Potrei venire sentendomi precipitare tutta questa acqua in testa. Che scende a cascata, che fa splaf sulla vasca e sul pavimento.
E invece no. E invece il pompino serviva solo a chiarire i ruoli: lui Tarzan, io Jane. Non ce n’è bisogno, ma ce n’è bisogno. C’è sempre bisogno che arrivi il momento in cui lui dice esplicitamente “comando io”.
Esco dalla vasca, faccio ciac-ciac con i piedi sul pavimento. Le gocce d'acqua che colano dai miei capelli e dal mio corpo sono come gocce di pioggia su una pozzanghera. Lo guardo, guardo questa specie di statua con il cazzo dritto, guardo i suoi occhi che dicono "preparati a essere trapanata". Ascolto, ascolto il suo silenzio carico di testosterone, ascolto la mia vagina che grida "che aspettate? BOOM, BOOM, BOOM!".
I miei occhi riverberano il lago sul pavimento, il completino annegato lì in mezzo, la sua maglietta, le mie mutande sul cestino dei panni sporchi. Penso alla sua roba sudata, verosimilmente finita come al solito sul tavolo della cucina, a un centimetro dai biscotti della colazione. Guarda il casino che abbiamo combinato per correre dietro alle nostre voglie.
In mezzo a questa devastazione le uniche certezze sono il suo cazzo caldo nella mia mano e il letto nell’altra stanza, sul cui bordo andrò ad inginocchiarmi e ad offrirmi, così che lui mi si faccia restando in piedi.
Ma la verità è che tra una horny house-slut e una desperate housewife il confine è labile, è un attimo.
- Amore… dopo… asciughi tu, vero?
Il mio tennis mancino e preciso fa invece TIC... TIC... TIC... cerca gli angoli, le righe, talvolta ci finisce pure sopra.
Lui borbotta qualche "che culo" privo in maniera deplorevole di ammirazione anatomica, riparte più BOOM-BOOM-BOOM che mai. Ma chi a tennis ci ha giocato davvero ha un vantaggio che uno che ha preso solo qualche lezione non ha: può fare tutti i boom che vuole, ma io dove finirà la pallina lo so già, prima ancora che lui la percuota. A meno che non la mandi nel campo accanto. Nel qual caso è: "Guarda che i signori le palline ce le hanno già, eh?".
Quindi è tutto Boom vs Tic. E poiché i miei Tic finiscono generalmente dentro e i suoi Boom generalmente fuori, ecco che facciamo 6-2 senza nemmeno sforare l'ora. Un po' mi dispiace, perché immagino che lui ci resti male mentre gli altri lo guardano farsi asfaltare da una ragazza. Maaa... ve l'ho mai detto che sono competitiva come una pecora blu dell’Himalaya? Sì? Ah, ecco, mi pareva.
Una delle cose belle del tennis è che, in qualche modo, è come andare in bicicletta o scopare: se l'hai imparato bene non lo scordi più. Puoi essere arrugginita, certo. Ma dopo un po' senti che tutto torna a posto: i colpi, l'impugnatura, gli spostamenti, la posizione dei piedi...
- Vedrai che prima o poi ti batto, siamo già su quella strada.
- Uh uh... sì amore.
Bisogna dire che oggi è andato meglio del solito, eh? Due game li ha fatti.
- Luca, 'ndo vai? La rete!
Un'altra cosa che chi ha fatto tennis sul serio conosce è questa: sì, è una gran rottura di coglioni ma il campo va lasciato come l'hai trovato. Eccheccavolo, mica voglio farmi parlare dietro. E soprattutto: andare a sedermi all'ombra va pure a me, mica solo a lui.
Sono sempre stata convinta che il tennis vada giocato con il caldo, ma trentaquattro gradi alle nove di mattina sono un po' troppi. Adesso saranno anche di più. Però un campo libero prima non c'era. E poi l'afa, la cosa peggiore è quella. Noi siamo allenati, eh? Facciamo un sacco di jogging. Eppure io... cioè, mi sudano le unghie. Del resto, se quando siamo arrivati la piscina era già sold out un motivo ci sarà. In più, ho la pelle caldissima. Spero di non essermi scottata.
Quindi acqua. Amore, tira fuori l'acqua. Mentre mi bevo la mia bottiglietta di Egeria lui ne fa fuori due più un Gatorade. E io non è che bevo a piccoli sorsi, eh? Che vi devo dire: un cammello, io condivido la casa con un cammello, condivido il letto con un cammello. Questa è la verità. No, un attimo. Ce n'è anche un'altra di verità.
- Amore, scusa, ma tu non avevi un'acqua minerale e un Gatorade?
- Sì.
- Quindi la mia seconda acqua te la sei scolata tu?
- Sì.
- Ma sei stronzo?
- Oooddioooo, 'na bottijetta d'acqua... 'a ricompramo.
- 'a ricomprAMO? 'a vai a comprà!
Mica è per i soldi, eh? Ma il baretto è dall'altra parte del circolo, manco un filo d'ombra.
Torna con l'acqua. Mi succede sempre così quando mi fermo e bevo: sudo come la pancetta messa a sfrigolare, zampillo, di solito dopo un po' il fontanone del Gianicolo viene a chiedermi consigli su come aumentare la gittata. Vorrei muovermi subito da qui, fa troppo caldo nonostante l'ombra. Non vorrei mai muovermi da qui, sono una medusa spiaggiata su questa sedia.
- Vabbè, 'namo a fà 'a doccia, va' - dico raccogliendo le forze residue. Molto poche.
- Famosela a casa, no?
È matto, ho il completino incollato alla pelle dal sudore e lui non è da meno. I rivoli ci colano dappertutto, pure dalle orecchie, faremmo schifo a una pustola. Non ho altra volontà che ficcarmi sotto l’acqua con tutte le scarpe. Prima calda poi, progressivamente, più fredda. Il gelo subito non l'ho mai sopportato, dovreste vedermi al mare, quando mi ci metto sotto urlando tipo kamikaze.
No, non è matto, ha qualcosa in testa. Lo capisco dallo sguardo e dal sorrisino. Il suo "famosela a casa" in realtà significa "famosela a casa, insieme, vedrai che non sarà solo una doccia". Come cavolo faccia persino a pensarla una cosa del genere non ne ho idea. Io non avrei la forza di sollevare un mignolo e nemmeno lui dovrebbe avere la forza di sollevare un mignolo. Figuriamoci sollevare altro.
E poi un'altra cosa capisco. Cioè, per meglio dire percepisco, non lo so se è così ma qualche euro ce lo scommetterei: ha voglia di rivincita. No, davvero, lo stronzetto ha voglia di quel tipo di rivincita lì: mò te faccio véde io... Non ci si crede, peggio di un ragazzino. Vedo arrivare con la velocità di un servizio di Berrettini (madonna che figo della madonna) la domanda "chi è il tuo signore e padrone?" mentre mi sta sopra. Davvero, non ci si crede, mi viene da ridere, anzi ghignare. Mister Macho non l'ha presa bene, non sopporta di perdere. Eppure c'è abituato.
- Cazzo, ma chi ci arriva a casa? - gli faccio.
In realtà ho già mollato. Non è che mi sono arrapata per l'idea, eh? E nemmeno per il sorrisino. È che non mi va di discutere, tanto lo so che è inutile.
- Sono dieci minuti, per strada non c'è nessuno...
Gli faccio "ok, 'namo", ci avviamo. Dopo una decina di metri la Madonna, che ha pure lei una passioncella per Berrettini, per fortuna mi avverte: hai guardato bene? Cazzo, è vero, alt, fermi tutti. Cioè, fermo tu, bel manzo.
- Luca, 'ndo cazzo vai?
- Ancora?
- Le scarpe, cazzo, mica me vorrai entrà in macchina e in casa con quelle scarpe... e pure i calzini, eh?
- Dio che palle - sbuffa, ma lo sa che ho ragione.
Infiliamo i sandali, lui addirittura le infradito da doccia. Nonostante ciò obietta che con quelle scarpe non posso guidare. Ma chi l'ha detto? Ma 'n do' sta scritto? "Te fanno 'a multa". "A me 'n me 'a fanno 'a multa". "Perché?". "Perché so' fregna, 'namo ché sto a annà a foco".
Io scarpe e calzini li avvolgo in uno shopper da supermercato, portato apposta. Lui getta tutto dentro il borsone. Dove ovviamente, oltre all'accappatoio, c'è anche il cambio fresco di lavatrice: maglietta, mutande, bermuda... La terra rossa invade il borsone, un tablet di Dash buttato. Allargo le braccia in un muto "ma porca troia". Un selvaggio, io faccio bocchini a un selvaggio. Potendo scegliere, forse era meglio il cammello. Almeno il gibboso lo potrei convincere a caricare la lavatrice. Di certo sarebbe più facile che convincere Luca. Ma la mamma... no, dico, la mamma: perché a te non ha mai rotto le palle?
In macchina ci si potrebbe tranquillamente cuocere il pane, ogni cosa scotta. Dal sedile al volante al cambio è tutto un limortaccitua. Grondiamo ovunque entrambi, Dio santo che schifo. Ma la prima cosa che lui fa è...? No, questa non potete indovinarla. La prima cosa che fa è spegnere l'aria condizionata.
- Sei tutta sudata e al primo starnuto ti metti a strillare che hai preso il Covid...
- Io? Tu te svegli cor mal de testa, 'a prima cosa che pensi è che c'hai un tumore ar cervello, e poi l'ipocondriaca so' io?
Detto questo, niente aria condizionata, è ovvio. E' altrettanto ovvio che il giorno in cui finisco di essere così sottona lo sgozzo nel sonno.
Che poi, farsi la doccia a casa. Sì, vabbè. Entrati mi dice "arrivo subito" perché vuole bere ancora e accendere i deumidificatori. Mi ritrovo da sola nel forno del bagno e la guardo. Cosa? Ma la vasca, è chiaro. Noi non è che abbiamo un box doccia, abbiamo una va-sca-da-ba-gno. E pure senza tenda o simili. La doccia è una cosa che va fatta con molta cautela.
Ne abbiamo parlato già. No, non di mettere un box doccia, perché per mettere quello dovremmo far uscire tutto il resto. Ciò di cui abbiamo parlato è pressappoco riassumibile in questo: Luca, ma quando tu diventi ricco, no? io direi che oltre all'attico con il terrazzone ci vorrebbe anche un superattico, anche solo per la zona notte, e naturalmente un paio di bagni belli grandi, oltre a quello di servizio. In uno sicuramente l'idromassaggio, ma nell'altro sai che ci vorrei? Una doccia enorme, non con il box, pensavo a una divisione in muratura dal resto del bagno, proprio un mini ambientino... sarebbe comodo, no?
Luca disse: "Amò, stamo almeno a due milioni e ottocentomila euro, e abbiamo fatto solo du' bagni...".
Uff, tirchio. Che poi che ci deve fare con i soldi? È chiaro che diventerà straricco, lui poi c'ha pure lo studio del padre, superavviatissimo, prima o poi il genitore si romperà il cazzo di lavorare, no?... Eppure a me una doccia del genere piacerebbe proprio, magari con un touch screen fuori che ti fa regolare la temperatura. Entri lì dentro e non pensi più a nulla. Anzi, per pensare, qualche volta ci ho pensato anche in solitaria, immaginando baci furiosi e trombate altrettanto furiose sotto centinaia di litri d'acqua. Capisco che con la siccità sempre in agguato non sia il massimo, ma è una delle mie fantasie.
- Ancora così?
Non so se arriva prima la sua voce o le sue mani sulle tette. Momento di sbroccata assoluta, come sempre quando mi sorprende da dietro in questo modo. Volto la testa all'indietro e verso l'alto per riscuotere il bacio che mi spetta. Per ragioni a me imperscrutabili, ha indosso ancora la maglietta fradicia, sotto è nudo. Abbiamo ricominciato entrambi a sudare, ma ora non ci penso più. Mi diverte, persino.
- Tanto, lo sapevo che avevi in testa questo - gli sussurro.
- Tu no? - risponde ribadendo il possesso sulle mie tette.
Ridacchio per la sua sicumera, mi abbandono con la schiena contro di lui. Peccato, ho un completino che sul retro ha solo due fasce incrociate, per il resto è scoperto. E se lui non avesse ancora la maglietta saremmo pelle contro pelle.
Ridacchio anche di più quando mi accorgo che sta cercando di abbassare le spalline. Ora, a parte il fatto che è talmente incollato al corpo dal sudore che difficilmente scivolerebbe giù, non è mica fatto per quello. Lo scollo è pure stretto, quadrato.
- Si toglie da sopra... - mormoro.
- Ah... e con gli shorts come fai, scusa? Non sono incorporati?
- mmm... no... le mutande sono separate.
- Ah, ok, pensavo...
- No, cioè, ci sono anche completi così, ma secondo me sono scomodi.
Mai e poi mai nella vita avrei creduto di fare queste disquisizioni fashion-tennis con uno che ha il cazzo scoperto e mi accarezza le tette da dietro. Anche se ammetto che non è poi tanto male.
Ok, ve lo dico subito, tanto lo so che siete già partiti e partite con le mani: non è questo il momento dell'esplosione della libidine. Nonostante io sappia più o meno perfettamente quale sarà l'evoluzione delle cose, questo è il momento del benessere, è il momento che anche se lui ha le mani sulle mie tette io mi rilasso completamente, mi sento come se fossi in piedi e appoggiata a un muro che mi abbraccia. E nonostante conosca più o meno perfettamente le sue intenzioni e che semmai la sua idea sarebbe quella di inchiodarmici, a un muro, io non colo di desiderio. Colo di sudore che il caldo di questo bagno ha ripreso a far quasi zampillare. E poiché la mente è strana, soprattutto la mia, anziché a inarrivabili amplessi et lussuriosi, io penso al completino Maria Sharapova che mi regalò papà da ragazzina. Indossato poco, troppo poco. Ci obbligavano a orribili pantaloncini, a magliette di cotone con il logo del circolo che si infradiciavano dopo cinque minuti; a completamente inutili, almeno per me, reggiseni tecnici. Di quel set che mi aveva regalato papà potevo usare solo scarpe e racchetta, il vestitino lo sfoggiavo in clandestini doppi insieme a lui, contro medici sfiatati, avvocati panzoni, giornalisti distratti. "Oh, ma tua figlia è proprio 'na gran disgraziata!". Una gran disgraziata sì, miravo direttamente in mezzo alle gambe. Voleé incrociata di rovescio a rete, difendi questa, ahi! "Topolina, non è carino...", "Ma è punto".
Ridacchio again dietro questi svolazzi del cervello, almeno fino a quando la voce di Luca non mi riporta alla cruda, torrida, realtà.
- Allora prima togli quelle...
Sarà la stanchezza, sarà il caldo, sarà che passato qualche tempo arriva anche un po' di assuefazione, non lo so. Ma se solo un anno fa mi avesse detto qualcosa tipo "resta vestita ma sfilati le mutandine" io a quest'ora non solo me le sarei già tolte, ma mi sarei anche già messa alla pecorina sul pavimento o in ginocchio a succhiarglielo. "Topolina, non è carino...", "Ma godo". Ahahahah chissà che facce farebbero i miei se un giorno dicessi loro "sapeste quanto ci godo a spompinare Luca...". Oddio, no, ste cose proprio no. La fortuna delle famiglie è che tutti sanno tutto (o quasi) ma che nessuno ne parla.
Invece adesso Luca mi dice di togliermele e io non solo me le tolgo, ma mi volto anche verso il cestino dei panni sporchi e ce le butto. Cazzata, la roba bagnata va direttamente in lavatrice. Ecco, si vede che non sono tanto lucida e che il suo piccolo ordine un po' di effetto me l'ha fatto. Le recupero e le appoggio sopra il cestino, ad memoriam. Nel frattempo la conversazione è: "Ma per forza le mutande di nonna Abelarda?". "Sono fatte per il tennis, non per la pole dance". "Disse quella che va a correre in reggiseno e con i pantaloncini incastrati tra le chiappe". "Scemo, è un top, non un reggiseno". Sui tights invece taccio strategicamente, ha ragione. Se ce l'avessi pronunciata, la zampa di cammello si vedrebbe quasi al naturale.
Mi ricordo la prima mattina che siamo andati a correre insieme, in Grecia, dopo esserci conosciuti la sera precedente. Ricordo il mio outfit e lo sguardo con il quale mi squadrò, e anche i quasi invisibili tocchi di mascara e lipstick che mi ero data. Incredibile, alle otto di mattina. Nemmeno per uscire la sera lo facevo. Lo rivedo correre davanti a me. Non so se avete visto "Quattro matrimoni e un funerale", ma a me di primo acchito aveva fatto un po' l'effetto che mi ha sempre fatto Hugh Grant in quel film: carino sì, ma un po' tonto. Poi la mattina, mentre lo vedevo correre atletico davanti alla sottoscritta, con quella schiena niente male, il sedere niente male, i polpacci forti e elastici, che si voltava e mi diceva dai-dai-dai di aumentare le frequenze li-mortacci-sua-e-meno-male-che-era-giù-di-forma... ho pensato "questo qui ha qualcosa, non è solo schifosamente bello". E non quel qualcosa che ti fa dire "ci vediamo stasera che magari ci infrattiamo?", no. Ti fa dire alla fine del jogging "torno di corsa a casa perché oggi volevamo andare a Koumpara…", sperando che a un certo punto su quella spiaggia si materializzi pure lui.
Ciò che si materializza ora sono invece le sue mani che mi tirano su il vestito. Alzo le braccia per assecondarlo ma lui non me lo sfila del tutto, mi ci avvolge la testa, mi rigira. Ridacchio "scemo...", poi la sua bocca su una tetta, a tradimento, senza che io possa vederlo. "Quanto sei scemo, dai...", mi lagno ma è magnifico. Un po' mi rode perché volevo essere io la prima a passargli la lingua sul petto e leccargli via il sudore, ma è magnifico.
La sua mano che stringe una tetta... BOOM! La sua mano che artiglia una chiappa... BOOM!
La mia mano che si insinua accarezzandogli una coscia... TIC. La mia mano che passa lasciva sui suoi coglioni... TIC. La mia mano che gli sfiora il cazzo... TIC. Cazzo. Cazzo, Luca, ma sei già così in tiro?
Il suo cazzo impennato, rampante, imbizzarrito... BOOM BOOM BOOM! Il suo Cazzo Alfa... BOOM! Due dita enormi di colpo nella fregna... BOOOOOM!
Questione di pochi secondi, ma che secondi: cazzo, si è inclinato l'asse terrestre? cazzo, mi hanno tagliato le ginocchia? cazzo, il soffitto da bianco che era si è fatto nero?
La mia inevitabile lagna... TIC. La mia inevitabile e docile resa... TIC. Il mio inevitabile e adolescenziale "così non resisto"... TIC.
Mi sa che il secondo set non lo porto a casa, serve una mignottata, un escamotage. Serve dire "Luca, aspetta con l'acqua...". Serve schiacciarsi il naso al centro del suo petto, bagnarlo di sudore, riempirlo del suo odore.
È qualcosa che magari lui nemmeno coglie, impercettibile e istintiva, spesso tu stessa lo realizzi solo dopo. Qualcosa di femmineo, non donnesco, che appartiene al mondo animale, a tutte noi mammifere. Tipo, che ne so, una pantera che si mette in posizione e alza la coda: l'invito. Le tue gambe che si allargano anche solo di un millimetro: l'invito. La scossa, i brividi, la pelle d'oca.
Facciamola dopo la doccia, ora ho voglia che mi appiccichi alle piastrelle per una scopata distruttiva, tu in piedi e io con le gambe attorcigliate sulla tua schiena.
Invece no, niente piastrelle. Invece è vasca da bagno. Un attimo prima ho i piedi sul parquet, quello dopo sulla ceramica smaltata. Nemmeno mi accorgo di essere stata sollevata e piantata lì.
La divisione dei ruoli a questo punto viene spontanea: io continuo ad asciugarti il petto con la lingua, tu ti occupi dell'acqua.
Lo fa. Srotola il tubo, apre l'acqua, dirige il getto sulle mie gambe. Stronzo, cazzo, porca troia. Meno male che anche le tubature devono essere calde perché altrimenti sarebbe gelata. Gelata non è ma, vedete, sarà il fatto che abitiamo in un sottoscala, non ne ho idea, ma quaggiù esce sempre abbastanza fresca. Gemo, miagolo "cazzo, è fredda" prima di rituffare la lingua tra i peli al centro del suo petto, prima di succhiargli un capezzolo. "Questione di secondi", sussurra. Ma intanto l’acqua risale su per le cosce. Inguine, fianco, pancia. Cazzo, adesso sì che è proprio fredda. Mi impongo di resistere, gli infilo la lingua in bocca per mugolargli dentro il mio “stronzo”, allaccio le braccia al suo collo per stringerlo.
- Girati solo un secondo… - sussurro.
Domanda perché, ma che bisogno ha di sapere il perché? Girati e basta, non rompere i coglioni. Girati e basta perché voglio farti sentire l’acqua gelata sulle reni. Perciò il soffione lo prendo io.
- Com’è?
- Inizia a scaldarsi.
Vaffanculo, mai ‘na gioia. Vaffanculo, manco la soddisfazione di sentirmi dire “che stronza”. Vaffanculo che schiena, che spalle, che promessa di forza. Vaffanculo alle mie mani che non riescono a non toccarlo.
“Tieni”, gli dico passandogli il soffione e accarezzandolo dopo averlo bagnato dal collo in giù. Lo afferra male, zampilla dappertutto, su di me sul muro, soprattutto sul pavimento. Ma non posso fare a meno di passargli la lingua sulla pelle. Non posso fare a meno di cercargli il cazzo con le mani, alla cieca.
- Quanto è duro… - sospiro appoggiando una guancia sulla sua schiena.
- E quando è duro, tu… - risponde irridente e sfrontato, totale padrone del campo.
Sono esattamente queste le parole che ratificano la mia resa. La sua presa di controllo definitiva. Perché è vero, ha ragione, ci sono momenti in cui io… Uno di questi è sentire questo bastone nella mano.
- Porco…
Giocare in difesa: io sono indifesa, io non c’entro niente, io sono la vittima, sei tu il predatore, sei tu che hai la forza, sei tu il tiranno che prende quello che vuole.
Giocare all’attacco: fammelo vedere ORA come ti prendi ciò che vuoi.
Mi volta, la punta del suo uccello mi sfiora il ventre. La nostra distanza equivale in modo preciso alla misura del suo cazzo. Un giorno prendo un righello, giuro. La nostra distanza gli consente di fare, lui a me, un gioco che ogni tanto faccio a me stessa. La mano si insinua tra le gambe, il getto d’acqua rivolto verso l’alto, schizza, bagna, mi colpisce. Mi colpisce lì, dopo un po’ mi colpisce bene, dopo un po’ sembra che me lo stia facendo da sola per come mi colpisce bene. Mi allaccio al suo collo, giusto nel caso in cui le ginocchia dovessero cedere più di quanto stiano già cedendo. Qualcosa nel mio corpo va per conto suo: le cosce che si aprono un po’ di più, per esempio, per fare spazio; il bacino che cerca l’angolo migliore, per esempio, per consentire al getto d’acqua di colpire tutti i punti strategici.
Qualcosa nel mio cervello dice che un insulto è il modo migliore per spingerlo ad andare avanti.
- Che maiale che sei...
Lo sospiro abbandonandomi completamente, cosa pericolosissima da fare in una vasca da bagno. Sono sorretta solo dalle mie braccia agganciate a lui, da una parte desidero che la sua masturbazione acquea non abbia fine, dall'altra che tutta la sua forza che vedo e che sento sotto le mani abbia finalmente il sopravvento e che mi prenda e mi spappoli da qualche parte.
La sua risposta, invece, è da tipico stronzetto qual è lui. Un tipico modo di farmi capire chi ha il comando. Un tipico "disse lei" di quelli che piacciono a lui.
- Disse lei godendo come una maiala...
- Ogni maiale ha bisogno di una maiala...
Lo dico per il puro gusto di ribattere qualcosa, per pura abitudine. Ma in realtà sento che non c'è più nessun bisogno di parlare. L'unico bisogno che c'è in questo momento è che le mie voglie vengano flagellate e che le sue si sfoghino.
La parola chiave è questa: voglia.
Ho voglia di essere inchiodata sulle piastrelle. Ho voglia di correre in camera da letto. Ho voglia che la mia pelle e la mia bionditudine grondino acqua sul lenzuolo e sul materasso, che li inzuppino almeno quanto sono inzuppata io. Ho voglia di guardarci nello specchio accanto al letto e dirgli "amore, fammi tutto". Ho voglia di vedere il suo cazzo sparire dallo specchio perché mi ha trafitta. Ho voglia di sentire la mia vagina che urla "siiiiì", ho voglia di sentire il mio collo dell'utero che dice "ahia!". Ho voglia di piagnucolare di fottermi a lungo, ho voglia di piagnucolare di venirmi subito dentro. Ho voglia di supplicare “fa’ piano”, ho voglia di supplicare "sfondami", ho voglia di supplicare "sculacciami più forte!".
Lui invece ha voglia di un pompino, ha voglia di sentirselo avvolto dal calore della mia lingua e del mio palato, ha voglia di trasformare la mia gola in una fica accogliente.
- Succhiami il cazzo, prendilo tutto.
L’imprinting del sesso, l’ordine ineludibile, il “succhiami il cazzo” che mi ha sempre fatto schiudere istintivamente le labbra. Per tutti, figuriamoci per lui.
E quindi sì, gli succhio il cazzo. E quindi sì, me lo spingo in fondo il più veloce che posso. E quindi sì, mi aggrappo alle sue natiche per aiutarmi. E quindi sì, mi soffoco. E quindi sì, mi eccito a soffocarmi, potrei venire soffocandomi, mugolandogli addosso, sentendolo dire “succhia, bocchinara, succhia”.
Potrei venire sentendomi precipitare tutta questa acqua in testa. Che scende a cascata, che fa splaf sulla vasca e sul pavimento.
E invece no. E invece il pompino serviva solo a chiarire i ruoli: lui Tarzan, io Jane. Non ce n’è bisogno, ma ce n’è bisogno. C’è sempre bisogno che arrivi il momento in cui lui dice esplicitamente “comando io”.
Esco dalla vasca, faccio ciac-ciac con i piedi sul pavimento. Le gocce d'acqua che colano dai miei capelli e dal mio corpo sono come gocce di pioggia su una pozzanghera. Lo guardo, guardo questa specie di statua con il cazzo dritto, guardo i suoi occhi che dicono "preparati a essere trapanata". Ascolto, ascolto il suo silenzio carico di testosterone, ascolto la mia vagina che grida "che aspettate? BOOM, BOOM, BOOM!".
I miei occhi riverberano il lago sul pavimento, il completino annegato lì in mezzo, la sua maglietta, le mie mutande sul cestino dei panni sporchi. Penso alla sua roba sudata, verosimilmente finita come al solito sul tavolo della cucina, a un centimetro dai biscotti della colazione. Guarda il casino che abbiamo combinato per correre dietro alle nostre voglie.
In mezzo a questa devastazione le uniche certezze sono il suo cazzo caldo nella mia mano e il letto nell’altra stanza, sul cui bordo andrò ad inginocchiarmi e ad offrirmi, così che lui mi si faccia restando in piedi.
Ma la verità è che tra una horny house-slut e una desperate housewife il confine è labile, è un attimo.
- Amore… dopo… asciughi tu, vero?
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