Due storie di doccia - 2. Animali

di
genere
etero

Lo amo, non è che ha bisogno di conferme. Gliel’ho detto tante volte, dimostrato tante volte. Gliel’ho dimostrato anche oggi, in spiaggia. Voglio dire, se non l’amassi non gli avrei lasciato l’ultima frittura di calamari al baretto, no? Non sopporterei i suoi amici di qui, che capisco fossero la tua compagnia delle estati da ragazzino, Luca, ok, ma poi tu sei cresciuto e loro no. Se non l’amassi non gli andrei sculettando a prendere il mojito, mostrandomi per mia stessa scelta servizievole agli occhi del mondo.

Ok, abbiamo stabilito che lo amo. Ma questo dimenticatelo.

Qui l’amore non c’entra un cazzo. Qui c’entrano gli animali.

Non so se avete presente.

Lo sguardo da animale, il sorriso da animale, l’abbraccio da animale mentre lasciamo la spiaggia. Reciproci. Mutua e muta intesa.

Perché gli animali siano arrivati proprio mentre ripiegavamo i teli nel borsone, non saprei dire. Ma è bastato un incrocio di occhi: ehi, siamo qui, sorpresi?

Io li immagino come due lupi solitari che si incontrano in una brughiera coperta di nebbia. Anche adesso li penso così, anche adesso che è tardi e ce ne andiamo ma il sole non ha ancora smesso di cuocerci.

I Ray-Ban infilati simultaneamente, affinché nessun altro capisca. La voglia di bagnoschiuma, shampoo e balsamo che si tramuta in voglia di farci fino a farci male: ti smembrerò a morsi, ti prosciugherò.

Sotto il mio camicione bianco e azzurro si è già scatenato il delirio.

Tira fuori l’auto mentre lo attendo all’ingresso del parcheggio. Si avvicina piano guardando il telefono, lo so che sta leggendo WhatsApp: “ti ho mai detto quanto sono porca?”. Salgo poggiando la borsa sul sedile posteriore, non mi aspetto risposta. Mi basta un’occhiata: sbaglierò ma tra le gambe sembra un po’ più gonfio del normale.

I due chilometri scarsi che ci separano da casa li percorriamo pressoché in silenzio. Gli farei un bocchino mentre guida, abbassandogli a tradimento il costume: vediamo se ti sei sciacquato bene o se sai ancora di sale. Mi farei un ditale mentre guida, invitandolo a guardare la strada e ad ascoltare le mie fantasie: lo sai in che modo vorrei DAVVERO essere sbattuta?

Ma c’è troppa luce, troppa gente in giro. Troppa umanità impegnata a pensare alla cena.

Il nostro pasto invece sarà un altro, è sin troppo chiaro. È sin troppo evidente. Ma solo a noi due.

Antipasto: il camicione bianco e azzurro tirato su, le gambe già aperte, la sua mano che si intrufola nel costume. La passione di offrire sesso dentro una macchina è vecchia quasi quanto le mie voglie. Antipasto-bis: due dita che si inzuppano di me mentre davanti a noi il cancello scorre. “Cazzo, sei già bagnata”. Intende dire: fradicia. Non aggiunge altro, ma lo spiritoso sottotesto potrebbe essere benissimo: sei in calore come al solito. La sua spinta, al contrario, è molto meno spiritosa.

L’animale che è in me dice: sì, sei in calore, è così che vuoi essere trattata. Grido, ha fatto troppo forte. L’animale che è in me mi corregge: ha fatto troppo piano, invece. Oltre i miei occhi chiusi, il buio. Sollevo il sedere per sbarazzarmi anche del minimo orpello delle mutandine del costume. Riesco a malapena ad abbassarle a metà gamba: l’animale che è in lui dice che non devo prendere iniziative personali. Spinge. Tutte dentro le sue dita, ora. Ricado sul sedile gridando “Cristo!” con la sua mano agganciata dentro di me. Le macchine dietro di noi scorrono lente, chissà se qualcuno immagina cosa si sta consumando qui, davanti a questo cancello ormai aperto, chissà se qualcuno si sta domandando “perché non entrano?”. Perché lui deve completare l’opera, mettere in chiaro le cose, ecco perché.

- Esprimi un desiderio… – mi sussurra ridacchiando.

L’animale che è in me dice che dalla mia bocca stasera uscirà l’impossibile, ma non ora. Ansimo, non rispondo.

Il perizoma alla fine riesco a togliermelo. Dopo che la macchina è entrata e il cancello si è richiuso. Dopo che mi ha infilato in bocca dita bagnate di me. Dopo che dita dell’altra mano sono entrate ancora dentro di me. Dopo che ho pensato “violentami così!” ma non sono riuscita a dirlo. Dopo che la sua lingua nella mia bocca mi ha impedito di dire “scopami!”.

Scendiamo, ho le gambe deboli. L’animale che è in lui dice che deve darmi uno sganassone sul sedere mentre gli passo davanti.

L’animale che è in me dice che devo ringraziare squittendo e che ho voglia di farmi prendere sotto la doccia.

- Voglio che mi scopi in doccia, qui.

Sì, qui. Non in casa ma nel casotto con le ante in stile saloon dove ci laviamo quando torniamo dal mare, nell’angolo del giardino. Al riparo da occhi indiscreti, certo. Al riparo da orecchie indiscrete, forse.

- Non vuoi salire in casa?

- No, qui.

Il camicione bianco e azzurro finisce sull’erba. Resto con il solo pezzo di sopra del costume. Il pezzo di sopra del costume finisce sull’erba mentre lui è voltato e apre l’acqua. L’animale che è in lui gli dice che deve darmi una lezione che me la ricordo finché campo, glielo leggo sul viso. L’animale che è in lui gli dice che deve togliersi la maglietta e il costume e appenderli al gancio con una calma bastarda. Interesse per le sue mani e per il suo corpo, entrambi capaci di schiantarmi in ogni modo possibile: venti per cento. Interesse per il suo cazzo che inizia a svegliarsi: cento per cento. Fa centoventi, lo so. Credetemi, centoventi è ok.

L’amore non c’entra niente, ve l’ho detto: ho una inverosimile voglia del suo cazzo.

- Prendilo in bocca.

Le mie ginocchia finiscono sull’erba.

Prendilo in bocca. Uh, quante volte gliel’ho preso in bocca, anche di mia iniziativa. Mica sto sempre ad aspettare l’input, eh? Ma quando quel “prendilo in bocca” – o qualsiasi altra espressione equivalente – arriva in questo modo che non ammette repliche vengo proiettata in una dimensione diversa.

Ecco perché adesso mi inginocchio e succhio come ho fatto centinaia di volte, ma con una disposizione d’animo particolare. La mia parte nel gioco di stasera è obliterarmi, farmi usare, assecondare il mio istinto più profondo. L’animale che è in me sa quello che dice e quando dirlo. Su questo non ci piove.

Quindi: “prendilo in bocca”. Non c’è nemmeno bisogno di assentire. Eseguo. Avevo ragione, sa di sale.

Nella mia bocca il cazzo di Luca finisce di svegliarsi. Il cazzo di Luca è ipersveglio, il cazzo di Luca è amfetamina purissima mescolata con l’acciaio. Il cazzo di Luca mi soffoca, mi fa fare conati e rumori da puttana, mi fa sprizzare le lacrime dagli occhi. Il cazzo di Luca mi fa aprire, pulsare e colare la fica.

- Che cazzo di bocchinara che sei.

Non sei originale, Luca, ma dimmelo sempre. Ansimalo sempre, deliralo sempre. Ogni volta. Amo le conferme. Amo le ridondanze.

- Zoccola bocchinara - gli preciso sbavando.

Dato che ho parlato e mi sono interrotta, mi arrivano due amorevoli schiaffi di cazzo sulle guance. Bello, basterebbe questo. Ma l’animale che è in lui dice che deve essere indulgente e darmi soddisfazione.

- Megazoccola - acconsente tornando a soffocarmi.

La sua mano sulla nuca non fa sconti, la sua mano sulla nuca non ha pietà. Né io voglio che l’abbia. La sua mano sulla nuca mi spinge verso il suo ventre, mi ci appiccica. Mi tiene lì in apnea. Se mi toccassi ora verrei al volo. L’animale che è in me dice invece: le mani aggrappale alle sue natiche, fagli capire quanto adori quando ti svelle le tonsille.

Come avviene ogni volta che voglio scopare ma comincio con un pompino, la fame di cazzo è più forte della fame d’aria. Come avviene ogni volta che voglio scopare ma comincio con un pompino, sono combattuta. Come avviene ogni volta che voglio scopare ma comincio con un pompino, lascio decidere a lui: mi fotti la bocca o mi fotti la fica? Chi delle due riceverà in premio il tuo milkshake?

L’animale che è in lui dice: fica. Dice: trascinala dentro. L’animale che è in me dice: vorresti camminare a quattro zampe fin dentro il casotto pur di non staccare la bocca dal suo cazzo, ma anche essere spinta così sotto l’acqua non è male, no? L’animale che è in me dice: lancia un urletto per sottolineare il suo potere.

L’urletto copre il rumore dello scroscio e delle ante che le molle fanno andare avanti e indietro. Lo guardo: sul suo viso e sul suo sorriso c’è di tutto, dall’amore alla foia più feroce.

Per un attimo assaporo la sensazione del getto tiepido sui capelli, sulla faccia, sul corpo. Mi volto verso di lui, braccia al collo. Mi struscio sulla sua erezione assurda, spalanco le labbra per chiedergli un altro lingua-in-bocca. Ma solo dopo averlo supplicato.

- Lavami, lavami e fottimi.

L’animale che è in me mi fa notare che forse non sono stata abbastanza chiara. Che la mia supplica la devo piagnucolare e che devo schernirmi.

- Fottimi come una cagna.

Le carezze possono pure tenersele gli amanti romantici. Io mi tengo le sue grandi mani insaponate che percorrono il mio corpo, ne prendono possesso, annullano ogni mia volontà. Tette, cosce, fianchi, chiappe: tutto di me viene strapazzato. Lancio l’ennesimo urlo e mi inarco quando un capezzolo finisce nella morsa dei suoi denti, quando mi fagocita il seno. Spingo la sua nuca bagnata verso di me: non smettere, non andar via.

È l’ultimo desiderio che riesco a esprimere prima di cominciare a contorcermi, implorando baci e cercando ancora la sua erezione sulla pelle. Due dita insaponate che tornano a violarmi e a farmi esplodere di calore. Un dito insaponato che mi scivola nel culo, mi gonfia, mi fa sobbalzare. DUE dita insaponate che mi stuprano il culo, che mi fanno venire un’altra volta le lacrime agli occhi, che mi fanno pensare che tanto vale che ci metta il cazzo, che mi fanno strillare “mi fai male!”.

L’animale che è in me dice che in realtà così mi piace. Doppia penetrazione digitale, strilla pure ma non dirgli di fermarsi. Però devo mordermi il labbro per non dirgli di fermarsi.

L’animale che è in lui dice invece che è arrivata l’ora dell’unione primordiale.

- Vieni qua…

Sono già qua. Sono di fronte a te. Cosa vuoi che faccia? Dimmelo subito, non resisto. Devo avere un altro piccolo ordine da eseguire. Ti prego.

Sono alta, ma di fronte a lui è come se mi sentissi ridotta. Ho anche la testa un po’ abbassata. Tra i nostri corpi, il suo cazzo. Sembra quasi un essere terzo, autonomo, un alieno.

Lo schiaffetto su una natica mi chiarisce il comando: devo appendermi al collo e saltargli sopra, agganciare le gambe alla sua schiena, attendere che trovi l’entrata. Attendere di essere sventrata.

Eseguo.

Salto. Aggancio. Attendo.

Lui trova l’entrata.

Lui mi sventra.

Quel mix di amfetamina purissima e acciaio mi si infila dentro, divaricandomi mi percorre. La mia fregna urla sopraffatta. La mia fregna urla trivellata. La mia fregna vuole essere trivellata. La mia fregna è impazzita. La mia fregna strilla sì, sì, sì!

L’animale che è in lui dice che deve dare subito un ritmo ossessivo. Dice: sbattila più veloce che puoi, spiegale bene chi è e mettila al suo posto.

L’animale che è in me dice che posso permettermi delle considerazioni oscene. Vai, Annalisa, tema libero.

Scelta degli argomenti del tema libero: durezza, piacere, dolore, riduzione a cagna.

Sì, certo, potrei essere più dettagliata. Potrei fare il verbale di una scopata in piedi. Ma davvero un verbale può descrivere con accuratezza la carne che mi apre, scivola, sbatte? Bisognerebbe precisare quali oscenità sono bisbigliate, quali strillate, quali ancora non riescono a diventare strillo, uccise in culla da un affondo più forte e più preciso degli altri. Bisognerebbe aggiungere le mie braccia strette al suo collo, la sua lingua sul mio collo e nell’orecchio, le mie gambe allacciate alla sua schiena, la voglia di mordere, l’urgenza di graffiare, di soffocare i miei gridolini dentro la sua bocca. Bisognerebbe essere una scrittrice capace di raccontare i suoi artigli sulle mie natiche, la stretta, la forza con cui mi sostiene, con cui mi tira a sé e mi allontana, il ciac ciac di come ci sbattiamo. Bisognerebbe essere brava a descrivere il tono sfacciato e arrogante delle sue domande. Domande che aspettano, anzi pretendono, una sola e unica risposta. La posso articolare come voglio, ma il concetto è sempre quello: sì, me ne divento cretina per il tuo cazzo, sono una morta del tuo cazzo. Mai come ora ho voluto così tanto un cazzo. Mai come ora ho voluto essere quella che sono, esattamente, adesso: una cui hai la possibilità di fare tutto. Questa possibilità esiste, è reale, devi solo esplorarla, coglierla, goderne. In pieno. Devi farlo, ne ho bisogno, non voglio altro.

L’animale che è in lui dice: trapanala in questo modo per un minutino almeno, anche due. Dice: non è importante che lei venga, orgasmo o non orgasmo il punto non è quello. Dice che a me, più che avere un orgasmo, in questo momento interessa farmi massacrare.

L’animale che è in lui ha perfettamente ragione. L’animale che è in lui mi conosce benissimo.

L’animale che è in me dice: senti come è grosso, senti soprattutto come è duro. Dice di adulare il suo essere maschio, di riconoscere la sua forza e il suo dominio. Di strillarglielo peggio di un’invasata. E peggio di un’invasata gli strillo “Dio che cazzo fantastico! Dammelo tutto dentro!”.

L’animale che è in lui dice di mettermi giù di colpo. Dice: falle capire che non sarà solo una scopata.

Io invece non capisco, sono stordita. L’animale che è in me al contrario capisce al volo, e la pensa come lui. L’animale che è in me la pensa peggio di lui. L’animale che è in me dice di lasciarmi andare a pensieri perversi e autolesionisti.

L’animale che è in me dice di fargli un test: Luca, qual è la prima cosa che ti viene in mente se ti insapono il cazzo? Ci arrivi da solo o mi devo voltare e aprire le chiappe?

- Vuoi che ti sfondo il culo?

Più che quello che dice è COME lo dice. Quando mi guarda come mi guarda ora, quando mi parla con questo tono… Mi tremano le gambe… All’inizio tra noi non era così. Luca forse avrebbe voluto, non lo so, ma non era così neanche lui. Sono io che ce l’ho portato? Sono io che l’ho corrotto? Sono io che gli ho fatto capire che quel tono, quel modo di dire, quel modo di fare…? Oppure ho solo svelato qualcosa che già c’era? In ogni caso ne sono fiera, ne sono avida, ne sono terrorizzata. Soprattutto ora, ora che mi volto per dargli le spalle, sono terrorizzata. Come sempre.

- Voglio che mi sfondi tutta…

Se pensate a una risposta fatta di lussuria e troiaggine, siete molto fuori strada. Da una parte il tono è: certo, che domande fai, è fuori discussione. Dall’altra è quello di una che va al patibolo e pensa che sia giusto non solo andarci ma addirittura incoraggiare il suo carnefice. Ecco, adesso ho davvero finito di consegnarmi.

Nel casotto dove non stiamo facendo la doccia c’è una finestrella tonda, una specie di oblò. Con due sbarre a croce che non ho mai capito a cosa servono. Adesso però sì, adesso lo capisco. Servono ad essere afferrate, servono ad essere strette fino a farmi diventare le nocche del colore del latte mentre aspetto.

Chissà se il terrore si cura così, con un bacio. Non lo so, so solo che adesso voglio un bacio. Beh, un bacio è rassicurante, no? In fondo domando solo questo e poi… Baciami, Luca, baciami ora.

Inarco un po’ la schiena e mi volto verso di lui. Lo ammetto, è proprio un’elemosina che gli chiedo. Non so nemmeno se lui mi vede, ha lo sguardo puntato verso il basso. D’improvviso il buio, il suo viso scompare. D’improvviso ci sono solo i miei occhi chiusi e il mio rantolo.

Stringo le sbarre come se volessi sradicarle dal cemento e i muscoli delle braccia mi fanno male per quanto li tendo. La testa mi vola via e dalla mia bocca scappa un sospiro rumoroso e poi, gutturale e inarrestabile, un "oddio!".

- Vuoi questo?

Tracce d’amore nella sua voce affannata, in perfetto contrasto con la brutalità con cui sta per possedermi. Rispondergli è talmente difficile… ho la respirazione bloccata, non riesco a parlare. Riesco a latrare, questo sì, mentre lui immobile ripete “vuoi questo?”.

- Fammi il culo… ho voglia.

Come se lo dicesse qualcun'altra.

- Tanto ti inculavo lo stesso…

Tanto ti inculavo lo stesso. Non l'avevo messo in conto. Eppure, come potevo pensare che fosse solo il mio animale a dirigere il gioco? È talmente ovvio: le due bestie insieme sono venute e insieme se ne andranno, la mia e la sua. Sapere di non avere mai avuto scampo o possibilità di scelta mi devasta, la sua sicurezza diventa un brivido che si scarica lungo tutta la spina dorsale, il suo contatto diventa più pesante e mi toglie il fiato, mi dà la pelle d’oca. È una sensazione conosciuta, ma ogni volta mi lascia sbigottita: essere sodomizzata prima ancora di esserlo.

Anche se spinge poco, la punta di un cazzo come il suo fa maaaaale. Ma l’animale che è in me dice che devo smetterla di divincolarmi come se volessi scappare. L’animale che è in me domanda: non ti senti sua? Ammettilo che sei sua, ammettilo che ti piace, diglielo quanto ti piace. L’animale che è in me ordina: trasmettigli una tua sensazione fisica.

- Inculami! Spaccami il culo!

Spaccami il culo. È così osceno e volgare dirlo, anche indegno. Ma è così arrapante. È così arrapante arrendermi a lui. L’animale che è in me mi fa notare: la tua fica non smette mai di bagnarsi, neanche ora. Ce l’ho pure più zuppa di prima, lo avverto perfettamente anche se appare impossibile. L’animale che è in me ha sempre ragione.

È curioso, sapete? Un paio di settimane dopo questo accoppiamento furibondo, una scrittrice ha pubblicato un racconto su una deliziosa cittadina a meno di un'ora e mezzo di treno da Roma. Un racconto che non aveva niente di porno, assolutamente niente, anche se poi mi ci sono dolcemente masturbata. Che ci volete fare, si sa che le associazioni mentali sono libere e incontrollabili... Così mi è venuto in mente che in quella cittadina ci ero andata apposta per un convegno amoroso. Era la prima volta che facevo una roba del genere con uno che conoscevo appena. E tra le tante altre cose è stata anche la prima volta che ho provato piacere nel sesso anale. Piacere a tutto tondo, mentale e fisico. Quando ho letto quel racconto non ho potuto fare a meno di ripensarci, sin dalle prime righe. Leggevo e ci pensavo, e dicevo al mio grilletto: ci divertiamo un po’? E forse, senza quel racconto, non avrei scritto la mia storia in questo modo, forse non l'avrei scritta proprio. Mi sono rivista in quella stanza d’albergo di Orvieto: tu gridi di dolore e l'unica cosa che vuoi è che la smetta, poi esali un "sì" quando ti chiede se ti piace. Supplichi "basta" o qualcosa del genere e al contempo ti apri le chiappe. Ti senti dire "guarda quanto sei bella con un cazzo nel culo" e vibri per questa lurida volgarità, ti riconosci nello specchio che hai davanti: i capelli tirati, l’espressione esasperata, il bianco dei tuoi denti serrati che si apre in un sorriso, e da quel sorriso vola un altro “sì” sussurrato. Me lo ricordo benissimo: fu proprio quel sorriso che mi portò via, non la mazza di quel ragazzo nel sedere.

Non so se quel sorriso farà la sua comparsa anche stasera, Luca, ma tanto uno specchio non ce l'abbiamo. Non so nemmeno se ti dirò mai le cose che ho fatto prima di te. Ma in questo momento vorrei averle fatte con te, vorrei che me le facessi tutte insieme.

Tanto per ringraziarmi, l’animale che è in lui dice deve squartarmi senza neanche una parola di preavviso. Dice che, anche se mi strazia, è così che voglio essere dominata. Dice: coraggio, l'ultima spinta.

L'animale che è in me dice invece: quando hai implorato "tutto" non ti riferivi solo al suo cazzo e lo sai.

- Così mi prendi tutta…

- Sei già mia - risponde con una cosa che è metà ringhio e metà sospiro.

Ok, io sono una troia. In fondo l’ho sempre saputo. Vabbè, magari sempre no. Diciamo che lo penso da quando ho iniziato ad aprire la bocca senza tante difficoltà. Ma una cosa è esserlo e una cosa è sentirselo addosso.

Sentirsi troia è diverso. Ci sono dei momenti in cui si sentirebbe troia anche Santa Prassede e questo è uno di quelli. Non conta che lo stia vivendo con il ragazzo che amo, quante volte ve lo devo dire che l’amore qui non c’entra niente? Ti senti troia quando capisci di avere raggiunto il limite estremo, anche quando stai con qualcuno di cui non te ne frega niente. Anzi con un semisconosciuto forse è anche più facile. I perché sono tanti, un denominatore comune non c’è, o forse sono io che non riesco a vederlo. Ma tanto per restare sul sesso anale, c’è sempre un momento in cui mi sento troia. È quando scorre liberamente dentro di me, quando imperversa, quando avverto di essere totalmente aperta.

Quindi ora sono sempre la solita troia, ma in più mi ci sento, troia, e sono completamente sua. Mi sento piena di questa sensazione molto più di quanto mi senta piena del suo cazzo.

E poiché sono completamente sua, la cosa a cui tengo di più è la sua intera soddisfazione. Come possa nascere e agire questo transfert non l’ho mai capito, ma esiste. Io ne sono la prova. Sì, d’accordo, dentro di me c’è una tempesta di sentimenti e percezioni: sofferenza, piacere, felicità, remissività, orgoglio, voglia di un orgasmo che non so se arriverà. Soprattutto, c’è anche tanta eccitazione. È eccitante che faccia male, è eccitante persino sapere che mi farà sempre male, che non mi abituerò mai. È eccitante essere puttana, è eccitante sentirmelo dire. Sono eccitanti queste lacrime che mi bagnano gli occhi. È eccitante urlare, è eccitante sapere che le mie urla lo eccitano. Me lo dice sempre, mica solo quando mi scopa dietro. Sì, sono una che urla e questo lo fa decollare, lo so: “Mi piace quando strilli”.

Ma sì, Luca, eccitati anche tu all'inverosimile, diventa pazzo, sentiti inarrestabile, fattelo diventare ancora più duro, anche se più duro di così non so se sia possibile. E spingi sempre di più ogni volta che strillo, vuol dire che io strillerò più forte e tu sarai più arrapato, spingerai ancora di più. È un mash up inestricabile, è una spirale che non si può più fermare. Perché sì, il male è molto forte. Ma anche i miei “sì!” sono molto forti. È dolore? È piacere? Chissenefrega.

Il mio stesso godimento passa in secondo piano, o forse è proprio questo il mio godimento. È qualcosa di profondo, atavico. Perdi il controllo, butta la ragione nel cesso, prendimi, fammi tua, godi, inseminami, dispiega la tua onnipotenza. Diamo voce alle oscenità più scandalose, ai cliché indecenti, alle domande retoriche, alle pretese più laide.

Anche stavolta non ne farò l’elenco, ognuna, ognuno, ha le sue. E ognuna, ognuno, avrà la sua Playlist: qui c’è l'acqua della doccia che continua a scorrere, il respiro che fa rumore, il loop ritmato dei gemiti lacerato dagli strilli, quello sussurrato e isterico dei "sì-sì-sì!", degli "inculami-inculami-inculami!".


Ok, però una parte sì, una parte voglio scriverla. Anche perché devo confessare una cosa.

"Dimmi quanto ti piace scoparmi il culo".
"E a te quanto piace essere inculata?".
"Rompimi il culo, mi fai diventare scema".

Sì, perché essere presa così può farti impazzire. Non parlo del piacere, parlo di un’altra cosa. Lo so che qualsiasi donna normale mi darebbe fuoco per ciò che sto per dire - e in un certo senso avrebbe anche ragione, intendiamoci - ma forse qualcuna che mi capisce la trovo: in quel momento avrei voluto che lui sapesse che mi stava violentando, che mi stava possedendo con uno stupro, e che io avrei voluto che quello stupro non finisse mai. Ecco perché dico che essere presa così può farti impazzire. Ok, non voglio generalizzare né parlare per nessun’altra: può farmi impazzire.

E un’altra cosa che mi manda ai matti arriva dopo l’orgasmo di Luca. Certo, ve l’ho detto, lo volevo da morire che lui godesse. Sentir venire il bastardo che mi squarta è una sensazione celestiale. È un ossimoro ma è così, parlo di tutto il pacchetto: l'ultima spinta secca diventa un affondo lunghissimo che sembra volermi trapassare, le mani con le quali mi incolla a sé hanno una forza che progressivamente mi schiaccia, il grugnito che segnala il suo passaggio, senza soluzione di continuità, dall'ultimo sforzo alla liberazione dei suoi testicoli sembra una canzone che mi rimbomba nelle orecchie. La vibrazione dell’uccello che accompagna il viaggio interminabile degli spruzzi che vogliono risalirmi su su per l'intestino fino a non so dove. Sono raffiche di vita schizzate dentro di me e grazie a me, come faccio a non morirci dietro?

Tuttavia non è questo che mi manda ai matti, quello che mi fa davvero sbroccare è il suo cazzo che slitta sul suo stesso sperma. Slitta e sembra volermi arrivare dove non è mai arrivato, mi sento completamente riempita. È pazzesco proprio perché mi riempie scivolando sul suo seme. Talmente pazzesco che per un attimo il dolore scompare. Del tutto, non ce n’è nemmeno una piccola traccia. È come se ogni muscolo in me si rilassasse. In quell’attimo lì il piacere è immenso. Interamente fisico, ovunque. I miei capezzoli, per dire, sono così duri e mi tirano così tanto che se potessero schizzerebbero via.

Non dura molto, giusto il tempo di dirgli “ti prego non smettere”. Mi viene da piangere e non so nemmeno io il perché, e piangendo mi viene da chiedere “forte” e “ancora”. Piangendo mi rendo conto che gli sto andando incontro per sentirlo di più, più dentro. Che gli sto chiedendo di restituirmi anche il dolore: fammi male, le tue ultime energie usale per farmi un’altra volta male.

Adesso è nettissimo il bisogno di sentire il dolore. Lui si fa più forsennato, le mie urla si fanno più rauche. Avrei bisogno di lenzuola da addentare, di un cuscino da sbranare, ma davanti a me c'è solo il legno delle ante, devo stringerle, sbriciolarle. Devo aggrapparmi a qualcosa di solido, forse per paura di liquefarmi, non so. Devo aggrapparmi a qualcosa perché l'ho sentito, si può quasi dire che l'ho visto. E so che arriverà come un fulmine.

E quando arriva è come sempre, anche più forte di sempre. È come essere prese e scaraventate via in un limbo dove per qualche secondo è solo buio e silenzio. L'ultimo suono che sento, ma come se già fosse lontano, è lui che grida "godi, godi!", poi è davvero silenzio. Io magari grido e sbraito parole irripetibili, mi capita spesso, ma non le sento, è silenzio. La sola percezione è quella del mio corpo che vibra ed è come se si trasformasse. E poi le dita delle mani, che mi fanno male e si rifiutano di lasciare la presa.

Poi si ritorna, si ritorna sempre. Da qualsiasi orgasmo si ritorna. Magari con tempi variabili. Ma lo sapete meglio di me che in quel momento l’ultima cosa che conta è il tempo. A volte, succede, volete semplicemente essere lasciata in pace. A volte volete sentire lui che vi ansima addosso. Io ora voglio sentire i nostri respiri pesanti andare all’unisono, il suo corpo che si solleva e si abbassa accompagnando il mio, voglio sentire anche il suo abbraccio e la sua mano che mi accarezza un po’ dove gli capita: un polso, un seno, la pancia, il fianco… non penso che abbia un progetto preciso. Sono squassata, siamo squassati, siamo noi, siamo liberi. Attraverso le lacrime che mi riempiono gli occhi lo vedo che siamo liberi. Li vedo.

Se questo fosse il finale di un film, queste lacrime sarebbero la nebbia che copre una brughiera mentre due lupi, di spalle, si allontanano lentamente. Si scambiano una breve occhiata, sembrano felici.



scritto il
2022-09-29
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