I love it
di
RunningRiot
genere
etero
Il nome purtroppo era inappropriato: Carmela. E anche quello alternativo, quello che lei aveva scelto per sé, non era proprio il massimo: Anastasia. Non perché Anastasia sia un brutto nome, tutt'altro, ma perché le stava male addosso, non c'entrava un cazzo con lei. Almeno così mi parve in quel momento. Sapete com'è: la prima impressione conta moltissimo. Può essere che mi sbagliassi, anche perché quando sei mezza fatta e mezza brilla le prime impressioni non sono proprio quel che si dice "affidabili". Ma tant'è.
Fosse stato per me non l'avrei chiamata né Carmela né Anastasia, l'avrei chiamata piuttosto Trecce&Tette. Quello di "ribattezzare" la gente con altri nomi - soprattutto perché in genere non mi ricordo quelli veri, anche se non è questo il caso - è un vizietto che ho sempre avuto. "Trecce" perché, beh è facile, portava due trecce da bambina. "Tette" perché aveva le tette. Può sembrare lapalissiano, ma aspettate un attimo. Le tette le ho pure io, anche se non come le sue. Non è che avesse gli airbag, non era quel tipo lì. Semplicemente, le sue tette mi avevano colpita per come ballavano insieme a lei sotto la maglietta. Chiarisco: non c'era un richiamo sessuale particolare, si trattava piuttosto di un fatto estetico o, se volete, dinamico. O più banalmente di un reggiseno lento.
Scrivo che mi aveva colpita, ma in precedenza non l'avevo proprio vista, o se l'avevo vista non ci avevo fatto caso. Tuttavia, quel "momento" in cui me la ritrovai a fianco fu proprio il momento giusto. Quello in cui, mixato da Dio, dalla amplificazione partì il magico coretto:
I got this feeling on the summer day when you were gone / I crashed my car into the bridge, I watched, I let it burn...
Quasi all'unisono esplodemmo in uno "yeeee" e cominciammo a muoverci allo stesso modo, quasi volessimo imitarci l’una con l’altra, anche se ognuna andava per conto suo. Fu proprio quello che me la fece notare per la prima volta e le sorrisi divertita, quasi distrattamente, ero concentrata sulla musica e sui miei movimenti, più che altro. La seconda volta che ebbe la mia attenzione, invece, mi catturò:
You're so damn hard to please, we gotta kill this switch / You're from the '70s...
E qui all'unisono, ancora una volta ognuna per conto suo, esplodemmo in un BUT I'M A '90s BITCH!
Ci mettemmo a ridere entrambe dopo avere gridato a squarciagola, e ben scandito, quel verso così pertinente. Qualsiasi significato vogliate dare alla parola "bitch": stronza/cagna/puttana. Per lei non so, per me andavano bene tutti e tre. Essendo nata al giro di boa dei nineties, me lo sentivo dentro di essere quel tipo di bitch. Per certi versi me lo sento dentro anche oggi: I don't care, I love it. Frega cazzi, mi piace da morire / lo amo / adoooro.
Una delle due doveva dirlo, lo disse lei:
- Quanto mi piace sto pezzo!
- Anche a me!
E dovevamo proprio volerlo dire l'una all'altra, visto che le nostre voci sovrastarono per un attimo persino il beat ossessivo.
Dopo un corto circuito così, ne converrete, non c'era spazio per altra musica, almeno per un po'. Volevo un time out, mi allontanai. Non le chiesi di seguirmi, ma mi seguì. Quando me ne accorsi mi disse "sono un po' stanca". "Sì, pure io", le risposi. Non eravamo in un locale pubblico, era una specie di festa privata ma allargata a decine e decine di persone. Organizzata su un pezzo di spiaggia davanti a una villetta di un comprensorio sul litorale romano. Si faceva base proprio in quella villetta, una delle poche abitate, visto che non eravamo in piena stagione. E infatti non faceva esattamente caldissimo, avevo clamorosamente sbagliato abbigliamento, tradita dalla classica esplosione diurna delle temperature a cavallo tra la primavera e l'estate. Era chiaro che ben presto il freddo e l'umidità della notte mi avrebbero assalita. Ancora accaldata dal ballo non li sentivo, ma sarebbe bastato calmarsi un attimo e le mie braccia nude me l'avrebbero fatto capire.
- Ti va una Coca? - chiese.
Non è che in quel momento mi andasse particolarmente ma le dissi di sì. Lattine in mano, ci andammo ad appoggiare su un muretto proprio davanti alla villetta, dove la spiaggia finiva.
- Io Annalisa, tu?
- Anastasia - rispose con una smorfietta.
Chiesi conto con lo sguardo di quella smorfietta. Dapprima disse “no, nulla”, poi disse: “Mi chiamerei Carmela”. Era evidente che aveva voluto, come dire, confessare. Mi domandai il perché, anche se non ricordo bene se decisi proprio a questo punto che le sarebbe stato meglio il nome Trecce&Tette. Che comunque fu una cosa che mi venne in mente quasi subito.
Indicando la villetta le domandai come ci fosse capitata, se conoscesse il padrone di casa o cose del genere. Mi disse di no, che era lì con delle amiche, un gruppo di sole ragazze. A mia volta le dissi che anche io ero con un gruppo di amiche e di amici.
- Per la verità mi ci ha trascinata un tipo che mi batte i pezzi – aggiunsi ridacchiando – ma non è male.
- È carino? Ti piace? - domandò.
- Boh, non lo so, devo decidere – risposi – volevo dire che non è male la festa.
Sorrise alle mie parole. Obiettivamente avrebbe potuto pensare che fossi reticente, che non volessi scoprirmi più di tanto. E forse lo pensò proprio, ma le avevo detto la verità. Poi però la conversazione prese direzioni completamente diverse: università, interessi, passioni. Cose tutto sommato normali, che in quel momento consideravamo importantissime. Soprattutto, a prescindere dagli argomenti, consideravamo indispensabile quella conversazione in sé. Indispensabile ed esclusiva, come se un Ente Superiore ci obbligasse a fare conoscenza. Rimbalzammo anche un ragazzo che, poveraccio, non aveva fatto altro che ciò che si fa in queste feste, ossia tentare la rimorchiation. "Non venite a ballare?", "Sì ma stiamo parlando", "Di che parlate?", "Cose di un certo livello", "Posso unirmi?", "No". Il tono delle risposte, mie e sue, era un po' "abbello, non per essere scortesi, eh? ma ci stai rompendo le palle". Non arrivammo a tanto, ma il senso era abbastanza evidente.
Fu dopo un bel po' che lei mi chiese, quasi all'improvviso e completamente fuori logica:
- Ma tu con uno dei seventies ci sei mai stata?
Le risposi, ma non subito. La verità è che la sua domanda mi aveva un po' sorpresa. Si riferiva alla canzone, d’accordo. Ma quella era appunto solo una canzone, che c’entrava con le mie esperienze personali?
- No, no... - risposi infine - tu?
Trecce&Tette eluse la domanda, sorrise. Quasi un sorriso complice. Insieme alla simpatia era il suo vero punto di forza. Diciamo che se escludiamo le trecce e le tette non aveva molto per farsi ricordare, almeno da me. Cioè, non è che fosse brutta o che non avesse un bel corpo. Non fatico a credere che potesse piacere, ma per quanto mi riguardava era appena carina, se capite di cosa sto parlando. Il sorriso, e nel sorriso ci metto anche gli occhi che sorridevano, però era magnetico. Lo avevo già notato, adesso me ne accorgevo meglio.
Mi accorsi anche che freddo e umidità stavano prendendo il sopravvento, se ne accorse anche Trecce&Tette. Si alzò, mi fece "aspetta un attimo qui, ok? non ti muovere" e si allontanò. La seguii con lo sguardo mentre entrava in casa. Ne uscì poco dopo con quello che mi parve un fagottone enorme. In realtà era un sovracoperta per un letto a due piazze, però abbastanza pesante.
- Nei cassetti degli armadi di queste case c'è sempre qualcosa così - disse.
Ci coprimmo stringendoci l'una accanto all'altra, avvolgendoci. Aveva ragione, sapeva di chiuso, di armadio, ma teneva caldo.
- In camera c'erano due che pomiciavano... - mi riferì cercando a fatica di non sghignazzare.
Risi anche io curiosa di sapere se l'avessero insultata. Mi rispose "no, si sono solo interrotti un attimo, ho pure chiesto scusa...".
Nell’intimità creata da quel sovracoperta mi domandò, più che altro constatò, che se mi ero fatta portare lì da uno che ci provava da tempo, voleva dire che un ragazzo non ce l’avevo. Ridacchiando, le diedi volutamente una risposta da oca potenzialmente fedifraga: “Beh, non necessariamente…”, poi le chiesi perché lo volesse sapere.
- Ahahahah, perché ti confesso che un po’ a caccia sono anche io – rispose.
- No, comunque no – le dissi – non ce l’ho.
- E perciò sei a caccia pure tu… - mi fece.
- No, grazie, sono rimasta abbastanza scottata, non vorrei ripetere l’esperienza – le dissi.
- Scottata perché?
Le raccontai per sommi capi, e in maniera molto edulcorata, la mia tragicomica storia d'amore con il mio ex. Non rivelai particolari di nessun tipo se non che quel ragazzo era stato il "primo", lasciando volutamente nell’indeterminatezza di quale primato si trattasse. Evitai accuratamente ogni accenno alle performance che mi ero concessa al liceo e a come fossi considerata a scuola. Di certo non mi andava di dirle che, se escludevamo i rapporti completi, la fila dei ragazzi prima del mio “primo” era scandalosamente lunga. Pensasse pure ciò che voleva.
- Perciò quello con cui sei qui è under examination, ahahahah... comunque sono contenta che la scottatura sia guarita - insistette.
- No, no, non so se sia guarita ma non credo proprio che sia il tipo giusto - le spiegai.
Io in realtà non avevo idea di quali fossero le vere intenzioni di quel ragazzo. Che volesse mettermi le mani addosso l'avevo capito da un pezzo, se poi volesse mettere su una storia vera e propria... boh, non avrei saputo dire. Di sicuro io non intendevo arrivare a tanto. Per quanto riguarda le mani addosso, beh, lo ripeto: dovevo ancora pensarci sopra.
- Quindi hai già deciso che è out - disse - chissà se esiste un limbo delle storie d'amore mai nate, ahahahah.
- Non sono proprio certa che la parola giusta sia "amore" - obiettai ironicamente, anche se ammetto che l'immagine del limbo mi aveva colpita.
- Ma l'hai detto tu che ti sta appresso da tanto...
- Beh, qualcosa vorrà... - le dissi sperando in cuor mio che la risposta fosse sufficiente. E lo fu.
- Ah, ok, non avevo capito - rispose dopo avermi guardata per un po' in modo strano - beh non c'è niente di male... ma tu dopo il tuo ex non hai, cioè sì, non hai proprio avuto altre storie?
Apprezzai davvero tanto il senso che aveva dato a quella parola, "storie", senza indagare oltre. Probabilmente fu per questo che, anziché rifugiarmi dietro un laconico "no", decisi di dirle almeno una parte della verità. O magari fu per uno scatto di vanità, non lo so. Poteva anche essere.
- Uh, no, ho un amico, ci vediamo ogni tanto...
- A-aaaaah... ahahahah, hai uno scopamico!
- Beh, qualcosa del genere - risposi imbarazzata più che altro dalla sua risata.
Non aggiunsi altro, scelsi l'understatement, non le dissi che l'avevo scoperto non da molto ma che mi ero adeguata assai rapidamente al fatto che in una scopamicizia il concetto di "tradimento" proprio non poteva essere tirato in ballo. E che quindi, scopamico a parte, mi divertivo anche per conto mio. Se devo essere sincera, non sapevo nemmeno bene perché mi fossi lasciata andare a quella rivelazione con una che, sì, a pelle mi stava molto simpatica, ma che in fin dei conti era una sconosciuta totale.
Trecce&Tette mi lanciò una occhiata abbastanza lunga.
- All'inizio non sapevo come inquadrarti - disse - pensavo che fossi una che si diverte a far diventare cretini i ragazzi... cosa che ti invidierei molto, non è una critica, del resto te lo puoi permettere...
- Ora, invece? - domandai un po' divertita.
- Ora sono un po' in confusione maaaa... sei comunque anche più simpatica.
- Ninety's bitch? - le domandai ancora, stavolta ridacchiando un po’ di più.
Lei confermò con una risata cui mi accodai. Poi, evitando di guardarmi, disse:
- Quando ero al liceo ci sono stata, con uno dei seventies, abbiamo avuto proprio una storia... Aveva quarantun'anni... quelli più grandi mi hanno sempre fatto un certo effetto.
Beh, non che fossi scandalizzata ma riconosco che non seppi cosa dire, per me era abbastanza una novità assoluta. Il dossier degli "anta" non solo non l'avevo mai aperto, ma ancora non l'avevo preso minimamente in considerazione. Non posso nemmeno dire che lo escludessi a priori. Semplicemente, non c'era. Indagare sui perché e i percome della sua passione non mi sembrava tanto il caso. Non perché fosse indelicato, ma perché era inutile. Me l'aveva appena detto che le piacevano quelli molto più grandi!
- E poi com'è finita? - domandai.
- Un po' come la canzone, l'ho mandato affanculo! Ahahahahah... incompatibili.
C'era una leggerissima traccia di amarezza in quella parola, "incompatibili". O forse fui io che ce la volli trovare.
- Adesso lo faccio un po' meno - le dissi per spazzare via quell’amarezza - ma quando andavo a scuola mi divertivo tantissimo a fare un gioco: se c'era un adulto che mi lanciava qualche occhiata io sostenevo lo sguardo, facevo proprio quella che era lusingata, rapita e che... insomma, mettevo su la faccia di una che fa “perché no?”. Naturalmente solo se c'era una donna con lui, tipo la moglie. Certe volte mi voltavo proprio a seguirlo con gli occhi, eh? Facevo proprio espressioni tipo "guarda che ci stiamo perdendo, peccato...".
- E perché lo facevi? - domandò.
- Per gioco, mi divertiva metterli in imbarazzo.
- Sì, ok, ma che ci trovavi? Ti piaceva che ti guardassero? Ti piacevano loro?
- No, sinceramente no. Mi sembravano buffi, tutto qua… mi guardavano come se volessero spogliarmi con gli occhi, ma cercando di non farsi scoprire da quella che stava con loro.
- Non ho capito - chiese ancora Trecce&Tette - era una cosa che ti dava fastidio o ti piaceva?
- No, nessuna delle due - risposi.
- C'è a chi dà fastidio - mi incalzò - e... c'è a chi piace.
- A me non me ne frega assolutamente un cazzo.
Mi parve chiaro che a lei, invece, piacesse. Cosa che, confesso, ogni tanto era piaciuta anche a me. Non glielo dissi perché era altrettanto chiaro che le ragioni di questi due piaceri, il mio e il suo, erano mooolto distanti tra loro. Non dissi proprio nulla, anzi, restammo a guardarci per un po' con gli occhi dell'una e dell'altra a pochissimi centimetri di distanza. Mi guardava in modo strano, come ti guardano gli altri quando cercano di capire quello che hai detto. Aveva una espressione che forse assorta è dire troppo, un po' chiusa in se stessa, ecco.
- Confermo - disse infine – sei decisamente bitchy.
Non è che di lesbicate ne sapessi molto: avevo avuto una unica esperienza e abbastanza passiva. Trecce&Tette neanche quello, penso. Non ho prove per dirlo ma ci metterei la mano sul fuoco.
Però eravamo così vicine, condividendo quella sovracoperta, e io ero così pronta, che la baciai. Labbra sulle sue labbra semiaperte, lingua infilata dentro. Fu una sensazione strana. Soprattutto la sua piccola e timida lingua. Ero abituata a quelle voraci dei ragazzi, che si intrufolavano nella mia bocca in attesa di intrufolarci altro: l’annuncio (o la speranza) di una penetrazione, insomma. Invece con lei... beh, dopo un po' trovammo un modus operandi comune e la mia lingua finì per attorcigliarsi alla sua. Difficile sostenere che fosse un raptus, il mio. Fu invece un bacio lunghissimo e molto dolce. Lo so che il termine “dolce” detto da me suona strano, ma fu dolce, non mi fate incazzare. Fu un bacio e basta, senza toccarci. Cioè, certo, ci stringemmo forte. E certo, sentivo il suo seno sul petto e come un sacco di volte pensai che mi sarebbe piaciuto avere quelle tette. Ma finì lì. Non è che ci mettemmo a paccare o altro, ci baciammo. Stop.
E quando ci staccammo ci guardammo senza dire una parola.
Io pensavo che le avrei detto qualcosa tipo "scusami, non ho resistito". Ma i suoi occhi mi dissero che non era proprio il caso di scusarsi, lasciai perdere.
Se qualcuno fosse stato lì a guardarci avrebbe potuto pensare che dietro la sua richiesta di scambiarci i contatti - "mi piacerebbe rivederti" – ci fosse qualcosa di ambiguo. Ma io lo sapevo che non c'era un secondo fine. O anche un primo fine. Lo sentivo. Voglio dire, sapevo che non stava parlando di toglierci le mutandine a vicenda. E mi andava benissimo così. Io non avevo una vera attrazione sessuale verso di lei, non ce l’avevo in quel momento e non l’avrei avuta neanche in seguito. Per dire, non è che mi sia mai masturbata pensando a lei. Tuttavia, anche in contraddizione con quello che sentivo intimamente e che vi ho appena raccontato, dentro gli shorts avevo un bagno turco.
Ci salutammo molto tardi, era notte fonda. Più vicina all’alba che alla mezzanotte. Il ragazzo che mi aveva portata alla festa reclamava la sua brava pomiciata, il suo bravo bocchino in macchina o forse addirittura una scopata da qualche altra parte. In quel momento non ne avevo idea e nemmeno mi importava granché delle sue intenzioni, se devo essere onesta. Mi costò molta fatica salutarla: "Ciao, risentiamoci, sei proprio simpatica". Chiaramente non l'ho più vista in vita mia.
Altrettanto chiaramente, una volta rientrati dentro Roma, lui portò a casa altre due amiche riservando a me l’accompagnamento finale. Fermò la macchina in un parcheggio non tanto lontano dalla mia zona con qualcosa di un po' meglio della solita scusa della sigaretta: “Ti va una canna?”. Presto sarebbe stato chiaro, ma in giro non c’era nessuno e il posto era davvero tanto appartato. A me non andava proprio di fare ciù-ciù-ciù, né di pomiciare né tantomeno ero interessata a fargli vedere la mia depilazione intima, figuriamoci. Ed ero anche un po’ stanca. Forse ero rimasta con la testa, il cuore e le emozioni a Trecce&Tette, chi lo sa. Non è che non sopportassi lui, più che altro non sopportavo i suoi modi, quel cercare di essere suadentemente lumacone, il dito passato e ripassato sulla pelle nuda del braccio. Mi parlava della serata, mi faceva domande, inframmezzava complimenti nei miei confronti. Non lo ascoltavo quasi, in realtà. Lo interruppi:
- Senti, ora ti faccio un pompino, ma poi amici come prima, ok?
Mi era scappato un tono da babysitter incazzata, me ne pentii subito. Non era il ragazzo dei miei sogni, ok, ma non meritava nemmeno quella durezza. D'accordo, forse non meritava nemmeno un pompino, ma pensai che in quel momento succhiare un uccello - non necessariamente il suo, ma il suo era l’unico disponibile - ci stava. Forse sublimavo Trecce&Tette in quello che il mio amico aveva sotto i pantaloni. Forse la canna aveva liberato un po' di libido repressa durante la serata, non saprei, eppure non mi pareva tanto forte. Forse era il ripetersi, in anticipo di qualche ora, di una mia personale periodicità: non so a voi, ragazze, ma a me ogni tanto capita di svegliarmi con quella voglia lì.
Comunque glielo feci, e penso che fu anche un buon pompino. Primo e ultimo. Ci rimase molto male quando glielo chiarii ancora una volta. Ne avevo già succhiati di ragazzi che si illudevano che quello fosse l’inizio di una storia, o anche di una semplice scopata, e non si capacitavano del fatto che, al contrario, a me l’unica cosa che interessava erano assaggiarli per quei cinque-dieci minuti in cui ce l’avevano in tiro e lo sperma di cui potevo nutrirmi. Non si capacitavano del fatto che, più che piacermi loro, mi piace fare bocchini. E di solito infatti, anziché ringraziare per lo spettacolo, iniziavano ad affliggersi. E ad affliggermi. Lui non faceva eccezione, era di quel tipo lì. Se i suoi schizzi nella mia bocca erano stati lo zenit, sapere di essere friendzonato senza fermate intermedie lo spedì direttamente al nadir. Non gli lasciai il tempo di lamentarsene, non me ne fregava un cazzo delle sue lagne e dei suoi dispiaceri, non li volevo ascoltare.
- Dai, portami a casa ché sono stanca.
I love it.
Fosse stato per me non l'avrei chiamata né Carmela né Anastasia, l'avrei chiamata piuttosto Trecce&Tette. Quello di "ribattezzare" la gente con altri nomi - soprattutto perché in genere non mi ricordo quelli veri, anche se non è questo il caso - è un vizietto che ho sempre avuto. "Trecce" perché, beh è facile, portava due trecce da bambina. "Tette" perché aveva le tette. Può sembrare lapalissiano, ma aspettate un attimo. Le tette le ho pure io, anche se non come le sue. Non è che avesse gli airbag, non era quel tipo lì. Semplicemente, le sue tette mi avevano colpita per come ballavano insieme a lei sotto la maglietta. Chiarisco: non c'era un richiamo sessuale particolare, si trattava piuttosto di un fatto estetico o, se volete, dinamico. O più banalmente di un reggiseno lento.
Scrivo che mi aveva colpita, ma in precedenza non l'avevo proprio vista, o se l'avevo vista non ci avevo fatto caso. Tuttavia, quel "momento" in cui me la ritrovai a fianco fu proprio il momento giusto. Quello in cui, mixato da Dio, dalla amplificazione partì il magico coretto:
I got this feeling on the summer day when you were gone / I crashed my car into the bridge, I watched, I let it burn...
Quasi all'unisono esplodemmo in uno "yeeee" e cominciammo a muoverci allo stesso modo, quasi volessimo imitarci l’una con l’altra, anche se ognuna andava per conto suo. Fu proprio quello che me la fece notare per la prima volta e le sorrisi divertita, quasi distrattamente, ero concentrata sulla musica e sui miei movimenti, più che altro. La seconda volta che ebbe la mia attenzione, invece, mi catturò:
You're so damn hard to please, we gotta kill this switch / You're from the '70s...
E qui all'unisono, ancora una volta ognuna per conto suo, esplodemmo in un BUT I'M A '90s BITCH!
Ci mettemmo a ridere entrambe dopo avere gridato a squarciagola, e ben scandito, quel verso così pertinente. Qualsiasi significato vogliate dare alla parola "bitch": stronza/cagna/puttana. Per lei non so, per me andavano bene tutti e tre. Essendo nata al giro di boa dei nineties, me lo sentivo dentro di essere quel tipo di bitch. Per certi versi me lo sento dentro anche oggi: I don't care, I love it. Frega cazzi, mi piace da morire / lo amo / adoooro.
Una delle due doveva dirlo, lo disse lei:
- Quanto mi piace sto pezzo!
- Anche a me!
E dovevamo proprio volerlo dire l'una all'altra, visto che le nostre voci sovrastarono per un attimo persino il beat ossessivo.
Dopo un corto circuito così, ne converrete, non c'era spazio per altra musica, almeno per un po'. Volevo un time out, mi allontanai. Non le chiesi di seguirmi, ma mi seguì. Quando me ne accorsi mi disse "sono un po' stanca". "Sì, pure io", le risposi. Non eravamo in un locale pubblico, era una specie di festa privata ma allargata a decine e decine di persone. Organizzata su un pezzo di spiaggia davanti a una villetta di un comprensorio sul litorale romano. Si faceva base proprio in quella villetta, una delle poche abitate, visto che non eravamo in piena stagione. E infatti non faceva esattamente caldissimo, avevo clamorosamente sbagliato abbigliamento, tradita dalla classica esplosione diurna delle temperature a cavallo tra la primavera e l'estate. Era chiaro che ben presto il freddo e l'umidità della notte mi avrebbero assalita. Ancora accaldata dal ballo non li sentivo, ma sarebbe bastato calmarsi un attimo e le mie braccia nude me l'avrebbero fatto capire.
- Ti va una Coca? - chiese.
Non è che in quel momento mi andasse particolarmente ma le dissi di sì. Lattine in mano, ci andammo ad appoggiare su un muretto proprio davanti alla villetta, dove la spiaggia finiva.
- Io Annalisa, tu?
- Anastasia - rispose con una smorfietta.
Chiesi conto con lo sguardo di quella smorfietta. Dapprima disse “no, nulla”, poi disse: “Mi chiamerei Carmela”. Era evidente che aveva voluto, come dire, confessare. Mi domandai il perché, anche se non ricordo bene se decisi proprio a questo punto che le sarebbe stato meglio il nome Trecce&Tette. Che comunque fu una cosa che mi venne in mente quasi subito.
Indicando la villetta le domandai come ci fosse capitata, se conoscesse il padrone di casa o cose del genere. Mi disse di no, che era lì con delle amiche, un gruppo di sole ragazze. A mia volta le dissi che anche io ero con un gruppo di amiche e di amici.
- Per la verità mi ci ha trascinata un tipo che mi batte i pezzi – aggiunsi ridacchiando – ma non è male.
- È carino? Ti piace? - domandò.
- Boh, non lo so, devo decidere – risposi – volevo dire che non è male la festa.
Sorrise alle mie parole. Obiettivamente avrebbe potuto pensare che fossi reticente, che non volessi scoprirmi più di tanto. E forse lo pensò proprio, ma le avevo detto la verità. Poi però la conversazione prese direzioni completamente diverse: università, interessi, passioni. Cose tutto sommato normali, che in quel momento consideravamo importantissime. Soprattutto, a prescindere dagli argomenti, consideravamo indispensabile quella conversazione in sé. Indispensabile ed esclusiva, come se un Ente Superiore ci obbligasse a fare conoscenza. Rimbalzammo anche un ragazzo che, poveraccio, non aveva fatto altro che ciò che si fa in queste feste, ossia tentare la rimorchiation. "Non venite a ballare?", "Sì ma stiamo parlando", "Di che parlate?", "Cose di un certo livello", "Posso unirmi?", "No". Il tono delle risposte, mie e sue, era un po' "abbello, non per essere scortesi, eh? ma ci stai rompendo le palle". Non arrivammo a tanto, ma il senso era abbastanza evidente.
Fu dopo un bel po' che lei mi chiese, quasi all'improvviso e completamente fuori logica:
- Ma tu con uno dei seventies ci sei mai stata?
Le risposi, ma non subito. La verità è che la sua domanda mi aveva un po' sorpresa. Si riferiva alla canzone, d’accordo. Ma quella era appunto solo una canzone, che c’entrava con le mie esperienze personali?
- No, no... - risposi infine - tu?
Trecce&Tette eluse la domanda, sorrise. Quasi un sorriso complice. Insieme alla simpatia era il suo vero punto di forza. Diciamo che se escludiamo le trecce e le tette non aveva molto per farsi ricordare, almeno da me. Cioè, non è che fosse brutta o che non avesse un bel corpo. Non fatico a credere che potesse piacere, ma per quanto mi riguardava era appena carina, se capite di cosa sto parlando. Il sorriso, e nel sorriso ci metto anche gli occhi che sorridevano, però era magnetico. Lo avevo già notato, adesso me ne accorgevo meglio.
Mi accorsi anche che freddo e umidità stavano prendendo il sopravvento, se ne accorse anche Trecce&Tette. Si alzò, mi fece "aspetta un attimo qui, ok? non ti muovere" e si allontanò. La seguii con lo sguardo mentre entrava in casa. Ne uscì poco dopo con quello che mi parve un fagottone enorme. In realtà era un sovracoperta per un letto a due piazze, però abbastanza pesante.
- Nei cassetti degli armadi di queste case c'è sempre qualcosa così - disse.
Ci coprimmo stringendoci l'una accanto all'altra, avvolgendoci. Aveva ragione, sapeva di chiuso, di armadio, ma teneva caldo.
- In camera c'erano due che pomiciavano... - mi riferì cercando a fatica di non sghignazzare.
Risi anche io curiosa di sapere se l'avessero insultata. Mi rispose "no, si sono solo interrotti un attimo, ho pure chiesto scusa...".
Nell’intimità creata da quel sovracoperta mi domandò, più che altro constatò, che se mi ero fatta portare lì da uno che ci provava da tempo, voleva dire che un ragazzo non ce l’avevo. Ridacchiando, le diedi volutamente una risposta da oca potenzialmente fedifraga: “Beh, non necessariamente…”, poi le chiesi perché lo volesse sapere.
- Ahahahah, perché ti confesso che un po’ a caccia sono anche io – rispose.
- No, comunque no – le dissi – non ce l’ho.
- E perciò sei a caccia pure tu… - mi fece.
- No, grazie, sono rimasta abbastanza scottata, non vorrei ripetere l’esperienza – le dissi.
- Scottata perché?
Le raccontai per sommi capi, e in maniera molto edulcorata, la mia tragicomica storia d'amore con il mio ex. Non rivelai particolari di nessun tipo se non che quel ragazzo era stato il "primo", lasciando volutamente nell’indeterminatezza di quale primato si trattasse. Evitai accuratamente ogni accenno alle performance che mi ero concessa al liceo e a come fossi considerata a scuola. Di certo non mi andava di dirle che, se escludevamo i rapporti completi, la fila dei ragazzi prima del mio “primo” era scandalosamente lunga. Pensasse pure ciò che voleva.
- Perciò quello con cui sei qui è under examination, ahahahah... comunque sono contenta che la scottatura sia guarita - insistette.
- No, no, non so se sia guarita ma non credo proprio che sia il tipo giusto - le spiegai.
Io in realtà non avevo idea di quali fossero le vere intenzioni di quel ragazzo. Che volesse mettermi le mani addosso l'avevo capito da un pezzo, se poi volesse mettere su una storia vera e propria... boh, non avrei saputo dire. Di sicuro io non intendevo arrivare a tanto. Per quanto riguarda le mani addosso, beh, lo ripeto: dovevo ancora pensarci sopra.
- Quindi hai già deciso che è out - disse - chissà se esiste un limbo delle storie d'amore mai nate, ahahahah.
- Non sono proprio certa che la parola giusta sia "amore" - obiettai ironicamente, anche se ammetto che l'immagine del limbo mi aveva colpita.
- Ma l'hai detto tu che ti sta appresso da tanto...
- Beh, qualcosa vorrà... - le dissi sperando in cuor mio che la risposta fosse sufficiente. E lo fu.
- Ah, ok, non avevo capito - rispose dopo avermi guardata per un po' in modo strano - beh non c'è niente di male... ma tu dopo il tuo ex non hai, cioè sì, non hai proprio avuto altre storie?
Apprezzai davvero tanto il senso che aveva dato a quella parola, "storie", senza indagare oltre. Probabilmente fu per questo che, anziché rifugiarmi dietro un laconico "no", decisi di dirle almeno una parte della verità. O magari fu per uno scatto di vanità, non lo so. Poteva anche essere.
- Uh, no, ho un amico, ci vediamo ogni tanto...
- A-aaaaah... ahahahah, hai uno scopamico!
- Beh, qualcosa del genere - risposi imbarazzata più che altro dalla sua risata.
Non aggiunsi altro, scelsi l'understatement, non le dissi che l'avevo scoperto non da molto ma che mi ero adeguata assai rapidamente al fatto che in una scopamicizia il concetto di "tradimento" proprio non poteva essere tirato in ballo. E che quindi, scopamico a parte, mi divertivo anche per conto mio. Se devo essere sincera, non sapevo nemmeno bene perché mi fossi lasciata andare a quella rivelazione con una che, sì, a pelle mi stava molto simpatica, ma che in fin dei conti era una sconosciuta totale.
Trecce&Tette mi lanciò una occhiata abbastanza lunga.
- All'inizio non sapevo come inquadrarti - disse - pensavo che fossi una che si diverte a far diventare cretini i ragazzi... cosa che ti invidierei molto, non è una critica, del resto te lo puoi permettere...
- Ora, invece? - domandai un po' divertita.
- Ora sono un po' in confusione maaaa... sei comunque anche più simpatica.
- Ninety's bitch? - le domandai ancora, stavolta ridacchiando un po’ di più.
Lei confermò con una risata cui mi accodai. Poi, evitando di guardarmi, disse:
- Quando ero al liceo ci sono stata, con uno dei seventies, abbiamo avuto proprio una storia... Aveva quarantun'anni... quelli più grandi mi hanno sempre fatto un certo effetto.
Beh, non che fossi scandalizzata ma riconosco che non seppi cosa dire, per me era abbastanza una novità assoluta. Il dossier degli "anta" non solo non l'avevo mai aperto, ma ancora non l'avevo preso minimamente in considerazione. Non posso nemmeno dire che lo escludessi a priori. Semplicemente, non c'era. Indagare sui perché e i percome della sua passione non mi sembrava tanto il caso. Non perché fosse indelicato, ma perché era inutile. Me l'aveva appena detto che le piacevano quelli molto più grandi!
- E poi com'è finita? - domandai.
- Un po' come la canzone, l'ho mandato affanculo! Ahahahahah... incompatibili.
C'era una leggerissima traccia di amarezza in quella parola, "incompatibili". O forse fui io che ce la volli trovare.
- Adesso lo faccio un po' meno - le dissi per spazzare via quell’amarezza - ma quando andavo a scuola mi divertivo tantissimo a fare un gioco: se c'era un adulto che mi lanciava qualche occhiata io sostenevo lo sguardo, facevo proprio quella che era lusingata, rapita e che... insomma, mettevo su la faccia di una che fa “perché no?”. Naturalmente solo se c'era una donna con lui, tipo la moglie. Certe volte mi voltavo proprio a seguirlo con gli occhi, eh? Facevo proprio espressioni tipo "guarda che ci stiamo perdendo, peccato...".
- E perché lo facevi? - domandò.
- Per gioco, mi divertiva metterli in imbarazzo.
- Sì, ok, ma che ci trovavi? Ti piaceva che ti guardassero? Ti piacevano loro?
- No, sinceramente no. Mi sembravano buffi, tutto qua… mi guardavano come se volessero spogliarmi con gli occhi, ma cercando di non farsi scoprire da quella che stava con loro.
- Non ho capito - chiese ancora Trecce&Tette - era una cosa che ti dava fastidio o ti piaceva?
- No, nessuna delle due - risposi.
- C'è a chi dà fastidio - mi incalzò - e... c'è a chi piace.
- A me non me ne frega assolutamente un cazzo.
Mi parve chiaro che a lei, invece, piacesse. Cosa che, confesso, ogni tanto era piaciuta anche a me. Non glielo dissi perché era altrettanto chiaro che le ragioni di questi due piaceri, il mio e il suo, erano mooolto distanti tra loro. Non dissi proprio nulla, anzi, restammo a guardarci per un po' con gli occhi dell'una e dell'altra a pochissimi centimetri di distanza. Mi guardava in modo strano, come ti guardano gli altri quando cercano di capire quello che hai detto. Aveva una espressione che forse assorta è dire troppo, un po' chiusa in se stessa, ecco.
- Confermo - disse infine – sei decisamente bitchy.
Non è che di lesbicate ne sapessi molto: avevo avuto una unica esperienza e abbastanza passiva. Trecce&Tette neanche quello, penso. Non ho prove per dirlo ma ci metterei la mano sul fuoco.
Però eravamo così vicine, condividendo quella sovracoperta, e io ero così pronta, che la baciai. Labbra sulle sue labbra semiaperte, lingua infilata dentro. Fu una sensazione strana. Soprattutto la sua piccola e timida lingua. Ero abituata a quelle voraci dei ragazzi, che si intrufolavano nella mia bocca in attesa di intrufolarci altro: l’annuncio (o la speranza) di una penetrazione, insomma. Invece con lei... beh, dopo un po' trovammo un modus operandi comune e la mia lingua finì per attorcigliarsi alla sua. Difficile sostenere che fosse un raptus, il mio. Fu invece un bacio lunghissimo e molto dolce. Lo so che il termine “dolce” detto da me suona strano, ma fu dolce, non mi fate incazzare. Fu un bacio e basta, senza toccarci. Cioè, certo, ci stringemmo forte. E certo, sentivo il suo seno sul petto e come un sacco di volte pensai che mi sarebbe piaciuto avere quelle tette. Ma finì lì. Non è che ci mettemmo a paccare o altro, ci baciammo. Stop.
E quando ci staccammo ci guardammo senza dire una parola.
Io pensavo che le avrei detto qualcosa tipo "scusami, non ho resistito". Ma i suoi occhi mi dissero che non era proprio il caso di scusarsi, lasciai perdere.
Se qualcuno fosse stato lì a guardarci avrebbe potuto pensare che dietro la sua richiesta di scambiarci i contatti - "mi piacerebbe rivederti" – ci fosse qualcosa di ambiguo. Ma io lo sapevo che non c'era un secondo fine. O anche un primo fine. Lo sentivo. Voglio dire, sapevo che non stava parlando di toglierci le mutandine a vicenda. E mi andava benissimo così. Io non avevo una vera attrazione sessuale verso di lei, non ce l’avevo in quel momento e non l’avrei avuta neanche in seguito. Per dire, non è che mi sia mai masturbata pensando a lei. Tuttavia, anche in contraddizione con quello che sentivo intimamente e che vi ho appena raccontato, dentro gli shorts avevo un bagno turco.
Ci salutammo molto tardi, era notte fonda. Più vicina all’alba che alla mezzanotte. Il ragazzo che mi aveva portata alla festa reclamava la sua brava pomiciata, il suo bravo bocchino in macchina o forse addirittura una scopata da qualche altra parte. In quel momento non ne avevo idea e nemmeno mi importava granché delle sue intenzioni, se devo essere onesta. Mi costò molta fatica salutarla: "Ciao, risentiamoci, sei proprio simpatica". Chiaramente non l'ho più vista in vita mia.
Altrettanto chiaramente, una volta rientrati dentro Roma, lui portò a casa altre due amiche riservando a me l’accompagnamento finale. Fermò la macchina in un parcheggio non tanto lontano dalla mia zona con qualcosa di un po' meglio della solita scusa della sigaretta: “Ti va una canna?”. Presto sarebbe stato chiaro, ma in giro non c’era nessuno e il posto era davvero tanto appartato. A me non andava proprio di fare ciù-ciù-ciù, né di pomiciare né tantomeno ero interessata a fargli vedere la mia depilazione intima, figuriamoci. Ed ero anche un po’ stanca. Forse ero rimasta con la testa, il cuore e le emozioni a Trecce&Tette, chi lo sa. Non è che non sopportassi lui, più che altro non sopportavo i suoi modi, quel cercare di essere suadentemente lumacone, il dito passato e ripassato sulla pelle nuda del braccio. Mi parlava della serata, mi faceva domande, inframmezzava complimenti nei miei confronti. Non lo ascoltavo quasi, in realtà. Lo interruppi:
- Senti, ora ti faccio un pompino, ma poi amici come prima, ok?
Mi era scappato un tono da babysitter incazzata, me ne pentii subito. Non era il ragazzo dei miei sogni, ok, ma non meritava nemmeno quella durezza. D'accordo, forse non meritava nemmeno un pompino, ma pensai che in quel momento succhiare un uccello - non necessariamente il suo, ma il suo era l’unico disponibile - ci stava. Forse sublimavo Trecce&Tette in quello che il mio amico aveva sotto i pantaloni. Forse la canna aveva liberato un po' di libido repressa durante la serata, non saprei, eppure non mi pareva tanto forte. Forse era il ripetersi, in anticipo di qualche ora, di una mia personale periodicità: non so a voi, ragazze, ma a me ogni tanto capita di svegliarmi con quella voglia lì.
Comunque glielo feci, e penso che fu anche un buon pompino. Primo e ultimo. Ci rimase molto male quando glielo chiarii ancora una volta. Ne avevo già succhiati di ragazzi che si illudevano che quello fosse l’inizio di una storia, o anche di una semplice scopata, e non si capacitavano del fatto che, al contrario, a me l’unica cosa che interessava erano assaggiarli per quei cinque-dieci minuti in cui ce l’avevano in tiro e lo sperma di cui potevo nutrirmi. Non si capacitavano del fatto che, più che piacermi loro, mi piace fare bocchini. E di solito infatti, anziché ringraziare per lo spettacolo, iniziavano ad affliggersi. E ad affliggermi. Lui non faceva eccezione, era di quel tipo lì. Se i suoi schizzi nella mia bocca erano stati lo zenit, sapere di essere friendzonato senza fermate intermedie lo spedì direttamente al nadir. Non gli lasciai il tempo di lamentarsene, non me ne fregava un cazzo delle sue lagne e dei suoi dispiaceri, non li volevo ascoltare.
- Dai, portami a casa ché sono stanca.
I love it.
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