L’s story. Capitolo 40. Ce l’ho fatta! [FINE II PARTE]
di
Laras
genere
dominazione
Da mercoledì al sabato, la settimana trascorre senza grandi novità.
Le lezioni sono quasi quotidiane, tutte diventiamo più belle e toniche. Io, invece, mi sento sempre più forte fisicamente.
Il generale si fa accompagnare dalla nuova, Nives, nelle sue quotidiane e lunghe camminate silenziose nel parco. Benché lui parli poco, la ragazza pian piano si rasserena visibilmente.
Il giovedì, nel pomeriggio, Helio viene in visita alla villa: per solo un salutino e poi si dedica a Nadia. Le parla tanto e lei, finalmente, smette di rispondere a monosillabi.
Venerdì pomeriggio il generale offre a tutte, comprese le due aspiranti, 4 ore di trattamenti al Centro Estetico: dobbiamo andare con 2 auto perché ora siamo in otto! Immagino che quando la proprietaria del centro vede la chiamata con il numero che usa Marta, faccia i salti di gioia!
Arriva sabato: giorno, ormai ne sono sicura, di un’altra prova. Claudio ed io mangiamo qualcosina sul presto, poi partiamo verso le 20:30 per essere la’ alle 23:00, andremo con una delle auto poco appariscenti. Lui veste da uomo sopra, sotto gli abiti, invece, è in lingerie. A me fanno indossare un miniabito nero, aderentissimo e cortissimo: sotto le calze alla parigina, quelle che si fermano sopra al ginocchio, stasera con un grande fiocco rosso all’altezza della balza. Il mio flusso mensile è finito e non mi permettono l’intimo. Ai piedi le mie amate Louboutin nere con tacco a spillo altissimo. Niente visone (per non apparire), ma giacca di cashmere bianco, corta. Due gocce di Anais anais, e si va.
A Forlì andiamo al locale di Camillo Ricci, il fornitore del nostro socio greco Karcharias. I negozi son chiusi data l’ora e anche il Pub sembra chiuso, non fosse per una lucina accanto alla porta. Suoniamo e subito ci apre proprio Camillo. Prima di salire, ci registra come soci, ci offre un aperitivo, chiacchieriamo un attimino: è la seconda volta che lo vedo, ho meno timori e, in definitiva, è attraente e simpatico.
Nel Club, al piano superiore ci sono solo 4 uomini e una ragazza, diversa da quella della prima volta: Camillo ci spiega che arriveranno tutti nel giro di un’oretta. Ancora non c’è disk jockey, ma suonano una compilation di musica dolce: sento le note di “Ovunque sarai” di Irama. Claudio viene avvicinato da due uomini sui 30 anni, c’erano anche la prima volta, si siedono a chiacchierare in disparte. Camillo, sorride e mi fa: “Ci tocca proprio di ballare, vieni”.
In pista siamo soli, il miniabito mi lascia scoperta dal ginocchio fino all’inizio del sedere. Camillo mi stringe a sé, io lascio fare e mi guida con sicurezza nel ballo. È gentile, anche quando la mano, pian piano, scende fino ad accarezzarmi il culetto. Non mi ribello, ma arrossisco e nascondo il viso contro la sua spalla. Usa un buon dopobarba, muschiato. Irama finisce, parte “Il diritto di essere felice” di Giusy Ferreri, e un altro giovane uomo chiede il cambio: Camillo mi lascia, mi fa segno “ci vediamo dopo” e sono tra le braccia di uno sconosciuto. Questo lascia passare un minuto e poi rimette una mano dove c’era quella di Camillo: mi palpa il sedere, sussulto, mi controllo, non mi ribello… solo che questo non lo conosco! sono sempre più sensibile in quella zona… e purtroppo, quella carezza un po’ rozza mi piace.
Entrano altri giovani uomini, vanno a salutare la ragazza e l’altro, siedono. Vedo che Claudio è stato portato in un angolo buio. Il “mio” tipo mi stringe a sé e solleva il mio miniabito fino alla vita: ho il sedere e la patatina in mostra per tutti. Qualche secondo e un terzo ballerino mi cinge, da dietro. Così ne ho uno che mi abbraccia dal davanti e un altro da dietro: anche questo mai visto. Sono a disagio, continuo a ballare quei lenti, ma non ho un carattere così forte da dire “basta”: ho un atteggiamento passivo, che probabilmente viene interpretato in modo sbagliato dai due. Infatti, alla successiva canzone, quello davanti mi sfila il miniabito dall’alto e poi torna ad abbracciarmi: sono nuda, con solo le parigine e i tacchi alti, abbracciata a due uomini. Entrano altri giovani uomini, si fermano, mi fissano.
Accade l’inevitabile: quello davanti mi bacia sulla bocca, quello dietro il collo... e io miagolo. Si alza un terzo uomo e si avvicina, mentre i due mi fanno sentire la loro virilità sulla pancina e sulla schiena. Muoio di vergogna, ma mi portano delicatamente su uno spazioso divano ai margini della pista da ballo: il terzo ora mi accarezza il seno. Entrano ancora uomini e mi vedono così, remissiva, nuda, con tre uomini addosso. Delle mani scendono fino ad accarezzarmi la patatina… mi trovano bagnata, e tanto. Non han bisogno di parlare tra loro: come a un segnale, mi distengono sul divano, due si slacciano i pantaloni, il terzo è già pronto: mi ritrovo un uccello che spinge sulle mie labbra. Mi arrendo, le schiudo, entra lento nella mia bocca e lo lecco: è rigidissimo e bollente. Lo succhio automaticamente, l’uomo geme, gradisce. Qualcuno si distende sopra di me: è alto e io piccina… mi penetra, senza delicatezza, tutto dentro subito: non mi fa male, ma non lo ha piccolo: mi vergogno tanto ma, purtroppo, provo tanto piacere.
Qualcuno accende tutte le luci, siamo come in pieno giorno: e vedo non so quante persone attorno a me, vicinissime. Le ragazze ora sono due e mi dicono cattiverie irripetibili ma, nonostante tutto questo, godo. Un orgasmo intenso e lungo. A loro basta questo: sono venuta e ora tocca a loro. Quello dentro alla mia farfallina spruzza dopo pochi colpi, subito il suo posto viene preso da un altro. La stessa cosa fa quello a cui sto facendo un bocchino. Sono uomini giovani, mediamente attraenti, ma ne conosco pochissimi per avermi fatto fare quei bocchini la prima volta che sono stata qua. Continuano così per tre, forse quattro volte: mi sento come carne da macello, ma purtroppo continuo a godere, una volta dopo l’altra.
Sento che dicono che sono bella, bellissima, mi fanno alzare, mi riportano al centro della pista, mi mettono a quattro zampe con sotto la pancia un puff, forse perché non mi distenda sul pavimento. Ed è la volta del sedere: ora si alternano nella mia bocca e dell’ano. Non vogliono farmi male, ma non sono delicati: mi vedono godere in tutti i modi, quindi pensano solo al loro piacere. Vengo sodomizzata in piena luce, tre o quattro volte, mentre altri mi riempiono la bocca del loro sperma. E per me, uno dopo l’altro, sono altrettanti orgasmi. Ho goduto tanto e, come sempre, quando mi succede così sono sfinita, stanchissima. Per fortuna si fermano, forse devono prendere fiato: in quel mentre si sente la voce di Camillo: “Ma siete tutti impazziti? Ma che cazzo avete fatto? Ma lo sapete chi sono questi due?”
Cerca di rialzarmi, ma non ho forze. Si fa aiutare da qualcuno: il minivestito così bello è uno straccio. Ho le calze rotte e smagliate, con schizzi un po’ ovunque: solo le Louboutin mi han lasciato. Claudio è introvabile. Mi portano giù coprendomi con una tovaglia, usciamo: Claudio è lì, nudo e seduto per terra schiena contro un muro: piange e con un tovagliolo si asciuga sangue dal sedere. Ma anche nel suo caso, ha goduto: il suo sperma ha bagnato tutta la gabbietta e cola sulla strada: ha spruzzato sicuramente più di una volta.
Camillo, si dispera, urla contro i suoi amici. Uno gli porta il cellulare di Claudio, ritrovato chissà dove. Alcuni ci sostengono fino a un’automobile, ci fan salire… dopo 20 minuti siamo nel garage di un piccolo villino, van via tutti, resta solo Camillo che ci porta in casa. Parla tra sé stesso: “Ma come cazzo è stato possibile... eravate entrambi consenzienti, avete goduto, ma perché non avete detto basta?”. Ha una doccia spaziosa, ci porta a farla prima io, poi Claudio. Ci avvolge in un asciugamano e ci fa distendere nel salotto, ci aiuta ad asciugarci: per fortuna non fa freddo. Mi specchio, ho un’espressione allucinata, tipo drogata, ma non ho pianto. Mi sento debole, sente che ho la fronte che scotta, più dell’altra volta, mi fa prendere tachipirina. Non so cosa dire, mi racchiudo in posizione fetale sul divano, mi copre con due coperte. Camillo ci prepara anche una terrina di thè caldo, con tanto zucchero, assieme a un’aspirina, non si sa mai.
Poi va in camera e ritorna con una tuta da ginnastica, calze e scarpe da tennis: aiuta Claudio a metterla, gli sta molto larga, ma meglio di niente. Per me non trova di meglio che un suo maglione di lana grossa, lungo, che mi copre fino alle ginocchia. Vedo dall’orologio del cucinotto che sono le due, Claudio si è ripreso, è lucido. Io, invece, ho bisogno di tempo. Loro escono per andare a riprendere la nostra auto, parlano, Camillo cerca di capire. Io mi addormento ma mi viene un incubo… mi risveglio sudata e in panico. Fortuna che li sento tornare dopo poco, Camillo siede, chiama qualcuno: “Pronto, sono Ricci da Forlì. Bakoyannis? Karcharías sei tu? Scusami per l’ora, è successo un casino con i tuoi amici, sì, quelli giovanissimi che mi hai presentato. Non so come descrivertelo, non riesco a capire come possa esser successo: non si può parlare di stupro, ma... insomma… sono stati scopati per ore, da tanti e senza reagire, né dire basta. Per giunta, quando mi sono accorto di cosa accadesse, la piccola stava godendo. Mi scuso moltissimo, mi assumo le mie responsabilità e farò di tutto per cercare di rimediare in qualche modo, ma ti giuro che non capisco come sia stato possibile”.
Claudio è lucido, sente che Karch spiega qualcosa a Camillo per telefono: in sostanza, cerca di fargli capire che siamo stati addestrati a ubbidire; che quanto è successo va bene; chiede se sto piangendo o se ho pianto (no, non piango); prega Camillo di aiutarci e tornare a casa. Mentre parlano, Camillo prende a guardarci in modo diverso, ma non malizioso né voglioso: diciamo con curiosità e sembra anche un po’ di ammirazione. La telefonata si conclude con Camillo che dice a Karch. “Senti Karcharias, va bene, qualcosa ho capito e ti ringrazio per non incolparmi. Ma io mi sento in colpa lo stesso: per cortesia pensaci su e dimmi cosa posso fare per rimediare, per discolparmi. Sì, certo, quando vuoi. Grazie”. Mette giù, poi a noi due: “Ragazzi, io mi scuso, non sapevo che siete… diciamo ubbidienti fino a quel punto. Adesso vi do qualcosa da mangiare e poi vi rimetto in auto. Ma vi assicuro che farò di tutto per sdebitarmi: restiamo in contatto, non vi libererete di me”.
Sono circa le 5 quando, dopo che ho vomitato lungo il ritorno, l’ascensore si apre sul primo piano della villa: Marta è lì, in ansia per me, e quando mi vede scatta e vuole sapere tutto di quel che è successo. Alla fine, sentenzia: “Pazienza, ora dormi, direi che le prove della fase B le hai superate tutte”.
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Quel genere di prove continua nelle settimane e mesi successivi, ma con frequenza molto minore e senza essere organizzato: diciamo che, per tutte le schiave con collare definitivo, è importante che veniamo umiliate quando ce ne è l’occasione. Giovanni, il capo della comunità italiana, ci spiega che è importante per restare umili, per toglierci la volontà e restare umili e annullarci con regolarità. Penso sia inutile narrare quelle prove, alcune le scriverò, ma la storia diventerebbe ripetitiva. In sintesi, tante delusioni e pochi incontri interessanti. In particolare, un giovane e attraente universitario calabrese. Magari ne parlerò se ci sarà spazio.
Siamo ormai in novembre avanzato. Il mattino lavoro con le altre, so solo far le pulizie, ma mi basta per non pensare. Sono ormai settimane che non ho notizie di Leòn, il mio signore e grande amore: ci sto male da morire. Arrivano alcune ragazze nuove, ci assomigliano tutte per un verso o per l’altro: psiche a pezzi, volontà debolissima, situazioni disastrate che, se tutto va come deve, pian piano si normalizzeranno. Son felice perché, piano piano, tutte le schiave trovano un padrone e, con lui, l’amore. Solo io sono sola e mi immalinconisco. Marta capisce tutto quel che sto attraversando, mi spinge a non pensarci a fare continuamente qualcosa. Metto tutto l’impegno nelle lezioni pomeridiane: raggiungo un livello eccellente nel fisico, nel ballo, nello yoga, nella ginnastica artistica. Tutte mi dicono che sono bella come non mai. Mi sento bene, sono diventata velocissima e forte restando snella e senza gonfiarmi nessun muscolo… ho solo il cuore a pezzi.
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È il 1° dicembre, il 7 dicembre è il mio compleanno (17). Lo sanno tutte, è nel calendario in cucina, ma nessuna ne parla, né vedo preparativi. Mi intristisco ancora di più: neanche le mie sorelle mi festeggeranno.
È un giorno festivo e quasi tutti i soci sono venuti a trovare le loro mogli o schiave, ridono, si divertono, fanno sesso; l’amore regna per tutta la villa.
Solo io sono sola: neanche Vito e le altre guardie mi han cercato, e sono quelli che ogni tanto mi possiedono. Ceniamo, siamo tanti e tante: mi piace tanto quando tutte mangiamo nella ciotola, nude ai piedi dei nostri padroni e delle guardie. Una volta finito, aiuto a riordinare, poi mi avvio verso la mia cameretta per dormire, oggi sono proprio giù, saluto Marta.
Ma lei mi ferma e a voce alta dice: “Elle vai nel salone, al centro, non ti muovere”. Ubbidisco anche se non capisco cosa ho combinato stavolta: mi puniranno? vado nel salone, mi inginocchio come da rituale e aspetto.
Pian piano tutti tacciono e si avvicinano. Mi circondano: c’è un silenzio tombale e vado in panico: devo averla combinata grossa stavolta: mi cacceranno?
Mi si avvicinano Giovanni, Ercole e Marta, il cui viso esprime una felicità profonda.
Ercole: “Elle, è arrivato il momento di divorziare da Claudio, devi firmare qui e qui”. Firmo perché so che questo significa che, finalmente, Claudio potrà sposarsi con Ercole, che ama davvero.
Ercole cede il posto a Giovanni che prende un vassoietto dalle mani di Marta.
Giovanni: “Elle è arrivata una busta per te”. Non capisco, ho paura, non riesco a muovermi. Sento gli occhi di 15-20 persone fissi su di me.
Giovanni: “Prendila e aprila, coraggio!”.
Ubbidisco con la manina che trema: è una busta semplice, c’è scritto soltanto: “Para L. Firmato L.”. Al solo vedere quella L. tremo, comincio a piangere in silenzio.
Apro la busta, c’è solo uno strano biglietto con stampato in alto a sinistra IBERIA.
Giovanni: “Cosa c’è scritto? Leggi a voce alta L.”.
Io: “C’è scritto: Milano Linate – Buenos Aires Ezeiza. Business class comfort. December 2. Departure 07:50. Arrive time 21:00”.
Scuoto la testa, come una che non ha capito, non è sicura, non ci crede.
Giovanni ora sorride, mi parla finalmente con dolcezza: “Quel pezzo di carta vuol dire che domani, circa a quest’ora, sarai in Argentina, dal nostro Maestro e tuo signore, ochetta!”.
Realizzo cosa mi ha detto, milioni di lacrime silenziose mi scendono sul viso.
Sono paralizzata, inebetita.
Marta: “Corri a fare le valigie, stupidina! Vuoi perdere il volo? Tra cinque ore devi essere a Milano! … E non dimenticare questo!”
Davanti a tutti, con due mani, innalza solennemente il mio collare d’oro bianco, tempestato di brillantini e con il nome di LEÓN scritto con smeraldi.
Fine Parte Seconda: Annullarsi
[continua]
Le lezioni sono quasi quotidiane, tutte diventiamo più belle e toniche. Io, invece, mi sento sempre più forte fisicamente.
Il generale si fa accompagnare dalla nuova, Nives, nelle sue quotidiane e lunghe camminate silenziose nel parco. Benché lui parli poco, la ragazza pian piano si rasserena visibilmente.
Il giovedì, nel pomeriggio, Helio viene in visita alla villa: per solo un salutino e poi si dedica a Nadia. Le parla tanto e lei, finalmente, smette di rispondere a monosillabi.
Venerdì pomeriggio il generale offre a tutte, comprese le due aspiranti, 4 ore di trattamenti al Centro Estetico: dobbiamo andare con 2 auto perché ora siamo in otto! Immagino che quando la proprietaria del centro vede la chiamata con il numero che usa Marta, faccia i salti di gioia!
Arriva sabato: giorno, ormai ne sono sicura, di un’altra prova. Claudio ed io mangiamo qualcosina sul presto, poi partiamo verso le 20:30 per essere la’ alle 23:00, andremo con una delle auto poco appariscenti. Lui veste da uomo sopra, sotto gli abiti, invece, è in lingerie. A me fanno indossare un miniabito nero, aderentissimo e cortissimo: sotto le calze alla parigina, quelle che si fermano sopra al ginocchio, stasera con un grande fiocco rosso all’altezza della balza. Il mio flusso mensile è finito e non mi permettono l’intimo. Ai piedi le mie amate Louboutin nere con tacco a spillo altissimo. Niente visone (per non apparire), ma giacca di cashmere bianco, corta. Due gocce di Anais anais, e si va.
A Forlì andiamo al locale di Camillo Ricci, il fornitore del nostro socio greco Karcharias. I negozi son chiusi data l’ora e anche il Pub sembra chiuso, non fosse per una lucina accanto alla porta. Suoniamo e subito ci apre proprio Camillo. Prima di salire, ci registra come soci, ci offre un aperitivo, chiacchieriamo un attimino: è la seconda volta che lo vedo, ho meno timori e, in definitiva, è attraente e simpatico.
Nel Club, al piano superiore ci sono solo 4 uomini e una ragazza, diversa da quella della prima volta: Camillo ci spiega che arriveranno tutti nel giro di un’oretta. Ancora non c’è disk jockey, ma suonano una compilation di musica dolce: sento le note di “Ovunque sarai” di Irama. Claudio viene avvicinato da due uomini sui 30 anni, c’erano anche la prima volta, si siedono a chiacchierare in disparte. Camillo, sorride e mi fa: “Ci tocca proprio di ballare, vieni”.
In pista siamo soli, il miniabito mi lascia scoperta dal ginocchio fino all’inizio del sedere. Camillo mi stringe a sé, io lascio fare e mi guida con sicurezza nel ballo. È gentile, anche quando la mano, pian piano, scende fino ad accarezzarmi il culetto. Non mi ribello, ma arrossisco e nascondo il viso contro la sua spalla. Usa un buon dopobarba, muschiato. Irama finisce, parte “Il diritto di essere felice” di Giusy Ferreri, e un altro giovane uomo chiede il cambio: Camillo mi lascia, mi fa segno “ci vediamo dopo” e sono tra le braccia di uno sconosciuto. Questo lascia passare un minuto e poi rimette una mano dove c’era quella di Camillo: mi palpa il sedere, sussulto, mi controllo, non mi ribello… solo che questo non lo conosco! sono sempre più sensibile in quella zona… e purtroppo, quella carezza un po’ rozza mi piace.
Entrano altri giovani uomini, vanno a salutare la ragazza e l’altro, siedono. Vedo che Claudio è stato portato in un angolo buio. Il “mio” tipo mi stringe a sé e solleva il mio miniabito fino alla vita: ho il sedere e la patatina in mostra per tutti. Qualche secondo e un terzo ballerino mi cinge, da dietro. Così ne ho uno che mi abbraccia dal davanti e un altro da dietro: anche questo mai visto. Sono a disagio, continuo a ballare quei lenti, ma non ho un carattere così forte da dire “basta”: ho un atteggiamento passivo, che probabilmente viene interpretato in modo sbagliato dai due. Infatti, alla successiva canzone, quello davanti mi sfila il miniabito dall’alto e poi torna ad abbracciarmi: sono nuda, con solo le parigine e i tacchi alti, abbracciata a due uomini. Entrano altri giovani uomini, si fermano, mi fissano.
Accade l’inevitabile: quello davanti mi bacia sulla bocca, quello dietro il collo... e io miagolo. Si alza un terzo uomo e si avvicina, mentre i due mi fanno sentire la loro virilità sulla pancina e sulla schiena. Muoio di vergogna, ma mi portano delicatamente su uno spazioso divano ai margini della pista da ballo: il terzo ora mi accarezza il seno. Entrano ancora uomini e mi vedono così, remissiva, nuda, con tre uomini addosso. Delle mani scendono fino ad accarezzarmi la patatina… mi trovano bagnata, e tanto. Non han bisogno di parlare tra loro: come a un segnale, mi distengono sul divano, due si slacciano i pantaloni, il terzo è già pronto: mi ritrovo un uccello che spinge sulle mie labbra. Mi arrendo, le schiudo, entra lento nella mia bocca e lo lecco: è rigidissimo e bollente. Lo succhio automaticamente, l’uomo geme, gradisce. Qualcuno si distende sopra di me: è alto e io piccina… mi penetra, senza delicatezza, tutto dentro subito: non mi fa male, ma non lo ha piccolo: mi vergogno tanto ma, purtroppo, provo tanto piacere.
Qualcuno accende tutte le luci, siamo come in pieno giorno: e vedo non so quante persone attorno a me, vicinissime. Le ragazze ora sono due e mi dicono cattiverie irripetibili ma, nonostante tutto questo, godo. Un orgasmo intenso e lungo. A loro basta questo: sono venuta e ora tocca a loro. Quello dentro alla mia farfallina spruzza dopo pochi colpi, subito il suo posto viene preso da un altro. La stessa cosa fa quello a cui sto facendo un bocchino. Sono uomini giovani, mediamente attraenti, ma ne conosco pochissimi per avermi fatto fare quei bocchini la prima volta che sono stata qua. Continuano così per tre, forse quattro volte: mi sento come carne da macello, ma purtroppo continuo a godere, una volta dopo l’altra.
Sento che dicono che sono bella, bellissima, mi fanno alzare, mi riportano al centro della pista, mi mettono a quattro zampe con sotto la pancia un puff, forse perché non mi distenda sul pavimento. Ed è la volta del sedere: ora si alternano nella mia bocca e dell’ano. Non vogliono farmi male, ma non sono delicati: mi vedono godere in tutti i modi, quindi pensano solo al loro piacere. Vengo sodomizzata in piena luce, tre o quattro volte, mentre altri mi riempiono la bocca del loro sperma. E per me, uno dopo l’altro, sono altrettanti orgasmi. Ho goduto tanto e, come sempre, quando mi succede così sono sfinita, stanchissima. Per fortuna si fermano, forse devono prendere fiato: in quel mentre si sente la voce di Camillo: “Ma siete tutti impazziti? Ma che cazzo avete fatto? Ma lo sapete chi sono questi due?”
Cerca di rialzarmi, ma non ho forze. Si fa aiutare da qualcuno: il minivestito così bello è uno straccio. Ho le calze rotte e smagliate, con schizzi un po’ ovunque: solo le Louboutin mi han lasciato. Claudio è introvabile. Mi portano giù coprendomi con una tovaglia, usciamo: Claudio è lì, nudo e seduto per terra schiena contro un muro: piange e con un tovagliolo si asciuga sangue dal sedere. Ma anche nel suo caso, ha goduto: il suo sperma ha bagnato tutta la gabbietta e cola sulla strada: ha spruzzato sicuramente più di una volta.
Camillo, si dispera, urla contro i suoi amici. Uno gli porta il cellulare di Claudio, ritrovato chissà dove. Alcuni ci sostengono fino a un’automobile, ci fan salire… dopo 20 minuti siamo nel garage di un piccolo villino, van via tutti, resta solo Camillo che ci porta in casa. Parla tra sé stesso: “Ma come cazzo è stato possibile... eravate entrambi consenzienti, avete goduto, ma perché non avete detto basta?”. Ha una doccia spaziosa, ci porta a farla prima io, poi Claudio. Ci avvolge in un asciugamano e ci fa distendere nel salotto, ci aiuta ad asciugarci: per fortuna non fa freddo. Mi specchio, ho un’espressione allucinata, tipo drogata, ma non ho pianto. Mi sento debole, sente che ho la fronte che scotta, più dell’altra volta, mi fa prendere tachipirina. Non so cosa dire, mi racchiudo in posizione fetale sul divano, mi copre con due coperte. Camillo ci prepara anche una terrina di thè caldo, con tanto zucchero, assieme a un’aspirina, non si sa mai.
Poi va in camera e ritorna con una tuta da ginnastica, calze e scarpe da tennis: aiuta Claudio a metterla, gli sta molto larga, ma meglio di niente. Per me non trova di meglio che un suo maglione di lana grossa, lungo, che mi copre fino alle ginocchia. Vedo dall’orologio del cucinotto che sono le due, Claudio si è ripreso, è lucido. Io, invece, ho bisogno di tempo. Loro escono per andare a riprendere la nostra auto, parlano, Camillo cerca di capire. Io mi addormento ma mi viene un incubo… mi risveglio sudata e in panico. Fortuna che li sento tornare dopo poco, Camillo siede, chiama qualcuno: “Pronto, sono Ricci da Forlì. Bakoyannis? Karcharías sei tu? Scusami per l’ora, è successo un casino con i tuoi amici, sì, quelli giovanissimi che mi hai presentato. Non so come descrivertelo, non riesco a capire come possa esser successo: non si può parlare di stupro, ma... insomma… sono stati scopati per ore, da tanti e senza reagire, né dire basta. Per giunta, quando mi sono accorto di cosa accadesse, la piccola stava godendo. Mi scuso moltissimo, mi assumo le mie responsabilità e farò di tutto per cercare di rimediare in qualche modo, ma ti giuro che non capisco come sia stato possibile”.
Claudio è lucido, sente che Karch spiega qualcosa a Camillo per telefono: in sostanza, cerca di fargli capire che siamo stati addestrati a ubbidire; che quanto è successo va bene; chiede se sto piangendo o se ho pianto (no, non piango); prega Camillo di aiutarci e tornare a casa. Mentre parlano, Camillo prende a guardarci in modo diverso, ma non malizioso né voglioso: diciamo con curiosità e sembra anche un po’ di ammirazione. La telefonata si conclude con Camillo che dice a Karch. “Senti Karcharias, va bene, qualcosa ho capito e ti ringrazio per non incolparmi. Ma io mi sento in colpa lo stesso: per cortesia pensaci su e dimmi cosa posso fare per rimediare, per discolparmi. Sì, certo, quando vuoi. Grazie”. Mette giù, poi a noi due: “Ragazzi, io mi scuso, non sapevo che siete… diciamo ubbidienti fino a quel punto. Adesso vi do qualcosa da mangiare e poi vi rimetto in auto. Ma vi assicuro che farò di tutto per sdebitarmi: restiamo in contatto, non vi libererete di me”.
Sono circa le 5 quando, dopo che ho vomitato lungo il ritorno, l’ascensore si apre sul primo piano della villa: Marta è lì, in ansia per me, e quando mi vede scatta e vuole sapere tutto di quel che è successo. Alla fine, sentenzia: “Pazienza, ora dormi, direi che le prove della fase B le hai superate tutte”.
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Quel genere di prove continua nelle settimane e mesi successivi, ma con frequenza molto minore e senza essere organizzato: diciamo che, per tutte le schiave con collare definitivo, è importante che veniamo umiliate quando ce ne è l’occasione. Giovanni, il capo della comunità italiana, ci spiega che è importante per restare umili, per toglierci la volontà e restare umili e annullarci con regolarità. Penso sia inutile narrare quelle prove, alcune le scriverò, ma la storia diventerebbe ripetitiva. In sintesi, tante delusioni e pochi incontri interessanti. In particolare, un giovane e attraente universitario calabrese. Magari ne parlerò se ci sarà spazio.
Siamo ormai in novembre avanzato. Il mattino lavoro con le altre, so solo far le pulizie, ma mi basta per non pensare. Sono ormai settimane che non ho notizie di Leòn, il mio signore e grande amore: ci sto male da morire. Arrivano alcune ragazze nuove, ci assomigliano tutte per un verso o per l’altro: psiche a pezzi, volontà debolissima, situazioni disastrate che, se tutto va come deve, pian piano si normalizzeranno. Son felice perché, piano piano, tutte le schiave trovano un padrone e, con lui, l’amore. Solo io sono sola e mi immalinconisco. Marta capisce tutto quel che sto attraversando, mi spinge a non pensarci a fare continuamente qualcosa. Metto tutto l’impegno nelle lezioni pomeridiane: raggiungo un livello eccellente nel fisico, nel ballo, nello yoga, nella ginnastica artistica. Tutte mi dicono che sono bella come non mai. Mi sento bene, sono diventata velocissima e forte restando snella e senza gonfiarmi nessun muscolo… ho solo il cuore a pezzi.
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È il 1° dicembre, il 7 dicembre è il mio compleanno (17). Lo sanno tutte, è nel calendario in cucina, ma nessuna ne parla, né vedo preparativi. Mi intristisco ancora di più: neanche le mie sorelle mi festeggeranno.
È un giorno festivo e quasi tutti i soci sono venuti a trovare le loro mogli o schiave, ridono, si divertono, fanno sesso; l’amore regna per tutta la villa.
Solo io sono sola: neanche Vito e le altre guardie mi han cercato, e sono quelli che ogni tanto mi possiedono. Ceniamo, siamo tanti e tante: mi piace tanto quando tutte mangiamo nella ciotola, nude ai piedi dei nostri padroni e delle guardie. Una volta finito, aiuto a riordinare, poi mi avvio verso la mia cameretta per dormire, oggi sono proprio giù, saluto Marta.
Ma lei mi ferma e a voce alta dice: “Elle vai nel salone, al centro, non ti muovere”. Ubbidisco anche se non capisco cosa ho combinato stavolta: mi puniranno? vado nel salone, mi inginocchio come da rituale e aspetto.
Pian piano tutti tacciono e si avvicinano. Mi circondano: c’è un silenzio tombale e vado in panico: devo averla combinata grossa stavolta: mi cacceranno?
Mi si avvicinano Giovanni, Ercole e Marta, il cui viso esprime una felicità profonda.
Ercole: “Elle, è arrivato il momento di divorziare da Claudio, devi firmare qui e qui”. Firmo perché so che questo significa che, finalmente, Claudio potrà sposarsi con Ercole, che ama davvero.
Ercole cede il posto a Giovanni che prende un vassoietto dalle mani di Marta.
Giovanni: “Elle è arrivata una busta per te”. Non capisco, ho paura, non riesco a muovermi. Sento gli occhi di 15-20 persone fissi su di me.
Giovanni: “Prendila e aprila, coraggio!”.
Ubbidisco con la manina che trema: è una busta semplice, c’è scritto soltanto: “Para L. Firmato L.”. Al solo vedere quella L. tremo, comincio a piangere in silenzio.
Apro la busta, c’è solo uno strano biglietto con stampato in alto a sinistra IBERIA.
Giovanni: “Cosa c’è scritto? Leggi a voce alta L.”.
Io: “C’è scritto: Milano Linate – Buenos Aires Ezeiza. Business class comfort. December 2. Departure 07:50. Arrive time 21:00”.
Scuoto la testa, come una che non ha capito, non è sicura, non ci crede.
Giovanni ora sorride, mi parla finalmente con dolcezza: “Quel pezzo di carta vuol dire che domani, circa a quest’ora, sarai in Argentina, dal nostro Maestro e tuo signore, ochetta!”.
Realizzo cosa mi ha detto, milioni di lacrime silenziose mi scendono sul viso.
Sono paralizzata, inebetita.
Marta: “Corri a fare le valigie, stupidina! Vuoi perdere il volo? Tra cinque ore devi essere a Milano! … E non dimenticare questo!”
Davanti a tutti, con due mani, innalza solennemente il mio collare d’oro bianco, tempestato di brillantini e con il nome di LEÓN scritto con smeraldi.
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