L’s story. Capitolo 41. ¡Es una angelita!

di
genere
dominazione

[Comincia la Parte terza: Appartenere.
In questo episodio ci sono molte frasi in spagnolo, sono sicura che le capirete: penso siano indispensabili per entrare nella nuova ambientazione. Per le parti non di sesso spero di farvi sorridere un po’ e… intenerire: sottomissione non è dare botte e far piangere le donne]

Chi è stato in aereo, non immagina il trauma di chi, invece, vola da sola per la prima volta: è una roba da “Oggi le comiche”!
Per tutto il viaggio in auto verso Linate, Alfio mi spiega e mi ripete del check-in, la hostess, il gate, il baggage claim e quant’altro: non ci capisco niente, mi viene mal di testa. Arrivati a Linate, disperato, prende un foglio e ci scrive le cose che dovrò fare: mi dà una penna e mi dice di cancellarle man mano che le ho fatte. Nella tasca del tailleur devo tenere tutti i foglietti che mi daranno e un libretto color bordeaux dove c’è una mia fotografia. Le mie valigie spariscono dopo averle date a una signorina che ha scritto IBERIA sul taschino, resto con un trolley e la borsetta a mano. Mi fa entrare in una zona dove lui non può accompagnarmi, e poi… resto sola!

Passo 10 minuti in panico: dagli altoparlanti arrivano messaggi incomprensibili e la gente si sposta in mille direzioni diverse. Ma ho una soluzione per chiedere aiuto e la uso fin da piccola: far vedere le gambe! Piego il bordo della gonna, fino a fare vedere le cosce (l’orlo delle autoreggenti). Marta mi ha fatto indossare il tailleur più elegante, quello verde-bleu, con gonna a portafoglio, che avevo indossato al primo convegno con Otello. Le calze bianche come la camicetta e decolleté con tacco 9 cm sottile. Funziona: dopo meno di un minuto si ferma un signore, faccio vedere il foglio con la scritta IBERIA e mi indica dove andare... Ci vado e mi fermo di nuovo: ed ecco un giovane uomo in divisa, che addirittura mi accompagna a fare una fila.

Sono sull’aereo e una signorina, anche lei con una falsa divisa militare, mi fa accomodare in una specie di cabina molto carina, dove ci sono due grandi poltrone in pelle e profumo di pulito. Mi aiuta ad allacciarmi la cintura come in auto e, dopo qualche minuto: si vola! Non ho paura e mi diverto moltissimo a guardare dal finestrino. In volo succedono mille cose nuove. Dopo circa 3 ore credo di dover scendere, ma è come con il bus: anche gli aerei fanno le fermate. Rinuncio a capire e, quando passa un’altra signorina, chiedo se posso dormire: ma lei parla un'altra lingua e mi porta una flûte con bollicine! Mi appisolo lo stesso, spero non mi sgrideranno se ho sbagliato a dormire qui. Non vi dico le traversie per andare a fare pipì! Insomma, mille problemi e difficoltà finché, 17 ore dopo, l’aereo atterra di nuovo. Scendono tutti e io resto lì, come un’ochetta. Una delle signorine mi aiuta a uscire e mi indica col dito la direzione. Vado e giunta là, come al solito, mi blocco: solito trucco del tirare su la gonna e finalmente, un bel signore accompagna in un grande salone dove mi guardo attorno e riconosco le mie valigie che girano su una specie di giostra.

Alla fine, ce la faccio: trovo una uscita e vedo un marcantonio che tiene sollevato una grande cartello con scritto Lara in colore verde smeraldo. Mi avvicino, sorrido felice e lo guardo da più vicino… lui mi dice qualcosa di incomprensibile: “¿Usted es la señorita L.?”. Sorrido come un’ebete. Chiede ancora: “¿L.? ¿Italia? ¿Ponce? ¿Leòn Ponce?”. Al sentire il nome del mio signore, salto e rispondo felice: “Leòn lo conosco! È il mio amore! Leòn lo amo tanto!”. Il marcantonio sorride, mi indica da dove uscire. Quando sono fuori dal cartello, subito si affianca a noi un altro gigante, che mi saluta cordialmente. Non mi aiutano con le valigie, devo tirarle io.

Usciamo dall’aeroporto e altri due marcantoni mi salutano e si mettono uno davanti e l’altro dietro: ai miei fianchi stanno i primi due. Fa caldo, sembra che qua sia primavera. Dopo qualche passo ci fermiamo: ci sono due enormi jeep: mi aiutano a salire e dentro ci sono altri due marcantoni ciascuna: a quel punto tutti e otto tirano fuori fucili e mitraglie. Per fortuna son tutti gentili, parlano poco e si va sulle jeep per circa mezz’ora: arriviamo in un piccolo eliporto e mi conducono a un elicottero… quante cose nuove sto imparando!

Sorvoliamo paesaggi bellissimi, praterie senza fine, loro si calmano, posano le armi, mi sorridono, mi guardano con simpatia, quasi affetto, ma parlano in spagnolo… rispondo solo con dei sorrisi.
Dopo tre ore atterriamo all’interno di una specie di Fort Apache, ma molto grande, con tante casette all’interno e alte mura di cemento. All’entrata c’è un grande cartello con scritto: “Ponce Vacas y Toros. Hermandad socialista”.

Mi aiutano a scendere, devo portare le mie valigie. Mi guardo attorno spaesata finché vedo un omone grande, grosso e alto oltre 2 metri: è Leòn! È lui! Ha al fianco un suo sosia di circa 70 anni e un pochino più basso, assieme a una vecchietta in formissima, nuda, con collare e tacchi alti.

Prima che io possa fare qualunque cosa, la vecchietta si mette a correre verso di me e urla: “¡Es una niña! ¡Hay que hermosa! ¡Es una angelita!”.

Resto basita, mentre mi corre incontro vedo che è piccola quanto me, ha gli occhi verdi, capelli chiari e lunghissimi, il seno piccolo, le gambe lunghe… è identica a me, praticamente mi vedo quando avrò la sua età! persino il collare è identico al mio, ma nel suo gli smeraldi compongono nome diverso: Bogumil. Mi abbraccia forte, mi bacia in fronte, sulle guance… addirittura piange dalla felicità!

Leòn ci raggiunge assieme a suo padre, ma la mamma prende un bastone da terra, glielo agita davanti, gli urla: “¡Dejala tranquila, animal! ¡la vas a arruinar como las otras dos! ¡Sé lo que quieres de esta angelita! ¡Mantente alejado! ¡Ay de ti!”. Mi prende sottobraccio, mi porta svelta lontano da Leòn, verso una delle casette.

Leòn ci resta di popò, risponde alla mamma: “¡Mamà, es mi novia, me conoce, nos casamos mañana… nunca le hize daño, ¡calmate!”. Niente da fare: lei gli agita il legno contro, mi porta svelta verso casa. Intanto, mi parla e, quando indica il proprio avambraccio, capisco: sta cercando di avvertirmi che Leòn ha un pene enorme, grande come il suo avambraccio, ed è preoccupata per me. Divento rossa e cerco di farle capire che lo so, che lo abbiamo già fatto. Ma niente: è protettiva al massimo, controlla che il figlio stia lontano, mi bacia sulle guance, mi accarezza il viso. Vedo che pian piano la gente della fortezza esce dalle case e si avvicina a quella dove stiamo andando. Arrivano anche una decina di uomini a cavallo, vestiti tipo da cow boys. Quasi tutti gli uomini sono armati, compreso Leòn.

Entrate nella casetta, la signora chiude la porta, la spranga e finalmente si calma... mi dice un sacco di cose con tono dolce e materno, poi si calma: “Ahora tienes que salir, todos te esperan y quieren verte… te ayudo, ¿vale?”. Boh… ma quando mi fa segno del suo collare e indica la mia gola, capisco: prendo il mio dalla borsa e glielo faccio vedere: lei si commuove, lo accarezza… sorride dolcissima. Poi mi indica sé stessa, il suo corpo: adesso ho capito! Devo mettermi in mise da cerimoniale. Mi spoglio e lei torna con una spazzola per capelli; sentenzia: “¡Tan preciosa eres… inocente y bellisima... eres mi hija, la hija que nunca tube!”. Poi indica sé stessa e mi dice: “Yo soy mamà ¿vale? Desde ahora seré tu mamà ¿entiendes?” Faccio di “sì” con la testa, sorrido di gioia: sarà la mia mamma finché Leòn mi terrà a suo servizio. Quindi mi controlla tutta, verifica che non abbia peli neanche nel buchino del sedere. Anche lei si ricontrolla e penso: si può essere così in forma a 70 anni?
Mi sembra di esser pronta, con lo sguardo chiedo alla signora se posso andar bene. Lei annuisce, mi sorride con tanto affetto, è più felice di me. Poi prende il mio collare nella mano destra, e la mia mano destra nella sua sinistra. Apre la porta, usciamo! C’è tutta la gente della fortezza che ci aspetta fuori! Saranno 60-70 persone, con alcuni anziani e 7-8 bambine/i e ragazzini/e. Avanziamo fino all’inizio dei tre scalini della veranda: una pioggia di fiori da parte delle donne, un applauso dagli uomini. Mamà è raggiante, solleva le braccia al cielo, mostra la sua nuova figlia e il mio collare. Scendiamo, vedo Leòn e suo papà, anche loro felici. La maggioranza della popolazione è maschile, ci saranno 25 donne per 35 uomini; noto che circa 15, tra maschi e femmine, sono anziani, dell’età dei genitori di Leòn. Tutte le donne sono in tenuta da cerimoniale, nude, in tacchi alti e quasi tutte con il loro collare. La bellezza media di tutte è elevata, ma noi italiane siamo meglio. Gli uomini son vestiti e armati, tutti alti: non quanto Leòn, ma la media sarà sui 1.90.

Avanziamo, ci fanno ala: Mamà si ferma, lascia che tutti mi guardino, mi accarezzino, mi controllino: ho mani dappertutto, tre uomini controllano persino la mia elasticità anale, divento rossa come un peperone e abbasso gli occhi. Ma capisco che ogni popolo ha le sue usanze e, come sempre, non mi ribello a nulla. Ci sono delle ampie passerelle in legno, per non far impolverare le scarpe con i tacchi alti e le calze. Avanziamo ancora e, ogni cosa che mi vede fare rende più fiera la mia Mamà. Arriviamo in una piazzetta al centro della fortezza, Mamà mi aiuta a salire i cinque scalini di un sopralzo alto circa un metro. Una volta sopra, di nuovo mi mostra nuda con orgoglio a tutti, mi fa girare su me stessa: di nuovo applausi e tantissimi fiori. Salgono anche Leòn e suo papà, e Mamà si inginocchia immediatamente, con il viso a terra. Ora tutti tacciono e io la imito quasi subito.

Mamà: “Mi señor Bogumil, esta es la novia y futura esposa de su hijo, mi señor Leòn”.
Il signor Bogumil si alza e si pone davanti a me. Leòn mi sussurra svelto e sottovoce: “Adorazione! È il capo della comunità; adorazione, veloce!”. Subito rialzo il busto e avanzo in ginocchio fino al papà di Leòn: slaccio, sbottono … abbasso la testa fin sotto ai grandi testicoli e glieli bacio, quindi li lecco. Ancora applausi e fiori! Il signor Bogumil sarà anche vecchio, ma in poco tempo ha un’erezione bellissima: anche lui ha un grande uccello, ma non quanto suo figlio.

Quindi si allontana da me, mentre Mamà mi fa segno di prostrarmi nuovamente, questa volta davanti a Leòn e pronuncia una formula simile: “Mi señor e hijo querido Leòn, esta es tu sumisa y futura esposa: Ele. Amala y protégela hasta la muerte”. Questa volta non ho bisogno di spiegazioni, vado subito ad adorare lo scroto del mio amore. Ancora applausi e fiori, ma non sento più niente: sono persa davanti al sesso già magnificamente eretto del mio padrone.

Ho sentito molto chiaramente, e per due volte, la parola “esposa” e anche se non sono molto intelligente, finalmente ho capito perché sono qui. Esposa? E allora io perdo ogni controllo… Miagolo come una svergognata, i capezzoli mi si gonfiano, mi bagno come una donnaccia continuando a coprire di saliva quei testicoli grossi come pesche… La gente pian piano tace… mi guardano tutti. Non li sento, non li vedo, siamo soli lui e io: e continuo a miagolare, più a lungo, più dolcemente: sono innamorata persa e, quando mi accorgo che il sesso del mio signore è diventato quasi spaventoso in tutta la sua lunghezza e grossezza… godo. Un guaito acutissimo, forte, seguito da un miagolare di nuovo sottovoce… crollo sulla piccola piattaforma sopraelevata… miagolo e sussurro “esposa, sarò la tua esposa”, mi contorco in preda a un orgasmone che fa impressione.

Come mi accade quando ho orgasmi violenti, anche questa volta resto a terra senza coscienza. Sento una grande mano che mi fruga tra le cosce, si toglie e quindi la voce di Leòn: “¡Que miren todas y todos! ¡Està totalmente mojada y empapada! ¡El socialismo es amor!”: e, finalmente, mi cinge il suo collare, davanti a tutta la mia nuova comunità. Urla, fiori, applausi!

Poi, le braccia forti del mio futuro suocero mi sollevano, si avvia verso la casetta portandomi in braccio… ho capito che Leòn ha fatto vedere a tutta la comunità come mi sono bagnata… e ho il terrore che mi considerino una poco di buono… però il collare me lo ha messo ufficialmente e tutti eran contenti. Vedo che Mamà mi sta accanto, piange di felicità, mi accarezza il viso, i lunghi capelli... sembra davvero orgogliosa di me o di noi due.

Il sole è tramontato, mi fa distendere sullo scendiletto accanto al letto del suo padrone e amore, Bogumil. Poso la testa sulle ginocchia di Mamà, lei continua ad accarezzarmi il viso a coprirmelo di baci, mentre anche Bogumil mi sorride silenzioso.

Quando mi risveglio, la prima timida luce del giorno filtra dalle imposte. Sono su un fianco e Mamà dorme tenendomi abbracciata da dietro.
La fortezza della Hermandad è in una prateria immensa e deserta, cioè al nulla. Ma nella casetta dei miei futuri suoceri c’è tutto, compresi elettrodomestici delle più moderne tecnologie. Mamà si sveglia e mi sussurra all’orecchio: “Tu seras la alegria de mi vida”, e si alza silenziosamente, mi prende per mano, mi fa vedere dove è il bagno. Lei va in un altro, più piccolo. Usciamo dopo una mezz’oretta abbondante, quasi contemporaneamente; sediamo per terra in salotto, su un morbido tappeto. Mi offre una trousse con i trucchi: sorrido e faccio di no con la testa e lei commenta “Perfecta”. Invece, mimo uno sfregamento di una mano sulle dita: capisce subito e mi va a prendere una pietra pomice. Non si fa colazione fino a quando il papà di Leòn si alza: ci inginocchiamo assieme e quando lui siede a tavola mangiamo nella nostra ciotola a terra. Mamà mi regala un altro “Perfecta” e io sono felice.

Subito mi riporta in camera, mi ricontrolla tutta, mi fa cambiare le calze, mi spazzola le decolleté, mi pettina a lungo. Non so che ora è, ma sento il tepore del sole entrare dalle finestre. Invece, Bogumil esce, ci sono una trentina di uomini ad aspettarlo: si mettono a discutere con calma, alla fine estraggono dei biglietti bianchi da una borsa.

Bussano alla porta: “Mamà, soy yo, ¿esta' lista?”. È la voce di Leòn, tremo, mi si bagnano gli occhi e non solo… mi inginocchio davanti alla porta… Mamà si agita: “No niña, ahora no, no es el momento, ¡calmate!” e apre la porta tenendo con il bastone il figlio fuori casa: “La niña llora cada vez que oye tu voz o te vee, que se calme, ¡ahora no puede hacer eso!”.
Leòn ascolta, vede, capisce e usa un tono di voce severissimo verso di me: “Elle basta! Ti stai per sposare nella più grande delle nostre comunità! Quello che succede qui si sa in tutte le altre comunità del mondo! Basta! Ritta!”. Resto paralizzata, non mi aveva mai gridato. Scuoto la testa, mi riprendo: “Pe... perdono... non piango più... perdono”.

Mamà si calma, lui resta serio. “Attenta ora: la cerimonia del matrimonio qui da noi è uguale e diversa. Noi mettiamo tutto in comune: soldi, proprietà, tutto. Qui nessuno possiede niente, tutto appartiene alla comunità: anche le donne, capisci cosa dico?”.
Tremo. Con un filo di voce: “Ma io ti amo… non sarò tua? Non mi vuoi più?”.
Leòn, urla di nuovo: “Calmati! Tu porti il mio collare e, credo presto, il mio marchio. Per sempre! E io morirò per te, per meritarmi il tuo amore e la tua devozione. Ma prima che mia sei della comunità, così come io lo sono, come mia mamma e mio papà. Hai capito ora?”.
Io: “Sì”.
Lui: “Bene, respira a fondo: se mi vuoi bene devi essere felice e tutti devono vederlo. Quel che non sai o non capisci: guardami e ti spiego. Ora andiamo. Mamà, ahora entiende y se ha calmado. Vamos”.

Mamà: “Que Bogumil te bendiga hija mia, te entrego a tu amo” e mi aggancia il guinzaglio, poi si inginocchia davanti al figlio e glielo porge.

Usciamo, cammina lento, dopo pochi metri comincia l’ala dei fratelli e sorelle. Ripeto dentro di me le parole che mi ha detto: “mio collare... mio marchio… per sempre… morirò per te…” e il cuore mi si riempie di felicità. Spingo il busto in fuori, i capezzoli mi si stanno indurendo… la patatina si sta bagnando… alzo gli occhi verso il sole... il sole ricambia facendo dei miei capelli una cascata d’oro... Mamà mi tiene per mano e mi sta accanto: anche lei è raggiante, bellissima nonostante l’età... mi sussurra qualcosa e intuisco che gli occhi mi son diventati verdissimi e brillano: “Tus ojos verdes brillan, como los mios son radiantes... eres la esclava mas hermosa del mundo”.

Mamà si ferma prima del sopralzo al centro della fortezza, Leòn sale e io lo seguo al guinzaglio. Mi sussurra: “Ora distesa completamente per terra davanti a mio padre: ti chiederà se vuoi esser della comunità e mia fino alla morte. Se lo vuoi basta che tu dica sì e che lo sentano tutti”.

Così avviene: Bogumil fa un discorso e poi tace. Nel silenzio più assoluto, il mio “sì” è come l’urlo di una gatta in amore: sale verso il sole, nessuno lo può fermare.

Poi si rivolge al figlio, il discorso è più breve ma l‘urlo di Leòn è quello di un gorilla e fa tremare i vetri: “Sì! pa’ siempre, hasta la muerteee!!!”.

La comunità esplode, urla, salti… parte la musica, ballano, cantano… Rapido Leòn mi sussurra: “Ferma così, adesso sarai scopata da tanti, me compreso. Ti guidiamo noi, ma mi raccomando: ubbidienza, pudore e sperma. Sii te stessa e andrà tutto bene. E ricordati come abbiam fatto l’amore l’ultima volta, non voler strafare, non posso farti male davanti a tutti. Mi raccomando!”.
Io “Sì, amore mio… cioè... scusa ho sbagliato: sì, mio signore, tutto e solo quello che vuole lei”. Stanno già sollevando un lettone quadrangolare sulla piattaforma, mio suocero mi aiuta delicatissimo a rialzarmi. Con il suo vocione mi dice parole che sembrano dolcissime: “Luz de la vida de mi hijo, ahora tengo que follarte delante todos… pero recuerdate que eres como una hija para mi y que te quiero con ternura”. Mentre Leòn e dei suoi confratelli mi distendono sul letto, mio suocero si spoglia: è vecchio ma è tonicissimo! Con un pene grande, molto armonioso e affascinante: nei prossimi giorni devo chiedere a Leòn come fanno tutti a mantenersi così!

Si distende su di me, né veloce né lento… mi prende, si muove a buon ritmo, ma senza frenesia. Dura poco ma mi fa godere... veniamo assieme, mi resta dentro e io miagolo sottovoce, dolce come sempre. Lui mi regala un “Perfecta”, esce, si rialza.

Intanto si è spogliato Leòn e si son fermati tutti: ora il suo uccellone fa davvero paura e credo che tutti siano curiosi di vedere cosa succederà. Si distende sul letto, a pancia in su: non può dirmi niente, ma so da sola come si deve fare con un cosone così! Salgo sopra, allargo le gambe, scendo lentissima e prendo il suo sesso con una manina. Lo punto sulla mia fessurina e scendo, solo un po’: lo sento enorme e bollente. Mi prende il panico, come ogni volta ho paura che non ce la farò ad accoglierlo. Chiudo gli occhi, respiro profondamente, nella testa mi ripeto: “Lui ha tutti diritti, io tutti i doveri”. Scendo ancora un po’ e… no, non mi fa male! Credo di essere fradicia, di colare… scendo ancora... forse son già riuscita ad accogliere la puntona. Apro gli occhi, cerco i suoi: il suo sguardo per me è di pura adorazione e mi sciolgo: “Ti amo... Leòn, io ti amo…”.

Scendo... ne ricevo un altro po’, mi sento pienissima… scendo... mi sento allargare ma non mi lacera. Scendo e… godooo!!! “Miaooo… miaoooooo”, stavolta grido e tremo come una selvaggia. Velocissimo lui mi prende per i fianchi e mi tiene sollevata dove sono: se perdessi il controllo e cadessi su di lui, mi squarcerebbe. Resta immobile: aspetta che io mi calmi e mi riprenda. Si sente solo la musica, non parla nessuno, sono tutti a guardarci con gli occhi spalancati. Mamà e mio suocero sono appena sotto alla piattaforma, ci guardano un po’ preoccupati. Riprovo a scendere… ne prendo un altro po’… riprovo di nuovo… e ancora. E purtroppo, godo di nuovo, miagolo fortissimo e tremo… Leòn mi afferra al volo di nuovo e mi tiene sollevata e bloccata. Altra pausa. E riproviamo. Insomma... ci metto un’ora e alla fine ce la faccio: lo accolgo credo tutto o, almeno, tanto. Tutti sappiamo che non è possibile accoglierlo tutto dentro. Ci guardiamo l’uno gli occhi dell’altra, stupiti. Restiamo immobili, non si mai: e io sono seduta sulle sue cosce grosse come colonne, ritta, le manine ben ferme contro il suo torace per evitare movimenti bruschi: perché mi sento come con un grosso palo dentro, fino nella pancia.

Leòn: “Sto impazzendo, mi fai morire… posso? ti prego…”.
Rispondo: “Mio signore, dimmelo ancora, come prima: mio collare... mio marchio… per sempre… morirò per te…”.
Mi accontenta… e subito l’urlo della gattina bianca in calore si mischia a quello del gorilla: è l’orgasmo più potente e dolce di tutta la mia vita. Per fortuna, lui sa cosa mi succede quando godo così tanto. Mi mette le mani sotto le ascelle, proprio un istante prima che io perda i sensi e mi afflosci. Mi solleva fino a quando il suo sesso esce da me. Un fiume di seme esce e scroscia sul pavimento. Mi distende al suo fianco… ho il respiro affannato, mi addormento. Lui si alza, si rivolge alla folla quasi sottovoce: “Todo bien, siempre reacciona en esta manera, es normal. Ahora tiene solo que descansar un poquito. Que tengais paciencia todos”.

Ma Mamà non si fida, ho capito che ha già visto due volte il membro del figlio mandare all’ospedale delle ragazze. Sale in punta di piedi fino a me, pone l’orecchio per sentire se respiro, mi apre un occhio, mi prende il polso, mi apre le gambe e… si calma. Scende gli scalini raggiante, in silenzio fa il segno della V, vittoria!, a tutti i circostanti.

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2023-01-13
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