La distratta
di
Francopar
genere
voyeur
La distratta (racconto di fantasia)
Quella mattina Miriam non aveva sentito la sveglia e avrebbe rischiato di arrivare tardi in ufficio.
C’era tempo soltanto per indossare una minigonna e un maglione e correre a prendere il tram.
Arrivò alla ditta in tempo in tempo, ancora un minuto e avrebbe dovuto sopportare le romanzine dell’ing Brocchetti, il padrone, un autentico bigotto che in passato aveva fatto storie a causa della minigonna, ma alla fine non aveva potuto fare più di tanto, ognuno ha il diritto di vestire come vuole in modo decente, e la minigonna di Miriam era solo qualche cm sopra il ginocchio e neanche tanto attillata.
Entrò nel suo ufficio, salutò Carlo il suo collega, prese posto dietro la sua scrivania, riprese fiato. Accavallò le gambe e iniziò a lavorare.
Ma che cosa aveva ,Carlo perché la guardava in quel modo tra l’ironico e l’arrapato e fissandole le gambe, che aveva visto tante altre volte, mentre le accavallava di nuovo.
Quello sguardo le rimase addosso tutta la mattina e sembrava assumere una specie di ghigno appena le accavallava.
Ma la cosa più inquietante avvenne alla mensa durante la pausa pranzo. Tutti la guardavano sia i colleghi che le colleghe, e poi vedeva sui loro volti degli strani risolini, commenti sottovoce, ammiccamenti., si sentiva al centro dell’attenzione, ma non ne capiva il motivo.
Subito dopo il pranzo fu chiamata dall’ing Brocchetti.
“Signorina la invito a lasciare il lavoro, arriverà in seguito la lettera di licenziamento”.
Miriam rimase stupefatta”Ma perché mi sembra che il mio lavoro lo svolga bene”.
“E’ vero, ma lei turba gli altri impiegati, non facendoli lavorare tranquilli, tutto a scapito dell’efficienza”.
“ Si riferisce alla minigonna, ma anche le altre mie colleghe….”
“ Non è la minigonna in sé, quanto quello che lei, diciamo, ha mostrato durante la mattina”.
“Mostrato durante la mattina, ma a cosa si sta riferendo?”
“Lo sa benissimo a cosa mi sto riferendo, per favore torni a casa , è licenziata”.
“ Ma vorrei sapere la motivazione”
"La saprà quando riceverà la lettere di licenziamento, comunque qui non può restare, lei mi turba e mi distrae tutta la ditta, buon giorno” un buon giorno che non ammetteva repliche.
Miriam se ne andò delusa, triste e senza parole.
Non riusciva a comprendere, camminava sulla strada come un automa e arrivò a casa a piedi. Si sentiva distrutta, dove avrebbe trovato un altro lavoro. Entrò nel suo appartamento, voleva fare una doccia fredda per cercare di svegliarsi da quello incubo, si tolse il maglione e la minigonna e solo allora si accorse di essere completamente nuda.
Non aveva reggipetto, né canottiera, né mutandine, la mattina non aveva avuto tempo per indossarle e solo allora capì il motivo del ghigno del suo collega Carlo e del suo licenziamento.
Quella mattina Miriam non aveva sentito la sveglia e avrebbe rischiato di arrivare tardi in ufficio.
C’era tempo soltanto per indossare una minigonna e un maglione e correre a prendere il tram.
Arrivò alla ditta in tempo in tempo, ancora un minuto e avrebbe dovuto sopportare le romanzine dell’ing Brocchetti, il padrone, un autentico bigotto che in passato aveva fatto storie a causa della minigonna, ma alla fine non aveva potuto fare più di tanto, ognuno ha il diritto di vestire come vuole in modo decente, e la minigonna di Miriam era solo qualche cm sopra il ginocchio e neanche tanto attillata.
Entrò nel suo ufficio, salutò Carlo il suo collega, prese posto dietro la sua scrivania, riprese fiato. Accavallò le gambe e iniziò a lavorare.
Ma che cosa aveva ,Carlo perché la guardava in quel modo tra l’ironico e l’arrapato e fissandole le gambe, che aveva visto tante altre volte, mentre le accavallava di nuovo.
Quello sguardo le rimase addosso tutta la mattina e sembrava assumere una specie di ghigno appena le accavallava.
Ma la cosa più inquietante avvenne alla mensa durante la pausa pranzo. Tutti la guardavano sia i colleghi che le colleghe, e poi vedeva sui loro volti degli strani risolini, commenti sottovoce, ammiccamenti., si sentiva al centro dell’attenzione, ma non ne capiva il motivo.
Subito dopo il pranzo fu chiamata dall’ing Brocchetti.
“Signorina la invito a lasciare il lavoro, arriverà in seguito la lettera di licenziamento”.
Miriam rimase stupefatta”Ma perché mi sembra che il mio lavoro lo svolga bene”.
“E’ vero, ma lei turba gli altri impiegati, non facendoli lavorare tranquilli, tutto a scapito dell’efficienza”.
“ Si riferisce alla minigonna, ma anche le altre mie colleghe….”
“ Non è la minigonna in sé, quanto quello che lei, diciamo, ha mostrato durante la mattina”.
“Mostrato durante la mattina, ma a cosa si sta riferendo?”
“Lo sa benissimo a cosa mi sto riferendo, per favore torni a casa , è licenziata”.
“ Ma vorrei sapere la motivazione”
"La saprà quando riceverà la lettere di licenziamento, comunque qui non può restare, lei mi turba e mi distrae tutta la ditta, buon giorno” un buon giorno che non ammetteva repliche.
Miriam se ne andò delusa, triste e senza parole.
Non riusciva a comprendere, camminava sulla strada come un automa e arrivò a casa a piedi. Si sentiva distrutta, dove avrebbe trovato un altro lavoro. Entrò nel suo appartamento, voleva fare una doccia fredda per cercare di svegliarsi da quello incubo, si tolse il maglione e la minigonna e solo allora si accorse di essere completamente nuda.
Non aveva reggipetto, né canottiera, né mutandine, la mattina non aveva avuto tempo per indossarle e solo allora capì il motivo del ghigno del suo collega Carlo e del suo licenziamento.
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