Il gradino del portone
di
2 di Picche
genere
tradimenti
Stavo piangendo seduta sul gradino del portone di via Marsala a Bologna un pomeriggio di Agosto.
Ero entrata dal mio ragazzo e lo trovo tra le gambe di una sua amica intento a scoparla.
Cosa avena mai quella troia da farlo impegnare tanto? Con me non vi metteva tutta quella passione.
Ferita a morte nell’orgoglio non ero arrivata in fondo alle scale che le lacrime già mi scendevano sulle guance, poi mi bagnavano il seno, quello che la canottiera lasciava vedere.
Guardavo ma non vedevo, la vista era sfocata, le lacrime mi riempivano gli occhi.
Non faci caso al ragazzo che mi si fermò davanti ma che mi guardava insistentemente.
Forse guardava le mie gambe, da sotto la minigonna si vedevano sicuramente le cosce fino alle mutandine.
Fino ad allora le avevo fatte vedere consciamente solo al mio ragazzo, ma ora non me ne importava nulla: che guardasse pure se gli interessavano.
Vidi che si chinava verso di me e delicatamente mi sollevò il viso.
“Come mai questo bel visino è rigato dalle lacrime?”
Mi asciugai gli occhi e lo vidi in volto, capelli corti, barba e uno sguardo dolce.
“Ho beccato il mio ragazzo a scopare con un’altra.” Mi stupii di quanto avevo detto, stavo parlando dei miei problemi personali con uno sconosciuto. Ero incazzatissima e solo perché era carino con me stavo vuotando il sacco.
“Non si fa un torto simile a una ragazza così carina” disse fissandomi negli occhi azzurri, e prendendomi per mano mi fece alzare in piedi.
“Ma che dici, sono orribile e sono in uno stato pietoso.”
“Una ragazza resta carina anche se piange”
“Sono vestita in modo squallido, non ho le calze, ho questa banale canottiero e mi si vede tutto il reggiseno”
“Si ma hai delle belle gambe, e un bel seno che forse non ha bisogno di essere tirato su” intanto mi asciugava il volto.
Mi sentivo imbarazzata da quella attenzioni, dagli sguardi dei passanti, soprattutto quando cominciò ad asciugarmi le spalle.
Aprii il portone ed entrai e lui tenendomi per mano mi seguì.
Mi sentii rassicurata, confortata, protetta da quel portone e gli misi le braccia al collo.
“Davvero ho delle belle gambe?” dissi sollevando la gonna un po’.
“Molte ragazze potrebbero invidiarti, e secondo me sono anche vellutate”.
Mi accarezzò una coscia con il dorso della mano provocandomi un brivido, lo abbracciai di nuovo e accostai le mie labbra sulle sue.
Ricambiò il mio bacio e mi appoggiò le mani sul sedere, rimasi sorpresa, ma lo strinsi di più a me e gli sussurrai in un orecchio: “Non mi merita quello stronzo”.
Incoraggiato da quelle parole infilò le sue mani sotto la minigonna e prese ad accarezzarmi le gambe.
Stava apprezzando come ero fatta, e che io volevo apprezzarlo così presi a sollevargli la maglietta per apprezzare la sua pelle.
Le sue mani fecero altrettanto con la mia canottiera, poi con il reggiseno trovando il breve i miei capezzoli che si inturgidirono. Volevo vendicarmi e quelle sue mani su di me mi facevano già stare meglio.
Tirai giù la cerniera dei suoi pantaloni prima che si eccitasse troppo e diventasse difficoltoso, lui mi spinse contro il portone chiuso e rimessomi le mani sotto la minigonna tirò le mutandine verso il basso.
Io feci altrettanto con le sue e in breve mi ritrovai stratta con le chiappe sul legno del portone e il suo uccello in erezione contro la passera bagnata.
Mi strusciò l’uccello contro le labbra della passera e dopo un paio di spinte cominciò a entrare.
In un attimo fu in fondo e prese a spingere come un forsennato.
Mi sbarazzai delle mutande e spalancai le cosce per fargli spazio e godermi i colpi che mi squassavano tutta.
Ebbi un orgasmo stupendo, poi un altro e nonostante la foga il ragazzo durava e continuava a uscire ed entrare.
Ero inebriata dal sentirmi voluta, apprezzata, e lui me lo stava dimostrandomi facendomi godere.
La vendetta è un piatto che va gustato freddo? Ma chi è a dire queste scemenze, era ancora caldo caldissimo, bollente.
Lo era la giornata.
Lo era la mia passera.
Lo era il suo uccello che non si fermava.
Venne, mi allagò la passera, la fece contrarre in un ultimo orgasmo.
Il ragazzo continuava a pressarmi contro il portone sostenendomi per le cosce e senza accennare di uscire nonostante non fosse più eccitato.
“Grazie” gli dissi e gli diedi un bacio.
Sentii il suo uccello crescere nuovamente nella mia passera, e appena fu in tiro riprese il ritmo.
Mi lasciò esausta dietro quel portone.
Ero così carica che presi un pezzo di carta e scrissi un biglietto al mio ormai ex ragazzo.
“Non cercarmi mai più. Non ho bisogno di te per farmi delle belle scopate.”
Ero entrata dal mio ragazzo e lo trovo tra le gambe di una sua amica intento a scoparla.
Cosa avena mai quella troia da farlo impegnare tanto? Con me non vi metteva tutta quella passione.
Ferita a morte nell’orgoglio non ero arrivata in fondo alle scale che le lacrime già mi scendevano sulle guance, poi mi bagnavano il seno, quello che la canottiera lasciava vedere.
Guardavo ma non vedevo, la vista era sfocata, le lacrime mi riempivano gli occhi.
Non faci caso al ragazzo che mi si fermò davanti ma che mi guardava insistentemente.
Forse guardava le mie gambe, da sotto la minigonna si vedevano sicuramente le cosce fino alle mutandine.
Fino ad allora le avevo fatte vedere consciamente solo al mio ragazzo, ma ora non me ne importava nulla: che guardasse pure se gli interessavano.
Vidi che si chinava verso di me e delicatamente mi sollevò il viso.
“Come mai questo bel visino è rigato dalle lacrime?”
Mi asciugai gli occhi e lo vidi in volto, capelli corti, barba e uno sguardo dolce.
“Ho beccato il mio ragazzo a scopare con un’altra.” Mi stupii di quanto avevo detto, stavo parlando dei miei problemi personali con uno sconosciuto. Ero incazzatissima e solo perché era carino con me stavo vuotando il sacco.
“Non si fa un torto simile a una ragazza così carina” disse fissandomi negli occhi azzurri, e prendendomi per mano mi fece alzare in piedi.
“Ma che dici, sono orribile e sono in uno stato pietoso.”
“Una ragazza resta carina anche se piange”
“Sono vestita in modo squallido, non ho le calze, ho questa banale canottiero e mi si vede tutto il reggiseno”
“Si ma hai delle belle gambe, e un bel seno che forse non ha bisogno di essere tirato su” intanto mi asciugava il volto.
Mi sentivo imbarazzata da quella attenzioni, dagli sguardi dei passanti, soprattutto quando cominciò ad asciugarmi le spalle.
Aprii il portone ed entrai e lui tenendomi per mano mi seguì.
Mi sentii rassicurata, confortata, protetta da quel portone e gli misi le braccia al collo.
“Davvero ho delle belle gambe?” dissi sollevando la gonna un po’.
“Molte ragazze potrebbero invidiarti, e secondo me sono anche vellutate”.
Mi accarezzò una coscia con il dorso della mano provocandomi un brivido, lo abbracciai di nuovo e accostai le mie labbra sulle sue.
Ricambiò il mio bacio e mi appoggiò le mani sul sedere, rimasi sorpresa, ma lo strinsi di più a me e gli sussurrai in un orecchio: “Non mi merita quello stronzo”.
Incoraggiato da quelle parole infilò le sue mani sotto la minigonna e prese ad accarezzarmi le gambe.
Stava apprezzando come ero fatta, e che io volevo apprezzarlo così presi a sollevargli la maglietta per apprezzare la sua pelle.
Le sue mani fecero altrettanto con la mia canottiera, poi con il reggiseno trovando il breve i miei capezzoli che si inturgidirono. Volevo vendicarmi e quelle sue mani su di me mi facevano già stare meglio.
Tirai giù la cerniera dei suoi pantaloni prima che si eccitasse troppo e diventasse difficoltoso, lui mi spinse contro il portone chiuso e rimessomi le mani sotto la minigonna tirò le mutandine verso il basso.
Io feci altrettanto con le sue e in breve mi ritrovai stratta con le chiappe sul legno del portone e il suo uccello in erezione contro la passera bagnata.
Mi strusciò l’uccello contro le labbra della passera e dopo un paio di spinte cominciò a entrare.
In un attimo fu in fondo e prese a spingere come un forsennato.
Mi sbarazzai delle mutande e spalancai le cosce per fargli spazio e godermi i colpi che mi squassavano tutta.
Ebbi un orgasmo stupendo, poi un altro e nonostante la foga il ragazzo durava e continuava a uscire ed entrare.
Ero inebriata dal sentirmi voluta, apprezzata, e lui me lo stava dimostrandomi facendomi godere.
La vendetta è un piatto che va gustato freddo? Ma chi è a dire queste scemenze, era ancora caldo caldissimo, bollente.
Lo era la giornata.
Lo era la mia passera.
Lo era il suo uccello che non si fermava.
Venne, mi allagò la passera, la fece contrarre in un ultimo orgasmo.
Il ragazzo continuava a pressarmi contro il portone sostenendomi per le cosce e senza accennare di uscire nonostante non fosse più eccitato.
“Grazie” gli dissi e gli diedi un bacio.
Sentii il suo uccello crescere nuovamente nella mia passera, e appena fu in tiro riprese il ritmo.
Mi lasciò esausta dietro quel portone.
Ero così carica che presi un pezzo di carta e scrissi un biglietto al mio ormai ex ragazzo.
“Non cercarmi mai più. Non ho bisogno di te per farmi delle belle scopate.”
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