Espiazione XII
di
Rot43
genere
pulp
Espiazione XII
Ieri sera il priore non è venuto a trovarmi e non l’ha fatto nemmeno al sorgere del sole, in compenso ho ricevuto la colazione, dei calzari e degli indumenti da indossare per coprire le mie vergogne. Per la prima volta da quando è iniziato il mio calvario mi sento riposata, sono riuscita a dormire, forse perché alleggerita dalla decisione presa e ora attendo che la provvidenza definisca il mio destino. Finalmente la porta della mia cella si apre e vengo invitata da un frate a seguirlo. Obbedisco e prima di andargli dietro, lui entra e recupera il foglio adagiato sul pavimento. Insieme percorriamo i corridoi lividi dell’edificio, non riesco a orientarmi in quel dedalo di stanze, ma in compenso sono libera di muovermi e nessuno mi affianca e controlla. Percorro il tragitto pensando a quante volte l’ho fatto in catene in questi giorni, a gattoni o vergata, l’illusione della libertà è proprio una bella sensazione. Arrivati davanti ad una porta più familiare, che riconosco come la stanza privata del priore, il frate bussa e dall’interno una voce invita ad entrare.
L’abate mi riceve con gentilezza e mi fa accomodare sulla sedia davanti a lui. Poi senza tanti fronzoli:
:-Allora, qual è la tua decisione?
Porgo il foglio umiliante e lo tendo a lui senza proferir parola. L’abate lo prende e lo porta alla sua vista, il suo sguardo si fa ancor più benevolo quando scorge in basso la mia sigla in calce e non proferisce parola. Si alza dalla sua sedia vaga per la stanza e dopo qualche istante:
:- Bene, questa decisione ti permetterà di vivere senza il dolore di aver condannato una creatura innocente assieme a sua madre e soprattutto di redimerti nei confronti di Cristo con il sacrificio che andrai a compiere.
Replico:
:-Questo non è lo spirito della chiesa che ho deciso di servire, questo è solo un bieco ricatto, ciò che ho scelto di fare è solo per il bene di Gertrude.
Lui mi guarda comprensivo e ostenta un sorriso nauseante come quello dei padri che fingono di conoscere il disegno divino per ognuno di noi, sprezzante aggiunge:
:-Il tempo ti aiuterà a capire tante cose. Intanto con questo atto volontario di sottomissione sei ufficiosamente riabilitata dall’istituzione, il timbro del cardinale lo ufficializzerà. Da oggi cara mia sei una ubbidiente e questo comporterà il tuo totale servizio alla Chiesa la quale potrà disporre fisicamente di te qualora essa lo riterrà opportuno. Ora ti prego di uscire, il fratello fuori ti guiderà nella tua stanza e ti porterà le tue insegne religiose che indosserai per presenziare alla cerimonia di reintegrazione nella casa di dio. E’ tutto puoi andare …
Uscita dalla stanza mi affianca il frate che ora mi accompagna gaudente in una nuova camera che finalmente posso definire tale: l’ingresso è definito da una porta e non dalle solite lunghe sbarre, il mobilio è moderno e il letto spazioso. Al centro della parete interna vi è un piccolo accesso ad una stanza attigua dove dietro noto un bagno con tutti i comfort. Faccio subito una lunga e abbondante doccia che subito rinvigorisce la mia pelle e il mio aspetto turbato da giorni di sevizie e torture. Passo accanto al grande specchio e non posso non notare ì le cicatrici sulla schiena nuda, sono profonde e larghe. La frusta ha penetrato la mia carne rudemente e non so se questi segni spariranno del tutto, anche se forse non dovrei preoccuparmi più della fisicità dei segni quanto dalla complessità che essi da oggi avranno sulla mia psiche profanata. La fragranza del profumo sulla pelle mi distrae dai tarli della mente e raggiungo il comodo letto nella stanza, mi stendo rilassata e in pochi minuti mi addormento. Mi risveglia il picchiare alla porta di qualcuno, indosso l’accappatoio e apro, un frate mi porge i vestiti da monaca che mi erano stati sequestrati al mio arrivo, mi annuncia che sono attesa nella sala capitolare. Mi sorride e prima di andar via mi saluta composto. Indosso l’abito talare e raggiungo la sala, i frati che incontro ora sono tutti gentili e apprensivi e due in particolare mi aiutano nelle indicazioni per raggiungere la meta. Al mio arrivo vengo accolta con delle preghiere e invitata ad attraversare il centro della sala. Mentre lo faccio e mi avvicino al centro di essa, dove mi aspetta seduto su di uno scranno l’abate, odo i presenti intorno intonare un passo del Vangelo di Luca:
“Ed ecco, una donna che era in quella città, una peccatrice, saputo che egli era a tavola in casa del fariseo, portò un vaso di alabastro pieno di olio profumato e … “
Mentre mi avvicino alla meta scorgo sul pavimento un contenitore dal quale si sprigiona un buonissimo odore, ci passo accanto curiosa e un monaco me lo pone tra le mani indicandomi di proseguire verso il priore.
“stando ai piedi di lui, di dietro, piangendo, cominciò a rigargli di lacrime i piedi; e li asciugava con i suoi capelli; e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l'olio.”
Capisco cosa devo fare, umiliarmi come la Maddalena e quindi una volta davanti all’abate mi inginocchio e lavo i suoi piedi, asciugandoli con i miei capelli prima di riempirli di baci. Alla fine dello sporco lavoro, tra i consensi e le odi degli astanti vengo provvista del crocefisso sequestratomi e vengo riabilitata del nome di sorella Chiara. La fine di un incubo, che marca l’inizio di un altro incubo ancora più grande, si è compiuta. L’abate ora mi stringe risoluta e mi indica che il giorno seguente partirò per un nuovo monastero dove qui svolgerò il ruolo di badessa, ma ubbidiente.
Ieri sera il priore non è venuto a trovarmi e non l’ha fatto nemmeno al sorgere del sole, in compenso ho ricevuto la colazione, dei calzari e degli indumenti da indossare per coprire le mie vergogne. Per la prima volta da quando è iniziato il mio calvario mi sento riposata, sono riuscita a dormire, forse perché alleggerita dalla decisione presa e ora attendo che la provvidenza definisca il mio destino. Finalmente la porta della mia cella si apre e vengo invitata da un frate a seguirlo. Obbedisco e prima di andargli dietro, lui entra e recupera il foglio adagiato sul pavimento. Insieme percorriamo i corridoi lividi dell’edificio, non riesco a orientarmi in quel dedalo di stanze, ma in compenso sono libera di muovermi e nessuno mi affianca e controlla. Percorro il tragitto pensando a quante volte l’ho fatto in catene in questi giorni, a gattoni o vergata, l’illusione della libertà è proprio una bella sensazione. Arrivati davanti ad una porta più familiare, che riconosco come la stanza privata del priore, il frate bussa e dall’interno una voce invita ad entrare.
L’abate mi riceve con gentilezza e mi fa accomodare sulla sedia davanti a lui. Poi senza tanti fronzoli:
:-Allora, qual è la tua decisione?
Porgo il foglio umiliante e lo tendo a lui senza proferir parola. L’abate lo prende e lo porta alla sua vista, il suo sguardo si fa ancor più benevolo quando scorge in basso la mia sigla in calce e non proferisce parola. Si alza dalla sua sedia vaga per la stanza e dopo qualche istante:
:- Bene, questa decisione ti permetterà di vivere senza il dolore di aver condannato una creatura innocente assieme a sua madre e soprattutto di redimerti nei confronti di Cristo con il sacrificio che andrai a compiere.
Replico:
:-Questo non è lo spirito della chiesa che ho deciso di servire, questo è solo un bieco ricatto, ciò che ho scelto di fare è solo per il bene di Gertrude.
Lui mi guarda comprensivo e ostenta un sorriso nauseante come quello dei padri che fingono di conoscere il disegno divino per ognuno di noi, sprezzante aggiunge:
:-Il tempo ti aiuterà a capire tante cose. Intanto con questo atto volontario di sottomissione sei ufficiosamente riabilitata dall’istituzione, il timbro del cardinale lo ufficializzerà. Da oggi cara mia sei una ubbidiente e questo comporterà il tuo totale servizio alla Chiesa la quale potrà disporre fisicamente di te qualora essa lo riterrà opportuno. Ora ti prego di uscire, il fratello fuori ti guiderà nella tua stanza e ti porterà le tue insegne religiose che indosserai per presenziare alla cerimonia di reintegrazione nella casa di dio. E’ tutto puoi andare …
Uscita dalla stanza mi affianca il frate che ora mi accompagna gaudente in una nuova camera che finalmente posso definire tale: l’ingresso è definito da una porta e non dalle solite lunghe sbarre, il mobilio è moderno e il letto spazioso. Al centro della parete interna vi è un piccolo accesso ad una stanza attigua dove dietro noto un bagno con tutti i comfort. Faccio subito una lunga e abbondante doccia che subito rinvigorisce la mia pelle e il mio aspetto turbato da giorni di sevizie e torture. Passo accanto al grande specchio e non posso non notare ì le cicatrici sulla schiena nuda, sono profonde e larghe. La frusta ha penetrato la mia carne rudemente e non so se questi segni spariranno del tutto, anche se forse non dovrei preoccuparmi più della fisicità dei segni quanto dalla complessità che essi da oggi avranno sulla mia psiche profanata. La fragranza del profumo sulla pelle mi distrae dai tarli della mente e raggiungo il comodo letto nella stanza, mi stendo rilassata e in pochi minuti mi addormento. Mi risveglia il picchiare alla porta di qualcuno, indosso l’accappatoio e apro, un frate mi porge i vestiti da monaca che mi erano stati sequestrati al mio arrivo, mi annuncia che sono attesa nella sala capitolare. Mi sorride e prima di andar via mi saluta composto. Indosso l’abito talare e raggiungo la sala, i frati che incontro ora sono tutti gentili e apprensivi e due in particolare mi aiutano nelle indicazioni per raggiungere la meta. Al mio arrivo vengo accolta con delle preghiere e invitata ad attraversare il centro della sala. Mentre lo faccio e mi avvicino al centro di essa, dove mi aspetta seduto su di uno scranno l’abate, odo i presenti intorno intonare un passo del Vangelo di Luca:
“Ed ecco, una donna che era in quella città, una peccatrice, saputo che egli era a tavola in casa del fariseo, portò un vaso di alabastro pieno di olio profumato e … “
Mentre mi avvicino alla meta scorgo sul pavimento un contenitore dal quale si sprigiona un buonissimo odore, ci passo accanto curiosa e un monaco me lo pone tra le mani indicandomi di proseguire verso il priore.
“stando ai piedi di lui, di dietro, piangendo, cominciò a rigargli di lacrime i piedi; e li asciugava con i suoi capelli; e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l'olio.”
Capisco cosa devo fare, umiliarmi come la Maddalena e quindi una volta davanti all’abate mi inginocchio e lavo i suoi piedi, asciugandoli con i miei capelli prima di riempirli di baci. Alla fine dello sporco lavoro, tra i consensi e le odi degli astanti vengo provvista del crocefisso sequestratomi e vengo riabilitata del nome di sorella Chiara. La fine di un incubo, che marca l’inizio di un altro incubo ancora più grande, si è compiuta. L’abate ora mi stringe risoluta e mi indica che il giorno seguente partirò per un nuovo monastero dove qui svolgerò il ruolo di badessa, ma ubbidiente.
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