Carl(otta)
di
Rot43
genere
trans
Avevamo 20 anni, lo ricordo perfettamente, quel giorno ero al campo di motocross, non perché io fossi capace di lanciarmi in acrobazie motociclistiche, lo sai, ma semplicemente perché quello era il ritrovo della nostra compagnia, lontano chilometri dal centro abitato e soprattutto da occhi indiscreti che potessero in qualche modo impedirci di praticare le nostre cazzate adolescenziali. Alessio, Marco e Gianni erano impegnati in pista e io ero con gli altri della compagnia ad osservarli impennare e a sfrecciare a tutta velocità sulla rossa terra della campagna dove sorgeva il circuito. Diverse canne passavano di bocca in bocca mentre il rumore assordante delle marmitte elaborate riecheggiava intorno a noi. Era un soleggiato sabato pomeriggio primaverile ed eravamo accampati lì, al bordo del circuito, seduti per terra a discutere di esami, calcetto, storie d’amore o simili… Quando tu arrivasti con il tuo liberty bianco a strisce azzurre e con allacciato sulla testa l’immancabile casco rosa. Mentre parcheggiavi qualcuno iniziò a insinuare qualcosa a voce bassa, issasti il motorino sul cavalletto e un fischio molesto si levò, ma tu non desti importanza e ci raggiungesti. Ci salutammo con un gesto del capo e prendesti posto in cerchio tra noi accanto a Federica e iniziaste a parlare tra voi, eri alto, magro e lunghi capelli neri ti accarezzavano già le spalle. Ricordo che vestivi sempre con indumenti attillati e anche quel pomeriggio la t-shirt a maniche lunghe si stringeva stretta al tuo petto come i jeans che marcavano stretti i tuoi fianchi magri. Restammo tutti distesi su quell’erba di campo per non so quanto tempo a fumare e ridere, ma tu eri sempre sulle tue non gradivi esporti, avevi gli occhi addosso da parte di tutti e l’unica che forse non ti ha mai fatto pesare qualcosa è stata Federica. E’ questo il prezzo che si paga quando si nasce in un piccolo paese dove non si può essere quello che si desidera, anzi forse è così ovunque ma in un paesino di 3.000 anime forse è ancora più difficile essere se stessi. Tutto ebbe inizio quel giorno, si dice che il destino abbia un giorno per tutti, quello era il tuo, ed ha accelerato ciò che in realtà hai sin da piccolo sempre anelato, ma che non sei mai riuscito a nascondere né a te stesso, né tantomeno ai tuoi genitori, come quando provavi di nascosto il reggiseno di tua madre, o quando più grande ti intrufolavi in camera delle tue sorelle per indossare e specchiarti con le loro gonne e le scarpe con il tacco.
Eh già, purtroppo le voci circolavano in fretta in un abitato come il nostro.
Da adolescente hai provato a nascondere la tua natura, ma era palese che non potevi assolutamente reprimerla perché essa usciva ed era giusto che fosse così, e io all’epoca avrei dovuto aiutarti, ma ti ho sempre trattato come un uomo e in questo sbagliavo perché tu non lo volevi. Ingenuamente pensavo che così facendo ti avrei protetto “dagli altri” ma tu non avevi bisogno di un bodyguard ma di un amico. Quel giorno al tramonto eravamo pronti per andare via e mentre guadagnavamo la strada per riprendere i nostri mezzi, qualcuno per ilarità o perché troppo fumato, decise di palpare e commentare il tuo sedere, stretto tra i tuoi jeans attillati, poi non so cosa successe, forse ti sentisti così offesa che decidesti di fare uscire la tua vera te e reagisti colpendo con un ceffone quel tamarro indubbiamente più fumato di tutti. Non sei mai stato tanto scaltro negli sport di difesa personale e al tuo ceffone seguirono due pugni in pieno volto che ti fecero rovinare per terra, la violenza divenne ceca e insensata e quando mi accorsi del trambusto e mi voltai ormai eri già a terra rannicchiato mentre una scarica di calci ti investiva da capo a piedi. Tornai indietro di corsa e spinsi il tuo aggressore, facendolo cadere per terra, mi chinai per vedere come stessi, ma un calcio dietro la schiena mi fece franare su di te:
: - Ora difendi la puttanella del paese, questo è un frocio di merda! Non dirmi che sei frocio anche te…
Per la prima volta capì quanto le parole possano far male, ricordo che mi alzai e mi lanciai su quello stronzo come se fosse un sacco per pugili, non ricordo per quanti secondi le mie nocche si infransero contro il suo volto, ma quando ci separarono la sua faccia era gonfia come una zampogna.
Calò il silenzio, da una parte c’eri a terra tu, con il naso rotto e i sentimenti pesti e dall’altra parte la disprezzata beata ignoranza supina, per terra, e con qualche livido in più. In quel silenzio ti alzasti, ti avvicinasti e mi ringraziasti per poi correre in lacrime verso il tuo mezzo, rincorso da Federica. Metteste il casco e andaste via insieme.
: -Qualche giorno dopo venni a sapere che eri partita per Milano, sono passati 15 anni da quel giorno e ora sei qui, anzi siamo qui, al matrimonio della nostra amica Federica e tu sei “appena appena” differente, rispetto a tanti anni fa.
Lei annuisce ad ogni frase e parola che le smuove quel ricordo, non lo fa con tristezza ma con uno sguardo fiero e virtuoso, appagata dal suo affrancamento da quel contesto meschino in cui si è ritrovata a vivere suo malgrado sin dalla nascita: prima in un corpo sbagliato, poi tra le mura domestiche in cui le persone che avrebbero dovuto proteggerla non l’hanno mai fatto e ancora in un paese bigotto che non l’ha mai accettata. La guardo davanti a me mentre mi ascolta con il bicchiere mezzo vuoto di prosecco tra le mani, orgogliosa e forte del suo presente, gli anelli sulle sue dita scintillano così come i suoi denti bianchi e perfetti. Il volto che ho davanti è cambiato, la cura ormonale a cui si è sottoposto ha reso la sua pelle più soffice e addolcito i tratti del viso, alcuni ritocchi chirurgici le hanno permesso di modificare mento e zigomi favorendo quasi del tutto la scomparsa di lineamenti mascolini, anche la massa muscolare è diminuita assumendo caratteristiche più femminili e ora su quel fisico magro svetta un petto, per quanto proporzionato alla magrezza, ravvisabile che lei mostra disinvolta nella scollatura a v del suo abito rosa cipria a sirena smanicato. La forma pronunciata del bacino si distingue sotto la gonna e non passa certo indifferente, le gambe completamente glabre e lisce, che si scorgono dalla spacco laterale, poggiano su sandali con tacco a spillo a punta aperta impreziositi da fascette argentee che avvolgono i piedi curati e smaltati di bianco. La sua voce è abbastanza femminile, anche se odo ancora una tonalità che un po’ ricorda il suo passato, e scopro ascoltandola quanto sia stato difficile raggiungere un timbro del genere in tutti questi anni, tanto allenamento e sacrifici, oltre che sedute presso la logopedista, insomma del Carlo di un tempo non è rimasto più nulla, almeno fisicamente. Ora è solo Carlotta ed è davvero notevole.
Nella sala, della tenuta in cui ci troviamo, un trenino umano percorre la hall raccogliendo la gente seduta tra i tavoli. La guardo mentre butta giù l’ultima goccia di prosecco, non fa in tempo a posare il calice e a replicare a quanto le ho appena detto che viene accalappiata dal trenino umano che la rimorchia a prendere parte al giro tra il resto dei tavoli a ritmo di musica. La guardo e mi rallegro di vederla finalmente sorridere. La osservo perdersi in fondo alla sala mentre divertita avanza appesa per i fianchi di una delle invitate, ne approfitto per uscire fuori a fumare, incontro altri commensali e scambiamo convenevoli. Il giardino è immenso pieno di roseti di diverso colore e il perimetro è delimitato da grandi palme curate, il clima è fantastico e i raggi del sole riscaldano questa tiepida giornata primaverile e mantengono alto l’entusiasmo in questa storica giornata dedicata a Federica e suo marito. Insomma è tutto magnifico, ma anche le giornate perfette possono diventare assolute e devo dire che la sua la regala quel quid che manca. Nonostante non ci vedessimo da anni, e sebbene fossi preparato alla vista della sua nuova mutazione, rivederla è stato travolgente ed è andato oltre certune aspettative. Tra una boccata e l’altra cerco, oltre le grandi vetrate, il suo abito rosa tra i mille corpi immersi in vestiti dai colori sgargianti che danzano nella sala aggraziati e non, la riconosco in fondo alla sala, si muove in gruppo con un perfetto ritmo musicale rispetto agli altri che le stanno vicini, anche in questo è riuscita a cambiare, non era assolutamente portata per il ballo e diciamocela tutta in discoteca, quelle poche volte che veniva, era goffo e scoordinato. Scoprire ciò mi strappa un sorriso, l’ennesimo della giornata. Rientro in sala e mi dirigo al bar, ordino un gintonic, saluto il fratello di Federica seduto a chiacchierare con altri conoscenti, mi siedo in disparte e sorseggio il mio drink. Mi volto verso la sala e la noto ancora in lontananza ballare, al centro della sala, questa volta assieme alla sposa e sono bellissime. Ad un tratto lei si volta, forse mi cerca, i nostri sguardi si incrociano per un istante, mi imbarazzo e butto giù rapido il mio gintonic, poi al banco ne ordino un altro.
Una pacca sulla spalla mi fa voltare:
:-Ehi vacci piano, sarà una festa lunga!
E’ Roberto il fratello della sposa, gli sorrido e ricambio a mia volta con una pacca calorosa. Mi volto e afferro il mio secondo drink, lo sorseggio. Nuovamente una mano sulla spalla, questa volta delicata accarezza la spalla sinistra, mi volto ed è la sua. E’ stanca e siede sullo sgabello affianco, posa la borsetta sul banco e ordina un vodka lemon, ecco questo è qualcosa che mi ricorda quello che lui, insomma lei vabbè “ei fu”. Glielo faccio notare, ma lei autorevole e diretta replica:
: -Ciò che ci piace non possiamo cambiarlo!
I suoi occhi fermi affondano nei miei, decisi a cercare qualcosa. Sorseggia il drink senza distogliere lo sguardo dal mio, cedo al suo potere e abbasso gli occhi. Quell’imbarazzo le regala le risposte che stava cercando nella mia profondità, e ad un tratto, decisa pianta il bicchiere mezzo vuoto sul banco del bar, toglie il mio dalla mia mano destra e lo pianta accanto al suo. La guardo e lei:
-Esci a fumare con me?
Non le rispondo, lei prende la sua borsetta e si dirige verso il giardino, la seguo senza dire una parola, una volta fuori accendiamo le rispettive paglie e avanziamo in silenzio per il giardino. Poi lei interrompe la quiete e con naturalezza mi chiede di accompagnarla in auto ha freddo e ha bisogno del copri spalle. Quando siamo all’altezza della sua auto, apre con il telecomando la portiera e getta all’interno la sua borsetta, poi il suo sguardo ritorna su di me inequivocabile, la sua mano afferra la mia e l’altra preme sul mio busto calcandomi contro la portiera aperta, la sua testa si avvicina alla mia e le sue labbra sottili si dischiudono e si infrangono contro le mie. Mi bacia lentamente e con dolcezza, evidentemente mi vuole mettere alla prova, vuole essere certa di non essersi sbagliata, ma non lo ha fatto assolutamente. Le mie labbra marcano prontamente le sue con voluttà e non tardano a favorire il contatto tra mucose. Dolcemente prendo le sue guance tra i miei palmi per farle capire che non è un attimo dettato dalle circostanze, ma puro piacere. Lei ricambia con dolcezza e ci troviamo a scambiarci baci alla francese per un tempo abbastanza lungo. Il suo corpo si congiunge al mio e mentre ci scambiamo tutte le carezze che abbiam trattenuto da quando ci siamo rivisti, il suo ventre sfrega contro il mio e avverto fare capolino una sottile e morbida sporgenza. Avverto i suoi occhi incollarsi ai miei è il momento della verità, ora il suo sguardo è eccitato quanto ansioso della mia reazione, ma non è negli occhi che trova la risposta, ma alla stessa altezza del suo ventre dove la mia erezione si manifesta molto più dura rivelando tutto il mio consenso alla sua avvenenza. Soddisfatta sposta le mie mani, ancora sulle sue guance, all’interno della sua scollatura e condivide i suoi seni che palpo con vigore, non sono grandi, ma sono naturali e al tatto non percepisco alcuna forma di protesi. Lei ha un fremito, ma mi lascia fare mentre le sue mani raggiungono la patta, la liberano dalla zip e del bottone e si intrufolano tra le mutande per tastare la mia erezione. Tastare l’asta eretta e palpare le palle gonfie, mi sega violenta e mi scappella con altrettanta boria per sincerarsi del mio appetito e una volta assicuratasene si abbassa e accoglie la cappella nella bocca, la lingua avvolge l’erezione e lentamente le guance ciucciano con foga tutta la mia libidine. Si aggrappa con le mani dapprima ai fianchi rimanendo in equilibrio accovacciata e spinge avanti e indietro la sua boccuccia ben fatta, ingollando con gusto tutti i miei centimetri di uccello. Adagio percepisco i suoi palmi scorrere dai fianchi e stabilizzarsi lungo i miei glutei che vengono tastati e palpati. La odo mugolare apprezzamenti e mi eccito, smodato afferro la nuca e spingo il cazzo nella sua bocca con insistenza, è turgido e lei apprezza le stantuffate profonde. L’eccitazione è forte ma le concedo un momento di pausa ritirando il cazzo salivoso, lei mi guarda dal basso leggermente trafelata ma anche contrita, i suoi occhi sono eccitati e perversi. Passo la mano sull’asta dell’uccello mi sego davanti al suo volto mentre lei osserva soddisfatta sfilando la lingua sulle labbra. La sua immagine mi turba e in un secondo schiaffeggio il suo volto con il mio membro, lei apprezza ancora e allora continuo sfregandole il mio piacere sul volto procurandole gemiti che interrompo quasi subito rispendendo il mio amichetto tra le sue labbra. Affondo la turgida mazza dentro di lei stavolta serrandole la nuca e dopo qualche istante i miei muscoli si irrigidiscono e il mio fratellino sotto spara tutto il seme nella bocca di Carlotta che ingoia da gran maestra non sprecandone nemmeno una goccia. Dopo l’orgasmo furioso i miei muscoli si rilassano, l’affanno viene meno e libero la sua bocca dal mio gingillo ormai moscio, lei prima di lasciarlo andare lo riprende e li ridà un’altra passata prima di abbandonarlo tra le mie mani. Mi tiro su boxer e pantaloni mentre lei si ricopre il seno che generosamente mi ha donato. Prima di rialzarsi riprende la borsetta sul sedile accanto, poi in piedi ripulisce il suo labbro dall’ultima piccola goccia di sborra, afferra lo scialle riposto nel cruscotto, e chiude la portiera. Morbida si avvicina alle mie labbra e mi bacia con dolcezza.
: -Te lo dovevo da tanto tempo, grazie mio eroe!
Indossa lo scialle e si incammina da sola verso la sala.
Rimango a guardarla, mentre si allontana, appoggiato alla portiera della sua auto impolverata. La strada su cui sorge il parcheggio è sterrata, d’istinto traccio un cuore sulla polvere accumulata sullo sportello e quando rialzo gli occhi ormai è lontana da me.
Eh già, purtroppo le voci circolavano in fretta in un abitato come il nostro.
Da adolescente hai provato a nascondere la tua natura, ma era palese che non potevi assolutamente reprimerla perché essa usciva ed era giusto che fosse così, e io all’epoca avrei dovuto aiutarti, ma ti ho sempre trattato come un uomo e in questo sbagliavo perché tu non lo volevi. Ingenuamente pensavo che così facendo ti avrei protetto “dagli altri” ma tu non avevi bisogno di un bodyguard ma di un amico. Quel giorno al tramonto eravamo pronti per andare via e mentre guadagnavamo la strada per riprendere i nostri mezzi, qualcuno per ilarità o perché troppo fumato, decise di palpare e commentare il tuo sedere, stretto tra i tuoi jeans attillati, poi non so cosa successe, forse ti sentisti così offesa che decidesti di fare uscire la tua vera te e reagisti colpendo con un ceffone quel tamarro indubbiamente più fumato di tutti. Non sei mai stato tanto scaltro negli sport di difesa personale e al tuo ceffone seguirono due pugni in pieno volto che ti fecero rovinare per terra, la violenza divenne ceca e insensata e quando mi accorsi del trambusto e mi voltai ormai eri già a terra rannicchiato mentre una scarica di calci ti investiva da capo a piedi. Tornai indietro di corsa e spinsi il tuo aggressore, facendolo cadere per terra, mi chinai per vedere come stessi, ma un calcio dietro la schiena mi fece franare su di te:
: - Ora difendi la puttanella del paese, questo è un frocio di merda! Non dirmi che sei frocio anche te…
Per la prima volta capì quanto le parole possano far male, ricordo che mi alzai e mi lanciai su quello stronzo come se fosse un sacco per pugili, non ricordo per quanti secondi le mie nocche si infransero contro il suo volto, ma quando ci separarono la sua faccia era gonfia come una zampogna.
Calò il silenzio, da una parte c’eri a terra tu, con il naso rotto e i sentimenti pesti e dall’altra parte la disprezzata beata ignoranza supina, per terra, e con qualche livido in più. In quel silenzio ti alzasti, ti avvicinasti e mi ringraziasti per poi correre in lacrime verso il tuo mezzo, rincorso da Federica. Metteste il casco e andaste via insieme.
: -Qualche giorno dopo venni a sapere che eri partita per Milano, sono passati 15 anni da quel giorno e ora sei qui, anzi siamo qui, al matrimonio della nostra amica Federica e tu sei “appena appena” differente, rispetto a tanti anni fa.
Lei annuisce ad ogni frase e parola che le smuove quel ricordo, non lo fa con tristezza ma con uno sguardo fiero e virtuoso, appagata dal suo affrancamento da quel contesto meschino in cui si è ritrovata a vivere suo malgrado sin dalla nascita: prima in un corpo sbagliato, poi tra le mura domestiche in cui le persone che avrebbero dovuto proteggerla non l’hanno mai fatto e ancora in un paese bigotto che non l’ha mai accettata. La guardo davanti a me mentre mi ascolta con il bicchiere mezzo vuoto di prosecco tra le mani, orgogliosa e forte del suo presente, gli anelli sulle sue dita scintillano così come i suoi denti bianchi e perfetti. Il volto che ho davanti è cambiato, la cura ormonale a cui si è sottoposto ha reso la sua pelle più soffice e addolcito i tratti del viso, alcuni ritocchi chirurgici le hanno permesso di modificare mento e zigomi favorendo quasi del tutto la scomparsa di lineamenti mascolini, anche la massa muscolare è diminuita assumendo caratteristiche più femminili e ora su quel fisico magro svetta un petto, per quanto proporzionato alla magrezza, ravvisabile che lei mostra disinvolta nella scollatura a v del suo abito rosa cipria a sirena smanicato. La forma pronunciata del bacino si distingue sotto la gonna e non passa certo indifferente, le gambe completamente glabre e lisce, che si scorgono dalla spacco laterale, poggiano su sandali con tacco a spillo a punta aperta impreziositi da fascette argentee che avvolgono i piedi curati e smaltati di bianco. La sua voce è abbastanza femminile, anche se odo ancora una tonalità che un po’ ricorda il suo passato, e scopro ascoltandola quanto sia stato difficile raggiungere un timbro del genere in tutti questi anni, tanto allenamento e sacrifici, oltre che sedute presso la logopedista, insomma del Carlo di un tempo non è rimasto più nulla, almeno fisicamente. Ora è solo Carlotta ed è davvero notevole.
Nella sala, della tenuta in cui ci troviamo, un trenino umano percorre la hall raccogliendo la gente seduta tra i tavoli. La guardo mentre butta giù l’ultima goccia di prosecco, non fa in tempo a posare il calice e a replicare a quanto le ho appena detto che viene accalappiata dal trenino umano che la rimorchia a prendere parte al giro tra il resto dei tavoli a ritmo di musica. La guardo e mi rallegro di vederla finalmente sorridere. La osservo perdersi in fondo alla sala mentre divertita avanza appesa per i fianchi di una delle invitate, ne approfitto per uscire fuori a fumare, incontro altri commensali e scambiamo convenevoli. Il giardino è immenso pieno di roseti di diverso colore e il perimetro è delimitato da grandi palme curate, il clima è fantastico e i raggi del sole riscaldano questa tiepida giornata primaverile e mantengono alto l’entusiasmo in questa storica giornata dedicata a Federica e suo marito. Insomma è tutto magnifico, ma anche le giornate perfette possono diventare assolute e devo dire che la sua la regala quel quid che manca. Nonostante non ci vedessimo da anni, e sebbene fossi preparato alla vista della sua nuova mutazione, rivederla è stato travolgente ed è andato oltre certune aspettative. Tra una boccata e l’altra cerco, oltre le grandi vetrate, il suo abito rosa tra i mille corpi immersi in vestiti dai colori sgargianti che danzano nella sala aggraziati e non, la riconosco in fondo alla sala, si muove in gruppo con un perfetto ritmo musicale rispetto agli altri che le stanno vicini, anche in questo è riuscita a cambiare, non era assolutamente portata per il ballo e diciamocela tutta in discoteca, quelle poche volte che veniva, era goffo e scoordinato. Scoprire ciò mi strappa un sorriso, l’ennesimo della giornata. Rientro in sala e mi dirigo al bar, ordino un gintonic, saluto il fratello di Federica seduto a chiacchierare con altri conoscenti, mi siedo in disparte e sorseggio il mio drink. Mi volto verso la sala e la noto ancora in lontananza ballare, al centro della sala, questa volta assieme alla sposa e sono bellissime. Ad un tratto lei si volta, forse mi cerca, i nostri sguardi si incrociano per un istante, mi imbarazzo e butto giù rapido il mio gintonic, poi al banco ne ordino un altro.
Una pacca sulla spalla mi fa voltare:
:-Ehi vacci piano, sarà una festa lunga!
E’ Roberto il fratello della sposa, gli sorrido e ricambio a mia volta con una pacca calorosa. Mi volto e afferro il mio secondo drink, lo sorseggio. Nuovamente una mano sulla spalla, questa volta delicata accarezza la spalla sinistra, mi volto ed è la sua. E’ stanca e siede sullo sgabello affianco, posa la borsetta sul banco e ordina un vodka lemon, ecco questo è qualcosa che mi ricorda quello che lui, insomma lei vabbè “ei fu”. Glielo faccio notare, ma lei autorevole e diretta replica:
: -Ciò che ci piace non possiamo cambiarlo!
I suoi occhi fermi affondano nei miei, decisi a cercare qualcosa. Sorseggia il drink senza distogliere lo sguardo dal mio, cedo al suo potere e abbasso gli occhi. Quell’imbarazzo le regala le risposte che stava cercando nella mia profondità, e ad un tratto, decisa pianta il bicchiere mezzo vuoto sul banco del bar, toglie il mio dalla mia mano destra e lo pianta accanto al suo. La guardo e lei:
-Esci a fumare con me?
Non le rispondo, lei prende la sua borsetta e si dirige verso il giardino, la seguo senza dire una parola, una volta fuori accendiamo le rispettive paglie e avanziamo in silenzio per il giardino. Poi lei interrompe la quiete e con naturalezza mi chiede di accompagnarla in auto ha freddo e ha bisogno del copri spalle. Quando siamo all’altezza della sua auto, apre con il telecomando la portiera e getta all’interno la sua borsetta, poi il suo sguardo ritorna su di me inequivocabile, la sua mano afferra la mia e l’altra preme sul mio busto calcandomi contro la portiera aperta, la sua testa si avvicina alla mia e le sue labbra sottili si dischiudono e si infrangono contro le mie. Mi bacia lentamente e con dolcezza, evidentemente mi vuole mettere alla prova, vuole essere certa di non essersi sbagliata, ma non lo ha fatto assolutamente. Le mie labbra marcano prontamente le sue con voluttà e non tardano a favorire il contatto tra mucose. Dolcemente prendo le sue guance tra i miei palmi per farle capire che non è un attimo dettato dalle circostanze, ma puro piacere. Lei ricambia con dolcezza e ci troviamo a scambiarci baci alla francese per un tempo abbastanza lungo. Il suo corpo si congiunge al mio e mentre ci scambiamo tutte le carezze che abbiam trattenuto da quando ci siamo rivisti, il suo ventre sfrega contro il mio e avverto fare capolino una sottile e morbida sporgenza. Avverto i suoi occhi incollarsi ai miei è il momento della verità, ora il suo sguardo è eccitato quanto ansioso della mia reazione, ma non è negli occhi che trova la risposta, ma alla stessa altezza del suo ventre dove la mia erezione si manifesta molto più dura rivelando tutto il mio consenso alla sua avvenenza. Soddisfatta sposta le mie mani, ancora sulle sue guance, all’interno della sua scollatura e condivide i suoi seni che palpo con vigore, non sono grandi, ma sono naturali e al tatto non percepisco alcuna forma di protesi. Lei ha un fremito, ma mi lascia fare mentre le sue mani raggiungono la patta, la liberano dalla zip e del bottone e si intrufolano tra le mutande per tastare la mia erezione. Tastare l’asta eretta e palpare le palle gonfie, mi sega violenta e mi scappella con altrettanta boria per sincerarsi del mio appetito e una volta assicuratasene si abbassa e accoglie la cappella nella bocca, la lingua avvolge l’erezione e lentamente le guance ciucciano con foga tutta la mia libidine. Si aggrappa con le mani dapprima ai fianchi rimanendo in equilibrio accovacciata e spinge avanti e indietro la sua boccuccia ben fatta, ingollando con gusto tutti i miei centimetri di uccello. Adagio percepisco i suoi palmi scorrere dai fianchi e stabilizzarsi lungo i miei glutei che vengono tastati e palpati. La odo mugolare apprezzamenti e mi eccito, smodato afferro la nuca e spingo il cazzo nella sua bocca con insistenza, è turgido e lei apprezza le stantuffate profonde. L’eccitazione è forte ma le concedo un momento di pausa ritirando il cazzo salivoso, lei mi guarda dal basso leggermente trafelata ma anche contrita, i suoi occhi sono eccitati e perversi. Passo la mano sull’asta dell’uccello mi sego davanti al suo volto mentre lei osserva soddisfatta sfilando la lingua sulle labbra. La sua immagine mi turba e in un secondo schiaffeggio il suo volto con il mio membro, lei apprezza ancora e allora continuo sfregandole il mio piacere sul volto procurandole gemiti che interrompo quasi subito rispendendo il mio amichetto tra le sue labbra. Affondo la turgida mazza dentro di lei stavolta serrandole la nuca e dopo qualche istante i miei muscoli si irrigidiscono e il mio fratellino sotto spara tutto il seme nella bocca di Carlotta che ingoia da gran maestra non sprecandone nemmeno una goccia. Dopo l’orgasmo furioso i miei muscoli si rilassano, l’affanno viene meno e libero la sua bocca dal mio gingillo ormai moscio, lei prima di lasciarlo andare lo riprende e li ridà un’altra passata prima di abbandonarlo tra le mie mani. Mi tiro su boxer e pantaloni mentre lei si ricopre il seno che generosamente mi ha donato. Prima di rialzarsi riprende la borsetta sul sedile accanto, poi in piedi ripulisce il suo labbro dall’ultima piccola goccia di sborra, afferra lo scialle riposto nel cruscotto, e chiude la portiera. Morbida si avvicina alle mie labbra e mi bacia con dolcezza.
: -Te lo dovevo da tanto tempo, grazie mio eroe!
Indossa lo scialle e si incammina da sola verso la sala.
Rimango a guardarla, mentre si allontana, appoggiato alla portiera della sua auto impolverata. La strada su cui sorge il parcheggio è sterrata, d’istinto traccio un cuore sulla polvere accumulata sullo sportello e quando rialzo gli occhi ormai è lontana da me.
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