Il mio vizietto - 18 (continua)
di
LanA
genere
fisting
Gli eventi che sto per raccontare furono decisivi per quanto è stato il proseguo professionale della mia vita.
Mi trovavo in una città dell’Est, che non sto a specificare per ovvi motivi.
Avevo partecipato ad un evento in un locale, e al termine della serata un paio di tizi mi chiesero se li seguivo per una festa privata.
Declinai gentilmente l’invito e mi avviai verso l’uscita per prendere un taxi e tornare al mio hotel.
Il tempo che passò dal momento che ebbi declinato l’invito al momento che chiamai il taxi era stato molto breve, ma quando aprii lo sportello, e dentro c’era un uomo, rimasi disorientata e senza rendermene conto venni spinta all’interno dell’auto da un altro tizio per poi sentire l’auto partire.
Ero terrorizzata dalla situazione, non potevo urlare perché uno dei tipi mi chiudeva la bocca.
Mi dissero di stare calma, che non mi sarebbe successo niente, e che una volta fatto quel che mi chiedeva sarei stata libera di andare.
Non ero tranquilla perché la cosa era premeditata.
Che l’avessi voluto o no era programmato e la mia presenza era stata decisa da altri.
Ad un certo punto uno dei due prese una maschera del tipo per dormire e me la mise in modo da non farmi vedere dove stavamo andando.
Viaggiammo una mezzora buona, prima di arrivare a destinazione.
Mi fecero scendere raccomandandomi di stare tranquilla, che tutto sarebbe filato liscio.
Mi fecero entrare in uno stabile, senza però farmi togliere la maschera.
Quando fummo dentro finalmente mi dissero che mi avrebbero tolto la maschera.
Non appena la vista mi permise di guardare attorno, mi ritrovai in una stanza molto ampia, attrezzata come una sala delle torture.
Questo mi diede ancora più ansia, ma quello che colpì il mio sguardo era che ad una delle panche, legata per bene e imbavagliata, c’era una donna tra i trentacinque e i quaranta e nessun altro.
Mi girai verso i miei accompagnatori guardandoli basita.
A quel punto mi spiegarono che io, vista la mia esperienza professionale, e gradita a chi mi aveva richiesta, avrei dovuto impartire una lezione alla tipa legata.
Mi dissero solo che qualcuno stava a guardare anche se non lo vedevo, comunque c’erano uomini che avrebbero partecipato e un’altra donna specializzata pure lei per certi tipi di lavoretti.
Ero sollevata da un lato, ma al tempo stesso preoccupata, mi chiedevo perché quella donna doveva essere punita in quel modo, e quale era il livello di punizione da infliggergli.
Era solo un gioco tra sottomessa e padrone, o la questione differente?
Mi dissero di seguirli, che volevano che mi cambiassi con abiti più consoni al momento.
Andammo in una stanza adiacente, adibita a camerino per l’occasione, e trovai un abito in latex, un paio di scarpe con tacchi vertiginosi, guarda caso della mia taglia. Oltre a questo, mi fecero indossare una maschera sempre in latex, come se non dovessi essere riconosciuta.
Una volta pronta mi dissero che sarebbe stato filmato tutto, ma che le telecamere erano posizionate alle pareti sopra di noi, di conseguenza non ci sarebbe stato nessun operatore intorno.
L’ordine era infliggere non dolore fisico come tortura, ma quel tipo di dolore che nel sesso ti porta poi a godere.
Come dire se un vibratore classico piantato nel culo di una persona sfondata come me fa solletico, ecco che serve qualcosa di più consistente per far si che senta l’azione di sfondamento.
Ero in quel momento la padrona di quella donna e avrei dovuto fargli tutte quelle cose che avevano fatto a me in più occasioni, ma non sapevo se ne fossi capace.
Ero sempre stata io a ricevere l’attenzione, e difficilmente a darla ad altri, a meno che fossero cazzi da ingoiare o farmeli sparire dentro di me.
A parte qualche occasione lesbo, dove ero arrivata a fare del fisting, come nel caso della cuginetta di mio marito.
Mi trovavo in una città dell’Est, che non sto a specificare per ovvi motivi.
Avevo partecipato ad un evento in un locale, e al termine della serata un paio di tizi mi chiesero se li seguivo per una festa privata.
Declinai gentilmente l’invito e mi avviai verso l’uscita per prendere un taxi e tornare al mio hotel.
Il tempo che passò dal momento che ebbi declinato l’invito al momento che chiamai il taxi era stato molto breve, ma quando aprii lo sportello, e dentro c’era un uomo, rimasi disorientata e senza rendermene conto venni spinta all’interno dell’auto da un altro tizio per poi sentire l’auto partire.
Ero terrorizzata dalla situazione, non potevo urlare perché uno dei tipi mi chiudeva la bocca.
Mi dissero di stare calma, che non mi sarebbe successo niente, e che una volta fatto quel che mi chiedeva sarei stata libera di andare.
Non ero tranquilla perché la cosa era premeditata.
Che l’avessi voluto o no era programmato e la mia presenza era stata decisa da altri.
Ad un certo punto uno dei due prese una maschera del tipo per dormire e me la mise in modo da non farmi vedere dove stavamo andando.
Viaggiammo una mezzora buona, prima di arrivare a destinazione.
Mi fecero scendere raccomandandomi di stare tranquilla, che tutto sarebbe filato liscio.
Mi fecero entrare in uno stabile, senza però farmi togliere la maschera.
Quando fummo dentro finalmente mi dissero che mi avrebbero tolto la maschera.
Non appena la vista mi permise di guardare attorno, mi ritrovai in una stanza molto ampia, attrezzata come una sala delle torture.
Questo mi diede ancora più ansia, ma quello che colpì il mio sguardo era che ad una delle panche, legata per bene e imbavagliata, c’era una donna tra i trentacinque e i quaranta e nessun altro.
Mi girai verso i miei accompagnatori guardandoli basita.
A quel punto mi spiegarono che io, vista la mia esperienza professionale, e gradita a chi mi aveva richiesta, avrei dovuto impartire una lezione alla tipa legata.
Mi dissero solo che qualcuno stava a guardare anche se non lo vedevo, comunque c’erano uomini che avrebbero partecipato e un’altra donna specializzata pure lei per certi tipi di lavoretti.
Ero sollevata da un lato, ma al tempo stesso preoccupata, mi chiedevo perché quella donna doveva essere punita in quel modo, e quale era il livello di punizione da infliggergli.
Era solo un gioco tra sottomessa e padrone, o la questione differente?
Mi dissero di seguirli, che volevano che mi cambiassi con abiti più consoni al momento.
Andammo in una stanza adiacente, adibita a camerino per l’occasione, e trovai un abito in latex, un paio di scarpe con tacchi vertiginosi, guarda caso della mia taglia. Oltre a questo, mi fecero indossare una maschera sempre in latex, come se non dovessi essere riconosciuta.
Una volta pronta mi dissero che sarebbe stato filmato tutto, ma che le telecamere erano posizionate alle pareti sopra di noi, di conseguenza non ci sarebbe stato nessun operatore intorno.
L’ordine era infliggere non dolore fisico come tortura, ma quel tipo di dolore che nel sesso ti porta poi a godere.
Come dire se un vibratore classico piantato nel culo di una persona sfondata come me fa solletico, ecco che serve qualcosa di più consistente per far si che senta l’azione di sfondamento.
Ero in quel momento la padrona di quella donna e avrei dovuto fargli tutte quelle cose che avevano fatto a me in più occasioni, ma non sapevo se ne fossi capace.
Ero sempre stata io a ricevere l’attenzione, e difficilmente a darla ad altri, a meno che fossero cazzi da ingoiare o farmeli sparire dentro di me.
A parte qualche occasione lesbo, dove ero arrivata a fare del fisting, come nel caso della cuginetta di mio marito.
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