La segretario dello studio accanto
di
gfranco
genere
masturbazione
Accanto allo studio dove lavoravo c'era un via e vai di gente. Si occupavano di pratiche automobilistiche: dal passaggio di proprietà alla rottamazione o comunque ciò che gravitava attorno alle auto. Due impiegate ancora giovani. A volte mi trovavo davanti a loro, quando a turno si recavano al bar di sotto. Una aveva apparentemente poco più di trenta anni, sembrava la responsabile. Ben vestita, unghie con lo smalto, un piccolissimo tatuaggio sul piede e capelli corti. Sembrava carina, senza tette e non tanto alta. L'altra più giovane sui venti anni o poco più. Ragazza espansiva, ben fatta, gonne corte, calze nere e seni prorompenti. A differenza della trentenne, con la quale non facevo parola, salvo un breve saluto di rito, con la ragazza ci parlavavo, scherzavo e ci provavo, anche se a vuoto....forse non ero il suo tipo.
Un giorno la trentenne, che poi disse di chiamarsi Miriam, forse incuriosita dalla collega che le aveva parlato di quel corteggiatore al bar, si era lasciata fare quattro chiacchere. L'avvenimento era una novità, tanto che mi ripromisi di uscire con l'ombrello, sarebbe sicuramente piovuto per il fatto che la Miriam aveva parlato con me. Altre volte, l'avevo incontrata poi al bar, nei corridoi o nell'assensore, disposta a chiaccherare, anche se stavo attento a non straffare o metterla a disagio. Un giorno, salendo in ascensore le erano caduti dei fogli o probabilmente delle pratiche. L'avevo aiutata a raccoglierli e mentre si era chinata per fare la stessa cosa, mi ero accorto che aveva un sedere promettente. Mi aveva ringraziato per la collaborazione e ribadito come poteva ricambiare per il favore, forse così tanto per sembrare educata. Prontamente, a costo di fare una figura meschina, le ho detto se veniva una sera in pizzeria con me. Non mi aveva detto di no, ma che le lo avrebbe detto quando e come. Nel frattempo era passato quasi un mese e mi sà che la pizzeria me la potevo scordare, forse non si ricordava più della sua promessa, a mio avviso tarocca. Poi un giorno, in assensore e senza farsi vedere dall'altro signore che saliva, mi mette in tasca un bigliettino. In pratica mi dice di andarla a prendere la sera, sotto casa, indirizzo e telefonino per eventuali problemi. Ero tutto elettrizzato. La sera sono andato a prenderla, da cavaliere le ho aperto la porta dell'auto e siamo andati finalmente in pizzeria. Mi diceva che era fidanzata con un ragazzo, spesso via per lavoro e con il quale era di fatto costretta a vedersi due o tre volte la settimana. Aveva cominciato a fare confidenza e nel ritornare indietro le avevo dato un veloce bacio. Ci eravamo accostati e poi lei, sicura di sè, con la complicità del buio, mi aveva sbottonato i pantaloni. Le avevo messo le mani tra i pochi seni, aperto la camicetta, spostato il reggiseno e mi ero messo a baciarli. Mentre lei stava masturbando il mio pene e lo faceva in maniera veloce, oltre che leggera, mi piaceva. Poi con la bocca vellutata si è chinata per farmi un pompino, in tal senso sembrava avere ereditato l'arte di rendere felice il pene. Con la lingua e le labbra continuava ad ingoiarlo. Le sono venuto in bocca, ma una parte dello sperma mi è caduto tra i pantaloni. Non ci siamo neanche parlati, poi l'ho scaricata davanti casa, sono uscito all'auto per essere sicuro che entrasse nel portone senza problemi o cattivi incontri. Mi ha dato un bacio e poi salutato. Da allora ci siamo ancora rivisti, parlati, ma mai più incontri fuori dal suo ambiente. Forse è stato un suo momento di debolezza, di cui deve di sicuro esserne pentita.
Ecco una che mi ha subito scaricato, senza darmi la possibilità di frequentarla. Anche questa è la vita. Un giorno, confidandomi con un collega d'ufficio gli ho raccontato il fatto ed anche lui, con la Miriam ha più o meno fatto la stessa cosa, per poi essere scaricato. Sembra che la signorina Miriam non avesse il fidanzato ed ogni tanto si scaricasse con qualcuno che conosceva appena, per fargli un pompino o una sega, per poi tornare alla vita di sempre.Qualcuno in ufficio, come secondo nome l'aveva denominata la pompinara per la sua capacità di resuscitare anche i peni più molli e difficili da trattare. Altri la chiamavano bocca di rosa, come nella canzone di De Andrè. Mai avrei immaginato che una signorina così distinta avesse avuto quella propensione per gustare un pene al posto di un cono gelato.
Un giorno la trentenne, che poi disse di chiamarsi Miriam, forse incuriosita dalla collega che le aveva parlato di quel corteggiatore al bar, si era lasciata fare quattro chiacchere. L'avvenimento era una novità, tanto che mi ripromisi di uscire con l'ombrello, sarebbe sicuramente piovuto per il fatto che la Miriam aveva parlato con me. Altre volte, l'avevo incontrata poi al bar, nei corridoi o nell'assensore, disposta a chiaccherare, anche se stavo attento a non straffare o metterla a disagio. Un giorno, salendo in ascensore le erano caduti dei fogli o probabilmente delle pratiche. L'avevo aiutata a raccoglierli e mentre si era chinata per fare la stessa cosa, mi ero accorto che aveva un sedere promettente. Mi aveva ringraziato per la collaborazione e ribadito come poteva ricambiare per il favore, forse così tanto per sembrare educata. Prontamente, a costo di fare una figura meschina, le ho detto se veniva una sera in pizzeria con me. Non mi aveva detto di no, ma che le lo avrebbe detto quando e come. Nel frattempo era passato quasi un mese e mi sà che la pizzeria me la potevo scordare, forse non si ricordava più della sua promessa, a mio avviso tarocca. Poi un giorno, in assensore e senza farsi vedere dall'altro signore che saliva, mi mette in tasca un bigliettino. In pratica mi dice di andarla a prendere la sera, sotto casa, indirizzo e telefonino per eventuali problemi. Ero tutto elettrizzato. La sera sono andato a prenderla, da cavaliere le ho aperto la porta dell'auto e siamo andati finalmente in pizzeria. Mi diceva che era fidanzata con un ragazzo, spesso via per lavoro e con il quale era di fatto costretta a vedersi due o tre volte la settimana. Aveva cominciato a fare confidenza e nel ritornare indietro le avevo dato un veloce bacio. Ci eravamo accostati e poi lei, sicura di sè, con la complicità del buio, mi aveva sbottonato i pantaloni. Le avevo messo le mani tra i pochi seni, aperto la camicetta, spostato il reggiseno e mi ero messo a baciarli. Mentre lei stava masturbando il mio pene e lo faceva in maniera veloce, oltre che leggera, mi piaceva. Poi con la bocca vellutata si è chinata per farmi un pompino, in tal senso sembrava avere ereditato l'arte di rendere felice il pene. Con la lingua e le labbra continuava ad ingoiarlo. Le sono venuto in bocca, ma una parte dello sperma mi è caduto tra i pantaloni. Non ci siamo neanche parlati, poi l'ho scaricata davanti casa, sono uscito all'auto per essere sicuro che entrasse nel portone senza problemi o cattivi incontri. Mi ha dato un bacio e poi salutato. Da allora ci siamo ancora rivisti, parlati, ma mai più incontri fuori dal suo ambiente. Forse è stato un suo momento di debolezza, di cui deve di sicuro esserne pentita.
Ecco una che mi ha subito scaricato, senza darmi la possibilità di frequentarla. Anche questa è la vita. Un giorno, confidandomi con un collega d'ufficio gli ho raccontato il fatto ed anche lui, con la Miriam ha più o meno fatto la stessa cosa, per poi essere scaricato. Sembra che la signorina Miriam non avesse il fidanzato ed ogni tanto si scaricasse con qualcuno che conosceva appena, per fargli un pompino o una sega, per poi tornare alla vita di sempre.Qualcuno in ufficio, come secondo nome l'aveva denominata la pompinara per la sua capacità di resuscitare anche i peni più molli e difficili da trattare. Altri la chiamavano bocca di rosa, come nella canzone di De Andrè. Mai avrei immaginato che una signorina così distinta avesse avuto quella propensione per gustare un pene al posto di un cono gelato.
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Commenti dei lettori al racconto erotico