La ragazza di Ipanema - 2

di
genere
saffico



Siamo nel parcheggio illuminato dai fari, protetto dalla guardia giurata con mitra in spalla. I due pulmini del villaggio partiranno tra poco, non possono aspettare di più, ma eccola che arriva ed a me si resetta il mondo: rimango senza audio, li osservo salutarla e stringersi attorno a lei, vedo le loro risate, i suoi jeans attillati, le scarpe da ginnastica, lo zainetto in spalla e la canottiera nera con l'agata verde al collo. Mi pare d'essere altrove, d'essere stata risucchiata in un'altra dimensione. Mi riporta a terra il suo sguardo: mi cerca da sopra le teste e s'accende quando mi vede.
Il viaggio sul pulmino stipato è noioso per tutti. Siamo sedute in fondo, a Sonia non va di parlare, ha un velo di tristezza che la stringe in gola: fissa la notte fuori dal finestrino, le ombre nere che s'allontanano e le violente luci dei continui posti di blocco. Questo profilo me lo ricorderò per tutta la vita. L'abbraccerei ma qui non posso; spingo la coscia contro la sua: “Che hai?”
Si sposta i capelli dietro l'orecchio con un gesto di rabbia. “È un bastardo! Non so perché lo...”
Le stringo la mano per fermarla. “Ora non pensarci.”
Tira su col naso: “Non puoi capire!”
M'allungo verso l'orecchio e le sussurro. “Ci siam passate tutte, cosa credi? E non provare a far la vittima con me, almeno il tuo ce l'ha grosso.”
La sua risata risveglia il pulmino, si voltano tutti indietro.
S'asciuga gli occhi. “Mi fai morire.”
Le faccio segno d'avvicinarsi, che ho altro segreto da dirle. Si protende verso me offrendomi l'orecchio; soffio delicatamente e poi glielo lecco con la punta della lingua.
“Scema!” si tira indietro, ma ormai mi ama.

I cammelli puzzano come solo i cammelli possono puzzare. Sonia mi strattona indietro per lo zainetto quando mi metto a contrattare per scherzo col beduino: “Sei matta?! Vieni via, io non ci salgo nemmeno se mi pagano, dai non scherzare.”
Mi allontana a braccetto. M'annusa il collo: “Cazzo, senti che puzza!, t'è bastato avvicinarti.” Mi sfrega collo e mani con salviettine umidificate e mi spruzza addosso il profumo d'un campioncino pubblicitario. Il finto beduino per turisti, accovacciato sui talloni, ci osserva divertito.
“Merda, puzzo come una puttana! Cazzo ti sei portata dietro?”
“Il minimo indispensabile!” Mi chiude la felpina. “E non è vero, ora sai di buono.”
Il bacetto sulle labbra è improvviso come una sincope al cuore. Mi stordisce lasciandomi di sale. La vedo allontanarsi sul sentiero. Sulla lieve salita si china leggermente in avanti facendo forza sulle gambe snelle, fasciate dai jeans.
Il vecchio beduino ora mi guarda torvo; problema tuo se non sai riconoscere la bellezza dell'innocenza, vorrei potergli dire e mandarlo fanculo, ma il problema è in realtà delle figlie di questo mondo. Di tutte le figlie di tutto questo mondo di merda.

Camminiamo appaiate seguendo la lunga carovana, le braccia abbandonate lungo i fianchi, le sue dita intrecciate alle mie. È una notte senza luna e la luce che illumina il sentiero e svela i monti attorno noi è quella delle stelle. Sono miliardi, mai viste così tante!, e vibrano lontanissime nel cielo vastissimo.
E noi vibriamo di quiete in questa tenue luce che non fa ombre, silenziosa come le nostre anime. Ci giungono dal nulla il belato lontano d'un capretto, il profumo di tè alla menta al primo campo base, un canto arabo, l'odore di sabbia ed erba secca, lo scricchiolio dei ciottoli sotto le nostre suole.
Ad un tornante abbandono il sentiero. Sonia mi segue titubante dietro un grosso masso. Qui ci vedono solo le stelle ed io le divoro il viso di baci.

Vogliamo nasconderci anche in cima al monte e troviamo un terrazzino tutto per noi dove aspettare l'alba.
Il freddo si fa sempre più intenso man mano che si schiarisce l'orizzonte. Sonia è imbacuccata sotto felpina e felpona, io riesco a pensare solo al mio letto ed al tepore del suo corpo.
“Cazzo, ma quanto ci vuole ancora? Io gelo. Senti che mani.” Mi carezza il viso. “Fammele scaldare.” Me le infila sotto la felpa sollevandomi la maglietta.
“No!!! Ferma, no, ti prego!”
“Non urlare.” Mi chiude la bocca con un bacio.
Si siede cavalcioni sulle mie cosce ed ondeggia il bacino mentre mi fissa nel buio. “Lasciati toccare.” Mi cerca i seni: le mani ora sono meno fredde e sono gentili, mi carezzano cieche e sfiorano i capezzoli, ma sento che possono essere bastarde come i maschi. Mi ribacia mugolando. “Mi piaci da morire, Lucy.” Mi morde al collo e ridacchia. “Chi l'avrebbe mai detto? Io eccitarmi così per una ragazza!”. Tuffa il viso fra i capelli e finge di starnutire, “Puzzi davvero da puttana!”
Si sposta un poco di lato e strofina il pube sulla mia coscia. Avanti indietro, le sostengo con entrambe le mani il culetto blindato nei jeans. “Posso?” Si scosta indietro di qualche centimetro e fa scivolare la punta delle dita sul mio ventre, solleva l'elastico dei pantaloni di felpa e le infila nella mutandine. Non respiro nemmeno. Sonia mi succhia il collo, struscia le labbra sulla guancia fino all'orecchio, lenta come una lumaca, mentre mi tocca ed apre: “Senti come sei calda, uhmmm, posso?”
Non posso risponderle, il ditalino che mi fa è da maledetta. Mi sudano le tempie e vorrei poter gridare; m'incollo alla sua bocca e l'abbranco tutta.
Quando mi riprendo, il respiro stenta a tornarmi regolare e gli occhi sono appannati: li metto a fuoco fissando le mezzelune che brillano attorno alle sue iridi nere, illuminate dai raggi delle stelle al tramonto. Cazzo se l'amo. “Tu sei tutta scema! Qui non si può, ci sbattono in galera o peggio.”
Si ripulisce con una salviettina. “Esagerata!, intanto ti sei scaldata.”
“Grazie al cazzo, tu mi mandi a fuoco.”
Mi sposta i capelli dietro al collo. “... ti adoro quando fai l'incazzata.”
Figa, sta tremando. “Hai freddo?” La sistemo bene in braccio, con le gambe di lato, e l'abbraccio forte. La soffocherei, sono troppo morbidi questi seni. “Va meglio ora?” Le friziono forte i jeans.
Mi indica delle ombre venti metri più in basso. “Forse hai ragione, non dovremmo qui.” Cerca di levarsi. “No dai, lasciami, non ora... domani al villaggio, è più tranquillo lo sai, dormiamo insieme, ho voglia, giuro, ma non qui... Fa' la brava.”
Ho un capogiro, la sogno nuda gambe aperte sulle mie lenzuola. “Okay, non è consigliabile lesbicare in pubblico, ma adesso noi stiamo solo cercando di scaldarci.” Faccio scivolare la mano lungo la cucitura dei jeans e la chiudo a coppa contro il monte di venere. “Voglio succhiartela.”
“No, non fare la cretina, basta!”
“Spiegami un po' come funziona: tu puoi toccarmi ma io no?!” La sfrego e premo forte con le dita unite, fingendo di penetrarla. “Non dirmi che questa la tieni solo per il tuo cazzone.”
Uggiola fra i denti, mi tira per il collo e sussurra: “Te l'ho già detto, tu sei una cazzodipendente, pensi solo all'uccello.”
“Io o tu?!! Io ora stavo pensando alla tua passerina.” Ma lascio perdere e le massaggio le spalle.
“Ho qui una cosa!” Si piega all'indietro inarcando la schiena per raccattare lo zainetto. La sostengo col braccio sotto e le carezzo il pancino sottile. Da una tasca tira fuori una borraccia, piccola, di metallo lucido, e si raddrizza esageratamente a fatica. Me la stappa sotto il naso.
“Vodka?!!!”
“Ho portato il minimo indispensabile!” Ne beve un sorso regalandomi l'istantanea del suo profilo contro lo stelle. Anche il suo collo è un amore. “Ne vuoi?”, mi chiede.
“Cazzo se la voglio!” Me ne dà un sorso sbrodolandomi. La vodka brucia in gola e mi scorre sulle labbra gonfiandomele.
Me le lecca. “Mi piace baciarti, sei liscissima.”
“Ci credo, tu limoni solo con testosteronati con la barba di due giorni.”
“Chiamami scema.” Ritira la vodka e dà una bottarella al tascone. “Questa qui ci salverà stanotte.”
“Lo sai che qui è illegale anche l'alcol?”
“Uff, siamo due pericolose delinquenti.”
Mi prende la mano e se la porta fra le cosce. Se la tiene premuta e m'insegna come massaggiargliela. Mugola di piacere dicendo porcate ridicole ma liberatorie. Poi s'alza in piedi, gambe larghe, e fa saltare il bottone dei jeans a dieci centimetri dal mio viso. Cerco il cursore, la mia mano trema più di lei. Poi il rumore della zip che s'apre è l'unico nella notte.

Siamo sbronze di vodka, dice d'aver bevuto come un cammello, ma a duemiladuecento metri nel deserto le nostre menti sono limpidissime, vuote e libere come il cielo che si sta schiarendo. Mi pare d'aver acquisito i super poteri, potrei dire quanti sono i granelli di sabbia.
“Daniele è uno stronzo.”
“Lo so.”
“Tu non puoi saperlo.”
“Invece lo so.”
“No, non puoi sapere che stronzo è!”
“Scommetti che lo so?”
“Okay!, cosa scommettiamo?... la vodka è finita.”
“Non saprei.”
“Visto che tu non sai un cazzo?! Ci scommettiamo una pizza, okay?... Ora dimmi quanto è stronzo.”
“Facile indovinare, eri tutta incazzata sul pulmino. Mi sa che quello t'ha salutata spaccandoti il culetto a novanta contro la porta. Ma tu stai incazzata perché sei gelosa: in questo momento si starà scopando quella di Napoli, che guarda caso non è venuta alla gita... Indovinato?”
“... No.” Fa l'imbronciata.
“Non se la sta trombando?”
Ora si finge ubriaca: “No, hai sbagliato.... m'ha inculata in doccia! Whowwww!”
“E sarei io la cazzodipendente?”
“A te piace?”
“Daniele?”
“No, si!, dico prenderlo in culo.”
“Hai bevuto troppo, cucciolina mia, sei diventa volgare.”
“È una bella scusa, ahah!... ma meglio che tu lo sappia subito! Sono porca, gli lascio fare cose che tu non hai idea.”
“Sarà. Per te io non so mai nulla.”
Gioca coi miei anelli. “Non mi hai risposto: lo prendi o no?”
“Tu cosa dici?”
“Che sei peggio di me e che vorresti che ti prestassi Daniele, ahaha!”
“Sonia!, non puoi trattarlo così! Vabbè che c'ha solo due neuroni con la sindrome di Priapo, ma non puoi trattarlo come un animale da monta!”
“L'hai detto tu, gli uomini servono solo per quello.” Ha una botta di sbornia triste, s'asciuga l'angolo dell'occhio. “È un animale, giuro! E io più di lui... Scusami, non volevo stressarti coi miei casini, minchia, mi sento sempre tutta sbagliata! Cazzo, che cretina!... Non ne ho mai parlato con nessun'altra. Mai!, nemmeno con la mia amica, me ne vergogno. Invece con te è diverso, sento di potermi fidare e che tu puoi capirmi.”
“Già, ma forse è solo perché pensi che io sia una troia.”
“Noooo!” Mi stringe il viso, le ridono gli occhi bellissimi “No, solo un pochino!... Non incazzarti, ma anche tu!, scopare con quello di Padova!...”


“Io muoio, ma quand'è che viene fuori 'sto sole???”
“Vuoi che ci spostiamo là dietro? È più riparato.”
“No, dobbiamo assolutamente vedere il primo raggio ed esprimere il desiderio.”
“Questa mi suona nuova.”
“Qual è il tuo?”
“Non so se m'è concesso, sparirebbero dalla faccia della terra qualche milione di stronzi.”
“Non funziona così, bisogna chiedere cose possibili.”
“Tipo?”
“Svegliarmi una mattina e far colazione con te.”

Dopo un'eternità, d'improvviso appare il sole ed il mondo grigio attorno a noi si colora di colori impensabili. I suoi raggi ci trapassano gelidi come lame.
Osserviamo ipnotizzate le ombre che si rincorrono e danno corpo alle montagne scheggiandole in precipizi e pinnacoli, mentre il cielo s'allunga nell'azzurro sempre più intenso ed il calore ci avvolge tiepido. È un paesaggio che si sta disegnando nelle nostre anime.
Ci dicono di scendere in fretta, tra poco il sole non perdonerà.
Saltelliamo leggere e veloci su un sentiero che stanotte non abbiamo visto, rosso ed arancione, tagliato sul fianco d'una montagna gialla lungo il bordo di una gola profonda, un precipizio di massi incastrati. L'aria è pulitissima e senza consistenza, gli intensi profumi dei ciuffi d'erba selvatica ci raggiungono da dieci metri di distanza, ed il sole comincia a picchiarci in testa.
Mi fermo ad un tornante, Sonia mi tampona e mi preme addosso con tutto il corpo per vedere. Sotto di noi, nella valle di polvere e sassi, un rettangolo cintato da mura sgretolate miracolosamente colorato di vegetazione: è il Monastero di Santa Caterina, antico come una favola senza tempo.
Mi spintona. “Presto, dai, scendiamo!”



Mi fermo di fronte allo specchio, mi vedo bella.
Rimango a lungo sotto la doccia, mi ci vuole, e non capisco se sono stanca o carica. Sorrido abbracciandomi sotto il getto d'acqua, certe scopate ti distruggono. Non asciugo i capelli e mi coccolo con le creme.
Scelgo bikini bianco e pareo turchese per uscire. La vacanza è ormai finita, Sonia insiste che mi trasferisca io e che vada ad abitare da lei, a Firenze. Lavoreremmo insieme, dice che non ce ne sarà più per nessuno. Non so, preferirei che venisse lei a star da me.
Anche questo pomeriggio il cielo è azzurro luminoso. Boh, credo che mi mancherà questo villaggio dove non sanno fare gli spritz. Aggiro la piscina oceanica e scendo verso il mare. Sonia m'aspetta sotto l'ombrellone.
Ride come una matta: “Guarda chi si rivede!”
“Ciao.”
“Come siamo serie oggi!, e che occhiaie! Che t'è successo?” Ha gli occhiali neri, tiene il dito tra le pagine del libro.
Mi chino per baciarla cercando di dissimulare la rigidità. “Non fare la stronza.”
“Si, in effetti prima è passato Daniele e m'ha detto qualcosina. Ahaha! Direi che adesso è anche un problema tuo!”
Mi seggo sul suo lettino. Incrocia le gambe per farmi posto “Lascia perdere... Comunque sono offesa, perché non sei rimasta?”
“Sono timida, lo sai, e poi non volevo disturbare.”
“Vaffanculo.”
“Oooh! Mi piaci incazzata ma non devi offendermi.”
“Allora vaffanculo amore.”
“Grazie, ti amo anch'io... Ti sei decisa?? Vieni a Firenze? Non farmi spostare. È più bella di Milano... e c'è anche lui, abita vicino.”
“Adesso come adesso, se vuoi convincermi non devi certo ricordarmi Daniele!”
Sorride da furba. “Non provare a far la vittima con me.”
Mi alzo. “Vado al bar a prendere qualcosa. Tu cosa vuoi?”
“Uno spritz, qui è buono... Ma attenta!, ti controllo da qui, sei troppo figa in bikini.”
“Non capisci un cazzo, qui lo spritz è imbevibile.”
La ribacio sulle labbra. Cazzo se l'amo.
Mentre m'allontano la sento canticchiare.
É ela menina
Que vem e que passa
Num doce balanço, a caminho do mar...
scritto il
2024-07-29
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