Gli Sconnessi Sposi
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genere
gay
Concitato per lo sdegno di chi ha subito un torto e sente l'impellenza di porvi rimedio, Lorenzo Tramaglino, detto Renzo, camminava a passi lunghi, scalciando le zolle e falciando i ciuffi d'erba sui bordi del sentiero che lo riconduceva al paese natio e, come chi è aduso a trovar conferma e coraggio nelle proprie parole, parlava tra sé e sé, ad alta voce, incurante che qualcuno potesse sentirlo, facendosi domande e dandosi risposte con la semplicità di chi non può comprendere quanto il mondo possa essere complicato ed avverso.
“Deh! Questo matrimonio non s'ha da fare? E chi sei tu per dirlo? La giustizia non vale forse per tutti? Che giustizia sarebbe altrimenti? Poi c'è modo e modo, di grazia! Ci si siede e si discute insieme, così si farebbe tra gente timorata, cos'è questa prepotenza? Crede forse che io, ancor giovine e carico di belle speranze, brami ad imbrigliarmi per tutta la vita con quella muta di Lucia e colla chiacchierona di sua madre? No no, non sono io che parlo, è la rabbia. Questa cosa m'ha fatto uscir di senno e m'offusca il giudizio: per me Lucia è una grazia e le sue parole sono rare perché preziose, ancor più preziose per uno scriteriato qual sono io, e Agnese sarà, per un avventato come me, una brava madre, solo si limitasse nel parlare!... No, Signoria Vostra, io voglio sposare Lucia sopra qualsiasi cosa, avrei dovuto rispondere. Ma, ahimè, Don Rodrigo vede lungo, anche se prepotente è pur sempre un signore ch'ha studiato, e m'ha aperto gli occhi: oggi mi s'è spento il fuoco dell'amore e temo, per la verità, che sia sempre stato un focherello assai tiepido! Ma, mi domando io, da quando è divenuta creanza comportarsi in questa maniera con un bravo giovine che aveva deciso d'accasarsi con una timida compaesana per por termine all'età della spensieratezza e della dissoluzione? Sposarsi è nell'ordine delle cose, e nemmeno un prepotente qual Don Rodrigo può sovvertirlo! Ci sarà pur qualcuno disposto a difendermi da costui. M'occorre un avvocato ben istruito e vedremo una volta per tutte se la legge non è uguale per tutti!”
Così Lorenzo, detto Renzo, procedeva borbottando come i fagioli in una pentola di terracotta: inseguito dai suoi affanni non s'accorse della voce che l'interrogava. Troppe nubi oscuravano il cielo sopra la sua testa, quello di Lombardia ch'è bello quand'è bello, perché il nostro incerto eroe se n'avvedesse.
Lo sconosciuto dovette ripeter il richiamo.
“È questa la via per Troia?”
Lo stupore per l'insolita domanda ed ancor più per l'abbigliamento del pellegrino azzittì d'un lampo tutte le preoccupazioni che tormentavano il povero Renzo. Gli si parava davanti un uomo forte ed armato di lunga picca, sicuro guerriero, con un alto elmo dorato assicurato sotto la barba nera e riccia. Da quando i soldati si vestono in tal guisa? Si domandò il sempliciotto ch'aveva assistito alla prima calata dei lanzichenecchi. L'armatura era di cuoio e metallo lucente, assicurata alla vita da robusta cintura, ma era corta sulle cosce, nude e guizzanti di muscoli torniti. Da giovine beneducato sapeva che non è buona creanza fissare le altrui stranezze, ma il vigore dello sconosciuto, il volto volitivo, l'ampio torace e le forti gambe ignude incuriosivano oltre misura il nostro Renzo, destinato alla tiepidezza d'una vita con Lucia.
“Non mi rispondi? Sei forse alleato dei Troiani, miei fieri nemici?”
“No, mi perdoni gentile messere, è solo che siamo gente di paese non avvezza ad incontrare simil guerrieri. E mi duole confessarle che ahimè non sono istruito, non ho sapienza di dove si trovi Troia, città della quale ho però udito la storia.” Rispose con malcelata modestia.
“Dove mi trovo?”
“Nei Promessi Sposi, io sono Lorenzo Tramaglino, detto Renzo.”
“Mai sentiti.”
“Perdoni l'insolenza, forse non è più costume presentarsi fra viandanti?”
“Sono il pelide Achille, eroe dei Mirmidoni, trascinato in guerra per vendicare l'onore di Menelao.”
“Ma guarda cosa mi va riservare il destino! Io semplice paesano che incontro sulla mia via un eroe. E che eroe! La prego, se non ha urgenza di correr alla guerra e di falcidiar nemici, si fermi ancora un poco con me per narrarmi le sue avventure, ché questa mia terra ne è avara, a parte signorotti prepotenti, assassini divenuti frati, carestia, rivolte cittadine, orde di mercenari, peste ed innominabili potenti. È un periodo assai monotono il nostro.”
“Alcuna urgenza ho io fra i mortali: Achille corre quando lo convocano gli dei. Cosa vuoi sapere?”
“Le donne, i cavalier, le arme, gli amori, tutto vorrei udire! E di Elena che mi racconta, sia gentile, vorrei saper quant'era bella!”
“Elena?”
Il prode si sfilò l'elmo e si sedette su un masso levigato sul ciglio del viottolo.
Erano i resti di una pietra miliare che nulla o poco più conservavano dell'antica gloria; uno di quei cippi deposti in epoca romana per tener conto delle distanze sulle vie percorse dalle vittoriose legioni dell'Impero, ma che già nel Seicento erano per la maggior parte scomparsi, divelti da villani facinorosi senza cognizione del passato o sotterrati dalla polvere dei secoli a causa del sopraggiungere del lungo periodo delle invasioni barbariche seguito da un ancor più lungo ed oscuro periodo in cui si perse ricordo del… Ma forse preferite sentire cos'ha da dirci di Elena.
Achille, stanco d'avventure e guerre, raccontò a Renzo come gli eroi solevan farlo la sera riuniti attorno al foco, deposte le armi e sedati gli animi.
“Bellissima come una dea è Elena ed è inconsapevole strumento del destino, senza colpe incatena ogni uomo e provoca guerre che nemmeno la tempesta che ha scatenato Poseidone quando Odisseo gli ha accecato Polifemo può eguagliare. Innumerevoli sono i valenti uomini, re e guerrieri, ai quali ha ottenebrato la vista e irretito le coglia a cominciar dal mitico Teseo, il re di Atene. L'eroe che uccise Minotauro non resistette alla vista di Elena e con l'amico Piritoo la rapì e la portò in Africa. Il prode Teseo non poté opporsi ad Annanke, la Necessità che domina mortali ed immortali, e prese Elena come un ragazzo. Fu egli il primo che violò la perfezione delle natiche sue.”
Il buon Renzo guardò attorno che nessuno sentisse: il timido viso era accaldato dal rossore e goccioline di sano pudore imperlarono la fronte. “Deh! Queste cose non me le han riferite di certo!” Nascose l'imbarazzo con una risatina.
“Perché nasconderle? Quel rapimento causa fu d'una prima guerra in cui diedero prova di coraggio e lealtà valorosi eroi.”
“Noi qui siam più semplici, ci perdoni messere. Abbiamo costumi più ammodo, si vive uno accanto all'altro, e non siamo schietti come voi Achei. Noi nascondiamo certe cose perché siam paurosi, temiamo troppo d'incappare nel giudizio del prossimo e, come dice Don Abbondio, uno il coraggio non se lo può dare.”
“Abbondio, chi era costui? Non mi par di rammentare alcun valoroso di tal nome.”
“Non è certo un valoroso! È solo un parroco di campagna ma è istruito e sa perché certe usanze di voi antichi è meglio non seguirle alla luce del sole.” Renzo, timoroso di zittire il nobile interlocutore, dosava le parole come un droghiere e ne cercava altre atte per portar il discorso a quel che più lo incuriosiva senza mostrarlo troppo apertamente; nel Seicento non era ancora in uso l'allocuzione 'chiedo per un amico'.
“Qui da noi s'apprezza ancora la guerra, è assai considerata dagli spiriti nobili e benedetta dai santi, ma si condanna l'amore, dico quello troppo espresso e poco poetico tra uomo e donna... e non paliamo di quello fra uomini! Quand'anche nobili e valorosi. Questo è duramente castigato, perché causa d'ogni mal e disgrazia per i secoli a venire!”
Il mirmidone, arrovellato dai pensieri, arrotolava il dito nell'elegante barba. “È un secolo ben strano questo, maledetto dagli dei è! Fossero qui Zeus ed Apollo, Hermes e Poseidone gareggerebbero tra loro per le tue natiche tonde.”
“Lei celia, messere, si prende gioco di me!”
“Gli eroi non ridono mai, noi siamo tragici, il destino segna le nostre vite. Ed il Fato in questa strana terra m'ha fatto incontrare un giovin gentile e grazioso, le cui delicate fattezze mi risveglian le coglia come il ricordo di Briseide: questa è la mia lancia, questa è la mia daga, ora sono al tuo servizio.”
Fortemente turbato dall'ardito complimento e sospinto da quello strano meccanismo che ci porta a confidarci più facilmente con gli sconosciuti, Renzo aprì il suo cuore all'eroe: “Non sa che servizio mi farebbe, Sua Signoria! Sono vittima d'un ignobil sopruso, Don Rodrigo impedisce il mio matrimonio.”
“Chi è questo Rodrigo che non teme la mia ira funesta?"
“È un potente del luogo, nulla però al par vostro, per carità! S'è intestardito con me. Non posso uscir di casa, andar al lavoro od alla festa del paese che m'è subito addosso coi suoi scherani, gentaglia vile ma pratica nell'arte della guerra ed io non posso nulla contro loro, ahimé! Non son affatto istruito in tal arte. Me ne vergogno troppo, è la prima volta che lo confesso a qualcuno. Nemmeno al mio confessore l'ho rivelato: son cose ch'è meglio lasciar fuori dal buio del confessionale, ad un mio compare che s'è confidato col prete è toccata una penitenza non prevista.”
“Enigmatico è quel che mi dici.”
A questo punto il timorato Renzo perse tempo per spiegare, a modo suo, i sacramenti all'acheo pagano.
“Siete ben strani voi moderni! In tutto ciò non ho ancor capito se questo Rodrigo t'ha preso o no come Teseo.”
“Ahimè sì, e meno epicamente!! Son due anni che mi fa rapire dai suoi sgherri e portar nel suo palazzotto, non in Africa come Teseo. Ella, Messer Eroe, avanti diceva bene di Elena di Troia, io come lei non ho colpe, sono vittima innocente e finora ho pazientato, so come va il mondo e queste son cose che possono capitare ad un giovine se delicato e gentile... Ma Don Rodrigo ora vuole proibirmi di sposare Lucia, la mia fidanzata. Lo fa per gratuita cattiveria, senza alcuna ragione, ben sapendo che nulla cambierebbe col mio matrimonio: non potrei mai oppormi ai suoi bravi e non ho certo intenzione di mettere in piazza gli affari miei!”
Renzo sperò ardentemente che il maschio guerriero, per la verità un poco ottuso ai costumi moderni, avesse ben inteso quel che non poteva dir palesemente: che aveva la necessità di sposarsi per zittire le malelingue che già serpeggiavano nel borgo natio e che, alla fin fine, le visite al palazzotto, considerato che era pur sempre un giovine di bella presenza e sana allegria, non gli erano poi così penose.
“Il tuo Rodrigo raggiungerà presto l'Ade, ma ha la mia compassione, ci dev'essere qualcosa d'eroico in lui se ha questa debolezza per te.”
“Non serve uccidere, di grazia! Voi Greci siete sempre così impetuosi! Lo stesso don Rodrigo è vittima a modo suo.”
Il pelide sfiorò con la forte mano, fatta per brandir armi, la tela grezza ma di buona fattura dei pantaloni del nostro Renzo, proprio dov'era più tesa e liscia, su quella parte del corpo sulla quale ci si siede o si prendono calci. Achille ne saggiò largamente il tenore giovanile e la morbidezza muliebre ed incuriosito dalla foggia di quello strano abbigliamento ne seguì con le dita la cucitura verticale, affossata in quel che per un antico greco era la perfezione divina.
Era moda del periodo di cui narriamo, lanciata dai signorotti ed inseguita dal popolino, indossare sotto una tunica di fustagno, corta ed allacciata in vita, dei pantaloni aderenti come calze, innocenti per quel tempo, ma che turbavano oltre ogni misura l'animo già guasto dell'acheo che si copriva con un semplice gonnellino.
Achille, esperto di giochi di caserma, premette due dita.
Lo sciagurato gradì.
“Vieni via con me, ti colmeremo di piaceri, io, Patroclo ed i miei Mirmidoni tutti. Sarai il nostro Ganimede, banchetterai fra noi, t'insegneremo il gioco della lotta e t'insemineremo ubriacandoti di nettare e tu, come Giacinto con Apollo, ci farai perdere il senno e ritrovar l'Amore. E vorranno trattenersi con noi Venere dalle belle natiche, Hermes ladro di piaceri e Zeus dalle potenti coglia. E non mancherà Elena dai mille amanti che tanto brami di conoscere, e la mia Briseide avida d'amore, e puoi portare anche la tua Lucia, se ti manca. Allieteremo anche lei che, se è l'amata tua, dev'essere bella e generosa come una dea.”
“No, mi creda messer eroe, Lucia non è avvezza a tanta confusione e pur io, non me ne voglia, sono affezionato a questo secolo.”
Achille, a sentir il diniego dell'agognato giovane, fu scosso dal fremito dell'eroe prima della battaglia, quando l'odore di membra maschie, sudate per la tensione, inebria tutti i sensi.
L'agile corazza cadde a terra e l'eroe si mostrò come la ninfa Teti l'aveva generato. La bellezza achea si palesò in tutto il suo fulgore ed il timido Renzo, vittima di sgherri sgraziati e malnutriti, ne rimase affascinato, anche perché la statuaria bellezza di quel corpo ignudo era completata da un accessorio virile del tutto vacante nei bronzi greci e che al confronto sminuiva assai il vigore di Don Rodrigo e degli uomini suoi a cui era aduso il nostro paesano, che del mondo aveva ben poco visto.
Renzo l'abbrancò per questo, d'impulso, col timore che il guerriero potesse svanire com'era comparso d'improvviso.
Il caldo turgore nella mano lo rassicurò, l'eroe non aveva l'intenzione di sparire ma il gagliardo desiderio d'attardarsi con lui, e la malizia che albergava nel suo cuore dopo due anni di festicciole subite lo fece parlare: “Portami in Africa come Teseo, Achille mio, sarò il tuo Ganimede, unico mio rammarico sarà non poterti donare un erede!”
All'eroe si fermò il cuore: “Mi son testimoni gli Dei tutti! Tu conosci l'arte di gonfiar le coglia meglio di Elena e Briseide! Insegnami solo come si levan queste tue astruse brache!”
Con l'irruenza d'un dio greco, accecato da passione funesta, Achille ghermì il timido Renzo e lo corcò rudemente sul masso dove s'era seduto avante.
Erano i resti di una pietra miliare che nulla o poco più conservavano dell'antica gloria; uno di quei cippi deposti in epoca romana per tener conto delle distanze sulle vie percorse dalle vittoriose legioni dell'Impero, ma che già nel Seicento erano per la maggior parte scomparsi, divelti da villani facinorosi senza cognizione del passato o sotterrati dalla polvere dei sec…
“Mah, me lo ricordavo diverso!”
NdA Questo episodio fa parte della breve serie Bar Antology
“Deh! Questo matrimonio non s'ha da fare? E chi sei tu per dirlo? La giustizia non vale forse per tutti? Che giustizia sarebbe altrimenti? Poi c'è modo e modo, di grazia! Ci si siede e si discute insieme, così si farebbe tra gente timorata, cos'è questa prepotenza? Crede forse che io, ancor giovine e carico di belle speranze, brami ad imbrigliarmi per tutta la vita con quella muta di Lucia e colla chiacchierona di sua madre? No no, non sono io che parlo, è la rabbia. Questa cosa m'ha fatto uscir di senno e m'offusca il giudizio: per me Lucia è una grazia e le sue parole sono rare perché preziose, ancor più preziose per uno scriteriato qual sono io, e Agnese sarà, per un avventato come me, una brava madre, solo si limitasse nel parlare!... No, Signoria Vostra, io voglio sposare Lucia sopra qualsiasi cosa, avrei dovuto rispondere. Ma, ahimè, Don Rodrigo vede lungo, anche se prepotente è pur sempre un signore ch'ha studiato, e m'ha aperto gli occhi: oggi mi s'è spento il fuoco dell'amore e temo, per la verità, che sia sempre stato un focherello assai tiepido! Ma, mi domando io, da quando è divenuta creanza comportarsi in questa maniera con un bravo giovine che aveva deciso d'accasarsi con una timida compaesana per por termine all'età della spensieratezza e della dissoluzione? Sposarsi è nell'ordine delle cose, e nemmeno un prepotente qual Don Rodrigo può sovvertirlo! Ci sarà pur qualcuno disposto a difendermi da costui. M'occorre un avvocato ben istruito e vedremo una volta per tutte se la legge non è uguale per tutti!”
Così Lorenzo, detto Renzo, procedeva borbottando come i fagioli in una pentola di terracotta: inseguito dai suoi affanni non s'accorse della voce che l'interrogava. Troppe nubi oscuravano il cielo sopra la sua testa, quello di Lombardia ch'è bello quand'è bello, perché il nostro incerto eroe se n'avvedesse.
Lo sconosciuto dovette ripeter il richiamo.
“È questa la via per Troia?”
Lo stupore per l'insolita domanda ed ancor più per l'abbigliamento del pellegrino azzittì d'un lampo tutte le preoccupazioni che tormentavano il povero Renzo. Gli si parava davanti un uomo forte ed armato di lunga picca, sicuro guerriero, con un alto elmo dorato assicurato sotto la barba nera e riccia. Da quando i soldati si vestono in tal guisa? Si domandò il sempliciotto ch'aveva assistito alla prima calata dei lanzichenecchi. L'armatura era di cuoio e metallo lucente, assicurata alla vita da robusta cintura, ma era corta sulle cosce, nude e guizzanti di muscoli torniti. Da giovine beneducato sapeva che non è buona creanza fissare le altrui stranezze, ma il vigore dello sconosciuto, il volto volitivo, l'ampio torace e le forti gambe ignude incuriosivano oltre misura il nostro Renzo, destinato alla tiepidezza d'una vita con Lucia.
“Non mi rispondi? Sei forse alleato dei Troiani, miei fieri nemici?”
“No, mi perdoni gentile messere, è solo che siamo gente di paese non avvezza ad incontrare simil guerrieri. E mi duole confessarle che ahimè non sono istruito, non ho sapienza di dove si trovi Troia, città della quale ho però udito la storia.” Rispose con malcelata modestia.
“Dove mi trovo?”
“Nei Promessi Sposi, io sono Lorenzo Tramaglino, detto Renzo.”
“Mai sentiti.”
“Perdoni l'insolenza, forse non è più costume presentarsi fra viandanti?”
“Sono il pelide Achille, eroe dei Mirmidoni, trascinato in guerra per vendicare l'onore di Menelao.”
“Ma guarda cosa mi va riservare il destino! Io semplice paesano che incontro sulla mia via un eroe. E che eroe! La prego, se non ha urgenza di correr alla guerra e di falcidiar nemici, si fermi ancora un poco con me per narrarmi le sue avventure, ché questa mia terra ne è avara, a parte signorotti prepotenti, assassini divenuti frati, carestia, rivolte cittadine, orde di mercenari, peste ed innominabili potenti. È un periodo assai monotono il nostro.”
“Alcuna urgenza ho io fra i mortali: Achille corre quando lo convocano gli dei. Cosa vuoi sapere?”
“Le donne, i cavalier, le arme, gli amori, tutto vorrei udire! E di Elena che mi racconta, sia gentile, vorrei saper quant'era bella!”
“Elena?”
Il prode si sfilò l'elmo e si sedette su un masso levigato sul ciglio del viottolo.
Erano i resti di una pietra miliare che nulla o poco più conservavano dell'antica gloria; uno di quei cippi deposti in epoca romana per tener conto delle distanze sulle vie percorse dalle vittoriose legioni dell'Impero, ma che già nel Seicento erano per la maggior parte scomparsi, divelti da villani facinorosi senza cognizione del passato o sotterrati dalla polvere dei secoli a causa del sopraggiungere del lungo periodo delle invasioni barbariche seguito da un ancor più lungo ed oscuro periodo in cui si perse ricordo del… Ma forse preferite sentire cos'ha da dirci di Elena.
Achille, stanco d'avventure e guerre, raccontò a Renzo come gli eroi solevan farlo la sera riuniti attorno al foco, deposte le armi e sedati gli animi.
“Bellissima come una dea è Elena ed è inconsapevole strumento del destino, senza colpe incatena ogni uomo e provoca guerre che nemmeno la tempesta che ha scatenato Poseidone quando Odisseo gli ha accecato Polifemo può eguagliare. Innumerevoli sono i valenti uomini, re e guerrieri, ai quali ha ottenebrato la vista e irretito le coglia a cominciar dal mitico Teseo, il re di Atene. L'eroe che uccise Minotauro non resistette alla vista di Elena e con l'amico Piritoo la rapì e la portò in Africa. Il prode Teseo non poté opporsi ad Annanke, la Necessità che domina mortali ed immortali, e prese Elena come un ragazzo. Fu egli il primo che violò la perfezione delle natiche sue.”
Il buon Renzo guardò attorno che nessuno sentisse: il timido viso era accaldato dal rossore e goccioline di sano pudore imperlarono la fronte. “Deh! Queste cose non me le han riferite di certo!” Nascose l'imbarazzo con una risatina.
“Perché nasconderle? Quel rapimento causa fu d'una prima guerra in cui diedero prova di coraggio e lealtà valorosi eroi.”
“Noi qui siam più semplici, ci perdoni messere. Abbiamo costumi più ammodo, si vive uno accanto all'altro, e non siamo schietti come voi Achei. Noi nascondiamo certe cose perché siam paurosi, temiamo troppo d'incappare nel giudizio del prossimo e, come dice Don Abbondio, uno il coraggio non se lo può dare.”
“Abbondio, chi era costui? Non mi par di rammentare alcun valoroso di tal nome.”
“Non è certo un valoroso! È solo un parroco di campagna ma è istruito e sa perché certe usanze di voi antichi è meglio non seguirle alla luce del sole.” Renzo, timoroso di zittire il nobile interlocutore, dosava le parole come un droghiere e ne cercava altre atte per portar il discorso a quel che più lo incuriosiva senza mostrarlo troppo apertamente; nel Seicento non era ancora in uso l'allocuzione 'chiedo per un amico'.
“Qui da noi s'apprezza ancora la guerra, è assai considerata dagli spiriti nobili e benedetta dai santi, ma si condanna l'amore, dico quello troppo espresso e poco poetico tra uomo e donna... e non paliamo di quello fra uomini! Quand'anche nobili e valorosi. Questo è duramente castigato, perché causa d'ogni mal e disgrazia per i secoli a venire!”
Il mirmidone, arrovellato dai pensieri, arrotolava il dito nell'elegante barba. “È un secolo ben strano questo, maledetto dagli dei è! Fossero qui Zeus ed Apollo, Hermes e Poseidone gareggerebbero tra loro per le tue natiche tonde.”
“Lei celia, messere, si prende gioco di me!”
“Gli eroi non ridono mai, noi siamo tragici, il destino segna le nostre vite. Ed il Fato in questa strana terra m'ha fatto incontrare un giovin gentile e grazioso, le cui delicate fattezze mi risveglian le coglia come il ricordo di Briseide: questa è la mia lancia, questa è la mia daga, ora sono al tuo servizio.”
Fortemente turbato dall'ardito complimento e sospinto da quello strano meccanismo che ci porta a confidarci più facilmente con gli sconosciuti, Renzo aprì il suo cuore all'eroe: “Non sa che servizio mi farebbe, Sua Signoria! Sono vittima d'un ignobil sopruso, Don Rodrigo impedisce il mio matrimonio.”
“Chi è questo Rodrigo che non teme la mia ira funesta?"
“È un potente del luogo, nulla però al par vostro, per carità! S'è intestardito con me. Non posso uscir di casa, andar al lavoro od alla festa del paese che m'è subito addosso coi suoi scherani, gentaglia vile ma pratica nell'arte della guerra ed io non posso nulla contro loro, ahimé! Non son affatto istruito in tal arte. Me ne vergogno troppo, è la prima volta che lo confesso a qualcuno. Nemmeno al mio confessore l'ho rivelato: son cose ch'è meglio lasciar fuori dal buio del confessionale, ad un mio compare che s'è confidato col prete è toccata una penitenza non prevista.”
“Enigmatico è quel che mi dici.”
A questo punto il timorato Renzo perse tempo per spiegare, a modo suo, i sacramenti all'acheo pagano.
“Siete ben strani voi moderni! In tutto ciò non ho ancor capito se questo Rodrigo t'ha preso o no come Teseo.”
“Ahimè sì, e meno epicamente!! Son due anni che mi fa rapire dai suoi sgherri e portar nel suo palazzotto, non in Africa come Teseo. Ella, Messer Eroe, avanti diceva bene di Elena di Troia, io come lei non ho colpe, sono vittima innocente e finora ho pazientato, so come va il mondo e queste son cose che possono capitare ad un giovine se delicato e gentile... Ma Don Rodrigo ora vuole proibirmi di sposare Lucia, la mia fidanzata. Lo fa per gratuita cattiveria, senza alcuna ragione, ben sapendo che nulla cambierebbe col mio matrimonio: non potrei mai oppormi ai suoi bravi e non ho certo intenzione di mettere in piazza gli affari miei!”
Renzo sperò ardentemente che il maschio guerriero, per la verità un poco ottuso ai costumi moderni, avesse ben inteso quel che non poteva dir palesemente: che aveva la necessità di sposarsi per zittire le malelingue che già serpeggiavano nel borgo natio e che, alla fin fine, le visite al palazzotto, considerato che era pur sempre un giovine di bella presenza e sana allegria, non gli erano poi così penose.
“Il tuo Rodrigo raggiungerà presto l'Ade, ma ha la mia compassione, ci dev'essere qualcosa d'eroico in lui se ha questa debolezza per te.”
“Non serve uccidere, di grazia! Voi Greci siete sempre così impetuosi! Lo stesso don Rodrigo è vittima a modo suo.”
Il pelide sfiorò con la forte mano, fatta per brandir armi, la tela grezza ma di buona fattura dei pantaloni del nostro Renzo, proprio dov'era più tesa e liscia, su quella parte del corpo sulla quale ci si siede o si prendono calci. Achille ne saggiò largamente il tenore giovanile e la morbidezza muliebre ed incuriosito dalla foggia di quello strano abbigliamento ne seguì con le dita la cucitura verticale, affossata in quel che per un antico greco era la perfezione divina.
Era moda del periodo di cui narriamo, lanciata dai signorotti ed inseguita dal popolino, indossare sotto una tunica di fustagno, corta ed allacciata in vita, dei pantaloni aderenti come calze, innocenti per quel tempo, ma che turbavano oltre ogni misura l'animo già guasto dell'acheo che si copriva con un semplice gonnellino.
Achille, esperto di giochi di caserma, premette due dita.
Lo sciagurato gradì.
“Vieni via con me, ti colmeremo di piaceri, io, Patroclo ed i miei Mirmidoni tutti. Sarai il nostro Ganimede, banchetterai fra noi, t'insegneremo il gioco della lotta e t'insemineremo ubriacandoti di nettare e tu, come Giacinto con Apollo, ci farai perdere il senno e ritrovar l'Amore. E vorranno trattenersi con noi Venere dalle belle natiche, Hermes ladro di piaceri e Zeus dalle potenti coglia. E non mancherà Elena dai mille amanti che tanto brami di conoscere, e la mia Briseide avida d'amore, e puoi portare anche la tua Lucia, se ti manca. Allieteremo anche lei che, se è l'amata tua, dev'essere bella e generosa come una dea.”
“No, mi creda messer eroe, Lucia non è avvezza a tanta confusione e pur io, non me ne voglia, sono affezionato a questo secolo.”
Achille, a sentir il diniego dell'agognato giovane, fu scosso dal fremito dell'eroe prima della battaglia, quando l'odore di membra maschie, sudate per la tensione, inebria tutti i sensi.
L'agile corazza cadde a terra e l'eroe si mostrò come la ninfa Teti l'aveva generato. La bellezza achea si palesò in tutto il suo fulgore ed il timido Renzo, vittima di sgherri sgraziati e malnutriti, ne rimase affascinato, anche perché la statuaria bellezza di quel corpo ignudo era completata da un accessorio virile del tutto vacante nei bronzi greci e che al confronto sminuiva assai il vigore di Don Rodrigo e degli uomini suoi a cui era aduso il nostro paesano, che del mondo aveva ben poco visto.
Renzo l'abbrancò per questo, d'impulso, col timore che il guerriero potesse svanire com'era comparso d'improvviso.
Il caldo turgore nella mano lo rassicurò, l'eroe non aveva l'intenzione di sparire ma il gagliardo desiderio d'attardarsi con lui, e la malizia che albergava nel suo cuore dopo due anni di festicciole subite lo fece parlare: “Portami in Africa come Teseo, Achille mio, sarò il tuo Ganimede, unico mio rammarico sarà non poterti donare un erede!”
All'eroe si fermò il cuore: “Mi son testimoni gli Dei tutti! Tu conosci l'arte di gonfiar le coglia meglio di Elena e Briseide! Insegnami solo come si levan queste tue astruse brache!”
Con l'irruenza d'un dio greco, accecato da passione funesta, Achille ghermì il timido Renzo e lo corcò rudemente sul masso dove s'era seduto avante.
Erano i resti di una pietra miliare che nulla o poco più conservavano dell'antica gloria; uno di quei cippi deposti in epoca romana per tener conto delle distanze sulle vie percorse dalle vittoriose legioni dell'Impero, ma che già nel Seicento erano per la maggior parte scomparsi, divelti da villani facinorosi senza cognizione del passato o sotterrati dalla polvere dei sec…
“Mah, me lo ricordavo diverso!”
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