Il Vecchio Larice

di
genere
sentimentali

Non cercatela, non esiste la mia valle. Reali sono i nomi che incontrerete, bellissimi ed evocativi, di monti, alpeggi, laghi e torrenti.
La raggiungete facilmente, chiunque può darvi indicazioni, ma non cercatela sulla vostra cartina, quella con i fogli secchi che si tagliano aprendola, quella ingiallita dal tempo e deformata da un lontano viaggio, quando un acquazzone improvviso vi ha fatto correre allegri e rifugiare in una locanda.
Sulla vostra cartina non troverete la mia valle, ma una spiaggia con uno scoglio rosso proteso sull'acqua trasparente, o un deserto, o le voci di una tavolata sotto l'uva del pergolato, o un ponticello sulla roggia nel bosco, o ancora una notte estiva sulla terrazza di Capoliveri o, perché no?, il sabato pomeriggio alla Galleria di Milano.
Sulla mappa ingiallita riscoprirete luoghi solo vostri.

Siamo sulle Alpi Occidentali, sull'alto territorio percorso dai pensieri, dove la linea più breve fra due baite è un'onda, dove le distanze si misurano in tempo ed il tempo sospinge nuvole lente.
Qui nella conca, sotto il cielo ritagliato dalle cime, richiamati da suoni o trattenuti da profumi, si cammina fra rocce che germogliano in preziosi fiori e la fantasia, leggera, solletica la felicità.

L'alpe si raggiunge a piedi, o in fuoristrada, per una bella salita.
Il primo incontro è con una stupenda baita walser: le pietre dei muri, schegge di montagna, sono incorniciate da travi nere che ne sopportano il peso con pazienza, come gli antichi larici le tempeste invernali. Non è stata costruita, è sorta da questa terra.
Fermi di fronte ad essa, dopo l'impegnativa camminata, si ha l’impressione d'avvertire attraverso una vibrazione alle gambe il sommovimento della crosta terrestre che si è gonfiata sotto i nostri piedi ed ha sollevato dal fondo dell’oceano fenomenali masse di roccia creando in sessanta milioni di anni l’intero arco alpino e, in una scintilla di tempo, anche questa meravigliosa baita, un fungo confuso fra gli altri massi erratici.
Il nastro di terra battuta con un’ansa ne sfiora l’ampia facciata illuminata dai fiori accecanti, supera la legnaia e piega nuovamente dietro la baita per mantenersi alto sulla cresta di un lieve dosso che risale il torrente e s’allunga mollemente verso il paesino là in fondo; ai piedi del sentiero l’acqua grigia si ribella nel letto troppo stretto, spinge rabbiosa contro i sassi, li scavalca schiaffeggiandoli, si rincorre graffiando le rive e spruzzando gocce gelate sui ciuffi di sassifraga ma, in un paio di larghe anse, si distende trasparente sui ciottoli.
Qui il verde pascolo, punteggiato da massi e larici grigi, è tutt'attorno a noi e il respiro abbraccia l'intera conca. Lo sguardo invece tenta d'abbracciare la montagna di roccia che pare risalire direttamente dall'alpe con gradoni imponenti e pareti verticali.
È un monte maschio, poderoso nei volumi, pesante milioni di tonnellate di ghiaccio e granito, scheggiato in spigoli e precipizi e segnato da antiche cicatrici, profondi canaloni lungo i quali rotolano a valle i temporali estivi.
È una montagna femmina posata delicatamente sui boschi in fondo alla piana, candida di neve contro il cielo azzurro; è la chioccia a guardia dell'alpe, la madre silenziosa di tutta l'acqua che mormora intorno a noi.


È mezza mattina, la camminata dei ragazzi è fresca e decisa, portano la loro giovinezza in valle.
In testa al gruppetto c'è Giulia, sempre affiancata da un paio d'amici. Sorride, parla poco, meno di quanto vorrebbero, ed ogni parola è letteralmente rubata. Ha la felpa annodata in vita a coprire i calzoncini corti sulle gambe snelle ed abbronzate dal passo lungo, s'aggiusta lo zaino sulle spalle nude infilando i pollici sotto le cinghie dello zaino e porta storto, sui capelli neri, il cappellino a visiera che le dona un'aria felice.
Distaccato più indietro, ultimo della compagnia, cammina Luca con un filo d'erba fra i denti: è felice ed indispettito. Questa valle lui la conosce da sempre, ci veniva da bambino, ed avrebbe voluto portarci solo lei, ma Luca non è cambiato, è imbranato come allora, e con lei ha invitato anche tutti gli amici. Hanno organizzato due macchinate per questa gita.
La prima sosta è alla vasca di pietra del lavatoio. Riempiono borracce e ci tuffano le teste, poi si sparpagliano sul prato.
'Okay, ci fermiamo dieci minuti, massimo trenta, al lago manca un'ora e mezza, così ci arriviamo giusti per mangiare.'
'Dov'è?'
'Là, vedi?, su quel pianoro, da lì se continui puoi scendere in Svizzera... il panorama è spettacolare!'
'Non sembra così facile.'
“No ragazzi, io mi fermo qua!” Decide Giulia.
'Ma dai ce la fai benissimo!'
“No, non mi va e poi mi piace qui.”
'Ma qui ci fermiamo poi oggi, al ritorno!, non conviene fermarci adesso, su è bellissimo, ti portiamo noi lo zaino.'
“Mi fanno male gli scarponcini, non insistete.” Giulia se li slaccia.
'Beh, posso fermarmi io con te...' Si propone l'amica, disposta separarsi dal suo ragazzo.
Luca trova il coraggio: “No, tu non ci sei mai stata, posso rimanere io con Giulia, se vuole... io al lago ci sono salito mille volte, anche con la neve.”
Dio ti supplico!, fa' che accetti!
Giulia gli sorride.
Bingo!


L'aria è ancora più leggera per Luca.
Accompagnano insieme gli amici fino ai piedi del sentiero e poi camminano senza meta attorno all'alpe. Hanno un sacco di cose da raccontarsi, ma di più sono le cose che si dicono in silenzio.
Arrivati sul poggio davanti alla cascata si levano gli scarponcini. Pestano l'erba bagnata a piedi nudi e Luca la trascina fino a quel masso levigato e scivoloso, proprio sotto la cascata. Giulia si ribella, gli dà anche delle manate e finge di scappare, ma così non vale è troppo facile così.
Si siedono nella nube di goccioline gelate che vibrano al rombo della cascata. Giulia con le gambe nude raccolte contro il petto.
Nella pozza accanto si raccoglie l'acqua trasparente, miracolosamente placida prima di rituffarsi nel torrente; conserva il colore verde del ghiacciaio ed ipnotizza l'anima. La pietra è liscia ed i ciuffi di muschio rorido sono da carezzare. Ma è il volto di Giulia che vuole osservare. Tiene gli occhi chiusi, il viso rilassato, e le goccioline le imperlano le ciglia. Le labbra sono umide. Luca le bacia con la delicatezza d'un ladro.
“Scusami... sei bellissima.”
Giulia si rialza incerta sulla pietra scivolosa, ha il volto serio. Si scosta in punta e gli fa cenno di passare per primo; non appena ce l'ha davanti gli dà una pacca leggera sul sedere: “Andiamo al sole ad asciugarci, siamo fradici.”
Si cambia maglietta da seduta, dandogli le spalle, e si stende accanto a lui che è rimasto a torso nudo.

Luca non chiude gli occhi, l'erba secca e gli aghi di larice sotto la schiena nuda lo tengono ben sveglio ed i sogni sono più nitidi del cielo. Osserva i rami radiografati dalla luce intensa e si perde nell'azzurro; medita sul nulla, segue le lente metamorfosi delle nuvole bioccose ed insegue la scia di quell'aereo altissimo, invisibile, forse diretto a Parigi.
Una grossa formica sta disperatamente trasportando un legnetto tra i grovigli della sua foresta; dei grilli gli saltano sulle gambe ed assaggiano i peli mordicchiandoli; una farfalla azzurra si deposita sul dorso della mano e dispiega le ali. L'avvicina piano al viso per osservarla. La mano profuma di resina e crema solare.
“Che bella! Non farla scappare!... Guarda, ti sta succhiando la pelle.”
“Non dovrei dirtelo, ma questa è una farfalla stercoraria... ne trovi centinaia sulle merde di vacca.”
A Giulia s'illuminano gli occhi. “Scemo!” ed il bacetto improvviso fa volare la farfalla.
Rotola su sé stessa ed a pancia in giù gli indica un fiore: “E questo cos'è, tu che sai tutto?... No, attento a non schiacciarlo!”
Il fiorellino minuto ha lo stelo dritto e sottilissimo e la corolla ad ombrello rivolta verso il basso. “È una soldanella viola.”
“È un amore.”


“Vieni, conosco un posto dove mangiare.”
Giulia si risveglia ubbidiente e si riallaccia gli scarponcini. È subito pronta e segue i passi di Luca nell'erba alta. Ha paura delle vipere e Luca la prende in giro.
In breve tempo s'addentrano nella penombra d'un bosco resinoso, tappezzato di aghi; la salita è ripida e Giulia fa silenzio, sente che da un momento all'altro potrebbero incontrare uno gnomo. D'improvviso sbucano in una terrazza sull'alpe, al sole, su un masso a strapiombo.
Un vecchio larice, alto e logoro, con la corteccia coperta di cicatrici e pochi rami aperti nella direzione del vento, è aggrappato alla roccia con le radici contorte.
Giulia ne è incantata, ne carezza con una mano il tronco rugoso mentre finge di contare le mucche giù nel pascolo.
“Qui, se vogliamo, c'è anche l'ombra.” Le indica un fazzoletto di prato al riparo.
I pollici infilati nelle cinghie dello zaino, Giulia gli va addosso a testa bassa contro lo sterno. Luca l'abbraccia sorpreso, poi lentamente le sgancia lo zaino lasciandolo cadere dietro e sente i seni schiacciati contro il suo petto. Le mani tremano sull'incavo dei fianchi; indecise risalgono sotto la maglietta, sulla pelle fremente, e scendono sui calzoncini tesi. Le labbra si trovano senza cercarsi ed il bacio è una sincope dell'anima.
Finalmente le sue mani lo cercano e lo premono. È passione pura la frenesia con cui si offrono sempre più nudi a mani e bocche; ma è anche imbarazzo quando lei chiude le sue labbra sul suo membro che sta per scoppiare, e stupore quando s'inarca indietro invitandolo ad affondare il viso fra le sue cosce.
Fa piano, non vuole farle male sulla pietra, “Andiamo di là”, ma lei non vuole che si fermi; è avvinghiata braccia e gambe e gli sussurra le oscenità degli amanti. Luca le affonda dentro a stomaco contratto, senza respirare, le sostiene il capo tra braccia, lecca innamorato le lacrime e le succhia l'anima con un bacio.

Una fame da lupi, condividono anche panini e bibite.
Giulia è in slip bianchi ed i seni sono più belli di come se li sognava Luca che è disteso nudo, la schiena contro lo zaino e con la maglietta gettata a coprire l'inguine. Giulia gli ha nascosto i boxer e non vuole ridarglieli. Luca si sente libero come mai prima.
Il panino gli si apre a metà e la fetta di formaggio rotola sul torace e cade a terra. Luca soffia via veloce, la rimette fra il prosciutto ed addenta il pane.
“Fai schifo!!!”
“È buonissimo, vuoi assaggiare?”
Sono in paradiso, stesi sotto il cielo e col sapore del cioccolato in bocca. Il sole abbagliante di questa quota scalda la pietra e la loro nudità. Giulia, sonnecchiando, si diverte ad eccitarlo; si fa mettere la crema su schiena e sulle chiappette ed ogni tanto dà un bacetto o una carezza dove non si deve, ma per poi fingere disinteresse e di voler solo abbronzarsi.
Il sole è troppo violento, però. Si rialzano e cercano ristoro all'ombra, sull'erba umida ed il terreno morbido, ed è amore di parole calde e baci bisbigliati, ma anche d'abbracci violenti e penetrazioni rubate.
E sono giochi e scherzi di ragazzi. Lo prende in giro, gli strappa i tre peli del petto, picchia le mani che vogliono toccarle il seno e poi lo bacia. Si fa promettere la luna ed il mondo intero.
Lo stuzzica rotolando con lui, dice che è un maniaco, che non può farcela ancora, che è troppo stanco e che non è possibile. Le mani strappano l'erba e gli graffiano la schiena. Gli occhi lacrimano fissando il cielo.
Giulia è sudata, la mano ancora chiusa sul pene, ascoltano il silenzio attorno e si scambiano respiri.
L'ombra della nuvola impiega venti minuti per spennellare di scuro il versante sud della montagna, donando loro un assaggio di eternità.


Urlano, li stanno cercando.
“Dove li hai nascosti?, ridammi i boxer.”
“No.” Ride lei.
Luca s'infila i pantaloncini, un bacio arrabbiato alla monella e corre sul bordo del masso: urla ed agita la maglietta per farsi vedere dagli amici. Torna chino su Giulia: “Andiamo, dobbiamo scendere.”
Gli si stira sotto come una gattina, “Uffa”, ma ha gli occhi felici.
Con lo zaino in spalla, la schiena china e le ginocchia piegate ad ammortizzare la corsa, Luca scende veloce battendo gli scarponi sulla certezza della terra. Raggiunti gli amici che lo guardano maliziosi, si volta per attendere Giulia: scende lentamente, un passo davanti all'altro, quasi in punta di piedi, come chi sa d'avere delle gambe meravigliose.
Per togliere subito ogni dubbio, Giulia saluta tutti abbracciata a Luca.
'Okay, noi si va a farci una birra all'agriturismo, venite anche voi o volete trombare ancora?'
Scoppia una cagnara divertente in cui tutti insultano tutti, e ridono, ma infine si rimettono in marcia. Giulia lo prende per mano mentre chiacchiera con la sua amica; gli ha passato qualcosa. Senza farsi notare Luca guarda cos'è: gli slip bianchi appallottolati. Finge siano un fazzoletto, li annusa e l'infila in tasca.


Sui tavolacci di legno ruvido, davanti alla locanda, si sono fatti portare anche piatti di salumi e formaggi. Il sole è tiepido, l'aria fresca e gli amici pieni di racconti: hanno visto le marmotte. E una volpe. E l'aquila.
Luca è felice come un topo nel formaggio, ma soffre come uno scemo quando Giulia parla con qualcun altro. Lei lo sa, la inorgoglisce sentirlo geloso, e lo tiene sulle spine per poi tranquillizzarlo con la mano sotto il tavolo od un bacetto improvviso.
“Non te li ridò più i boxer.” Lo confonde e, invece di baciarlo, gli ficca una fetta di salame in bocca. Luca vorrebbe toccarla sotto il tavolo, gliela sfiora anche, ma teme di non potersi trattenere. Ce l'ha seduta accanto in calzoncini senza mutandine, non ci fosse nessuno la ribalterebbe su quel tavolo. E se ne vergogna, è confuso, lui la ama ma la desidera troppo.
Si comincia a parlare che è ora d'andarsene e ci si promettono altre gite su altri monti: oggi sono stati troppo fortunati, un tempo magnifico!
Luca invece pensa a quanto sarebbe meraviglioso quell'alberghetto in tre giorni di pioggia.
Giulia è sovrappensiero: “Eppure qui dev'essere bello anche quando piove.”


Il vento serale li scopre sulla via del ritorno e li investe di schiena come un amico ritardatario: un brivido alle spalle che la fa stringere a Luca.
Poi si volta e soffia sul crinale fino al vecchio larice: “Raccontami di quella ragazza.”
Il vecchio larice ha tutto impresso nella linfa, ma ha bisogno di tempo, molto tempo per raccontare: uno scricchiolio della roccia fra le radici, un ramo secco che cade, una piccola pigna che s'apre e lascia volare i semi, il fruscio dei rami spogli, un tarlo che scava...
Sono almeno trent'anni che il vento, prima del tramonto, risale sulla terrazza per ascoltare il racconto del larice.


-

'Questo, per me, è il più bello e più triste paesaggio del mondo. … Guardate attentamente questo paesaggio, per essere sicuri di riconoscerlo se viaggerete un giorno in Africa, nel deserto.'
A. de Saint-Exupéry: Le Petit Prince
scritto il
2024-08-15
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