Il Testimone

di
genere
sentimentali

Eccola.
Non ha mai lasciato la 303.
Ora è un'ombra che nemmeno io distinguo.
Un'ombra che passa d'improvviso, inquieta per chi ha colpe, veloce come una primavera per chi ha rimpianti. Nella sua leggerezza c'è disperazione, nella sua scia l'inverno.
Eccola.
A volte mi si ferma di fronte. Io so il perché.
Io non la vedo e lei non può vedersi, eppure s'attarda a lungo come se temesse di dimenticare.
Il suo alito gelido è l'unica cosa che trapassa la mia corazza e scalda il mio cuore vuoto. Il cuore che ha battuto una sola volta. Per lei.
Allora vorrei parlarle.
Dirle finalmente, dopo tanto tempo, dopo tanti anni persi, i mille silenzi che m'assordano.
Ma non posso, io sono lo specchio della 303, quello lungo, appeso all'ingresso.

Io che sono indifferente a tutto...
Come non esserlo? Nessuno mi vede. Vedono solo sé stessi riflessi in me.
Si vestono e si svestono di fronte a me. Prima di scendere a cena ricontrollano un'ultima volta se il trucco è a posto o se la pancia si vede troppo e si chiedono tra loro se sono in ordine e se i colori s'abbinano bene, ma di nascosto scambiano sorrisi o smorfie con la loro immagine riflessa, quell'immagine che è sempre una sfida per loro.
Per passione, esibizionismo, insicurezza c'è chi s'accoppia in corridoio, in piedi davanti a me.
Gli occhi appannati si fissano in me, oltre il cristallo.
S'ingannano che non siano loro ma un'altra ed un altro che stanno facendo sesso e si sentono più liberi, più audaci, più animali. La pelle aderisce al cristallo freddo, l'uomo la schiaccia con forza, le mani di lei scivolano umide sulla cornice cercando l'accesso della porta segreta. La porta di Alice.
I più piccoli invece non si curano di me, disegnano col dito bagnato di saliva. Sono senza colpe loro, non si lasciano ingannare.

Io che sono indifferente a tutto...
Impazzirei altrimenti. Giorno e notte rifletto il nulla.
Le ore e le stagioni disegnano ombre lente che s'allungano sulla parete davanti a me e nel buio l'unica cosa viva è il tremolio del led del televisore. Ed un debole baluginio d'ottone sulla chiave dell'armadio.
Null'altro, se non la sua assenza che vaga inquieta per la stanza.

Io che sono indifferente a tutto...
Ricordo solo lei.
La sua risata echeggiava sul cristallo turbandomi.
Il suo uomo la chiamava dal letto. Lei voleva essere bella per lui.
S'è spogliata dei vestiti di fronte a me, dentro di me, e ne è uscita come Venere dalla schiuma del mare.
Al tocco delle sue dita ho vibrato come il lago di Narciso; nelle onde non mi son perso alcun dettaglio da rimandarle, tutta la sua giovinezza ci ho riflesso e le mille felicità che l'attendevano. Che si meritava.
Non le mentivo.
Ha fatto una cosa assurda, ha accostato le labbra e mi ha baciato. No, non ha baciato sé stessa per vanità o deliziosa civetteria. Ha baciato me per ringraziarmi ed una crepa invisibile ancora me lo ricorda.

Poi non potevo vedere, il letto m'è nascosto. La mensola, le lampade ed i mobili tutti urlavano muti cose indicibili.
Mi è ripassata davanti la mattina dopo, coperta da un lenzuolo.

Stamattina è entrata la ragazza delle pulizie.
Qualcosa in lei me la ricorda: l'età, la voglia di vivere e d'essere felice, il rispetto per gli oggetti.
Mi si è fermata di fronte. Gli stessi capelli spettinati.
No, io non prometto più vane speranze. A nessuno.
Con un panno ha asciugato due gocce.
Non ditele che erano lacrime.
scritto il
2024-08-13
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