Ellen - 03 - Mama Flores

di
genere
dominazione

Suo padre dice che è una macchina da guerra.
Si lamenta ogni volta che la rivede o la chiama, l'accusa d'essere una figlia glaciale e cinica e la rimprovera sempre perché non stacca mai la spina. “Non esiste solo il lavoro, goditi un po' la vita!”
Le sta facendo la solita predica anche oggi, con al fianco una ventenne in bikini uscita da qualche pubblicità degli hot dogs.
Ellen finge d'ascoltare, non ha tempo da perdere, non oggi, spera solo che non si voglia sposare anche questa Jennifer siliconata con le labbra da pompinara. Non si preoccupa certo per i soldi, ma non le va proprio giù che una mignotta prenda per il culo suo padre. Ellen gli vuole un bene dell'anima, ma a modo suo, senza alcuna parola gentile o gesto d'affetto.
È la riunione semestrale.
Suo padre vive alle Bahamas dopo aver messo le redini delle società nelle mani della figlia non ancora trentenne. Da allora le uniche sue occupazioni sono questo impegno due volte l'anno, ricevere i vecchi amici, qualche comparsata a Kopenhagen e dieci minuti al telefono con Ellen tutte le mattine. Per il resto si gode la vita.
La riunione a bordo piscina dura quaranta minuti. Ellen, in tailleur grigio perla, legge minuziosamente la relazione, risponde punto su punto ad una decina di domande e fa firmare. È molto soddisfatta, non le sono sfuggiti due particolari importanti.
Suo padre guardava nel bicchiere ogni volta che il socio di minoranza interveniva. Bene, s'è stancato di lui ed ora Ellen può finalmente pianificare come liquidarlo.
Ed ha avuto la prova che la puttanella a caccia di dote è davvero troia: durante la lettura Jennifer s'era alzata annoiata per annodarsi il pareo, ma lo spettacolo era tutto per Niels, il segretario tuttofare di papà, che s'era grattato la tempia per nascondere lo sguardo ed aveva poi girato la testa verso lo skipper che prendeva il sole dall'altra parte della piscina. Quella non sa controllarsi, probabilmente la dà anche al maestro di tennis ed ai raccattapalle. Il matrimonio è scongiurato, basta attendere. Che cretina!


“Fermati almeno a cena!”
“Non posso, devo partire.”
“Torni già a Kopenhagen?”
“No, mi sono presa una settimana di vacanza.”
"...?" La guarda interrogativo: “Dimmi almeno con chi vai!”
“Da sola.”
Gli cadono le braccia e la osserva andarsene: è più bella di sua madre. Gliela ricorda sempre, ha le sue gambe lunghissime ed ha anche il suo carattere riservato ed enigmatico. Ma sua madre era anche passione pura ed esagerata. Ellen, invece, così giovane e bella, pare si senta a proprio agio solo in ufficio davanti ad una schermata di cifre. Peggio di un robot, mai che vada ad un party tra la gente, solo palestre e piscine. Per quel che ne sa lui, Ellen ha avuto solo due relazioni, una breve con un compagno d'università per pochi mesi e una di tre anni con una spagnola di Madrid, ognuna che viveva a casa propria nella propria città!
Ma non gli dice mai nulla, a lui non racconta proprio nulla di sé, eppure la sente sempre vicina.

Ellen spedisce l'ultima mail appena prima del decollo e con un gesto gratificante chiude lentamente il laptot.
Sarà irrintracciabile per una settimana.
È eccitata ed ha il pieno dominio di sé stessa; socchiude gli occhi per assaporare l'energia che le spazza il cervello. Un'impressione impagabile che ormai si concede tre o quattro volte all'anno. Solo uno stupido direbbe che quelle vacanze sono la sua valvola di sfogo dopo stressanti mesi di lavoro ininterrotto sette giorni su sette. Per lei è esattamente il contrario: è solo in questi giorni che si sente davvero carica e potente e tiene tutti per le palle. Sorride, gli uomini non capiscono un cazzo.

Un lungo viaggio notturno: scalo a Miami, Medellin ed all'alba un bimotore per Melgar, una cittadina colombiana vicino alla base aerea americana di Tolemaida.
L'ha scoperta due anni fa dopo minuziose ricerche, lei sa sempre quel che ha bisogno. Ci ha inviato un investigatore privato per raccogliere dati e, attraverso una serie di società fantasma, ha rilevato un locale che non è altro che un postribolo per le truppe stanziate nella base vicina. Inutile dire che anche questa sua società macina guadagni.
Una volta fuori dal piccolo aeroporto prende un taxi per Plaza de Mercado, dove ha un bilocale. Ci passa solo per scurirsi leggermente i capelli troppo biondi e per cambiarsi. Prima di mezzogiorno è di nuovo in strada, jeans maglietta e borsone spalla. Il cielo è azzurro luminoso, la città vivace, piena di gente. Cammina quindici minuti fino alla Cattedrale e qui prende un altro taxi che la porta in periferia, da Mama Flores.
La maitresse la squadra con gli occhi penetranti di chi ha già visto tutto nella vita: “Oh, è tornata l'olandesina!” dice soltanto. Probabilmente Mama Flores non sa nemmeno che esiste la Danimarca, o comunque non le interessa. “... in questo periodo però ho già troppe ragazze.”
Ellen finge di spaventarsi: “Ma t'ho avvisata!... ho bisogno di lavorare, ti prego.”
In cuor suo ride del senso degli affari di quella donna. Mama è la sua socia migliore, anche se non ne sa nulla e non può immaginarlo.
“Non so che farci... se vuoi mi lasci il settanta, altrimenti puoi andartene.”
Ellen contratta, Mama Flores sta esagerando: “Il cinquanta per cento."
Le passa le chiavi: “No, mi lasci il sessanta. Hai la camera 7... Va' a prepararti.”
La richiama e, in quel ridicolo inglese che ha imparato dagli americani, urla: “Non lamentarti, olandesina, sono stata generosa, tu vieni qui solo per i cazzi, lo faresti anche gratis.”
Ellen ride divertita: “Gratis mai!”

In camera si spoglia davanti allo specchio e si mette la tenuta che aveva immaginato per mesi: calzoncini inguinali di jersey fuxia, aderenti anche in fica, top bianco semitrasparente sui capezzoli ed un collarino di velluto nero. Niente trucco da puttana, solo un lucidalabbra. Si manda un bacio e scende in cabina.
Qui le vengono i brividi. Inspira e schiaccia l'interruttore. S'accendono abbagliandola le lampade attorno allo specchio. Ora la vedono.
Lo specchio è in realtà una vetrina sul bar. Ellen non può vedere i clienti in attesa, ma sente i loro sguardi. Stanno valutando la nuova puttana in vetrina. Tende le natiche e si gira lentamente. Poveri coglioni, sono loro le sue prede.
Si piega in avanti, a squadra fino a poggiare i gomiti sullo scaffale sotto la finestra, e lecca il vetro freddo. Ora deva solo attendere. Conta mentalmente ed al ventisette suona la campanella. Un rintocco, l'hanno comprata per bocca-figa.
Ellen adora quel sistema: è acquistata come la merce esposta al supermercato e non deve trattare con nessuno. È Mama che prende le ordinazioni ed soldi per le quattro ragazze in vetrina. Le avvisa semplicemente con il campanello del citofono: un colpo per bocca-figa, due se hanno comprato anche il culo. Per le richieste particolari le chiama al il citofono.
Devono passare attraverso Mama Flores anche le puttanelle che fanno bere i soldati in sala. Ellen non conosce nessuna delle sue colleghe, le incrocia soltanto nei corridoi o sulle scale. Non scende mai a mangiare con loro. Per una settimana vive da reclusa anche se ha tutte le mattine libere. Raramente torna nel suo appartamento (cambiando sempre due o tre taxi) e s'arrischia d'uscire solo per andare in piscina, dove si sfianca di vasche per poi tornare subito da Mama con i capelli ancora bagnati.

Un bacio allo specchio e spegne le luci. Sale veloce le scale ed entra in camera.


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È più che eccitata, è in fibrillazione.
Dopo settimane di ansie, paure e nervosismi è giunta al momento: le pare di non aver pensato ad altro negli ultimi tre mesi. In ufficio, nelle riunioni, in palestra Mama Flores è il suo pensiero fisso, quello che la fa sentire diversa e lontana da tutti. Anche mentre era alle Bahamas con suo padre, a spostare decine di milioni, pensava che, tempo ventiquattro ore, si sarebbe fatta sbattere per pochi dollari.
Nessuno può capire.
Ed ora è sul trampolino dei cinque metri prima del salto, prova la stessa vertigine. Le basta una leggera spinta per tuffarsi... e dopo essersi venduta al primo cliente, per cinque giorni non rifiuterà nulla e nessuno. Non solo rispetteràil contratto con Mama, la farà felice, la sbalordirà. Perché? Perché sa d'essere la puttana migliore.

Entra un ragazzone di colore, una bella recluta della base aerea, un marine tutto muscoli e testosterone. Fa l'allegrone ma è impacciato. Dice di chiamarsi Martin, come se importasse qualcosa. Per Ellen è uno che gli è venuto duro appena l'ha vista in vetrina ed è corso a pagare.
Gli va incontro scalza e subito lo palpa. Ha ragione Mama Flores, a lei piacciono troppo i cazzi. E non poteva cominciare meglio, questo ragazzo ha nei pantaloni un cazzo nero enorme.
Ellen ritrae la mano di scatto, per la sorpresa, ed il ragazzotto temette voglia rifiutarsi. "Faccio piano."
Le luccicano gli occhi e glielo massaggia a la mano aperta, facendoglielo indurire del tutto sotto i pantaloni; sente il suo desiderio ingrossarsi. Il desiderio suo e del marine. Gli si arrampica addosso, gli poggia le mani sulle spalle gli soffia all'orecchio: “Sai amore?, sono arrivata oggi e tu sei il primo. Ti faccio un regalo, cosa vuoi?"
Il marine le palpa il culo. "Con me non vogliono mai."
Gli morde il collo. “okay, amore, quello che vuoi.”
È stata maldestra, troppo precipitosa, e l'incontro dura il tempo di un'inculata: il ragazzone iperdotato in astinenza se l'ingroppa come un coniglio d'ottanta chili e lascia devastata sul materasso.
La saluta però con un grugnito mentre si riabbottona.
Ellen sa che tornerà domani e dopodomani, finché avrà dei soldi in tasca. Povero coglione.
Ellen non scende subito, il cazzo del marine l'ha distrutta anche se a casa s'era allenata con dildi e giochini, ma non è pentita, è stato perfetto così.

È routine tutto il pomeriggio fino a sera, fino alle undici. Mama le manda su in camera, fra un cliente e l'altro, anche i ragazzi della cucina per il pompino quotidiano che spetta loro come mancia. Quella sera scelgono l'ultima arrivata, la figa danese, e Mama li accontenta tutti divertendosi con cattiveria. Non le risparmia nemmeno Raul, cui spetta una pecorina. È il buttafuori del locale, un gorilla di quarant'anni, che Ellen non ricorda d'averlo mai sentito parlare.
Si ripresenta in vetrina sempre dopo pochi minuti, Mama Flores l'ha richiamata solo una volta: “Devi lavorare, mangerai dopo.”
Ha già clienti in attesa per tutta la sera, non è necessario scendere in vetrina, ma Ellen scende comunque, ci gode: accende la luce, non li vede, vuole sentire i loro sguardi. Solo tre minuti e Mama la chiama: Cosa aspetti? Ne hai già uno su in camera.”


Alla fine i militari rientrano in caserma. Ellen è disorientata, ha perso il conto, ma c'è Mama che segna tutto ed è corretta, anche se non onesta.
La chiama nel suo appartamentino al piano terra.
Ellen, ancora in tenuta da puttana, slippino e top, si sente indifesa davanti a Mama; teme ci sia qualche problema. Invece la padrona le sorride affettuosa: “Avrai fame.”
Le indica i tacos sul tavolino contro la parete e si siede anche lei. Ellen se li spazza con avidità, come se non mangiasse da giorni, dando un'incredibile soddisfazione alla cuoca (sono i suoi tacos, li ha preparati con le sue mani). Chiacchierava allegre come amiche, senza dirsi o chiedersi nulla di personale. Sono entrambe troppo furbe.
Alla fine Mama le chiede seriamente come sta. Ellen ride: “A pezzi, faccio fatica a masticare, ahahah... è colpa tua: m'hai mandato su tutta la base di Tolemaida!”
La colombiana scuote la testa, non vuole che si scherzi sul lavoro. “T'ho lasciato sempre venti minuti...Vogliono te, sei bellissima e con la pelle chiara... ma ti fermi sempre troppi pochi giorni.”
“Lo sai, Mama, non posso.”
“Okay okay, io non voglio sapere nulla... Sarai a pezzi, ma ti reggi ancora in piedi. Di là c'è uno che ti vuole per la notte, servizio completo, ma ha in tasca solo *** dollari. Che gli dico?”
Ellen finge sgomento: “Ancora?!... sono appena arrivata, e poi mi lasci troppo poco!... ci sto solo per il cinquanta per cento.”
“Non se ne parla, non posso di più con una che sparisce sempre... me lo devi, figlia mia.”

Si prepara ed attende il suo ultimo cliente, quello che vuole una fidanzatina per la notte.
“Ciao, ti aspettavo domani.”
“Sono in licenza.”
Ad Ellen prende lo scoramento, s'aspettava il solito sottufficiale che si accontenta di fare un po' di ginnastica e poi essere baciato e coccolato da una gattina impalata sulla sua verga, non un marine ventenne allenato ad uccidere!
“Mi hai fatto male oggi.”
“Scusa, non volevo...”
“Non devi scusarti...” Gli carezza gli addominali duri da bestia. “... e non dire che non volevi: sei tornato perché t'è piaciuto farmi male.”
“Sei bellissima, mi fai impazzire.”
“Lo so... e che regalo vuoi per questa notte?”, gli chiede con la voce allegra. Il ragazzone suda, se l'inculerebbe all'istante. “Voglio il tuo culo!” dice con tono sprezzante, da maschio adulto.
Ellen gli lecca la guancia con un bacetto: “Ma è già tuo, amore, Mama m'ha detto che hai già comprato il mio culetto... dimmi cosa vuoi, stanotte voglio farti un altro regalo, amore, sei troppo bello..." Glielo tocca "Oggi me l'hanno messo in culo in sette ma ricordo solo il tuo.”
No, non sa quanti ne ha presi, lo dice solo per compiacere il cazzone nero e sentirsi la peggiore delle puttane.
Il ragazzone serra le dita fra i capelli e le tira indietro la testa. “Voglio sborrarti in culo!”
Ellen si libera e s'allontana da lui. “Qui è proibito.” mente.
Il soldato si morde la lingua: ora lo buttano fuori.
Ma Ellen torna da lui: “Fatti vedere, sei bellissimo.” Gli slaccia la camicia di tela.
Martin si lascia sfilare gli scarponi e spogliare ai ritmi lenti della puttana esperta che lo sfiora coi seni. Il cazzo gli punta a terra appena barzotto, nonostante l'incredibile eccitazione che ha in corpo. Ellen gli lecca il glande e si rialza mettendogli le mani attorno al collo. “Ma non devi dirlo a nessuno, prometti?”
“A nessuno!” promette.
“Nemmeno ai tuoi amici.” aggiunge e glielo stringe con entrambe le mani senza smettere di fissarlo negli occhi. “Poi vorrebbero riempirmi tutti, lo sai... Ma lo puoi fare solo tu.”
Il cazzo s'impenna durissimo, con le grosse vene pulsanti, duro che fa male.
Si ritrova steso sul letto; chiude gli occhi e stringe le labbra per resistere il più a lungo possibile mentre Ellen glielo lavora da puttana.
“Mmmm, piano, piano, tu sei uno che ha fretta.” Si mette a cavalcioni sul suo bacino e lo bacia con la lingua. “Sei stato tutto il tempo ad aspettarmi, vero?”
“No, sono uscito, ma poi sono tornato.”
Ellen capìsce molte cose. “...Mi volevi ancora e io non potevo, ero impegnata con gli altri... Eri geloso?” Lo bacia al collo.
“No... non lo ero.”, la stringe ai fianchi.
Ellen si sposta indietro, infilandoselo fino alle palle e gemendo come una verginella. “Cazzo amico, tu fai godere... No, non muoverti, ti prego amore, lascia fare alla tua puttana.” Il maschione suda sotto di lei. “... Ti eccita spiarmi. Quanti ne hai visti salire?”
Il soldato dà due botte verso l'alto facendola squittire, questa volta non per finta. Gli cola sul cazzo, bagnandogli i coglioni.
“Ne ho visti salire un casino... t'hanno fatto tutti il culo?”
Ellen gli succhia la lingua: “Non so,forse...”
“Quanti cazzi hai ciucciato oggi, puttana?” Fa la voce da uomo.
“Vuoi saperlo davvero?, non t'arrabbi?”
“Dimmelo, cagna ciucciacazzi!”
La rivolta e ci affonda nel culo con tutto il peso mozzandole il respiro. La cinge alle spalle e le immobilizza le braccia.. “Quanti pompini hai fatto?”
“Non lo so, ti giuro, me lo mettono in bocca tutti, anche i lavapiatti...”
La scopa in culo da cieco, picconandola a morte sul letto che batte contro la parete, ma viene stramaledettamente troppo presto. Ellen respira con la bocca, boccheggia devastata. Martin la stringe forte. La sente tremare, le gambe di Ellen impazziscono, si dimena sotto lui sempre più forte, fino ad essere sconvolta da un orgasmo tellurico.
Quando si spegne Martin glielo spinge tutto.
“Levati, per favore.” Lo implora sudata.
“No.” Spinge col bacino.
Ellen capisce. Mama Flores, che riconosce i cazzi anche sotto la tonaca dei preti, ha regalato al minchione superdotato la pasticchetta azzurra! Si diverte così, quella puttanaccia.
Annaspa sulle lenzuola in cerca del tubetto: “Devi ungerlo.”
Il bastardo lo fa senza sfilarsi del tutto, si raddrizza appena sulle ginocchia e le ripiomba in culo fino allo stomaco, ma questa volta scivolando.
È un'inculata infinita e lenta come la notte.
Ellen è esausta, vuole dormire, ma non può con ottanta chili di marine sulla schiena e tre di cazzo in culo. Sogna d'essere stesa in spiaggia in riva al mare: i baci e le spinte del marine su di lei sono onde che la lambiscono e massaggiano. È in pace.
Non teme d'innamorarsi. Volta indietro la testa e cerca la sua bocca.
Nemmeno teme che s'innamori lui. Non ci s'innamora di una puttana.

Martin è in licenza. Si compra tutte le notti indebitandosi da rovinarsi. Mama Flores non gli fa sconti, ma Ellen sempre: la seconda notte si fa legare.
Arriva presto e si siede davanti alla vetrina di Ellen, contando quanti sono già in coda ed ascoltando i commenti dei marines su quanto è figa la troia danese e su come va scopata.
Un pomeriggio vede salire tre marines. Attende un'ora, sta male. Quando li vede scendere li ferma ed offre da bere. Si fa raccontare come se la sono trombata insieme.
Ormai tutti sanno che è il cornuto della troia danese. Non se ne cura, gli pagano da bere e prendono con lui le prenotazioni, a Mama sta bene. Vorrebbe organizzare dei gruppi, riesce solo tre volte, ma l'ultima volta gliene manda su cinque.
Quando non ce la fa più ci sono le ragazze del bar. Glielo ciucciano scioccate e lui racconta che Ellen se lo prende tutto in culo. Sborra da paura.

È l'ultima notte.
La sta slegando. È sudato col cazzo che fa male.
Ellen s'abbandona bocconi sul materasso bagnato.
Si stende su di lei, s'addormenterà col cazzo inchiodato in culo.
Le dice che vorrebbe essere ricco, così sarebbe stata sua, l'avrebbe comprata come una schiava.
“Ma dovresti essere molto, ma molto ricco.”, mormora Ellen.
scritto il
2024-08-21
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