I giocattoli di mia sorella

di
genere
feticismo

Dopo che la mia ex moglie, per il solo fatto di aver scoperto che mi scopavo la segretaria, mi ha sbattuto fuori casa, sono tornato a rifugiarmi sotto il tetto di mia madre. La tempesta che ne è seguita, con le litanie di molestie sessuali e abusi di potere alzate da quella troia di Francesca, mi ha anche fatto perdere il lavoro. Bravo, eh? Un bel risultato.

Così eccomi qui, un perdente a fare il nido in casa con mamma e mia sorella. Lei studia all’università, mentre io fatico a trovare un lavoro che non sia un insulto per i miei neuroni. Nostra madre lavora ore infinite nel pub nel weekend, e Martina esce ogni volta che può, tirando fuori di ogni tipo.
L’appartamento ha tre camere, una cucina e un bagno in comune, e le pareti? Sottili come i sogni di un aspirante poeta.
E quando quella gran puttana di mia sorella porta a casa uno dei suoi manzi, la situazione diventa una commedia involontaria. Riesco a sentire ogni singolo dettaglio delle loro scopate, e mi sego sentendo i miagolii di mia sorella. Non posso farne a meno; c’è qualcosa di perverso nel premere l’orecchio contro il muro per afferrare i suoi gemiti. Come se, in qualche modo, assaporassi la mia impotenza sociale mentre loro si sfregano l’uno contro l’altro, ignari del fatto che sono lì.

Dovevo fare qualcosa per non impazzire, e così mi sono offerto volontario per il bucato. La mamma è troppo stanca per farlo, e Martina? Beh, lei lo schifa come se fosse un virus mortale. Ogni tanto mi tira frecciatine, insinuando che faccio il "pervertito" con la sua biancheria, e sorride, come se mi stesse facendo un favore a lasciarmi fare. Non ha idea, poverina.
Perché sì, "fare il pervertito" è esattamente quello che faccio. È diventato un rituale sacro del sabato mattina. Appena esce dall’appartamento, vado in cerca della sua roba sporca. Quelle mutandine, quei reggiseni… gli odori persistenti del suo corpo mi mandano in un delirio animale. Il profumo della sua figa, l'odore di sudore mischiato al sapore della sua pelle, mi fanno scoppiare un’erezione che potrebbe abbattere un palazzo.

Prendo una delle sue mutandine, le posiziono, le sento tra le mani come se fossero il collegamento fisico tra la mia fantasia e il suo corpo. Punto il cazzo contro quel pezzo di stoffa mentre immagino lei che se lo mette addosso più tardi, senza sapere quello che ho fatto. Sì, lo so, è malato. Ma poi, come ogni buon rituale, arriva la purificazione. Levo le prove. Lavo tutto. Pulito come la coscienza di un predicatore che la domenica siede in chiesa, dopo aver passato la settimana a scopare in segreto.

Sabato scorso, lei ha portato uno dei suoi cazzi a casa di pomeriggio, e io, come un ladro, mi sono ritirato in camera mia, facendo finta di essere uscito. Ho ascoltato tutto. I gemiti soffocati, i colpi sordi del letto che si muoveva. Dopo hanno mangiato, guardato la TV, e poi l’hanno fatto di nuovo. Dopo la doccia, se ne sono andati al cinema.
Aspettai cinque minuti, il tempo giusto per evitare imprevisti, poi sgattaiolai fuori, nudo come un verme. Non c’era fretta di coprirmi: la casa era deserta, la strada tranquilla, nessun guardone curioso. Stavo disteso sul letto a tormentarmi il cazzo per tutto il tempo, trattenendo il piacere, proprio come quando hai fame e sai che c’è una bistecca in cucina, ma vuoi aspettare il momento giusto per addentarla.

Rovistai nel cesto della biancheria: niente. Neanche in bagno. Dovevano aver lasciato tutto in camera sua. L'odore del sesso era dappertutto, come se l'aria fosse densa di quei fluidi che si scambiavano con tanto entusiasmo. Entrare nella sua stanza era come calarsi in un altro mondo, tra quelle pareti rosa shocking, così ridicole, da verginella liceale, invece che da gran zoccola com’è.

E lì, appeso come un trofeo, un perizoma rosso, mollemente adagiato sulla sedia. Lo afferro. Bagnato. Non ci voleva molto per capire cosa fosse quella sostanza viscosa. Lui le aveva sborrato addosso, probabilmente mentre lei lo indossava ancora. E io lì, a stringerlo tra le mani come un bambino che ha vinto la caccia al tesoro organizzata da Don Piero.

Era strano, toccare lo sperma di un altro uomo. C’era una sorta di curiosità morbosa nel farlo, stavo varcando una linea che nessuno ammetterebbe di attraversare. Lo annusai, quasi per sfida, poi tornai a cercare il reggiseno abbinato. Lo trovai mescolate tra le lenzuola. Per terra, come un accessorio dimenticato in fretta, c’era un vibratore!
Era di un rosa acceso, lungo circa 20 centimetri, con una superficie liscia e leggermente curva. Era coperto da una sottile patina di fluidi corporei, un miscuglio di sudore, sperma e secrezioni vaginali. L’odore era pungente, una combinazione di sesso appena consumato e l’aroma dolciastro del silicone riscaldato.
Lo afferrai e, senza pensarci troppo, lo succhiai per un po', assaporando il sapore salato e metallico, con un retrogusto vagamente amaro.
Accesi il vibratore. Le vibrazioni erano decenti, niente di incredibile, ma abbastanza per fare il loro lavoro. Sdraiato sul letto di Martina, ricoprii l’asta di saliva e me lo infilai nel culo, un piacere sordo che si espandeva, rimbalzando da un angolo all’altro del mio corpo.

Con le mutandine bagnate premute contro il naso, l’odore di lei che mi invase le narici, iniziai a masturbarmi, lasciando che il ritmo del mio braccio si sincronizzasse con le vibrazioni interne. Il piacere si accumulava come una diga sul punto di rompersi, la tensione cresceva a dismisura, e sapevo che non sarebbe durato a lungo. Quando finalmente raggiunsi l’orgasmo, fu una liberazione selvaggia, il tipo di liberazione che ti svuota nel profondo. Gridai piano, come se volessi evitare di far sapere a qualcuno di essere ancora vivo. Lo sperma si inarcò nell’aria, e senza pensarci, lo diressi sul reggiseno rosso di Martina, completando il ciclo con una precisione da maniaco.

Pulii il vibratore e seppellii di nuovo le mutandine sotto le lenzuola. Il reggiseno, ormai pure lui carico di sperma, lo rimisi sulla sedia, chiedendomi se si sarebbe accorta del pasticcio o se lo avrebbe gettato in lavatrice senza farci caso.

Prima di andarmene, frugai nel suo cassetto della biancheria, curioso di vedere se avesse comprato qualcosa di nuovo. Con sorpresa, trovai non solo il suo dildo realistico in silicone, ma anche un buttplug in metallo ornato di gioielli. Non sapevo che le piacesse. L'idea che lo indossasse in pubblico ravvivò immediatamente il mio cazzo.

Feci come con il vibratore: bagnai il plug con la saliva e me lo infilai nel culo, camminando per l'appartamento, annusando e succhiando il dildo. Mi immaginai di essere lei, con il cazzo duro in mano, accarezzandomi lentamente. Non ci volle molto prima che tornassi nella sua stanza. Con un sospiro di piacere, spruzzai una seconda dose di sperma sul suo reggiseno.
Rimisi il plug anale e il dildo al loro posto, spensi la luce e tornai nella mia stanza, pienamente soddisfatto della mia avventura.

scritto il
2024-10-20
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