Benedetta
di
Sara1994
genere
etero
Sono una ragazza un po’ particolare, ho 26 anni, mi chiamo Benedetta, sono alta un metro e settanta, peso 50 kg, ho i capelli lunghi e biondi e gli occhi blu, gestisco, attualmente, un negozio di abbigliamento maschile, un motivo c’è.
Tutto è iniziato quando avevo 18 anni, i miei mi hanno avuta molto avanti negli anni, dopo tanti tentativi, finalmente, sono arrivata io, questo il motivo del mio nome, vengo da una famiglia profondamente religiosa, una sorella di mamma è suora, i miei hanno sempre gestito un negozio di paramenti sacri ed io sono sempre andata in scuole cattoliche fino al diploma, frequentavo la chiesa e cantavo nel coro anche se non avevo una voce bellissima ma si confondeva con quella degli altri, a quell’età non avevo mai avuto un ragazzo, anche se avevo parecchi pensieri al riguardo che la domenica, prima della messa , confessavo al sacerdote.
Una sera, prima di Natale, avevo preso l’impegno, come negli ultimi anni, di fare il presepe in chiesa, doveva essere pronto per la notte di Natale, la messa di mezzanotte, ci lavoravo con altre tre ragazze del coro, eravamo a buon punto, la sera dopo sarebbe passato un parrocchiano elettricista a collegare i vari cavi per illuminare il nostro presepe, c’era però tutta una zona che non mi piaceva e lo dissi alle altre, ma erano già le otto passate e dovevano andare a casa, dissero che ci avremmo pensato il giorno dopo, acconsentii ma rimasi a fissare il presepio mentre si vestivano ed uscivano, dopo 10 minuti misi il giaccone anch’io, il cappello e la sciarpa e presi le chiavi che il parroco ci aveva lasciato, una volta chiusa una delle porticine laterali le misi nella cassetta della casa parrocchiale che era attaccata alla chiesa e mi incamminai verso casa, nulla di che, 500 metri.
Abitavamo al quarto piano di un condominio definito “di lusso” f
orse perché aveva un bel giardino o forse per le rifiniture degli appartamenti, comunque la strada per arrivare a casa era ben illuminata e, anche se non c’era nessuno in giro, era comunque un susseguirsi di condomini, mi sentivo tranquilla e con la testa continuavo a pensare al presepio, ad un certo punto una voce che mi chiamava
- Signorina?
mi voltai, un furgone bianco si era fermato accostandosi al marciapiede e l’autista aveva abbassato il finestrino del passeggero, mi avvicinai
- Si?
- Mi scusi non riesco a trovare Via dei Guarneri, è questa per caso?
- Ah no, vede la chiesa? È quella che passa proprio dietro
La portiera laterale del furgone si aprì, quattro mani mi afferrarono, una sulla mia bocca e venni spinta sul furgone e buttata per terra dove atterrai su qualcosa di morbido che poi scopersi essere delle coperte, il furgone partì ancora con il portellone aperto che venne chiuso in corsa, ero terrorizzata anche perché l’interno del furgone era completamente buio, sempre quattro mani mi tenevano per terra mentre il furgone correva, ed una voce
- Stai zitta e non ti faremo del male
Non era in italiano perfetto
- Ma cosa volete da me non siamo ricchi
Mi riferivo, chiaramente alla mia, famiglia, due uomini che ridevano e parlarono tra di loro in una lingua che non riconobbi, intanto dovevamo essere su una strada sterrata perché il furgone ballonzolava e aveva rallentato, ad un certo punto si fermò, la portiera laterale si aprì e l’autista salì anche lui, fuori era buio ma quando la richiuse ne accese una piccola nella parte posteriore del furgone, in alto, e così vidi anche gli altri due che erano di colore mentre lui era bianco o almeno così mi sembrava, avevo freddo, nonostante il giaccone e i jeans con l’interno felpato, mi strinsero i polsi con una fascetta di plastica e poi scendemmo tutti e tre, c’era una costruzione ma al buio non la distinsi bene, entrammo da una porta piccola e bassa, dovetti chinarmi in avanti per entrare, accesero la luce, la stanza era piccola, non vidi finestre, era molto calda, in un angolo una stufa di quelle con la bombola che era accesa, per terra solo tappeti e cuscini, in un angolo una pila di coperte come quelle che c’erano sul furgone, mi fecero sedere e si spostarono vicino alla stufa a parlare tra di loro, ogni tanto mi lanciavano un occhiata, poi uno mi dette una bottiglietta d’acqua e tornò dai suoi amici, poi l’autista si alzò, prese una coperta e me la buttò,
- Abbiamo bisogno dei tuoi vestiti, metti questa
Gli feci vedere le mani legate allora prese un coltello, fece scattare la lama e le tagliò, tolsi cappello, sciarpa e giaccone, poi gli scarponcini e le calze, poi mi misi la coperta davanti e riuscii a togliermi camicia, canottiera e pantaloni e mi avvolsi nella coperta, allora, sempre l’autista
- Anche la biancheria, la collanina e l’orologio
Poi prese la collanina che aveva un piccolo crocefisso ed una medaglietta con la Madonna, la fece vedere agli altri, poi ci sputò sopra e la gettò insieme al mucchio dei miei vestiti, avvolta nella coperta mi sedetti, pensai volessero mandare i vestiti ai miei genitori per fargli vedere che mi avevano presa ma, non fu così.
Ad un certo punto si spogliò ed io compresi subito cosa voleva fare, urlai
- No , per favore no
- Zitta cagna
E mi strappò di dosso la coperta, poi mi spinse all’indietro e mi fu sopra, mi misi a piangere ma mi allargò le gambe, con le ginocchia e poi mi penetrò con forza, urlai ancora e stavolta le lacrime furono per il dolore, andava su e giù dentro di me facendomi male, mi stringeva il seno e tormentava i capezzoli, ad un certo punto cominciò a sbattermi velocemente ed infine sentii che il suo seme caldo schizzava contro le pareti della mia vagina, quando uscì da me, si guardò il pene e, forse notando il sangue disse qualcosa ai suoi che risero tutti e due, sicuramente si riferivano alla mia perduta verginità, non mi fecero respirare però, subito uno degli altri due prese il suo posto e fece lo stesso, il terzo poi mi fece girare, mi mise un cuscino sotto la pancia e mi prese da dietro e lo sentii più degli altri, ogni tanto mi dava uno schiaffo su una chiappetta e diceva qualcosa. Non avevo più lacrime, o almeno così pensavo, fino a quando non decisero, sempre nello stesso ordine di sverginarmi anche il culetto, ero distrutta, avevo male dappertutto, stesa a faccia in giù sul tappeto non mi mossi, mi buttarono addosso una coperta e sentii che si mettevano a mangiare, poi uno si alzò e mi legò con altre fascette polsi e caviglie, poi spensero la luce e si misero a dormire.
Non dormirono a lungo, mi liberarono e scoparono ancora, da soli o insieme, mi costrinsero anche a leccare e succhiare i loro arnesi, poi mi rivestirono, in qualche maniera e, quasi di peso mi rimisero sul furgone, mi ritrovai sola ed infreddolita su una strada circondata da campi spogli con la brina sopra, arrivò un camioncino che, penso trasportasse latte, riuscii a fermarlo e gli raccontai quello che era successo pregandolo di portarmi in ospedale, fece di più, chiamò il 112 ed arrivarono i carabinieri ed un’ambulanza mentre lui mi faceva sedere in cabina e da un thermos mi dava del caffè caldo e dolce.
In ospedale trovai i miei che erano stati avvertiti dai carabinieri, venni visitata, medicata, mi fecero prelievi ed analisi mentre descrivevo ai carabinieri gli uomini ed il furgone del quale, però, non avevo visto la targa.
Le indagini non portarono a nulla, io andai da una psichiatra consigliata dall’ospedale, i danni fisici erano guariti, quelli psicologici no, ma non rifiutavo l’idea di avere rapporti sessuali in futuro, come si potrebbe pensare, al contrario, sentivo di desiderare di avere rapporti sessuali, nei 6 mesi che andai dalla psichiatra non ebbi, chiaramente, alcun rapporto sessuale, anche perché non uscivo quasi mai di casa, almeno da sola, però, finalmente, la psichiatra disse che, sarebbero state necessarie altre sedute ma, sostanzialmente ero malata, il desiderio che avevo che la notte mi portava a masturbarmi e più di una volta, si poteva inquadrare come una forma di ninfomania che, a differenza di altre donne che facevano sesso continuamente perché non riuscivano ad averne soddisfazione, nel mio ed in altri casi simili lo volevamo fare proprio per godere degli orgasmi che questo avrebbe prodotto, era abbastanza complicato per me da capire, mamma chiese se c’erano dei medicinali che mi avrebbero potuto curare, la dottoressa disse che curare no ma tenere sotto controllo si, soprattutto ansiolitici ed antidepressivi che feci finta di prendere ma buttai ogni volta. Mia zia, la suora, poi propose alla mamma di mandarmi un po’ da lei al convento, resistetti 15 giorni ma, comunque non osavo andare in giro da sola e passavo moltissimo tempo in casa, per fortuna c’era internet e mamma e papà erano sempre in negozio, io nella mia cameretta guardavo fil porno e mi masturbavo, anche con oggetti di uso comune oltre che con le mie mani, inoltre imparavo tante cose sul sesso.
La psichiatra dalla quale ripresi ad andare, mi spiegò che il mio disturbo avrebbe avuto, sicuramente, riflessi negativi sulla mia vita di relazioni e su quella lavorativa o di studio, anche perché, praticamente, non avevo inibizioni di sorta e volevo sempre sperimentare cose nuove, queste le sue caratteristiche; ero abbastanza intelligente per capirlo da sola ma, anche, sufficientemente intelligente per capire che avrei potuto usare il mio disturbo a mio vantaggi; mi iscrissi all’università: laurea triennale in economia aziendale, studiavo però frequentavo, soprattutto i servizi igienici e gli studi privati dei docenti, a 23 anni ero laureata, mamma e papà parlavano da tempo di andare in pensione, del resto lui aveva settant’anni e la mamma quasi sessanta, dissi loro che avrei voluto lavorare io nel negozio però cambiando genere di abbigliamento, non mi intendevo di paramenti e abiti talari, meglio un negozio di abbigliamento normale, non dedicato ai giovani per evitare il susseguirsi dei cambiamenti della moda ma qualcosa di classico.
Papà mi aiutò, modificammo l’arredamento senza stravolgerlo eliminammo un camerino di prova ampliando gli altri due, cambiammo l’insegna e mi diede un po’ di soldi per il primo assortimento, contattai le aziende per avere la visita dei rappresentanti dai quali ottenni le migliori condizioni possibili di prezzo e pagamento e aprii il mio negozio, ormai lo gestisco da tre anni con risultati soddisfacenti, ho una clientela di
Età media, diciamo dai quaranta ai sessant’anni, clienti affezionati, come i rappresentanti, ogni tanto, spesso, sulla porta del mio negozio c’è il cartello “torno subito” ma manco in effetti sempre per pochi minuti.
Al di fuori del lavoro i miei rapporti di relazione sono il mercoledì con due piloti di Emirates che atterrano a Malpensa e passano la notte da me, un fornaio egiziano che il lunedì, prima di accendere il forno alle 4 del mattino passa da me, un amico chef che il sabato dopo il lavoro viene a trovarmi ed altri amici tassisti, delle forze dell’ordine, autisti, professori universitari, non vivo una vita solitaria ma, come direbbe mia zia suora :”vivo nel peccato” ma la domenica mattina vado a messa e …… mi confesso.
Tutto è iniziato quando avevo 18 anni, i miei mi hanno avuta molto avanti negli anni, dopo tanti tentativi, finalmente, sono arrivata io, questo il motivo del mio nome, vengo da una famiglia profondamente religiosa, una sorella di mamma è suora, i miei hanno sempre gestito un negozio di paramenti sacri ed io sono sempre andata in scuole cattoliche fino al diploma, frequentavo la chiesa e cantavo nel coro anche se non avevo una voce bellissima ma si confondeva con quella degli altri, a quell’età non avevo mai avuto un ragazzo, anche se avevo parecchi pensieri al riguardo che la domenica, prima della messa , confessavo al sacerdote.
Una sera, prima di Natale, avevo preso l’impegno, come negli ultimi anni, di fare il presepe in chiesa, doveva essere pronto per la notte di Natale, la messa di mezzanotte, ci lavoravo con altre tre ragazze del coro, eravamo a buon punto, la sera dopo sarebbe passato un parrocchiano elettricista a collegare i vari cavi per illuminare il nostro presepe, c’era però tutta una zona che non mi piaceva e lo dissi alle altre, ma erano già le otto passate e dovevano andare a casa, dissero che ci avremmo pensato il giorno dopo, acconsentii ma rimasi a fissare il presepio mentre si vestivano ed uscivano, dopo 10 minuti misi il giaccone anch’io, il cappello e la sciarpa e presi le chiavi che il parroco ci aveva lasciato, una volta chiusa una delle porticine laterali le misi nella cassetta della casa parrocchiale che era attaccata alla chiesa e mi incamminai verso casa, nulla di che, 500 metri.
Abitavamo al quarto piano di un condominio definito “di lusso” f
orse perché aveva un bel giardino o forse per le rifiniture degli appartamenti, comunque la strada per arrivare a casa era ben illuminata e, anche se non c’era nessuno in giro, era comunque un susseguirsi di condomini, mi sentivo tranquilla e con la testa continuavo a pensare al presepio, ad un certo punto una voce che mi chiamava
- Signorina?
mi voltai, un furgone bianco si era fermato accostandosi al marciapiede e l’autista aveva abbassato il finestrino del passeggero, mi avvicinai
- Si?
- Mi scusi non riesco a trovare Via dei Guarneri, è questa per caso?
- Ah no, vede la chiesa? È quella che passa proprio dietro
La portiera laterale del furgone si aprì, quattro mani mi afferrarono, una sulla mia bocca e venni spinta sul furgone e buttata per terra dove atterrai su qualcosa di morbido che poi scopersi essere delle coperte, il furgone partì ancora con il portellone aperto che venne chiuso in corsa, ero terrorizzata anche perché l’interno del furgone era completamente buio, sempre quattro mani mi tenevano per terra mentre il furgone correva, ed una voce
- Stai zitta e non ti faremo del male
Non era in italiano perfetto
- Ma cosa volete da me non siamo ricchi
Mi riferivo, chiaramente alla mia, famiglia, due uomini che ridevano e parlarono tra di loro in una lingua che non riconobbi, intanto dovevamo essere su una strada sterrata perché il furgone ballonzolava e aveva rallentato, ad un certo punto si fermò, la portiera laterale si aprì e l’autista salì anche lui, fuori era buio ma quando la richiuse ne accese una piccola nella parte posteriore del furgone, in alto, e così vidi anche gli altri due che erano di colore mentre lui era bianco o almeno così mi sembrava, avevo freddo, nonostante il giaccone e i jeans con l’interno felpato, mi strinsero i polsi con una fascetta di plastica e poi scendemmo tutti e tre, c’era una costruzione ma al buio non la distinsi bene, entrammo da una porta piccola e bassa, dovetti chinarmi in avanti per entrare, accesero la luce, la stanza era piccola, non vidi finestre, era molto calda, in un angolo una stufa di quelle con la bombola che era accesa, per terra solo tappeti e cuscini, in un angolo una pila di coperte come quelle che c’erano sul furgone, mi fecero sedere e si spostarono vicino alla stufa a parlare tra di loro, ogni tanto mi lanciavano un occhiata, poi uno mi dette una bottiglietta d’acqua e tornò dai suoi amici, poi l’autista si alzò, prese una coperta e me la buttò,
- Abbiamo bisogno dei tuoi vestiti, metti questa
Gli feci vedere le mani legate allora prese un coltello, fece scattare la lama e le tagliò, tolsi cappello, sciarpa e giaccone, poi gli scarponcini e le calze, poi mi misi la coperta davanti e riuscii a togliermi camicia, canottiera e pantaloni e mi avvolsi nella coperta, allora, sempre l’autista
- Anche la biancheria, la collanina e l’orologio
Poi prese la collanina che aveva un piccolo crocefisso ed una medaglietta con la Madonna, la fece vedere agli altri, poi ci sputò sopra e la gettò insieme al mucchio dei miei vestiti, avvolta nella coperta mi sedetti, pensai volessero mandare i vestiti ai miei genitori per fargli vedere che mi avevano presa ma, non fu così.
Ad un certo punto si spogliò ed io compresi subito cosa voleva fare, urlai
- No , per favore no
- Zitta cagna
E mi strappò di dosso la coperta, poi mi spinse all’indietro e mi fu sopra, mi misi a piangere ma mi allargò le gambe, con le ginocchia e poi mi penetrò con forza, urlai ancora e stavolta le lacrime furono per il dolore, andava su e giù dentro di me facendomi male, mi stringeva il seno e tormentava i capezzoli, ad un certo punto cominciò a sbattermi velocemente ed infine sentii che il suo seme caldo schizzava contro le pareti della mia vagina, quando uscì da me, si guardò il pene e, forse notando il sangue disse qualcosa ai suoi che risero tutti e due, sicuramente si riferivano alla mia perduta verginità, non mi fecero respirare però, subito uno degli altri due prese il suo posto e fece lo stesso, il terzo poi mi fece girare, mi mise un cuscino sotto la pancia e mi prese da dietro e lo sentii più degli altri, ogni tanto mi dava uno schiaffo su una chiappetta e diceva qualcosa. Non avevo più lacrime, o almeno così pensavo, fino a quando non decisero, sempre nello stesso ordine di sverginarmi anche il culetto, ero distrutta, avevo male dappertutto, stesa a faccia in giù sul tappeto non mi mossi, mi buttarono addosso una coperta e sentii che si mettevano a mangiare, poi uno si alzò e mi legò con altre fascette polsi e caviglie, poi spensero la luce e si misero a dormire.
Non dormirono a lungo, mi liberarono e scoparono ancora, da soli o insieme, mi costrinsero anche a leccare e succhiare i loro arnesi, poi mi rivestirono, in qualche maniera e, quasi di peso mi rimisero sul furgone, mi ritrovai sola ed infreddolita su una strada circondata da campi spogli con la brina sopra, arrivò un camioncino che, penso trasportasse latte, riuscii a fermarlo e gli raccontai quello che era successo pregandolo di portarmi in ospedale, fece di più, chiamò il 112 ed arrivarono i carabinieri ed un’ambulanza mentre lui mi faceva sedere in cabina e da un thermos mi dava del caffè caldo e dolce.
In ospedale trovai i miei che erano stati avvertiti dai carabinieri, venni visitata, medicata, mi fecero prelievi ed analisi mentre descrivevo ai carabinieri gli uomini ed il furgone del quale, però, non avevo visto la targa.
Le indagini non portarono a nulla, io andai da una psichiatra consigliata dall’ospedale, i danni fisici erano guariti, quelli psicologici no, ma non rifiutavo l’idea di avere rapporti sessuali in futuro, come si potrebbe pensare, al contrario, sentivo di desiderare di avere rapporti sessuali, nei 6 mesi che andai dalla psichiatra non ebbi, chiaramente, alcun rapporto sessuale, anche perché non uscivo quasi mai di casa, almeno da sola, però, finalmente, la psichiatra disse che, sarebbero state necessarie altre sedute ma, sostanzialmente ero malata, il desiderio che avevo che la notte mi portava a masturbarmi e più di una volta, si poteva inquadrare come una forma di ninfomania che, a differenza di altre donne che facevano sesso continuamente perché non riuscivano ad averne soddisfazione, nel mio ed in altri casi simili lo volevamo fare proprio per godere degli orgasmi che questo avrebbe prodotto, era abbastanza complicato per me da capire, mamma chiese se c’erano dei medicinali che mi avrebbero potuto curare, la dottoressa disse che curare no ma tenere sotto controllo si, soprattutto ansiolitici ed antidepressivi che feci finta di prendere ma buttai ogni volta. Mia zia, la suora, poi propose alla mamma di mandarmi un po’ da lei al convento, resistetti 15 giorni ma, comunque non osavo andare in giro da sola e passavo moltissimo tempo in casa, per fortuna c’era internet e mamma e papà erano sempre in negozio, io nella mia cameretta guardavo fil porno e mi masturbavo, anche con oggetti di uso comune oltre che con le mie mani, inoltre imparavo tante cose sul sesso.
La psichiatra dalla quale ripresi ad andare, mi spiegò che il mio disturbo avrebbe avuto, sicuramente, riflessi negativi sulla mia vita di relazioni e su quella lavorativa o di studio, anche perché, praticamente, non avevo inibizioni di sorta e volevo sempre sperimentare cose nuove, queste le sue caratteristiche; ero abbastanza intelligente per capirlo da sola ma, anche, sufficientemente intelligente per capire che avrei potuto usare il mio disturbo a mio vantaggi; mi iscrissi all’università: laurea triennale in economia aziendale, studiavo però frequentavo, soprattutto i servizi igienici e gli studi privati dei docenti, a 23 anni ero laureata, mamma e papà parlavano da tempo di andare in pensione, del resto lui aveva settant’anni e la mamma quasi sessanta, dissi loro che avrei voluto lavorare io nel negozio però cambiando genere di abbigliamento, non mi intendevo di paramenti e abiti talari, meglio un negozio di abbigliamento normale, non dedicato ai giovani per evitare il susseguirsi dei cambiamenti della moda ma qualcosa di classico.
Papà mi aiutò, modificammo l’arredamento senza stravolgerlo eliminammo un camerino di prova ampliando gli altri due, cambiammo l’insegna e mi diede un po’ di soldi per il primo assortimento, contattai le aziende per avere la visita dei rappresentanti dai quali ottenni le migliori condizioni possibili di prezzo e pagamento e aprii il mio negozio, ormai lo gestisco da tre anni con risultati soddisfacenti, ho una clientela di
Età media, diciamo dai quaranta ai sessant’anni, clienti affezionati, come i rappresentanti, ogni tanto, spesso, sulla porta del mio negozio c’è il cartello “torno subito” ma manco in effetti sempre per pochi minuti.
Al di fuori del lavoro i miei rapporti di relazione sono il mercoledì con due piloti di Emirates che atterrano a Malpensa e passano la notte da me, un fornaio egiziano che il lunedì, prima di accendere il forno alle 4 del mattino passa da me, un amico chef che il sabato dopo il lavoro viene a trovarmi ed altri amici tassisti, delle forze dell’ordine, autisti, professori universitari, non vivo una vita solitaria ma, come direbbe mia zia suora :”vivo nel peccato” ma la domenica mattina vado a messa e …… mi confesso.
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Commenti dei lettori al racconto erotico