Sua Maestà il Re
di
suo schiavo
genere
dominazione
Il monarca potente e rispettato di un piccolo prospero regno aveva al suo soldo una masnada di sgherri che sguinzagliava armati per i vicoli della capitale a riscuotere le tasse che ogni capo famiglia gli doveva. Coloro che non erano in grado di pagare potevano scegliere fra due alternative altrettanto penose. Essere tratti in arresto e tradotti in galera dove avrebbero languito per anni oppure consegnare nelle mani degli esattori uno dei loro giovani figli, già adolescenti ma ancora ignari riguardo al sesso, che non avrebbero più rivisto perché destinato a diventare proprietà del sovrano come suo servo o meglio suo schiavo. I più fortunati o almeno così si credeva sarebbero stati arruolati a palazzo. Essi venivano selezionati fra i più belli, tutti biondi e con gli occhi azzurri e le carnagioni candide, agili, aitanti e però carini in volto, i quali erano i preferiti dal re e dovevano lavorare sodo come stallieri, come giardinieri, come cantinieri, etc. Il loro angusto padrone li sorvegliava dall'alto di una torre e quando ne adocchiava uno che pur vestito di stracci e madido di sudore lo ispirava più degli altri lo faceva condurre in sua presenza ripulito e seminudo per proporgli di sottoscrivere da analfabeta con una croce vidimata da due notai un contratto con il quale accettava di essere avviato ad una scuola diciamo così di comportamento che lo avrebbe raffinato nei modi e trasformato da rustico e rozzo figlio del popolo in un lezioso e un po' smorfiosetto “amico particolare” del re. Avrebbe continuato a vestire abiti maschili ma di una foggia tale da apparire un po' checca. In cambio avrebbe goduto di molti privilegi primo fra tutti quello di essere esonerato da ogni altro servizio che non fosse quello di stare a disposizione. Quasi tutti accettavano anche se titubanti ben consapevoli che in caso contrario sarebbero stati magari spediti in montagna o in miniera a fare una vita piuttosto tribolata. Una copia del contratto veniva sempre recapitata alla famiglia di origine perché ne fosse informata. Subito dopo ogni nuovo candidato veniva condotto da un sarto di fiducia che da nudo lo esaminava e gli prendeva tutte le misure necessarie a cucirgli addosso una prima montura. Nel fare il suo lavoro egli palpava senza alcun riguardo qualsiasi parte del suo corpo facendo diversi apprezzamenti a voce alta sulle sue qualità fisiche, anche le più intime. Se questi si dimostrava anche solo un po' infastidito da tali attenzioni due giannizzeri erano pronti a farlo diventare più ragionevoli a suon di ceffoni. Gli schiaffi sulle guance e le sculacciate o le bacchettate sui glutei erano i normali provvedimenti disciplinari impiegati dagli educatori che lo avevano in consegna, e ne dispensavano tanti prima di riuscire a ridurre quel diavoletto a diventare docile e ubbidiente oltre che rassegnato al suo destino. A ciascuno veniva dato un nuovo nome che era sempre il nome di un fiore (“Viola”, “Rosa”, “Giacinto”, “Gladiolo” ovvero “Iris”) col quale da lì innanzi sarebbe stato chiamato, mai declinati al maschile quelli che lo erano di suo (“Giacinta”, “Gladia”). Insieme al nome riceveva una boccia di profumo con le note di quel fiore, con la raccomandazione di usarlo sempre per spandere intorno a sé quella precisa fragranza in modo che al suo passaggio venisse chiaramente identificato ancora prima di essere visto. Le tinte più caratteristiche dello stesso fiore arpeggiate in diverse tonalità diventavano anche i colori guida che avrebbero contraddistinto le sue vesti. Da subito veniva inoltre sempre interpellato al femminile (ad es. “Gladia vieni avanti”, “Quanto sei bella oggi”, “Sorridimi dai, fai la simpatica”, etc). Da quel momento in poi inoltre non frequentava che uomini, sia nel castello (dove donne non ce n'erano proprio) sia nelle rare occasioni in cui era in trasferta, accompagnato da qualcuno dei guardiani, per andare al mare o per una passeggiata in collina o per una capatina al villaggio a fare qualche spesuccia. Il suo arrivo veniva preceduto da due araldi che con squilli di tromba avvertivano tutto il genere femminile di qualunque età di farsi da parte e comunque di levarsi di torno. Gli spettacoli teatrali o di danza o di altro a cui gli era concesso di assistere erano per intero affidati a compagnie di giro composte da attori, ballerini e musici solo adulti e mai dell'altro sesso. Già alla luce di tali semplici accorgimenti veniva sospinto e incoraggiato a sentirsi un diverso e a coltivare a poco a poco un certo piacere alla vista dei maschi. Da lì in poi veniva indottrinato sotto la regia di tre mentori. Il primo gli insegnava a prendersi cura del corpo e del proprio aspetto con lezioni di igiene quotidiana, di maquillage e di beltà (uso dello smalto sulle unghie, uso dell'eyeliner, acconciature elaborate, dimestichezza ad agghindarsi con gioielli, quali orecchini, collane, braccialetti, etc). Il secondo si occupava di raddrizzarne la voce indirizzandola ad abbandonare i timbri bassi e a diventare sottile e stridula, esercitandolo ad utilizzare esclamazioni e vocalizzi alquanto vezzosi e a destreggiarsi nel canto e nell'uso di strumenti musicali molto semplici, come il piffero e la cetra, per cavarne non importa quanto grande un repertorio di arie e di melodie abbastanza sdolcinate. Il terzo lo impostava nell'armonia dei movimenti e delle movenze, con particolare riguardo a taluni smorfie e gesti affettati tipici degli invertiti e ad assumere e a ostentare pose e andature ben bene sculettanti. Durante le loro lezioni i maestri si dimostravano molto esigenti e allo stesso tempo armati di pazienza, senza mai perdere di vista il risultato finale che doveva essere inculcato così bene da risultare di grande naturalezza e disinvoltura. Se bravo gli veniva donato un cammeo con l'effigie a figura intera del loro re che doveva tenere sempre a portata di bacio soggiungendo ben scandita la formula “Saluto il mio bellissimo Signore”. Senza altro indugio si dava inizio a due distinti corsi di educazione al sesso, quello orale e quello anale per intenderci. Consisteva dapprima nell'apprendimento di specifiche posture adatte allo scopo e subito dopo nell'impratichirlo ad eseguire buone pompe e a sottostare di buon grado alla monta. Questa seconda fase era guidata a colpi di frustino che calava deciso e preciso su qualunque parte del corpo, la prima che fosse a tiro, erogato senza parsimonia per correggerlo ma sempre in modo che non ne uscisse deturpato. Se il soggetto si dimostrava svogliato o pigro veniva mandato a patire uno specile castigo. Due guardiani lo tenevano immobilizzato e un terzo gli batteva senza misericordia l'uccello e le palline di tanti colpi quanti erano stati giudicati sufficienti dai suoi maestri, in genere da dieci fino a un massimo di cento. Queste sedute punitive in genere erano molto efficaci e bastavano a convincere anche i più refrattari a impegnarsi meglio e a dimostrare maggior profitto nel raffinarsi. Finito l'addestramento era pronti per far compagnia al padrone, che lo svezzava al suo sollazzo e lo promuoveva se meritevole e di qualità a diventare dignitario di corte, anche di altissimo grado, come era capitato a tutti i consiglieri che lo circondavano, attraverso anni di dura gavetta e di zelante devozione, spese a riverire il monarca e talvolta benignamente ancora ammessi dentro il suo giaciglio. Le sue parti intime venivano da tutti indistintamente menzionate con molta prudenza e ossequio sotto l'immancabile titolo di “regale verga”, “regali palle”, “pube regale”, “regali capezzoli”, e via discorrendo. E a dire il vero nessuno dei suoi si sentiva più di tanto un ipocrita o un adulatore a parlarne con tanto riguardo poiché i genitali di sua maestà erano per fattura, per misura e per prestanza quelli di un autentico stallone.
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