Le avventure di Roxanne. cap.10: La Femme Perdue
di
Joe Cabot
genere
saffico
Roxanne era già sotto le coperte quando arrivò Giselle. Scivolò nel letto con addosso l’odore dell’uomo.
«Roxanne, dormi?»
Roxanne, voltata di schiena, non dormiva ma non rispose perché aveva il cuore in subbuglio. Quello che aveva visto accadere alla Tenuta, il Marchese con la servetta e, soprattutto, fuori, nel prato, tra la cugina e il negro, la sconvolgeva. Soprattutto provava verso la cugina un guazzabuglio di sentimenti, dove la pur presente curiosità si mescolava alla rabbia, al disgusto, l’invidia alla gelosia. Ed anche un po’ di paura perché la sua cuginetta era diventata donna, era stata in terre per lei oscure, mentre lei rimaneva una bambina.
«Domani dirò tutto a…» poi si interruppe, rendendosi conto che forse a nessuno sarebbe importato. Ma non se ne rese conto la povera Giselle che saltò su a sedere.
«CHE COSA?!?» gridò.
«Sei una femme perdue, Giselle. Ti sei concessa al negro del Marchese. Sei… une putain.»
Giselle non badò alle lacrime agli occhi, che presero a rigarle le guance.
«Ma perché?, Roxanne, noi siamo amiche…»
La paura nella voce della cugina le diede coraggio.
«Amiche?» sbuffò con un sorriso perfido che l’altra non poté vedere. «Bella amica, tu! Mi hai lasciata sola e te ne sei andata a scopare con quel negro. Tu non sei un’amica, te l’ho detto, sei solo une putain. Une petit putain.»
«Ma Roxanne, perché mi dici così? Io… lo amo.»
Per tutta risposta Roxanne scoppiò a ridere, si voltò e si buttò sopra alla più minuta cugina, tenendole i polsi con le mani.
«Amare? Uno come quello? Suvvia sei proprio un cagnetta.»
«Roxanne… mi fai male…»
«Zitta, cagnetta.»
La stanza era in penombra e Roxanne vedeva a stento i lineamenti dal viso di Giselle. Però ora ne percepiva la paura, e più ancora di quella ad eccitarla era l’odore sconosciuto che aleggiava ovunque. Il suo odore candido, ma anche l’odore cupo dell’uomo che l’aveva posseduta. L’odore del piacere di lei, che già conosceva, ma anche l’odore del piacere di luii che per la prima volta aveva sentito nella stalla quando aveva sorpreso il Marchese con zia Claude, e poi di nuovo alla tenuta quella stessa notte, quando il Marchese aveva concesso il suo seme alla bocca vogliosa di Marie. Ma ora l’odore di piacere maschile era molto più forte, tutto addosso al corpo della cugina e, Roxanne lo sapeva, le stava sgorgando dal sesso ormai profanato. Voleva essere partecipe di quell’odore, di tutti quegli odori che erano l’odore del peccato della cugina.
«Petit putain…» sussurrò. Poi le sue labbra cercarono quelle dell’altra, la sua lingua vi si infilò. Giselle, confusa, si lasciò fare. La mano di Roxanne scese lungo il corpo della ragazza come ad impossessarsi di lei e finalmente raggiunse il sesso ormai dischiuso tra le sue cosce. Le sue dita si infilarono in lei, incurante dei lamenti e delle suppliche di far piano della ragazza. Il suo fiorellino era ormai sbocciato, Roxanne lo capì subito e rimase turbata. Dentro era caldo, appiccicaticcio, colmo di un piacere ormai passato che si stava ridestando.
«Roxanne, ti prego…»
«Zitta, sale putain! Mi fai schifo.»
Roxanne continuava a rigirarle le dita nel pertugio che non le ricordava più un favo di miele, quanto piuttosto un ricettacolo di vizi. Ma di vizi di cui aveva una gran voglia.
«Ormai servi solo per il piacere. E allora,» disse rotolando sul fianco fino a trovarsi con le cosce spalancate, «e allora, leccami, putain, fammi godere.»
«Ma Roxanne… non voglio.»
«Ho detto “zitta!”, petit putain,» le ripeté con piacere, godendo nel chiamarla così, «leccami la chatte e fammi godere, altrimenti domani tutti sapranno che ti sei concessa a un negro.»
Padrona della situazione, Roxanne si mise comoda sul cuscino e sentì la cugina che, singhiozzando piano, scendeva a fare controvoglia ciò che in quelle ultime settimane aveva più volte fatto per una reciproca gentilezza.
«Ah, putain…» iniziò a gorgogliare quanto la lingua della cugina si posò finalmente sul suo bocciolo. Roxanne si portò una mano al seno, iniziò a tormentarsi il capezzolo, con l’altra mano prese i capelli di Giselle per costringerla a non staccarsi. La cugina, con le lacrime che le rigavano le guance e le labbra lucide del miele di Roxanne, si diede da fare con la lingua, le labbra, i denti e le dita che sapeva, anche per esperienza, rendere gradite anche sul fiorellino posteriore. Roxanne si sentì crescere dentro un piacere mai provato, colmo di angoscia e tensione, paura e libidine, e quando raggiunse l’apice si sentì esplodere. Con la mano trattenne la cugina sulla sua fica, con l’altra strinse il capezzolo fino a farsi male, poi sentì che tutto quello che prima le si era accumulato dentro, nel basse ventre, le scoppiava dal pertugio tra le cosce. Per la prima volta venne schizzando, con un grido strozzato. Giselle non poté evitare di farsi riempire la bocca di un liquido dolciastro e strano.
[ci vediamo per degli inediti su a https://raccontiviola.wordpress.com/]
«Roxanne, dormi?»
Roxanne, voltata di schiena, non dormiva ma non rispose perché aveva il cuore in subbuglio. Quello che aveva visto accadere alla Tenuta, il Marchese con la servetta e, soprattutto, fuori, nel prato, tra la cugina e il negro, la sconvolgeva. Soprattutto provava verso la cugina un guazzabuglio di sentimenti, dove la pur presente curiosità si mescolava alla rabbia, al disgusto, l’invidia alla gelosia. Ed anche un po’ di paura perché la sua cuginetta era diventata donna, era stata in terre per lei oscure, mentre lei rimaneva una bambina.
«Domani dirò tutto a…» poi si interruppe, rendendosi conto che forse a nessuno sarebbe importato. Ma non se ne rese conto la povera Giselle che saltò su a sedere.
«CHE COSA?!?» gridò.
«Sei una femme perdue, Giselle. Ti sei concessa al negro del Marchese. Sei… une putain.»
Giselle non badò alle lacrime agli occhi, che presero a rigarle le guance.
«Ma perché?, Roxanne, noi siamo amiche…»
La paura nella voce della cugina le diede coraggio.
«Amiche?» sbuffò con un sorriso perfido che l’altra non poté vedere. «Bella amica, tu! Mi hai lasciata sola e te ne sei andata a scopare con quel negro. Tu non sei un’amica, te l’ho detto, sei solo une putain. Une petit putain.»
«Ma Roxanne, perché mi dici così? Io… lo amo.»
Per tutta risposta Roxanne scoppiò a ridere, si voltò e si buttò sopra alla più minuta cugina, tenendole i polsi con le mani.
«Amare? Uno come quello? Suvvia sei proprio un cagnetta.»
«Roxanne… mi fai male…»
«Zitta, cagnetta.»
La stanza era in penombra e Roxanne vedeva a stento i lineamenti dal viso di Giselle. Però ora ne percepiva la paura, e più ancora di quella ad eccitarla era l’odore sconosciuto che aleggiava ovunque. Il suo odore candido, ma anche l’odore cupo dell’uomo che l’aveva posseduta. L’odore del piacere di lei, che già conosceva, ma anche l’odore del piacere di luii che per la prima volta aveva sentito nella stalla quando aveva sorpreso il Marchese con zia Claude, e poi di nuovo alla tenuta quella stessa notte, quando il Marchese aveva concesso il suo seme alla bocca vogliosa di Marie. Ma ora l’odore di piacere maschile era molto più forte, tutto addosso al corpo della cugina e, Roxanne lo sapeva, le stava sgorgando dal sesso ormai profanato. Voleva essere partecipe di quell’odore, di tutti quegli odori che erano l’odore del peccato della cugina.
«Petit putain…» sussurrò. Poi le sue labbra cercarono quelle dell’altra, la sua lingua vi si infilò. Giselle, confusa, si lasciò fare. La mano di Roxanne scese lungo il corpo della ragazza come ad impossessarsi di lei e finalmente raggiunse il sesso ormai dischiuso tra le sue cosce. Le sue dita si infilarono in lei, incurante dei lamenti e delle suppliche di far piano della ragazza. Il suo fiorellino era ormai sbocciato, Roxanne lo capì subito e rimase turbata. Dentro era caldo, appiccicaticcio, colmo di un piacere ormai passato che si stava ridestando.
«Roxanne, ti prego…»
«Zitta, sale putain! Mi fai schifo.»
Roxanne continuava a rigirarle le dita nel pertugio che non le ricordava più un favo di miele, quanto piuttosto un ricettacolo di vizi. Ma di vizi di cui aveva una gran voglia.
«Ormai servi solo per il piacere. E allora,» disse rotolando sul fianco fino a trovarsi con le cosce spalancate, «e allora, leccami, putain, fammi godere.»
«Ma Roxanne… non voglio.»
«Ho detto “zitta!”, petit putain,» le ripeté con piacere, godendo nel chiamarla così, «leccami la chatte e fammi godere, altrimenti domani tutti sapranno che ti sei concessa a un negro.»
Padrona della situazione, Roxanne si mise comoda sul cuscino e sentì la cugina che, singhiozzando piano, scendeva a fare controvoglia ciò che in quelle ultime settimane aveva più volte fatto per una reciproca gentilezza.
«Ah, putain…» iniziò a gorgogliare quanto la lingua della cugina si posò finalmente sul suo bocciolo. Roxanne si portò una mano al seno, iniziò a tormentarsi il capezzolo, con l’altra mano prese i capelli di Giselle per costringerla a non staccarsi. La cugina, con le lacrime che le rigavano le guance e le labbra lucide del miele di Roxanne, si diede da fare con la lingua, le labbra, i denti e le dita che sapeva, anche per esperienza, rendere gradite anche sul fiorellino posteriore. Roxanne si sentì crescere dentro un piacere mai provato, colmo di angoscia e tensione, paura e libidine, e quando raggiunse l’apice si sentì esplodere. Con la mano trattenne la cugina sulla sua fica, con l’altra strinse il capezzolo fino a farsi male, poi sentì che tutto quello che prima le si era accumulato dentro, nel basse ventre, le scoppiava dal pertugio tra le cosce. Per la prima volta venne schizzando, con un grido strozzato. Giselle non poté evitare di farsi riempire la bocca di un liquido dolciastro e strano.
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