Una famiglia accogliente - Capitolo 2 - Black-out

di
genere
etero

Diedi una pennellata veloce. Mi risedetti sullo sgabello, e cominciai a fissare il quadro con aria dubbiosa.
Dopo qualche minuto che imitavo con il pennello delle linee immaginarie, entrò sul terrazzo la signora Sonia, portando un vassoio con una caraffa e un bicchiere.
“Ecco a te. Qualcosa di fresco” mi disse sorridendo e poggiando il vassoio su un tavolino lì vicino. Prese la brocca e riempì il calice, che mi porse.
“Grazie mille signora Sonia” risposi con un sorriso leggermente imbarazzato. L'imbarazzo non nasceva solamente dal timore reverenziale che si ha per tute le persone più grandi di noi, e dal fatto che fosse la madre della ragazza che frequentavo, ma derivava soprattutto dall'impatto visivo che Sonia mi provocava ogni volta che le vedevo.

La signora Sonia è una donna di 49 anni. Separata da circa 9 anni, aveva praticamente cresciuto Lorena da sola. Nonostante la carta d'identità risentisse degli anni passati, a vederla sotto il tiepido solo autunnale,  non si poteva non rimanere abbagliati dalla sua bellezza. Solo qualche ruga sul viso lasciava trasparire la sua età, perché per il resto, dire che Sonia fosse sensuale, era minimizzare.
Alta quanto sua figlia, possiede un corpo mozzafiato: capelli biondi, anche se tinti, facevano da cornice al suo viso che, da giovane, immagino abbia fatto innamorare schiere di ragazzi. Un fisico da favola, dominato da un seno grande, grandissimo, svettante come un sottoposto all'attenti. Spesso mi ero chiesto se non fosse rifatto. Una vita da donna matura, ma da far invidia a tante ragazzette, che raccoglieva delle gambe lunghe e sode, e un sedere possente, degno di cotanta beltà. Insomma, una di quelle bellezze che l'età non sfiorisce, ma coccola e rende quasi immortali.

Non vi nascondo che la prima volta che la vidi, non potei esimervi dal fantasticare su cosa potesse esserci sotto quei vestiti.
Aveva un rapporto speciale con la figlia, si volevano un bene dell'anima, forse frutto del fatto che si erano dati forza a vicenda durante gli ultimi anni.
Lavora come archivista in una grossa biblioteca della città. Donna coltissima e raffinata, aveva accettato ben volentieri la proposta della figlia di lasciarmi dipingere nella quiete della loro casa.
Quando dipingevo, mi viziava portando da bere e da mangiare, e non facendomi mai mancare complimenti.

“Come procede oggi?” mi chiese guardando il dipinto.
Feci una smorfia: “Non bene. Non riesco a tradurre sulla tela quello che voglio. Oggi è una giornata no”.
Mi mise una mano sulla spalla. Mi irrigidii per un secondo al contatto.
“Capita a tutti una giornata no” mi rispose sorridendo, dietro i suoi occhiali neri.
“Uffa, devo scappare” interruppe Lorena entrando a passo svelto sul terrazzo.
“Dove vai?” le chiesi mentre mi abbracciava.
“Sabrina mi ha chiesto di aiutarla a ripetere l'esame per domani, Mi sa che tornerò tardissimo mamma” disse alla signora.
“Ok, salutami Sabrina” disse la signora Sonia uscendo dal terrazzo.
“Non ti trovo quando tornerò vero?” mi chiese Lorena.
“Credo di no piccola” le risposi sorridendo e dandole un bacio sulla guancia.
La signora entrò dentro, congedandosi dicendo che aveva da fare in cucina.
Lorena si avvicinò al mio viso, e mi sussurrò all'orecchio: “Domani mattina non prendere impegni, che andiamo a fare una passeggiata nel nostro posto segreto”. Posò una mano tra le mie gambe.
“Sabrina non può aspettare mezzoretta? Mi è venuta un'improvvisa voglia di coccolarti un po'” le dissi ridendo.
Lorena rise sottovoce, mi diede un bacio, e mi prese per mano. Mi portò nella sua stanza.
Tirò fuori il telefonino, chiamò Sabrina dicendo che avrebbe fatto un po' di ritardo. Lo buttò sulla poltrona.
“Che hai in mente, piccolo maialino?” disse sorridendomi e avvicinandosi a me.
Ero seduto sul letto. Mi alzai, la feci appoggiare con le spalle al letto, e la spinsi già. Lorena cadde come un sacco di patate, e la minigonna nera si alzò lasciando vedere le sue mutandine bianche.
Mi abbassai e cominciai a baciarle le gambe. Lentamente risalii su, fin mezzo alle sue cosce.
“Che bel regalo – disse ridendo – a cosa devo?”.
Afferrai le mutandine e le tirai giù. La figa di Lorena era a pochi centimetri dal suo viso. Senza un pelo, glabra come piaceva a me, le diedi un bacio.
“Se non avessi solo 10 minuti, giuro che te lo spingerei dentro fino a farti urlare”, le dissi baciandole le gambe.
Lorena mi accarezzò i capelli, sospirando: “Avresti poi l'esame di Sabrina sulla coscienza”.
Cominciai a leccarla, con la lingua che lentamente risaliva su e giù. Lorena inarcò leggermente la schiena, quando cominciai, con la punta della lingua, a stuzzicarle il clitoride. Mi premette la faccia tra le sue gambe, mentre i suoi umori cominciavano a colare.
Gemeva piano, teneva due dita tra i denti per non alzare la voce.
Le infilai piano un dito, e cominciai a muovere, mentre le succhiavo il piccolo clitoride. Cominciò a muovere le gambe, come in preda a spasmi improvvisi. Infilai un secondo dito, e aumentai il ritmo.
Continuai a muovere la mia mano, alternando dei leggeri massaggi a penetrazioni decise, mentre mi alzai e le baciai il collo.
“Non sai che voglia ho di mettertelo in bocca, Lory” le sussurai all'orecchio.
Gemette: “Ti prego, non dire così...”.
Continuai per qualche altro minuto, poi lentamente rallentai, tirai fuori le dita. Le baciai, poi le poggiai sulle sue labbra.
“Adesso vai, non c'è tempo di farti arrivare all'orgasmo”.
Lorena mi guardò ridendo. Si rimise le mutandine e si riaggiustò la minigonna.
“Sei odioso, lo sai vero?” disse sorridendo.
Annuii, mentre le diedi un bacio sulla guancia.
“Colpa tua, sei tu che quella che va di fretta” le dissi ridendo.
Lorena rise, e mi diede dei colpetti sul petto. Si alzò sulle punte e mi diede un bacio: “Non vedo l'ora che arrivi domani. E non preoccuparti, saprò vendicarmi” mi disse.
Uscimmo dalla stanza, la porta era socchiusa. Non mi ricordavo di averla lasciata così, e nemmeno di averla socchiusa. Forse la mia immaginazione continuava a farmi cattivi scherzi.
Lorena salutò la signora Sonia, e corse via. Dopo qualche minuto, dal terrazzo, vidi la sua macchina che si allontanava.

“Sono felice che mia figlia abbia trovato un ragazzo come te”.
Mi girai sorpreso dalla voce di Sonia. Era appoggiata alla porta, con le braccia conserte.
“Signora Sonia, è lei – dissi arrossendo leggermente – la ringrazio per le belle parole”.
Sonia sorrise, sciogliendo tutta la tensione che avevo, e si avvicinò.
Mi girai verso il dipinto: “Se vuole che io vada, non ci sono problemi. Forse ha altri impegni per la serata”.
“Ma figurati. Anzi, vorrei che ti fermassi a cena più tardi. Mi faresti compagnia, visto che sono sempre sola”.
Annuii, e tornai a guardare il quadro.
“Cos'è che vuoi tradurre su tela?” mi chiese la signora Sonia.
“Non lo so nemmeno io. E' una sensazione, non riesco ancora a definirla” dissi poggiando il pennello sulla tavolozza, e cercando di non guardarla troppo per non farmi scoprire.
La signora Sonia si allungò appoggiandosi alla ringhiera. Il sole era ormai tramontato, e nuvoloni neri, che nulla promettevano, si avvicinavano velocemente.
Sotto di noi, la città correva veloce, e le luci cominciavano ad accendersi.
Prima un lampo, e poi un forte tuono, mi fece tornare in me.
“E' meglio se entriamo dentro, tra poco mi sa che si scatenerà un acquazzone” disse la signora Sonia portando dentro il vassoio con la limonata.
Presi la tavolozza e feci una corsa dentro appoggiandola su una sedia. Poi tornai fuori e alzai il treppiedi con il dipinto e lo portai in salotto. Dopo un paio di minuti, cominciò a piovere fortissimo. Il buio ormai era sceso, e la signora Sonia accese le luci in casa.
“Forse è meglio se chiudiamo anche le tapparelle. Non vorrei che l'acqua entri dentro” disse la signora chiudendo le finestre della cucina.
Chiusi quelle del salone, lei si occupò di quelle delle altre stanze.
Mi sedetti sul divano.
La signora Sonia tornò dopo qualche secondo.
“Siamo chiusi dentro” disse ridendo.
“Già, fuori sta venendo giù il diluvio universale” dissi sorrisendo.
La signora si appoggiò al divano, e disse: “Che preferisci per cena?”.
“Oh, non si faccia problemi signora, per me va ben...” all'improvviso va via la luce ci ritroviamo nel buio totale.
“Accidenti, deve essere un black out”.
“Vedo se manca anche la vicinato”.
Aprii leggermente la finestra, e scorsi che tutta la città era al buio.
“Deve essere un guasto bello grave, tutta la città è al buio”.
La signora Sonia sospirò: “Prendo qualche candela allora”.
Tornò dopo qualche minuto con delle candele. Presi un accendino e le mettevo in vari punti del salotto e della cucina. Le stanze erano ora debolmente illuminate.
“Tutti i nostri piani per la cena sono saltati, mi sa” dissi poggiando l'ultima candela.
“Già, mi dispiace molto” si scusò Sonia.
“Non si preoccupi signora Sonia”.
Sonia sorrise: “Mi dai ancora del lei...chiamami Sonia, senza quel signora davanti, ok?”.
Annuii. Mi sedetti sul divano. Sonia si sedette anche lei, quasi cadendo.
“Sonia, posso chiederti una cosa?”.
Annuì.
“Non voglio sembrare inopportuno, ne voglio farmi i suoi affari. Ma da quando frequento questa casa, non ho potuto fare a meno di notare del suo velo di tristezza. E' come se qualcosa la turbasse, non so...”
Sonia abbassò lo sguardo, poi guardando una candela disse: “Non hai tutti i torti. Pensavo solo di essere più brava a nascondere i miei sentimenti”.
Mi avvicinai leggermente: “Posso aiutarla – mi morsi la lingua – posso aiutarti in qualche modo?”.
Sonia mi sorrise, e disse: “Non preoccuparti, ti prendi già cura di mia figlia. E' abbastanza”.
Mi zittii qualche secondo. Poi dissi: “La prima volta che incontrai Lorena è stato ad un falò. Io ero in spiaggia da solo, disegnavo sotto la luna, lei con degli amici. Ci conoscemmo per caso, e passammo tutta la notte a parlare. Anzi, come mi ripete sempre lei, io passai tutta la notte ad ascoltarla. Si sfogò con me come se mi conoscesse da una vita. Quando arrivò l'alba, facemmo il bagno insieme, e ci fù il nostro primo bacio”.
Sonia sorrise.
“Tutto questo per dirti che voglio ascoltarti, lasciarti sfogare come tua figlia quella sera. Lascia che ti dia una mano”.
Sonia sospirò.
“Ti dispiace se spengo le candele e rimaniamo al buio. Credo che mi possa aiutare” mi disse.
Mi alzai, e spensi tutte le candele del salone. Un flebila luce veniva da una candela poggiata su una mensola in cucina, ma per il resto eravamo nell'oscurità.
Mi sedetti al suo fianco. Le presi le mani e le strinsi tra le mie.
“Ti ascolto” le dissi.


Racconto di fantasia -fatti e riferimenti a persone reali sono puramente casuali-

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scritto il
2010-11-11
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