Oltre il limite
di
samas2
genere
orge
Sarà stata la noia o forse qualcosa di inespresso, un osceno, depravato desiderio che mi portò a fare la puttana. . Viaggi, shopping, tennis e palestra che ad altre avrebbero riempito la vita a me suscitavano un certo tedio. L’essere pagata per le mie prestazioni aggiungeva poi un piacere sottile e sordido molto eccitante. Un gruppo di signore bene della mia città condivideva la stesso spirito trasgressivo unito a una sete mai sazia di denaro e ben consce dei pericoli che questa attività potesse comportare ci organizzammo per poter operare una selezione dei clienti e inoltre un sistema di protezione capace di garantirci una effettiva sicurezza. Il meccanismo era molto oliato e le cose filavano lisce. Avevamo costituito una società e offrivamo le nostre prestazioni a clienti attraverso alcuni mediatori-protettori , abili nel mantenere segreta la nostra vera identità.
Il mio mercimonio, indubbiamente riprovevole moralmente, mi consentiva inoltre cospicue entrate extra che non disprezzavo, anzi ero disposta a dispensare prestazioni particolari in cambio di molto denaro e mi attirava particolarmente concedermi a individui rozzi e volgari, mi piacevano i loro commenti triviali e le loro maniere maleducate. Fui messa in contatto un giorno da Mattia, un uomo volgare che esibiva in maniera rozza la sua ricchezza sfoggiando abiti costosi ma pacchiani e anelli e catene d’oro. Lui aveva insistito che voleva visionare di persona “la merce” - e il ricco contratto che mi offriva mi aveva convinto ad acconsentire.
Nel nostro sodalizio mi distinguevo per la mia esuberante e disinvolta capacità di affrontare le situazioni più scabrose unitamente a un’indubbia dose di classe talvolta persino altezzosa e si ritenne fossi la persona giusta per quel lavoro. Preso atto che le mia caratteristiche corrispondevano ai suoi desiderata, Mattia passò a illustrarmi i dettagli dell’operazione. Alcuni suoi clienti africani con cui stava per concludere un favoloso affare – non osavo neanche indagare la natura di tali maneggi – gli avevano confidato un desiderio: si volevano divertire in gruppo con una donna bianca, non una prostituta, ma una signora appartenente alla buona società. Mattia era convinto che facessi proprio al caso suo. – I miei clienti si portano dietro una sorta di risentimento nei confronti degli occidentali e vogliono scoparsi e umiliare una donna bianca. Si sono talmente incapricciati nell’idea da non chiedermi altro e mi preme accontentarli. Ritengo, tu possieda le caratteristiche per rendere credibile la messa in scena. Certo non ti devi aspettare che saranno teneri e romantici ma per te ne varrà la pena. Una puttana non guadagna di solito tanti soldi quanti te ne sto offrendo. Fui fredda e professionale, mantenendo il silenzio. – Ho raccontato agli africani che tu sei un avvocato che curi i miei affari e che per un tuo errore ho perso molto denaro; ho affermato che per ottenere il mio perdono ti sei assoggettata ad assicurare la tua completa disponibilità a qualsiasi cosa io avrei richiesto, potendo così soddisfare il loro desiderio. La storiella l’hanno bevuta senza problemi. Quindi ora calati nella parte e credo che tutto andrà egregiamente. Mi consegnò una cifra veramente rilevante e definimmo i dettagli dell’incontro, entrambi soddisfatti. Prima di accomiatarmi affermò senza distogliere gli occhi dal mio seno prosperoso: – Finita questa storia voglio averti mia ospite. Si intuisce che dietro il tuo tratto aristocratico nascondi la tua natura di vera troia e vorrei tanto provarti.
Molto volgare, ma in fondo mi descriveva fedelmente. Sostenni il suo sguardo. – Al suo servizio, quando e dove vorrà. Il giorno prefissato, sistemai le cose con mio marito per non dare adito ad alcun sospetto e mi presentai puntuale all’appuntamento. Era una serata invernale fredda e uggiosa quando giunsi, seguendo le indicazioni, ad una villa isolata immersa nel verde. Se durante il viaggio, ero intrigata all’idea di potermi esibire nuda davanti a più uomini affamati di sesso e forse– particolare piccante – perfino pronti a umiliarmi da schiava, ora sentivo scemare la baldanza con cui avevo accettato il lavoro, provavo ansia per l’ignoto a cui andavo incontro; il mio cuore aveva accelerato i battiti. Tuttavia dovevo mantenere l’impegno di vera professionista del sesso per cui ero stata più che generosamente compensata. Ero attesa con impazienza. Mattia definì gli ultimi dettagli, e mi accompagnò all’incontro. – Sei decisamente appetitosa e ti scoperei con vero piacere, ma adesso non c’è tempo. Su andiamo che ci aspettano.
Mi condusse attraverso una scala a un salone seminterrato: erano presenti quattro uomini di alta statura, neri, di aspetto non troppo rassicurante. Un tavolo era ricolmo di vari cibi e bevande, musica veniva diffusa in sottofondo. Mattia che mi aveva condotto lì, fece le presentazioni: – John, Terry, Hassan, Taiwo lei è Alessandra, il mio avvocato che mi faceva piacere presentarvi. Tu cara farai gli onori di casa, in mia vece, con questi amici perché dovrò assentarmi per un impegno improvviso a cui non posso derogare e che mi terrà impegnato per alcune ore. Se ne andò lanciandomi un sorriso sardonico e sussurrandomi laidamente: – Buon divertimento, fatti onore e fammi fare bella figura. Mi ritrovai così sola con quei grossi individui neri. Per un attimo tutto sembrò cristallizzarsi e gli uomini immobili mi guardavano senza proferire parola, in un silenzio surreale. Sentivo le gambe che mi tremavano, la gola era secca, senza saliva, ma ero in ballo. Li invitai a servirsi al tavolo, presero a confabulare fra loro e a sghignazzare. John l’unico che parlava passabilmente l’italiano si rivolse a me dapprima con frasi di circostanza, ma rapidamente arrivò al sodo. Sapeva, per quello raccontatogli da Mattia, che ero a loro completa disposizione. _ So che a voi bianche piacciono molto i neri, soprattutto per i nostri grossi cazzi – rise fragorosamente. Mi era di fronte , mi sollevò il mento, si chinò – era molto più alto di me – e mi baciò. Cercai di resistere, ma finii per accogliere quella linguona che mi invadeva la bocca. Come da copione, dovevo mostrare imbarazzo – ero pur sempre una signora bene – e palesai una certa freddezza mantenendo le braccia abbandonate lungo il corpo. Rudemente mi fece sedere accanto a lui su di un divano e chiamò i suoi compagni. John riprese a baciarmi sul collo e in bocca, mentre gli altri tre, nel frattempo avvicinatisi, mi palpavano al di sopra degli indumenti. La situazione si faceva esplosiva e, nonostante i miei timori, i miei sensi si accesero: cedetti e risposi ai baci e mi abbandonai sul divano ad occhi chiusi con il capo all’indietro ed esponendo il collo alle loro bocche. Terry con movimento repentino afferratemi le patte della camicetta me la aprì quasi strappandola, Taiwo si dedicò ai miei jeans e fu costretto a togliermi le scarpe per potermeli sfilare; mi baciò e leccò sensualmente i piedi. La residua vergogna, che pur provavo era nulla di fronte all’eccitazione provata e la recita del mio personaggio di donna riluttante al destino che mi aspettava era poco credibile e non interessava certo al nero quartetto. Tuttavia palesai una pudica resistenza – State esagerando adesso! Cosa significa questo? Smettetela! Risero e John esclamò – Non fare la smorfiosa. Adesso troia pallida denudati completamente e girati su te stessa, scuoti le tue grosse mammelle: vogliamo veder bene la merce. In piedi, in mezzo a loro mi sfilai reggiseno e mutandine e rimasi li indifesa ai loro sguardi ruotando sull’asse del mio corpo, feci sballonzolare le mie magnifiche pere, per esibirmi come mi avevano ordinato. Dovevo riconoscere che ero emozionata, eccitata Parlavano fra loro a voce alta nella loro lingua per me incomprensibile, ma intuivo facilmente quale fosse l’argomento. John parlò per tutti: – Ci piacciono le tue belle tette con quei piccoli, graziosi capezzoli rosa e il contrasto fra il tuo nero pelo pubico e il candore della pelle. Adesso ti facciamo vedere anche noi qualcosa che vedrai ti piacerà, sgualdrina bianca. Si spogliarono stringendomi in cerchio. – Hai visto che begli arnesi? Non vedi l’ora di assaggiarli, non è vero? – No, cosa volete? Vi supplico lasciatemi andare. Recitavo, ma un po’ d’inquietudine si faceva strada dentro me. Quegli aitanti neri che esibivano i loro maestosi peni, i testicoli enormi, mi stringevano sempre più, avanzando con movimenti ipnotici, che osservavo ammaliata. Avvertivo l’afrore di quei corpi sudati. Ero la preda in procinto di essere catturata e sbranata da quel branco di predatori famelici e cercai istintivamente e velleitariamente di coprirmi i seni e la regione inguinale con le mani, in un gesto pudico che finì per accrescere la loro libidinosa irruenza. Ma, fuori dalla finzione, anch’io ero presa dalla voglia dell’orgia imminente. Percepivo come un fremito al basso ventre e la mia intimità era sempre più calda e bagnata. Mi afferrarono brutalmente i quattro arti, che tennero divaricati, mi sollevarono e poi mi distesero sullo spesso tappeto della stanza. Mi sentivo come una bestia sacrificale. Mi tormentavano, torturavano i seni, i glutei. Strillai quando dita si spinsero a esplorare la mia figa e quando, ferocemente, un dito si insinuò nel buchetto anale. La frequenza del mio cuore e del mio respiro aumentavano tumultuosamente. Ano e vagina erano ora esposti in bella mostra. Lingue saettanti raggiunsero come avanguardie, le mie cavità, lappando, assaggiando il nettare ivi contenuto, facendomi gemere.
Era giunto il momento: mi chiavarono a turno, incalzanti, con un vigore bestiale. Quando poi un grosso pene mi sfondò il buco del culo, con un intenso e spietato affondo, urlai, come forse fa una preda azzannata:
- Haia, com’è duro, il mio culo, che male! -, ma il mio grido fu strozzato subito da una mano che mi afferrò il volto e mi ficcò in bocca un grosso pene, che dovetti succhiare, nel suo movimento alternato di entrata e uscita. Quella grossa cappella aveva un forte, selvaggio, inebriante odore e sapore di maschio. Figa e culo venivano riempiti da quei cazzi che si succedevano roventi nello scoparmi; dita si intingevano nelle mie secrezioni intime, giocavano con le mie grandi e labbra e tormentavano eroticamente il clitoride; le mie burrose mammelle erano sprimacciate da mani che ne gustavano la morbida consistenza o stringevano dolorosamente i capezzoli turgidi. Era un ulteriore godimento osservare quelle nere mani muoversi da padrone sulla mia pelle candida. Partecipavo agli amplessi muovendo ritmicamente il bacino per esaltare al massimo il piacere di quelle penetrazioni; le mie mani si ritrovavano a stringere quei membri nerboruti. Ora mi ero abbandonata completamente e godevo meravigliosamente di quella straordinaria baraonda, del mio essere puro oggetto sessuale da usare senza limiti. La mia figa spalancata e fradicia di sperma e umori non offriva la benché minima resistenza a quei pali d’ebano, che producevano un rumore di sciacquettio al loro passaggio. Il mio culo invece esercitava una residua opposizione a quei pali di nera carne che lo invadevano, lo dilatavano: ciò mi consentiva di apprezzare meravigliosamente quelle penetrazioni brutali. Mentre così mi sodomizzavano, d’improvviso, un getto di urina chiara fuoriuscì dal mio corpo inondando il volto di Jerry tutto intento a leccarmi la figa. Uno scoppio di ilarità salutò la mia pioggia dorata. Le mie viscere erano ricolmate dallo sperma, ma gli assalti non accennavano a fermarsi, anzi erano incessanti, interrotti solo da fugaci pause. Mi infilavano e mi sfilavano come uno stivale. La mia bocca arrendevole ai cazzi che si alternavano, stillanti di sperma dai loro bruni glandi. Apprezzavo quel caldo liquido cremoso, facendolo scivolare in gola, in parte deglutendolo mentre il resto tracimava dalle labbra sul collo, sui seni. Pensavano fossi per loro una schiava umiliata ma, in realtà, io provavo un intenso piacere fisico e volevo, perduta nella mia spasmodica, ubriaca eccitazione, ancora e ancora, sesso. Ripetevo, travolta dalla passione, come in una cantilena: – Si così, così…è troppo bello, troppo…
Dal canto loro, gli uomini grugnivano e lanciavano grida gutturali, visibilmente soddisfatti. Spossata, infine piombai in uno stato onirico gradevolissimo. Persi conoscenza scivolando in un sonno rilassato. Mi ridestai sola nella stanza, stordita, con il seme maschile che si era rappreso all’aria sul mio corpo e che gocciolando, continuava a fluire dai miei orifizi abusati e in fiamme.
Successivamente, sotto i getti carezzevoli e caldi di una doccia ristoratrice, mi ripresi e ripensai a quell’esperienza di piacere brutale e intensissimo da cui ero stata travolta. Mi rivestii alla meglio non riuscendo a reperire la mia biancheria e le calze, probabilmente trattenute da quegli uomini come trofeo di quella notte bollente e per loro trionfale. I fari dell’auto fendevano il buio mentre tornavo a casa a notte fonda. Ero esausta, mi sentivo indolenzita ma la serata era stata assolutamente memorabile e redditizia. Ero una vera puttana professionista soddisfatta del sontuoso compenso ottenuto, ma riconobbi altresì che c’era dell’altro: mi ero molto divertita con i miei comportamenti sfrenati da vera troia. Una troia per vocazione per essere precisi.
Nel nostro sodalizio mi distinguevo per la mia esuberante e disinvolta capacità di affrontare le situazioni più scabrose unitamente a un’indubbia dose di classe talvolta persino altezzosa e si ritenne fossi la persona giusta per quel lavoro. Preso atto che le mia caratteristiche corrispondevano ai suoi desiderata, Mattia passò a illustrarmi i dettagli dell’operazione. Alcuni suoi clienti africani con cui stava per concludere un favoloso affare – non osavo neanche indagare la natura di tali maneggi – gli avevano confidato un desiderio: si volevano divertire in gruppo con una donna bianca, non una prostituta, ma una signora appartenente alla buona società. Mattia era convinto che facessi proprio al caso suo. – I miei clienti si portano dietro una sorta di risentimento nei confronti degli occidentali e vogliono scoparsi e umiliare una donna bianca. Si sono talmente incapricciati nell’idea da non chiedermi altro e mi preme accontentarli. Ritengo, tu possieda le caratteristiche per rendere credibile la messa in scena. Certo non ti devi aspettare che saranno teneri e romantici ma per te ne varrà la pena. Una puttana non guadagna di solito tanti soldi quanti te ne sto offrendo. Fui fredda e professionale, mantenendo il silenzio. – Ho raccontato agli africani che tu sei un avvocato che curi i miei affari e che per un tuo errore ho perso molto denaro; ho affermato che per ottenere il mio perdono ti sei assoggettata ad assicurare la tua completa disponibilità a qualsiasi cosa io avrei richiesto, potendo così soddisfare il loro desiderio. La storiella l’hanno bevuta senza problemi. Quindi ora calati nella parte e credo che tutto andrà egregiamente. Mi consegnò una cifra veramente rilevante e definimmo i dettagli dell’incontro, entrambi soddisfatti. Prima di accomiatarmi affermò senza distogliere gli occhi dal mio seno prosperoso: – Finita questa storia voglio averti mia ospite. Si intuisce che dietro il tuo tratto aristocratico nascondi la tua natura di vera troia e vorrei tanto provarti.
Molto volgare, ma in fondo mi descriveva fedelmente. Sostenni il suo sguardo. – Al suo servizio, quando e dove vorrà. Il giorno prefissato, sistemai le cose con mio marito per non dare adito ad alcun sospetto e mi presentai puntuale all’appuntamento. Era una serata invernale fredda e uggiosa quando giunsi, seguendo le indicazioni, ad una villa isolata immersa nel verde. Se durante il viaggio, ero intrigata all’idea di potermi esibire nuda davanti a più uomini affamati di sesso e forse– particolare piccante – perfino pronti a umiliarmi da schiava, ora sentivo scemare la baldanza con cui avevo accettato il lavoro, provavo ansia per l’ignoto a cui andavo incontro; il mio cuore aveva accelerato i battiti. Tuttavia dovevo mantenere l’impegno di vera professionista del sesso per cui ero stata più che generosamente compensata. Ero attesa con impazienza. Mattia definì gli ultimi dettagli, e mi accompagnò all’incontro. – Sei decisamente appetitosa e ti scoperei con vero piacere, ma adesso non c’è tempo. Su andiamo che ci aspettano.
Mi condusse attraverso una scala a un salone seminterrato: erano presenti quattro uomini di alta statura, neri, di aspetto non troppo rassicurante. Un tavolo era ricolmo di vari cibi e bevande, musica veniva diffusa in sottofondo. Mattia che mi aveva condotto lì, fece le presentazioni: – John, Terry, Hassan, Taiwo lei è Alessandra, il mio avvocato che mi faceva piacere presentarvi. Tu cara farai gli onori di casa, in mia vece, con questi amici perché dovrò assentarmi per un impegno improvviso a cui non posso derogare e che mi terrà impegnato per alcune ore. Se ne andò lanciandomi un sorriso sardonico e sussurrandomi laidamente: – Buon divertimento, fatti onore e fammi fare bella figura. Mi ritrovai così sola con quei grossi individui neri. Per un attimo tutto sembrò cristallizzarsi e gli uomini immobili mi guardavano senza proferire parola, in un silenzio surreale. Sentivo le gambe che mi tremavano, la gola era secca, senza saliva, ma ero in ballo. Li invitai a servirsi al tavolo, presero a confabulare fra loro e a sghignazzare. John l’unico che parlava passabilmente l’italiano si rivolse a me dapprima con frasi di circostanza, ma rapidamente arrivò al sodo. Sapeva, per quello raccontatogli da Mattia, che ero a loro completa disposizione. _ So che a voi bianche piacciono molto i neri, soprattutto per i nostri grossi cazzi – rise fragorosamente. Mi era di fronte , mi sollevò il mento, si chinò – era molto più alto di me – e mi baciò. Cercai di resistere, ma finii per accogliere quella linguona che mi invadeva la bocca. Come da copione, dovevo mostrare imbarazzo – ero pur sempre una signora bene – e palesai una certa freddezza mantenendo le braccia abbandonate lungo il corpo. Rudemente mi fece sedere accanto a lui su di un divano e chiamò i suoi compagni. John riprese a baciarmi sul collo e in bocca, mentre gli altri tre, nel frattempo avvicinatisi, mi palpavano al di sopra degli indumenti. La situazione si faceva esplosiva e, nonostante i miei timori, i miei sensi si accesero: cedetti e risposi ai baci e mi abbandonai sul divano ad occhi chiusi con il capo all’indietro ed esponendo il collo alle loro bocche. Terry con movimento repentino afferratemi le patte della camicetta me la aprì quasi strappandola, Taiwo si dedicò ai miei jeans e fu costretto a togliermi le scarpe per potermeli sfilare; mi baciò e leccò sensualmente i piedi. La residua vergogna, che pur provavo era nulla di fronte all’eccitazione provata e la recita del mio personaggio di donna riluttante al destino che mi aspettava era poco credibile e non interessava certo al nero quartetto. Tuttavia palesai una pudica resistenza – State esagerando adesso! Cosa significa questo? Smettetela! Risero e John esclamò – Non fare la smorfiosa. Adesso troia pallida denudati completamente e girati su te stessa, scuoti le tue grosse mammelle: vogliamo veder bene la merce. In piedi, in mezzo a loro mi sfilai reggiseno e mutandine e rimasi li indifesa ai loro sguardi ruotando sull’asse del mio corpo, feci sballonzolare le mie magnifiche pere, per esibirmi come mi avevano ordinato. Dovevo riconoscere che ero emozionata, eccitata Parlavano fra loro a voce alta nella loro lingua per me incomprensibile, ma intuivo facilmente quale fosse l’argomento. John parlò per tutti: – Ci piacciono le tue belle tette con quei piccoli, graziosi capezzoli rosa e il contrasto fra il tuo nero pelo pubico e il candore della pelle. Adesso ti facciamo vedere anche noi qualcosa che vedrai ti piacerà, sgualdrina bianca. Si spogliarono stringendomi in cerchio. – Hai visto che begli arnesi? Non vedi l’ora di assaggiarli, non è vero? – No, cosa volete? Vi supplico lasciatemi andare. Recitavo, ma un po’ d’inquietudine si faceva strada dentro me. Quegli aitanti neri che esibivano i loro maestosi peni, i testicoli enormi, mi stringevano sempre più, avanzando con movimenti ipnotici, che osservavo ammaliata. Avvertivo l’afrore di quei corpi sudati. Ero la preda in procinto di essere catturata e sbranata da quel branco di predatori famelici e cercai istintivamente e velleitariamente di coprirmi i seni e la regione inguinale con le mani, in un gesto pudico che finì per accrescere la loro libidinosa irruenza. Ma, fuori dalla finzione, anch’io ero presa dalla voglia dell’orgia imminente. Percepivo come un fremito al basso ventre e la mia intimità era sempre più calda e bagnata. Mi afferrarono brutalmente i quattro arti, che tennero divaricati, mi sollevarono e poi mi distesero sullo spesso tappeto della stanza. Mi sentivo come una bestia sacrificale. Mi tormentavano, torturavano i seni, i glutei. Strillai quando dita si spinsero a esplorare la mia figa e quando, ferocemente, un dito si insinuò nel buchetto anale. La frequenza del mio cuore e del mio respiro aumentavano tumultuosamente. Ano e vagina erano ora esposti in bella mostra. Lingue saettanti raggiunsero come avanguardie, le mie cavità, lappando, assaggiando il nettare ivi contenuto, facendomi gemere.
Era giunto il momento: mi chiavarono a turno, incalzanti, con un vigore bestiale. Quando poi un grosso pene mi sfondò il buco del culo, con un intenso e spietato affondo, urlai, come forse fa una preda azzannata:
- Haia, com’è duro, il mio culo, che male! -, ma il mio grido fu strozzato subito da una mano che mi afferrò il volto e mi ficcò in bocca un grosso pene, che dovetti succhiare, nel suo movimento alternato di entrata e uscita. Quella grossa cappella aveva un forte, selvaggio, inebriante odore e sapore di maschio. Figa e culo venivano riempiti da quei cazzi che si succedevano roventi nello scoparmi; dita si intingevano nelle mie secrezioni intime, giocavano con le mie grandi e labbra e tormentavano eroticamente il clitoride; le mie burrose mammelle erano sprimacciate da mani che ne gustavano la morbida consistenza o stringevano dolorosamente i capezzoli turgidi. Era un ulteriore godimento osservare quelle nere mani muoversi da padrone sulla mia pelle candida. Partecipavo agli amplessi muovendo ritmicamente il bacino per esaltare al massimo il piacere di quelle penetrazioni; le mie mani si ritrovavano a stringere quei membri nerboruti. Ora mi ero abbandonata completamente e godevo meravigliosamente di quella straordinaria baraonda, del mio essere puro oggetto sessuale da usare senza limiti. La mia figa spalancata e fradicia di sperma e umori non offriva la benché minima resistenza a quei pali d’ebano, che producevano un rumore di sciacquettio al loro passaggio. Il mio culo invece esercitava una residua opposizione a quei pali di nera carne che lo invadevano, lo dilatavano: ciò mi consentiva di apprezzare meravigliosamente quelle penetrazioni brutali. Mentre così mi sodomizzavano, d’improvviso, un getto di urina chiara fuoriuscì dal mio corpo inondando il volto di Jerry tutto intento a leccarmi la figa. Uno scoppio di ilarità salutò la mia pioggia dorata. Le mie viscere erano ricolmate dallo sperma, ma gli assalti non accennavano a fermarsi, anzi erano incessanti, interrotti solo da fugaci pause. Mi infilavano e mi sfilavano come uno stivale. La mia bocca arrendevole ai cazzi che si alternavano, stillanti di sperma dai loro bruni glandi. Apprezzavo quel caldo liquido cremoso, facendolo scivolare in gola, in parte deglutendolo mentre il resto tracimava dalle labbra sul collo, sui seni. Pensavano fossi per loro una schiava umiliata ma, in realtà, io provavo un intenso piacere fisico e volevo, perduta nella mia spasmodica, ubriaca eccitazione, ancora e ancora, sesso. Ripetevo, travolta dalla passione, come in una cantilena: – Si così, così…è troppo bello, troppo…
Dal canto loro, gli uomini grugnivano e lanciavano grida gutturali, visibilmente soddisfatti. Spossata, infine piombai in uno stato onirico gradevolissimo. Persi conoscenza scivolando in un sonno rilassato. Mi ridestai sola nella stanza, stordita, con il seme maschile che si era rappreso all’aria sul mio corpo e che gocciolando, continuava a fluire dai miei orifizi abusati e in fiamme.
Successivamente, sotto i getti carezzevoli e caldi di una doccia ristoratrice, mi ripresi e ripensai a quell’esperienza di piacere brutale e intensissimo da cui ero stata travolta. Mi rivestii alla meglio non riuscendo a reperire la mia biancheria e le calze, probabilmente trattenute da quegli uomini come trofeo di quella notte bollente e per loro trionfale. I fari dell’auto fendevano il buio mentre tornavo a casa a notte fonda. Ero esausta, mi sentivo indolenzita ma la serata era stata assolutamente memorabile e redditizia. Ero una vera puttana professionista soddisfatta del sontuoso compenso ottenuto, ma riconobbi altresì che c’era dell’altro: mi ero molto divertita con i miei comportamenti sfrenati da vera troia. Una troia per vocazione per essere precisi.
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