Il Viaggio
di
Tenkara
genere
prime esperienze
Anche questo weekend è ormai ai titoli di coda...
Sono le sei di una sera uggiosa e pressoché autunnale, nonostante il calendario si ostini a dire il contrario, mentre con borsone a tracolla mi dirigo mestamente verso la macchina che da ieri mattina giace quasi abbandonata nella piccola piazza, vano simulacro di un mondo frenetico al quale purtroppo per l'ennesima volta sto per fare ritorno.
Se solo potessi restare, tornare indietro, aprire la porta di casa e buttarmi a peso morto sul divano.. accolto soltanto dal silenzio distratto di mura antiche che hanno guardato inerti il trascorrere delle generazioni...
Lavoro, vita, tutto lontano da qui, l'unico posto al mondo nel quale sono libero di sentirmi io, libero dai vincoli della modernità, del quotidiano, del perbenismo e della socialità imposta...
Mi accomodo sul sedile, guardo il contorno irregolare delle fronde dei castagni scuotersi al vento nel darmi il loro arrivederci, mentre accendo il motore e mi preparo mentalmente al viaggio... da tempo non capitava fossi solo, quando non vengo con la famiglia solitamente è perché si è organizzata qualche zingarata con gli amici, ma stavolta la malattia di L. ha rivoluzionato tutti i piani facendo sì che alla comunione della figlia di mio cugino fossi l'unico rappresentante.
Il rientro è sempre complicato, un passaggio ripetuto eppure ogni volta ugualmente doloroso, come sale gettato su una ferita che non guarirà mai del tutto, perché è mia volontà che non guarisca.
Imbocco la strada che porta al paese principale, una discesa di tre chilometri e poco più di curve e semi tornanti avvolti dalla vegetazione che potrei percorrere ad occhi chiusi; scruto distrattamente tra le fronde degli alberi, ogni anno più indisciplinate del precedente tanto da divorare col tempo le scorciatoie che da ragazzi ci alleviavano e non di poco il ritorno in salita...
I pensieri cominciano ad allontanarsi dall'abitacolo calamitati da un passato lontano, bramosi di rituffarvisi e di riassaporare anche solo virtualmente emozioni ormai dimenticate; mentre il mio io fisico prosegue in automatico il viaggio verso la quotidianità il mio io mentale viaggia a ritroso di quasi vent'anni riabbracciandone i volti, le persone, i profumi e le sensazioni.
I mesi estivi erano per me un concentrato di vita unico ed irripetibile, un mondo parallelo effimero ma intenso nel quale il normale percorso di ragazzi e ragazze che per nove mesi non avevano alcun tipo di contatto veniva stravolto dalla libertà che il mix tra la loro gioventù e l'isolamento della Lunigiana garantiva loro.
Nel mondo sempre più connesso di oggi sembra ridicolo dirlo, ma allora ogni arrivo era una festa, un riallinearsi di pianeti lontani, ognuno con la loro orbita così distante, chi a La Spezia, chi a Bergamo, chi a Varese, in Svizzera o qualunque altro luogo fosse, ma tutti attratti dalla stessa stella, piccola ed insignificante frazione spettatrice discreta delle origini, dell'infanzia tramutatasi in adolescenza in un lento percorso di formazione e maturazione che lascerà il suo segno indelebile in ognuno di noi.
Mi ritrovo sulla Cisa, in autostrada, senza nemmeno essermi reso conto di aver varcato il casello; un piccolo momento di lucidità mentre osservo le tanto amate curve assecondare il profilo irregolare e scontroso dell'appennino.
Curve decise e pericolose come quelle di C., fisico atletico, modellato da anni di ginnastica artistica, un caschetto rosso ad avvertire del pericolo imminente ed occhi verdi dai quali era impossibile sfuggire senza prima essersene perdutamente innamorati; ricordo il caldo di quel giorno su, alla vecchia chiesa immersa nel verde del bosco ceduo che si incontra percorrendo per qualche centinaio di metri la strada che dal paese si inerpica sul monte sovrastante, piccolo santuario da cartolina attorno al quale gli abitanti si riuniscono in festa alla fine dell'estate.
Capitammo lì attratti dalla fontanella e dall'ombra dei castagni secolari, allontanandoci dal gruppo fermo nella non distante radura ove il vecchio altare in pietra dal quale una volta all'anno veniva celebrata la funzione all'aperto fungeva da comodo appoggio per cibo ed oggettistica varia.
La sete lasciò ben presto il posto alla fame, fame di noi, dei nostri corpi giovani ed ancora tonici, prestanti, guizzanti d'ormoni e trasudanti sesso; ogni occasione era buona, ogni istante non passato a contatto era irrimediabilmente perso. Nel punto in cui eravamo nessuno poteva vederci, ma chiunque sarebbe potuto passare alla ricerca di ciò che noi stessi avevamo agognato sino a pochi minuti prima, acqua, ombra.. i nostri amici, qualche ragazzino o peggio uno o più residenti dal paese, il che avrebbe significato scandalo e pubblica gogna... ma dopotutto il rischio corso non era parte stessa del piacere?
Mi appoggiai con la schiena contro il muro esterno del santuario mentre le nostre lingue si fusero in un bacio caldo e frettoloso, inesperto, abbraccio blasfemo tra la santità del luogo e la peccaminosa voglia che ci consumava; la vecchia pietra consacrata graffiava la mia carne provocandomi delle fitte di dolore di cui non mi curavo troppo intento com'ero a godere di ogni minima vibrazione del tuo corpo, ma che in seguito avrei dovuto giustificare.
Ti sollevai la maglietta scoprendo il seno libero da ogni sostengo artificiale, una seconda fresca ed arrogante, come arroganti erano i tuoi capezzoli turgidi e trepidanti dell'attenzione che da lì a poco gli avrei dato, baciandoli e morsicandoli mentre le tue mani si dirigevano verso il mio cazzo già duro e svettante per liberarlo dal soffocante abbraccio dei pantaloncini e dei boxer, artificiosa prigione ormai non più in grado di contenerlo.
Il solo pensarci genera anche ora qualche piacevole vibrazione mentre dopo una rapida occhiata agli specchietti supero l'ennesimo autoarticolato ed affronto l'ultimo tratto della A15, il più lineare, prima di immettermi sulla A1; con la mano destra cerco una lapalissiana conferma all'erezione che già sento crescere inascoltata... la tentazione di afferrare il cazzo e di masturbarmi qui, ora, su quest'autostrada, per quanto trafficata sia, è forte, persino attraente.. superatemi, guardatemi, giudicatemi, criticatemi, fate ciò che volete mentre la mia mano soddisfa bisogni primitivi, ferini istinti... ma resisto, per ora...
La mano si mosse allora, di certo, nell'andare al fulcro del mio desiderio, scostando le leggere mutandine di cotone che indossavi e affondando nei tuoi umori, facendo sì che il mio ego si gonfiasse ad ogni piccolo gemito di piacere che emettesti in risposta ai miei movimenti da imbranato..
In tutta risposta ti inginocchiasti per accogliere in bocca la mia cappella gonfia e darle un sollievo traslucido di saliva... i tuoi occhi incontrarono i miei per qualche secondo mentre le tue labbra continuavano a scorrere lungo la mia asta pulsante, così poco abituata all'epoca a tali paradisiaci trattamenti da non accorgersi del tuo esserne poco avvezza, ma anzi beandosene.
Sorrido se penso a quanto sarebbe diversa oggi quella scena..
Quanto sarebbero diverse le movenze, più studiate, più consapevoli, più profonde... diverse quanto il tuo sguardo di allora da quello della ragazza nell'automobile che mi affianca mentre lascio la bretella che collega la A15 alla A21... così distratto, così inconsapevole.. possibile che tu non ti accorga di quanto l'aria del mio abitacolo sia pregna di sesso e di proibito? Non vedi il caleidoscopio di immagini erotiche che vorticano nei miei occhi?...
Non ci volle molto perché giungessi finalmente all'orgasmo... egoistica chiusa della nostra insana passione, che sarebbe durata di estate in estate per qualche anno.
La vicinanza della fontanella si rivelò essenziale... ci ricomponemmo in fretta e tornammo dagli altri... non che ci importasse molto nasconderci dagli amici e dai loro sorrisi rivelatori, ma le tracce del peccato era meglio restassero al segreto nell'ombra delle larghe foglie dei castagni piuttosto che venissero portate all'attenzione dei genitori o dei parenti...
Che cazzo avrai da sorridere...
È ciò che penso mi dicano gli altri naviganti su questo mare d'asfalto mentre la luce del giorno da il suo ultimo pittoresco abbraccio alla giornata... ah, se solo sapeste, se solo anche voi poteste tuffarvi assieme a me e bere sorsate piene di quest'acqua... quest'acqua che non mi stancherò mai di bere...
Ma si sa, bere l'acqua del mare è quanto di più sciocco e sbagliato... ogni sorso non è altro che un'ulteriore condanna, altro sale sulla ferita, su quella cazzo di ferita che non si chiuderà mai...
Il mio umore è nuovamente cambiato, grigio, cupo... ora consono al quotidiano...
Ancora una volta non mi sono accorto di essere uscito dal casello.. manca poco a casa, pochi chilometri... ad ogni ritorno sento il malsano odore dell'aria pervadere il mio mondo... ma dura qualche minuto, poi le mie narici si saranno già abituate, così come i miei occhi si saranno abituati ad un cielo in prevalenza grigio e non azzurro... è il cuore che non si abituerà, aspetterà una nuova discesa, incurante del sale che verrà buttato sulla ferita subito dopo..
Sono le sei di una sera uggiosa e pressoché autunnale, nonostante il calendario si ostini a dire il contrario, mentre con borsone a tracolla mi dirigo mestamente verso la macchina che da ieri mattina giace quasi abbandonata nella piccola piazza, vano simulacro di un mondo frenetico al quale purtroppo per l'ennesima volta sto per fare ritorno.
Se solo potessi restare, tornare indietro, aprire la porta di casa e buttarmi a peso morto sul divano.. accolto soltanto dal silenzio distratto di mura antiche che hanno guardato inerti il trascorrere delle generazioni...
Lavoro, vita, tutto lontano da qui, l'unico posto al mondo nel quale sono libero di sentirmi io, libero dai vincoli della modernità, del quotidiano, del perbenismo e della socialità imposta...
Mi accomodo sul sedile, guardo il contorno irregolare delle fronde dei castagni scuotersi al vento nel darmi il loro arrivederci, mentre accendo il motore e mi preparo mentalmente al viaggio... da tempo non capitava fossi solo, quando non vengo con la famiglia solitamente è perché si è organizzata qualche zingarata con gli amici, ma stavolta la malattia di L. ha rivoluzionato tutti i piani facendo sì che alla comunione della figlia di mio cugino fossi l'unico rappresentante.
Il rientro è sempre complicato, un passaggio ripetuto eppure ogni volta ugualmente doloroso, come sale gettato su una ferita che non guarirà mai del tutto, perché è mia volontà che non guarisca.
Imbocco la strada che porta al paese principale, una discesa di tre chilometri e poco più di curve e semi tornanti avvolti dalla vegetazione che potrei percorrere ad occhi chiusi; scruto distrattamente tra le fronde degli alberi, ogni anno più indisciplinate del precedente tanto da divorare col tempo le scorciatoie che da ragazzi ci alleviavano e non di poco il ritorno in salita...
I pensieri cominciano ad allontanarsi dall'abitacolo calamitati da un passato lontano, bramosi di rituffarvisi e di riassaporare anche solo virtualmente emozioni ormai dimenticate; mentre il mio io fisico prosegue in automatico il viaggio verso la quotidianità il mio io mentale viaggia a ritroso di quasi vent'anni riabbracciandone i volti, le persone, i profumi e le sensazioni.
I mesi estivi erano per me un concentrato di vita unico ed irripetibile, un mondo parallelo effimero ma intenso nel quale il normale percorso di ragazzi e ragazze che per nove mesi non avevano alcun tipo di contatto veniva stravolto dalla libertà che il mix tra la loro gioventù e l'isolamento della Lunigiana garantiva loro.
Nel mondo sempre più connesso di oggi sembra ridicolo dirlo, ma allora ogni arrivo era una festa, un riallinearsi di pianeti lontani, ognuno con la loro orbita così distante, chi a La Spezia, chi a Bergamo, chi a Varese, in Svizzera o qualunque altro luogo fosse, ma tutti attratti dalla stessa stella, piccola ed insignificante frazione spettatrice discreta delle origini, dell'infanzia tramutatasi in adolescenza in un lento percorso di formazione e maturazione che lascerà il suo segno indelebile in ognuno di noi.
Mi ritrovo sulla Cisa, in autostrada, senza nemmeno essermi reso conto di aver varcato il casello; un piccolo momento di lucidità mentre osservo le tanto amate curve assecondare il profilo irregolare e scontroso dell'appennino.
Curve decise e pericolose come quelle di C., fisico atletico, modellato da anni di ginnastica artistica, un caschetto rosso ad avvertire del pericolo imminente ed occhi verdi dai quali era impossibile sfuggire senza prima essersene perdutamente innamorati; ricordo il caldo di quel giorno su, alla vecchia chiesa immersa nel verde del bosco ceduo che si incontra percorrendo per qualche centinaio di metri la strada che dal paese si inerpica sul monte sovrastante, piccolo santuario da cartolina attorno al quale gli abitanti si riuniscono in festa alla fine dell'estate.
Capitammo lì attratti dalla fontanella e dall'ombra dei castagni secolari, allontanandoci dal gruppo fermo nella non distante radura ove il vecchio altare in pietra dal quale una volta all'anno veniva celebrata la funzione all'aperto fungeva da comodo appoggio per cibo ed oggettistica varia.
La sete lasciò ben presto il posto alla fame, fame di noi, dei nostri corpi giovani ed ancora tonici, prestanti, guizzanti d'ormoni e trasudanti sesso; ogni occasione era buona, ogni istante non passato a contatto era irrimediabilmente perso. Nel punto in cui eravamo nessuno poteva vederci, ma chiunque sarebbe potuto passare alla ricerca di ciò che noi stessi avevamo agognato sino a pochi minuti prima, acqua, ombra.. i nostri amici, qualche ragazzino o peggio uno o più residenti dal paese, il che avrebbe significato scandalo e pubblica gogna... ma dopotutto il rischio corso non era parte stessa del piacere?
Mi appoggiai con la schiena contro il muro esterno del santuario mentre le nostre lingue si fusero in un bacio caldo e frettoloso, inesperto, abbraccio blasfemo tra la santità del luogo e la peccaminosa voglia che ci consumava; la vecchia pietra consacrata graffiava la mia carne provocandomi delle fitte di dolore di cui non mi curavo troppo intento com'ero a godere di ogni minima vibrazione del tuo corpo, ma che in seguito avrei dovuto giustificare.
Ti sollevai la maglietta scoprendo il seno libero da ogni sostengo artificiale, una seconda fresca ed arrogante, come arroganti erano i tuoi capezzoli turgidi e trepidanti dell'attenzione che da lì a poco gli avrei dato, baciandoli e morsicandoli mentre le tue mani si dirigevano verso il mio cazzo già duro e svettante per liberarlo dal soffocante abbraccio dei pantaloncini e dei boxer, artificiosa prigione ormai non più in grado di contenerlo.
Il solo pensarci genera anche ora qualche piacevole vibrazione mentre dopo una rapida occhiata agli specchietti supero l'ennesimo autoarticolato ed affronto l'ultimo tratto della A15, il più lineare, prima di immettermi sulla A1; con la mano destra cerco una lapalissiana conferma all'erezione che già sento crescere inascoltata... la tentazione di afferrare il cazzo e di masturbarmi qui, ora, su quest'autostrada, per quanto trafficata sia, è forte, persino attraente.. superatemi, guardatemi, giudicatemi, criticatemi, fate ciò che volete mentre la mia mano soddisfa bisogni primitivi, ferini istinti... ma resisto, per ora...
La mano si mosse allora, di certo, nell'andare al fulcro del mio desiderio, scostando le leggere mutandine di cotone che indossavi e affondando nei tuoi umori, facendo sì che il mio ego si gonfiasse ad ogni piccolo gemito di piacere che emettesti in risposta ai miei movimenti da imbranato..
In tutta risposta ti inginocchiasti per accogliere in bocca la mia cappella gonfia e darle un sollievo traslucido di saliva... i tuoi occhi incontrarono i miei per qualche secondo mentre le tue labbra continuavano a scorrere lungo la mia asta pulsante, così poco abituata all'epoca a tali paradisiaci trattamenti da non accorgersi del tuo esserne poco avvezza, ma anzi beandosene.
Sorrido se penso a quanto sarebbe diversa oggi quella scena..
Quanto sarebbero diverse le movenze, più studiate, più consapevoli, più profonde... diverse quanto il tuo sguardo di allora da quello della ragazza nell'automobile che mi affianca mentre lascio la bretella che collega la A15 alla A21... così distratto, così inconsapevole.. possibile che tu non ti accorga di quanto l'aria del mio abitacolo sia pregna di sesso e di proibito? Non vedi il caleidoscopio di immagini erotiche che vorticano nei miei occhi?...
Non ci volle molto perché giungessi finalmente all'orgasmo... egoistica chiusa della nostra insana passione, che sarebbe durata di estate in estate per qualche anno.
La vicinanza della fontanella si rivelò essenziale... ci ricomponemmo in fretta e tornammo dagli altri... non che ci importasse molto nasconderci dagli amici e dai loro sorrisi rivelatori, ma le tracce del peccato era meglio restassero al segreto nell'ombra delle larghe foglie dei castagni piuttosto che venissero portate all'attenzione dei genitori o dei parenti...
Che cazzo avrai da sorridere...
È ciò che penso mi dicano gli altri naviganti su questo mare d'asfalto mentre la luce del giorno da il suo ultimo pittoresco abbraccio alla giornata... ah, se solo sapeste, se solo anche voi poteste tuffarvi assieme a me e bere sorsate piene di quest'acqua... quest'acqua che non mi stancherò mai di bere...
Ma si sa, bere l'acqua del mare è quanto di più sciocco e sbagliato... ogni sorso non è altro che un'ulteriore condanna, altro sale sulla ferita, su quella cazzo di ferita che non si chiuderà mai...
Il mio umore è nuovamente cambiato, grigio, cupo... ora consono al quotidiano...
Ancora una volta non mi sono accorto di essere uscito dal casello.. manca poco a casa, pochi chilometri... ad ogni ritorno sento il malsano odore dell'aria pervadere il mio mondo... ma dura qualche minuto, poi le mie narici si saranno già abituate, così come i miei occhi si saranno abituati ad un cielo in prevalenza grigio e non azzurro... è il cuore che non si abituerà, aspetterà una nuova discesa, incurante del sale che verrà buttato sulla ferita subito dopo..
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