Non è notte da gente per bene
di
Tenkara
genere
etero
Buio.
Caldo.
Una sottile sensazione di disagio che risale lentamente lungo la schiena.
Pensieri neri come nuvole temporalesche si scontrano nei cieli della mente, il viaggio verso l’oblio si preannuncia lungo e movimentato.
Lampi e tuoni litigano tra loro rincorrendosi frenetici.
La sensazione è tanto forte che mi aspetto da un momento all’altro di sentire la pioggia battere sulla pelle nuda.
Un refolo d’aria, solitario vagabondo di questa notte infinita, mi accarezza.
Un gesto gentile, forse l’ultimo, prima della tempesta.
Un rombo filtra ovattato dall’esterno… Una macchina? Una moto?
Provo ad aggrapparmici conscio dell’inutilità del tentativo.
Questa non è notte per gente perbene.
Vuoto.
Caduta.
Abbandono.
Perdizione ed eccitazione si fondono in un abbraccio liquido e bollente che si insinua sottopelle.
Brividi mi scuotono di febbrile attesa sino ad oltrepassare l’umana resistenza ed esplodere di complice ludibrio.
Non sono più corpo, non sono più mente, sono emozione, sensazione, passione, sono tutto.
Contengo moltitudini.
Luce.
Fuoco.
Carne.
Il tuo corpo che prende forma, sostanza, fisicità.
Il tuo seno voluttuoso, i capezzoli turgidi e fieri, la tua pelle serica mi avvolge, sento il tuo odore, il tuo sapore sulla lingua, lo sento distintamente riempirmi l’anima, non per saziarmi ma perché io ne chieda ancora di più.
La tua sottile peluria mi invita a seguirne l’amena destinazione, i tuoi umori sono delizia che risveglia istinti indomabili.
Le tue unghie cercano la mia carne e affondano dentro di essa come lame roventi, la tua bocca cerca la mia avida, siamo belve in caccia, animali in frenesia.
Sesso!! Sesso!! Sesso!! Gridano le nostre membra e richiedono soddisfazione.
Le tue mani scendono sino a stringermi il cazzo, forte, quasi a farmi male, saggiandone l’erezione, rivendicandone la proprietà.
Il mio cazzo è tuo e di nessun altra.
Le tue labbra lo avvolgono fameliche mentre il turbinio dentro la mia testa aumenta d’intensità.
I nostri occhi si cercano complici, la tua lingua disegna torbido piacere sulla mia asta turgida.
Sudore.
Odore di te.
Odore di noi.
La tua voglia è un’onda cui è impossibile resistere, mi travolge e cattura.
La mia cappella viola sfiora le tue grandi labbra con studiata lentezza prima di riempirti di colpo, non è notte di carezze e baci, solo grida di piacere e rabbia perché questo non sia sempre.
Spinte che si susseguono con ferina violenza, siamo l’una la troia dell’altro in quest’unione puttana.
Regrediamo ad essenza primitiva, basica eppur così complessa e straziante.
Abbiamo fame di noi, non siamo soddisfatti, non lo saremo mai.
Furia.
Piacere.
Orgasmo.
Non sono domato, neanche un po’.
Emetto il mio urlo barbaro sopra i tetti del mondo.
I SOUND MY BARBARIC “YAWP” OVER THE ROOFS OF THE WORLD!
Nota dell’autore: Questo è sicuramente un racconto particolare e non credo riscontrerà grosso interesse o successo, ma ho voluto comunque dargli forma perché lo sento fortemente mio.
È liberamente ispirato da Walt Whitman ed alla sua opera “Foglie d’Erba”, così parte della mia vita che la frase conclusiva è segno indelebile sulla mia pelle a memento di un periodo davvero complicato nel quale ho perso diverse cose ma mai la dignità.
Caldo.
Una sottile sensazione di disagio che risale lentamente lungo la schiena.
Pensieri neri come nuvole temporalesche si scontrano nei cieli della mente, il viaggio verso l’oblio si preannuncia lungo e movimentato.
Lampi e tuoni litigano tra loro rincorrendosi frenetici.
La sensazione è tanto forte che mi aspetto da un momento all’altro di sentire la pioggia battere sulla pelle nuda.
Un refolo d’aria, solitario vagabondo di questa notte infinita, mi accarezza.
Un gesto gentile, forse l’ultimo, prima della tempesta.
Un rombo filtra ovattato dall’esterno… Una macchina? Una moto?
Provo ad aggrapparmici conscio dell’inutilità del tentativo.
Questa non è notte per gente perbene.
Vuoto.
Caduta.
Abbandono.
Perdizione ed eccitazione si fondono in un abbraccio liquido e bollente che si insinua sottopelle.
Brividi mi scuotono di febbrile attesa sino ad oltrepassare l’umana resistenza ed esplodere di complice ludibrio.
Non sono più corpo, non sono più mente, sono emozione, sensazione, passione, sono tutto.
Contengo moltitudini.
Luce.
Fuoco.
Carne.
Il tuo corpo che prende forma, sostanza, fisicità.
Il tuo seno voluttuoso, i capezzoli turgidi e fieri, la tua pelle serica mi avvolge, sento il tuo odore, il tuo sapore sulla lingua, lo sento distintamente riempirmi l’anima, non per saziarmi ma perché io ne chieda ancora di più.
La tua sottile peluria mi invita a seguirne l’amena destinazione, i tuoi umori sono delizia che risveglia istinti indomabili.
Le tue unghie cercano la mia carne e affondano dentro di essa come lame roventi, la tua bocca cerca la mia avida, siamo belve in caccia, animali in frenesia.
Sesso!! Sesso!! Sesso!! Gridano le nostre membra e richiedono soddisfazione.
Le tue mani scendono sino a stringermi il cazzo, forte, quasi a farmi male, saggiandone l’erezione, rivendicandone la proprietà.
Il mio cazzo è tuo e di nessun altra.
Le tue labbra lo avvolgono fameliche mentre il turbinio dentro la mia testa aumenta d’intensità.
I nostri occhi si cercano complici, la tua lingua disegna torbido piacere sulla mia asta turgida.
Sudore.
Odore di te.
Odore di noi.
La tua voglia è un’onda cui è impossibile resistere, mi travolge e cattura.
La mia cappella viola sfiora le tue grandi labbra con studiata lentezza prima di riempirti di colpo, non è notte di carezze e baci, solo grida di piacere e rabbia perché questo non sia sempre.
Spinte che si susseguono con ferina violenza, siamo l’una la troia dell’altro in quest’unione puttana.
Regrediamo ad essenza primitiva, basica eppur così complessa e straziante.
Abbiamo fame di noi, non siamo soddisfatti, non lo saremo mai.
Furia.
Piacere.
Orgasmo.
Non sono domato, neanche un po’.
Emetto il mio urlo barbaro sopra i tetti del mondo.
I SOUND MY BARBARIC “YAWP” OVER THE ROOFS OF THE WORLD!
Nota dell’autore: Questo è sicuramente un racconto particolare e non credo riscontrerà grosso interesse o successo, ma ho voluto comunque dargli forma perché lo sento fortemente mio.
È liberamente ispirato da Walt Whitman ed alla sua opera “Foglie d’Erba”, così parte della mia vita che la frase conclusiva è segno indelebile sulla mia pelle a memento di un periodo davvero complicato nel quale ho perso diverse cose ma mai la dignità.
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