Il Tavolino del Bar
di
Tenkara
genere
etero
Cara F.,
ricordo ancora uno per uno i brevi incontri che con diverse scuse organizzammo durante il maledetto e quanto mai rimpianto periodo in cui decidemmo di abbandonarci all'oblio dei sensi e della passione, incuranti del dolore che avremmo provato al risveglio, superando la barriera della realtà virtuale per darle una dimensione quanto mai fisica e tangibile.
Il più delle volte venni io a trovarti sul lavoro, sottraendoti ad esso per il tempo di un caffè e di una breve chiacchierata, momenti unici permeati da un micidiale mix di imbarazzo, eccitazione e sogno, tanto veloci quanto menzogneri nel loro essere così pudici e moderati, così tiepidi, a dispetto del fuoco che ardeva sotto la nostra pelle, fiamma che si sarebbe spenta solo dopo diverse ore chetata dalle calme acque della distanza e delle rispettive mura domestiche.
Quel sabato il programma era diverso.
L'appuntamento era fissato per le nove e mezza al centro commerciale davanti al negozio del gestore telefonico presso il quale ci saremmo dovuti recare per farti sottoscrivere un nuovo abbonamento internet, la mia presenza sarebbe dovuta servire quale consulente esperto sulla base di chissà quali credenziali, quando in realtà era solo un motivo come tanti altri per godere ognuno della presenza dell'altro.
Era estate e ti presentasti con un vestito lungo fino ai piedi di denim leggero, azzurro con dei grossi fiori bianchi a spezzare la monotonia del colore; ai piedi delle zeppe che ti slanciavano tanto da raggiungere il mio metro e ottanta di altezza modellando il tuo fondoschiena già perfetto di suo sino a renderlo calamita per lo sguardo di chiunque.
Unghie di mani e piedi sempre curatissime, altra tua passione assieme a quella per l'intimo, smalto blu scuro ben steso, con decoro a stella in argento sull'anulare destro.
Il taglio asimmetrico del vestito faceva sì che la spallina del reggiseno facesse sbarazzina la sua comparsa, gustoso assaggio di ben altra vista, così tanto bramata.
Dopo aver espletato le formalità burocratiche riguardanti il tuo nuovo piano tariffario, lasciammo la tua macchina al parcheggio e ci dirigemmo come d'accordo verso un bar situato più o meno ad un chilometro dal centro commerciale; la location non era casuale, come sempre l'avevi studiata con cura sin dal momento in cui avevo accettato il tuo invito, ma i tuoi piani vennero rovinati dal ragazzo che ci accolse nel momento in cui ci comunicò che il piano superiore, poco illuminato e con sedute ampie e comode non era fruibile; ci saremmo dovuti sedere ad uno dei tavolini esterni, alla piena luce del giorno, assieme a tutta la pletora di gente che già affollava il locale.
Ci accomodammo ed ordinammo da bere, tu un thé freddo mentre io decisi di affidare il mio immediato futuro a qualche grado saccarometrico per far sì che un po' della tensione svanisse assieme all'alcool.
Le nostre gambe si cercarono subito quasi fondendosi in un abbraccio mentre mi stringesti la mano facendomi percepire il freddo della tua agitazione; in quel momento non servirono parole, bastarono gli sguardi per rendere superflua ogni cosa attorno a noi.
Mi chiedesti distrattamente del lavoro, parlammo di tutto pur non parlando di niente di ciò che i nostri corpi a loro volta stavano dicendo; ti appoggiai una mano sulla coscia beandomi della scossa che ricevetti in risposta, mentre il tuo respiro si fermò per un infinito istante, come se i tuoi pensieri peccaminosi fossero stati scoperti.
Tremasti per qualche secondo, prima di confortarmi con un sorriso incerto.
In quel momento, povero illuso, credevo ancora di condurre il gioco.
Rispondesti al mio tocco appoggiando la tua mano sulla mia, ghermendone la volontà attirandola a te e facendola salire lentamente; la mia eccitazione cominciava a chiedere con forza un ruolo in tutto questo turbinio di emozioni, pur nascosta alla vista restava difatti alla mercé dei tuoi altri sensi.
Eravamo ancora al bar? Eravamo su un'isola deserta? In cima all'Everest o su una nave in mezzo all'oceano?
Non sarei stato in grado di dirlo.
Per qualche minuto un silenzio consapevole scese tra noi.
Io sono sbagliato, ti dissi con gli occhi ancor prima che con la voce, lo sai, F., sono sbagliato.
Sono l'ultima persona con cui dovresti essere seduta a questo cazzo di tavolino...
Lo sappiamo entrambi, non c'è momento in cui io non ne abbia avuto feroce sentore, lo sanno i tuoi occhi, così vicini al pianto in questo momento da strapparmi l'anima, ferite profonde e così brucianti, così dolorose, indelebili.
Fu un attimo, il battere d'ali di una farfalla, ma il dolore una volta seminato germoglia lentamente ed inesorabilmente sino a quando il suo amaro frutto non matura del tutto inquinando ogni buon proposito, ogni sentimento, ogni emozione.
Di nuovo un sorriso, di nuovo Noi, di nuovo i sensi all'erta, la pelle d'oca, i brividi lungo la schiena, i tuoi capezzoli che premono contro il denim leggero reclamando la mia attenzione, la curva del tuo seno così ben disegnata, la mia erezione ormai palesatasi in tutta la sua voluttuosità, il tuo profumo così avvolgente ed ipnotico, il tocco della tua mano sulla mia gamba, poi su, verso l'inguine, dapprima leggero e poi sempre più marcato, sino a stringere l'oggetto della sua bramosia, con forza, voglia, desiderio travolgente che attraverso quel tocco raggiunge ogni singolo centimetro della mia pelle, ora tuo servo idolatra.
Ti voglio F., ti voglio ora, voglio possederti qui, davanti a tutti gli avventori del bar che già sono spettatori non paganti del nostro passionale duello, incurante di tutto tranne che del tuo corpo, voglio strapparti quel dannato vestito che lo cela alla mia vista, affondare le unghie nella tua carne fino a scottarmi del tuo fuoco interiore, mordere i tuoi seni, i tuoi capezzoli, cercare avido la tua bocca per dissetare la mia sete di te, riempirti di me, voglio sentire il mio cazzo stretto nella liquida morsa del tuo piacere, voglio sentire la tua voce altrimenti così delicata invocarmi, dare corpo ad ogni tua recondita perversione, voglio che tutti si inebrino dei nostri umori, succubi del tuo essere pura sessualità, pura passione.
Il volare di una mosca, indifferente alla carica erotica tra noi, distolse i miei pensieri.
Si è fatto tardi, devo rientrare; risalimmo in macchina, silenti, per tornare al parcheggio e lasciarti andare via un'altra volta, anche se a scappare ero io, sono sempre stato io.
Presi dai sedili posteriori una maglietta intima nera... la indossavo ieri sera, ti dico, mentre ci scrivevamo... è sudata, sporca delle ceneri del fuoco arso tra un messaggio e l'altro.. tu me la chiedesti così, quale feticcio, segno tangibile del nostro universo.. la prendesti quasi incredula, stringendola, annusandola.. mi sorridesti, mentre i tuoi occhi lubrichi già pregustavano la rivincita.
Arrivammo al parcheggio, apristi la portiera e scendesti dall'auto; solo in quel momento, troppo distratto e frastornato dalla situazione, mi accorsi che la gonna era sollevata in modo innaturale, lasciando che gambe, inguine e sedere fossero a diretto contatto col sedile; d'un tratto diedi un senso al tuo sorriso, ti guardai negli occhi, soddisfatti e vincenti, guardai il sedile... la pelle beige pregna e bagnata dei tuoi umori...
Chiudesti la portiera e ti allontanasti in direzione della tua macchina, lasciandomi lì, vinto, per l'ennesima volta tuo schiavo fino al midollo.
Ancor oggi non ho perso il vizio di accarezzare distrattamente quel sedile...
ricordo ancora uno per uno i brevi incontri che con diverse scuse organizzammo durante il maledetto e quanto mai rimpianto periodo in cui decidemmo di abbandonarci all'oblio dei sensi e della passione, incuranti del dolore che avremmo provato al risveglio, superando la barriera della realtà virtuale per darle una dimensione quanto mai fisica e tangibile.
Il più delle volte venni io a trovarti sul lavoro, sottraendoti ad esso per il tempo di un caffè e di una breve chiacchierata, momenti unici permeati da un micidiale mix di imbarazzo, eccitazione e sogno, tanto veloci quanto menzogneri nel loro essere così pudici e moderati, così tiepidi, a dispetto del fuoco che ardeva sotto la nostra pelle, fiamma che si sarebbe spenta solo dopo diverse ore chetata dalle calme acque della distanza e delle rispettive mura domestiche.
Quel sabato il programma era diverso.
L'appuntamento era fissato per le nove e mezza al centro commerciale davanti al negozio del gestore telefonico presso il quale ci saremmo dovuti recare per farti sottoscrivere un nuovo abbonamento internet, la mia presenza sarebbe dovuta servire quale consulente esperto sulla base di chissà quali credenziali, quando in realtà era solo un motivo come tanti altri per godere ognuno della presenza dell'altro.
Era estate e ti presentasti con un vestito lungo fino ai piedi di denim leggero, azzurro con dei grossi fiori bianchi a spezzare la monotonia del colore; ai piedi delle zeppe che ti slanciavano tanto da raggiungere il mio metro e ottanta di altezza modellando il tuo fondoschiena già perfetto di suo sino a renderlo calamita per lo sguardo di chiunque.
Unghie di mani e piedi sempre curatissime, altra tua passione assieme a quella per l'intimo, smalto blu scuro ben steso, con decoro a stella in argento sull'anulare destro.
Il taglio asimmetrico del vestito faceva sì che la spallina del reggiseno facesse sbarazzina la sua comparsa, gustoso assaggio di ben altra vista, così tanto bramata.
Dopo aver espletato le formalità burocratiche riguardanti il tuo nuovo piano tariffario, lasciammo la tua macchina al parcheggio e ci dirigemmo come d'accordo verso un bar situato più o meno ad un chilometro dal centro commerciale; la location non era casuale, come sempre l'avevi studiata con cura sin dal momento in cui avevo accettato il tuo invito, ma i tuoi piani vennero rovinati dal ragazzo che ci accolse nel momento in cui ci comunicò che il piano superiore, poco illuminato e con sedute ampie e comode non era fruibile; ci saremmo dovuti sedere ad uno dei tavolini esterni, alla piena luce del giorno, assieme a tutta la pletora di gente che già affollava il locale.
Ci accomodammo ed ordinammo da bere, tu un thé freddo mentre io decisi di affidare il mio immediato futuro a qualche grado saccarometrico per far sì che un po' della tensione svanisse assieme all'alcool.
Le nostre gambe si cercarono subito quasi fondendosi in un abbraccio mentre mi stringesti la mano facendomi percepire il freddo della tua agitazione; in quel momento non servirono parole, bastarono gli sguardi per rendere superflua ogni cosa attorno a noi.
Mi chiedesti distrattamente del lavoro, parlammo di tutto pur non parlando di niente di ciò che i nostri corpi a loro volta stavano dicendo; ti appoggiai una mano sulla coscia beandomi della scossa che ricevetti in risposta, mentre il tuo respiro si fermò per un infinito istante, come se i tuoi pensieri peccaminosi fossero stati scoperti.
Tremasti per qualche secondo, prima di confortarmi con un sorriso incerto.
In quel momento, povero illuso, credevo ancora di condurre il gioco.
Rispondesti al mio tocco appoggiando la tua mano sulla mia, ghermendone la volontà attirandola a te e facendola salire lentamente; la mia eccitazione cominciava a chiedere con forza un ruolo in tutto questo turbinio di emozioni, pur nascosta alla vista restava difatti alla mercé dei tuoi altri sensi.
Eravamo ancora al bar? Eravamo su un'isola deserta? In cima all'Everest o su una nave in mezzo all'oceano?
Non sarei stato in grado di dirlo.
Per qualche minuto un silenzio consapevole scese tra noi.
Io sono sbagliato, ti dissi con gli occhi ancor prima che con la voce, lo sai, F., sono sbagliato.
Sono l'ultima persona con cui dovresti essere seduta a questo cazzo di tavolino...
Lo sappiamo entrambi, non c'è momento in cui io non ne abbia avuto feroce sentore, lo sanno i tuoi occhi, così vicini al pianto in questo momento da strapparmi l'anima, ferite profonde e così brucianti, così dolorose, indelebili.
Fu un attimo, il battere d'ali di una farfalla, ma il dolore una volta seminato germoglia lentamente ed inesorabilmente sino a quando il suo amaro frutto non matura del tutto inquinando ogni buon proposito, ogni sentimento, ogni emozione.
Di nuovo un sorriso, di nuovo Noi, di nuovo i sensi all'erta, la pelle d'oca, i brividi lungo la schiena, i tuoi capezzoli che premono contro il denim leggero reclamando la mia attenzione, la curva del tuo seno così ben disegnata, la mia erezione ormai palesatasi in tutta la sua voluttuosità, il tuo profumo così avvolgente ed ipnotico, il tocco della tua mano sulla mia gamba, poi su, verso l'inguine, dapprima leggero e poi sempre più marcato, sino a stringere l'oggetto della sua bramosia, con forza, voglia, desiderio travolgente che attraverso quel tocco raggiunge ogni singolo centimetro della mia pelle, ora tuo servo idolatra.
Ti voglio F., ti voglio ora, voglio possederti qui, davanti a tutti gli avventori del bar che già sono spettatori non paganti del nostro passionale duello, incurante di tutto tranne che del tuo corpo, voglio strapparti quel dannato vestito che lo cela alla mia vista, affondare le unghie nella tua carne fino a scottarmi del tuo fuoco interiore, mordere i tuoi seni, i tuoi capezzoli, cercare avido la tua bocca per dissetare la mia sete di te, riempirti di me, voglio sentire il mio cazzo stretto nella liquida morsa del tuo piacere, voglio sentire la tua voce altrimenti così delicata invocarmi, dare corpo ad ogni tua recondita perversione, voglio che tutti si inebrino dei nostri umori, succubi del tuo essere pura sessualità, pura passione.
Il volare di una mosca, indifferente alla carica erotica tra noi, distolse i miei pensieri.
Si è fatto tardi, devo rientrare; risalimmo in macchina, silenti, per tornare al parcheggio e lasciarti andare via un'altra volta, anche se a scappare ero io, sono sempre stato io.
Presi dai sedili posteriori una maglietta intima nera... la indossavo ieri sera, ti dico, mentre ci scrivevamo... è sudata, sporca delle ceneri del fuoco arso tra un messaggio e l'altro.. tu me la chiedesti così, quale feticcio, segno tangibile del nostro universo.. la prendesti quasi incredula, stringendola, annusandola.. mi sorridesti, mentre i tuoi occhi lubrichi già pregustavano la rivincita.
Arrivammo al parcheggio, apristi la portiera e scendesti dall'auto; solo in quel momento, troppo distratto e frastornato dalla situazione, mi accorsi che la gonna era sollevata in modo innaturale, lasciando che gambe, inguine e sedere fossero a diretto contatto col sedile; d'un tratto diedi un senso al tuo sorriso, ti guardai negli occhi, soddisfatti e vincenti, guardai il sedile... la pelle beige pregna e bagnata dei tuoi umori...
Chiudesti la portiera e ti allontanasti in direzione della tua macchina, lasciandomi lì, vinto, per l'ennesima volta tuo schiavo fino al midollo.
Ancor oggi non ho perso il vizio di accarezzare distrattamente quel sedile...
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