I Romano 8: Vito Romano non era sempre stato “lo Zio” (parte quarta: l'abito nuziale)

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incesti

I Romano 8: Vito Romano non era sempre stato “lo Zio” (parte quarta: l'abito nuziale)

Lina Romano era nella sua stanza con zia Rosalia e stava provando l'abito nuziale. Rosalia era la moglie di zio Tano, il capo mandamento che aveva accolto i fratelli Romano – Vito, Lina e Marietto – dopo che loro padre, il capo dei capi Antonio Romano, era stato ucciso. Zio Tano se li era tenuti anche dopo che loro madre se ne era andata chissà dove.
– Sei proprio bella, Lina – le disse zia Rosalia aiutandola ad allacciarsi l'ultimo bottoncino del reggicalze. – Ancora non ci credo che tanta grazia andrà a quel....
Lina le voleva bene e le perdonò quelle parole che pochi altri avrebbero osato rivolgerle: Beppe il Cinghiale, il suo sposo, era il vice del capo, e come tale era un intoccabile. – Non dire così, zia – si limitò a dirle. Lo specchio le rimandava la propria immagine e anche lei non poté fare a meno di trovarsi bella, soprattutto mentre teneva alzata la lunga e vaporosa gonna bianca fino a rivelare le stringhette del reggicalze che la zia aveva appena sistemato: quello strano intruglio di castità e seduzione che è l'intimo di una sposa. E tutto questo, di lì a tre giorni sarebbe stato di Beppe.
Dopo quel primo incontro al matrimonio di Rino, aveva rivisto Beppe diverse volte Beppe e se l'era sempre cavata con qualche lavoretto di mano facendo la verginella e solo un paio di volte l'omone aveva avuto la sua bocca. Tuttavia qualche  mese dopo aveva realizzato di essere incinta e di chi lo sapeva bene: il padre era suo fratello Vito. All'inizio era stato terribile dirglielo: lei era già in preda a sensi di colpa agghiaccianti per quello che avevano fatto e lui, furioso, le scaricò addosso anche la responsabilità di non essersi protetta. Vito, in queste occasioni diventava una bestia. Le devastò la camera, la insultò e le rifilò un paio di ceffoni finchè cedette all'attrazione fisica che la sorella esercitava su di lui e la violentò. Lei lo lasciò fare, perché lo amava, e sapeva che dopo essersi scaricato dentro di lei, ed averla chiamata puttana, morsa e schiaffeggiata di nuovo (e fatta godere) si sarebbe ammansito, fino a crollare tra le sue braccia e piangere, vergognandosi di come l'aveva trattata, supplicandola di perdonarlo, dicendo di amarla. Dopo di questo, dopo essersi calmati, capirono che l'unica cosa da fare era di metterlo in culo al Cinghiale, prima che la situazione potesse scappare loro di mano.
Il sabato successivo, senza perdere tempo, Lina era uscita con Beppe e, approfittando del buio e dell'ennesima sbronza di Beppe, nel parcheggio della solita discoteca, Lina aveva fatto la parte della ragazzina ubriaca che non sa resistere alla virilità del suo uomo e finalmente si era lasciata calare le mutandine. Beppe Cinghiale era davvero sbronzo e, quanto a virilità, lasciò parecchio a desiderare. Da tempo Lina aveva smesso di essere per lui l'intoccabile figlia del suo vecchio boss per essere una delle tante puttanelle che gli giravano attorno. Capì a malapena che (in teoria) la stava sverginando e glielo infilò che non era nemmeno del tutto armato. La scopò per un po', incurante dei gemiti eccessivi di Lina e dei suoi falsi “mi fai male”, e poi scivolò fuori, incapace di continuare. Ma tanto bastò.
Tre settimane dopo lei compiva 18 anni e, mentre lui si aspettava un nuovo regalo (visto che lei si era tenuta lontana dopo quella volta in disco), Lina gli disse che quella sera, che lui ricordava a malapena, era rimasta incinta. Beppe Cinghiale comprese subito che in quel momento era la figlia del vecchio boss a parlare, la protetta di Tano Paglieri e che quindi non poteva darle un qualche milione e un biglietto per la Sivzzera. Quella doveva sposarla. Lei gli buttò le braccia al collo, felice, e lui pensò, tastandole il culo, che gli era andata bene, perché in fondo Lina era una gran fica, e di buona famiglia.
A queste cose pensava la giovane sposina mentre si guardava allo specchio e chiacchierava con zia Rosalia.
– Sei bellissima, Lina – disse Vito appoggiato allo stipite della porta.
Lei arrossì e, cercando di non far capire alla zia quanto quelle parole la sconquassassero dentro, lasciò andare la gonna ancora sollevata e lo ringraziò con un sorriso modesto. La zia non era una stupida ma, da donna siciliana qual'era (e da donna di mafia), sapeva bene che in certe direzioni era bene non spingere il pensiero, e quindi se ne guardava bene dal farlo. Ad esempio ora avrebbe dovuto aiutare Lina a togliersi il vestito per poi riporlo con cura, ma quando Vito le disse che poteva andare, che c'avrebbe pensato lui ad aiutare lui la sorella, Rosalia preferì pensare che c'era senz'altro un buon motivo – un motivo lecito – per quella richiesta. L'aternativa, oltremodo sconveniente da tutti i punti di vista, era prendere atto che in quella casa, sotto il loro tetto, quei due svergognati vivevano da tempo nel peccato più inconfessabile. Quindi se ne andò dicendo loro che andava a preparare la cena.
Lina sentì Vito che chiudeva la porta alle spalle della zia e continuò tranquilla a provarsi degli orecchini allo specchio.
– Secondo te, quali mi stanno meglio? – disse al fratello posandosi con le dita curate due orecchini diversi a ciascun lobo.
Vito le si avvicinò da dietro, la prese per i fianchi e la baciò sul collo. Lei rimase lì, con gli orecchini a mezz'aria, e lui posò le labbra sul suo lobo sinistro, lo prese tra i denti e lo mordicchiò appena, prima di succhiarlo. Lina, quando suo fratello era così delicato, si scioglieva. Dei brividi le partirono dall'orecchio lungo il collo e, siccome lui la teneva con forza per la vita con le mani, mani calde anche attraverso il corpetto bianco, quei brividi finirono per arrivare proprio fino al suo sesso, che lei sentiva fasciato dalle mutandine sottili, di pizzo bianco, ed attorniato dalla calda sensazione delle cosce che si toccavano dove la calza di seta finiva. Andò avanti a lungo, Vito, a succhiarle il lobo, a mordicchiarle il collo, a darle tanti bacetti umidi sulla spalla lasciata nuda dal vestito per poi soffiarci sopra il suo alito caldo da piccolo drago. Quando infine parlò, lei era ormai in sua completa balia.
– Sai, sorellina?, c'è una cosa che forse ancora non sai del tuo futuro maritino.
Lei, come in trance, sentì le mani di lui che le scivolavano sui fianchi. Una era passata sul davanti, da sopra il vestito, un po' giochicchiando con i gancetti del reggicalze, un po' cercando la forma del suo sesso, mentre l'altra mano aveva iniziato ad addomesticare le pieghe della gonna, fino a riuscire ad infilarsi sotto, raggiungendo prima le sue cosce, poi, finalmente il culo.
– Che cosa?... – sibilò lei.
Lui rise compiaciuto. Ormai era riuscito a sollevarle la gonna abbastanza da toccarle il sesso infilandole una mano nelle mutandine da davanti, e con il proprio corpo la spinse sempre più a chinarsi, tanto che Lina dovette sorreggersi con le mani ai bordi delle specchio a trespolo, il lungo specchio che rimandava a Vito, eccitandolo a dismisura, l'intera visione della sorella piegata in avanti, con il suo già generoso decolté ben in vista, gli occhi chiusi a godersi le sue carezze, la gonna sollevata a mostrarne le gambe inguainate nelle bianche calze di seta che le arrivavano a mezza coscia. Mentre una mano di lui iniziava ad inoltrarsi nella sua fica aperta, l'altra mano, da dietro, le abbassava le mutandine fino a dove i laccetti del reggicalze lo rendevano possibile, e poi scendeva lungo le spacco del sedere, esitava un attimo sull'ano, e poi proseguiva fino a raggiungere la vagina.
– Davvero non hai sentito niente, sorellina?
– No...– gemette lei sottomessa a quelle carezze sempre più invitanti.
– Vedi sorellina – disse lui, mentre con le dita iniziava a scorrere tra la vagina e l'ano, portando là dietro i suoi succhi senza però violare ancora la porticina stretta.
– Pare che Beppe il Cinghiale, – continuò, – quando era in carcere, avesse un amichetto.
Le dita di Vito erano sempre più insistenti, ora. Una mano aveva preso a masturbarla accanendosi sulla clitoride mentre le dita dell'altra scorrevano tra le labbra della vagina fino ad impregnarsi dei suoi umori e poi andavano al buchetto vergine della sorella, lo lubrificano attorno di ciprino ed iniziavano, mezza falange alla volta, ad infilarcisi.
– Vito... – sospirò lei poco convinta.
– Questo amichetto – continuò lui ignorandola – questo amichetto dev'essergli piaciuto parecchio, perché si dice – Vito si interruppe perché era riuscito ad infilarle l'intero anulare in culo alla sorella e lei si era mossa inarcando la schiena. – Si dice che gli sia rimasta la passione del culo.
– Vito... cosa mi fai?
Vito di nuovo non le rispose. Lei aveva gli occhi chiusi e si stava godendo come una pazza le sensazioni che le dita del fratello nel culo gli stavano dando. Già da sola, masturbandosi, aveva provato ad infilarsi alcune dita a quel modo e la cosa l'aveva fatta godere parecchio. Anche ora le era venuta una gran voglia di toccarsi e, quando Vito smise di masturbarle la fica per insalivarsi le dita e lubrificarle meglio l'ano, lei aprì un po' le gambe per bilanciarsi meglio, staccò una mano dallo specchio e se la infilò tra le gambe iniziando a titillarsi come da ragazzina, sul suo lettino. Sentì la la fibbia della cintura di Vito cozzare contro il pavimento e per un attimo ebbe paura, ma anche questa paura era nulla rispetto alla voglia che le dita del fratello le avevano messo addosso. Sentì il glande di Vito appoggiarsi tra le sue chiappe, giusto all'apertura del suo culetto, sentì che il suo ano cedeva.
– Non vorrai che il cazzone del Cinghiale ti faccia del male, sorellina?
– No... non voglio... fratellino mio...– rispose sempre più sconvolta Lina mentre la cappella si stava lentamente facendo strada dietro di lei.
– Non vorrai che Beppe sia il primo, sorellina?
– No, fratellino... voglio che sia tu... il primo – Lina ormai gemeva e farfugliava, mentre il cazzo del fratello le si era piantato fino in fondo ed iniziava a stantuffarla con sempre più forza, mentre il dolore si faceva sempre più simile al piacere.
– Sono tua... solo tua – rantolava – solo a te do tutto....
Sentiva il cazzo di Vito come fosse di ferro. Continuava a masturbarsi con gli occhi chiusi ed a lasciare andare dei brevi e sordi urletti di gola – ah... ah... – a cui lui rispondeva con colpi del cazzo ancora più decisi.
– GUARDAMI! – ordinò lui d'un tratto. Lei aprì gli occhi e vide il proprio viso arrossato che pareva stesse per scoppiare, gli occhi lucidi, le guance paonazze, poi sollevò lo sguardo sul fratello e rimase colpita di quanto lui le somigliasse: vide la stessa espressione sul proprio viso dolce da ragazza mediterranea e sul viso bruno e virile del fratello. Colse nei suoi occhi l'ultimo disperato tentativo di protrarre ancora il piacere e venne, venne mentre sentiva il cazzo di lui esploderle dentro e scorrerle leggero in culo, finalmente lubrificato dal suo sperma.
scritto il
2011-01-07
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