I Romano 7: Franca Vannucchi (iniziazione)
di
Joe Cabot
genere
pulp
I Romano 7: Franca Vannucchi (iniziazione)
Franca Vannucchi aspettò che il signor Giovanni, inginocchiato davanti a lei, affondasse la faccia tra le sue cosce, e si beasse di quel profumo di calze e femmina. Poi gli afferrò la testa con la mano sinistra, lo guardò negli occhi invitante, e poi, fulminea, gli passò la mano libera sotto la gola, come un battito di ali. Il signor Giovanni si sentì un sapore dolciastro in bocca e guardò con stupore la ragazzina. Vide il rasoio insanguinato che lei teneva in mano ma ci mise ancora qualche secondo a realizzare ciò che era accaduto. Nel frattempo era morto.
Franca si scrollò di dosso il vecchio che gli si era accasciato tra le gambe, poi gli prese il portafoglio e l'orologio d'oro dal taschino. Quindi si spogliò completamente e prese dallo zainetto la biancheria, i jeans e una maglia pulita. Infilò in un sacco nero i vestiti sporchi di sangue e si incamminò. Quel parco da tossici, appena fuori città, sarebbe rimasto chiuso fino all'indomani mattina. Trovò facilmente il buco nella recinzione da cui era entrata poco prima con il signor Giovanni. Avrebbe fatto quasi 5 chilometri a piedi, prima di raggiungere la fermata del 54 notturno che l'avrebbe riportata a casa, e lungo la strada si sarebbe liberata del rasoio e dell'orologio.
Tre giorni prima il signor Giovanni era seduto nella poltrona del suo salotto mentre di là, nella camera degli ospiti, un suo conoscente si stava sbattendo Anna Zambelli, la madre di Franca Vannucchi. Da uomo d'affari qual'era aveva ben presto capito che quella donna era sprecata a fargli le pulizie ma non era stato facile convincerla. Aveva resistito anche ad un paio di ceffoni e solo dopo che l'aveva minacciata di sfratto davanti alle sue figlie, nell'appartamento in cui loro stavano, la donna aveva accettato di fare qualche marchetta ogni tanto, ma solo con gente conosciuta, che gli avesse procurato lui. Il signor Giovanni aveva fatto girare la voce e lei era diventata merce pregiata. Diversi uomini pagavano profumatamente per scoparsi, non una qualsiasi puttana, ma l'ex amante del Vannucchi. Il pensiero li arrapava.
Ma il signor Giovanni, seduto nella sua poltrona, non era soddisfatto. Quando era andato nell'appartamento della donna, aveva notato una cosa il cui ricordo, nelle settimane a seguire, era diventato un pensiero fisso, fino a mutarsi in ossessione. Quel giorno, mentre insultava la donna e le diceva che l'avrebbe buttata in strada dove non avrebbe potuto fare altro che mettersi a battere, aveva visto quegli incantevoli occhi azzurri di Franca, la figlia del Vannucchi, bella come la madre, ma appena sedicenne, e con quegli occhi azzurri carichi d'odio purissimo. Si era divertito, a quello sguardo, ma quello sguardo lo aveva anche turbato, l'aveva perseguitato fino a dominare tutti gli altri desideri.
Mentre sentiva l'uomo ansimare di là, pensò che la donna sarebbe rimasta occupata ancora per un po'. Prese il soprabito ed uscì. Dopo 20 minuti suonava il campanello dell'appartamento che un tempo era stato del Vannucchi. L'appartamento che il signor Giovanni, aveva ricevuto a saldo di un pesante debito.
Franca Vannucchi aprì la porta e si trovò davanti quello stronzo del padrone di casa.
– Mamma non c'è – disse gelida, senza salutare.
– Lo so – rispose l'uomo spingendola di lato ed entrando nell'appartamento.
L'uomo gironzolò come fosse a casa sue, e la cosa indispettì, la ragazza.
– Sei da sola? – chiese.
– Sì.
– Bene. Dobbiamo parlare.
L'uomo si sedette sull'unica poltrona del minuscolo salotto della casa e fece un gesto per invitare la ragazza a sederglisi di fronte, sul divanetto. Franca Vannucchi indossava i pantaloni piuttosto larghi di una tuta ed una felpa verde. Aveva i capelli raccolti da una coda e nello sguardo, in quegli occhi azzurri, un grosso carico di fastidio.
– Ti chiami Franca, vero? Beh, Franca, lo sai cosa fa tua madre per me?
– Fa le pulizie...
Il signor Giovanni esplose in una risata. – Sii... le pulizie....
Lei lo guardava seria. Turbata.
– Tua madre, piccola Franca, fa la puttana. Proprio in questo momento è a casa mia con un cliente tra le cosce. O forse glielo sta succhiando, chi lo sa?
Franca era giovane, ma non era stupida, e lo sguardo che aveva ora era di rabbia. Ma lei la rabbia la sapeva controllare.
– Non dici niente? La tua mamma batte per mandarti a scuola, per darti da mangiare, e tu non dici niente?
Lei se ne stava zitta. Ostinata.
– Beh, se non dici niente, parlerò io. Sai?, prima di farla battere, lei era la mia puttana. Solo la mia, capisci? Ma adesso che se la passano tutti, a me fa un po' schifo. E così sono venuto a dirti che tu ora entri nell'attività di famiglia, per così dire. Ora la mia puttana sarai tu.
Il signor Giovanni, in quelle settimane aveva pensato più volte a quel dialogo. Si era immaginato che lei resistesse, che piangesse. Si era immaginato di ricattarla, di farla sentire in colpa, di consolarla infine. E invece la figlia del Vannucchi se ne stava lì zitta, a guardarlo con quello sguardo carico d'odio, con gli occhi azzurri resi ancora più chiari da una rabbia accecante, che le bruciava dentro bianca.
– Credo che tu abbia capito, zoccoletta.
L'uomo si alzò e le si sedette accanto. Mentre lei continuava a fissare la poltrona ormai vuota, lui prese a tastarla tra le gambe, sui seni. Il signor Giovanni non si era mai fatto una ragazza così giovane, con i seni così duri contenuti appena da quel reggiseno da ragazzina, con la pelle del collo così liscia sotto la sua lingua, ed i capelli profumati di shampoo. Sempre più infoiato le abbassò con malagrazia i pantaloni, mentre lei rimaneva rigida come un pezzo di ghiaccio, e come ghiaccio erano ormai i suoi occhi sempre fissi sulla poltrona. Lui le infilò le mani nelle mutandine, tra i peli biondi e radi.
– Non dirmi che sei vergine, zoccoletta? – disse aprendosi la via tra le sue labbra con le sue dita da vecchio. – Sì! Che sorpresa... stasera doppia festa.
Il signor Giovanni prese la giovane e la strattonò finché lei non si trovò inginocchiata davanti al divano. Da dietro, le sfilò la felpa lasciandola praticamente nuda, poi la sbatte contro i cuscini della seduta, piegata, e si mise a tastarle il culo. Lei, sempre zitta, ora fissava davanti, i ghirigori che ornavano la fodera dello schienale.
– Quanto sei fica, zoccoletta, sei anche meglio di quella puttana di tua madre.
Si fermò per strapparle le mutandine. – Non mi dici niente, Franca? Vedrai adesso come canterai.
Il signor Giovanni tirò fuori il cazzo dai pantaloni. Quel suo cazzo rinsecchito che aveva scopato la madre di quella ragazza appena due giorni prima. Lo puntò sulla fica ed iniziò a premere allargandole le labbra con le dita. Spinse senza remore, senza alcun rispetto, a rischio di farsi male a sua volta. Con un ultimo strattone fu dentro e solo allora, Franca Vannucchi si lasciò sfuggire un lieve gemito, che subito riuscì a contenere.
– Tutto qui, puttana? ...dai! Fammi sentire.... Non dirmi che non l'hai sentito?
Ma lei stava zitta, come impassibile, mentre lui la stantuffava con rabbia, con appena una lacrima che faceva capolino da un ciglio. – Parla, puttana, grida! – disse ancora l'uomo sculacciandola forte sul sedere fino ad arrossarlo, incurante del rivolo di sangue che le scendeva lungo la coscia.
Ma non arrivava a niente. Il signor Giovanni era sudato, e stanco. Sarebbe venuto di lì a poco e quella puttana l'avrebbe avuta vinta.
– Fai la difficile... – ansimava. – Ora vediamo se non canti.
Sfilò da lei il suo cazzo sporco di umori e sangue. La tenne ferma e glielo puntò in culo.
– Ora vediamo, zoccoletta.
Glielo piantò fino in fondo come un bastardo. Allora lei cercò di ritrarsi, colma di dolore per quell'intrusione violenta, profonda e cattiva. Ma lui non aspettava altro e la teneva per i fianchi, premendola contro il divano.
– Questo ti piace, puttana? Anche a tua madre piace, anche lei mi gridava di smetterla, la prima volta.
Franca iniziò a gemere mordendosi le labbra per non farlo, ma poi aprì la bocca ed un primo grido gutturale le uscì da solo, e poi altri ad ogni spinta del vecchio che le sfondava il culo.
– Eccomi, – gridò il vecchio tra i suoi lamenti, – eccomi che ti riempio il culo.
E così fece.
Si rialzò lasciandola piegata sul divano, con la fica aperta ed il culo arrossato da cui usciva il suo sperma. Il vecchio la guardò e ridacchiò.
– Hai visto che non è stato difficile, puttana. Ora sai il mestiere e quando tornerò sarai più disponibile, con me, non è vero?
Lei stava sul divano e piangeva piano, con il viso voltato in modo che lui non potesse vederla.
D'un tratto si sentì un ascensore partire e lei si riscosse, di nuovo padrona di sé. Rapidissima raccolse i pantaloni e se li infilò.
– Te ne devi andare – disse infilandosi la felpa e nascondendosi in tasca le mutandine stracciate.
– Beh... che c'è adesso? – rispose il signor Giovanni che nel dubbio si era riallacciato i pantaloni. – Tua madre non torna prima....
In quel momento si sentì armeggiare alla porta. Quando si aprì apparve il volto sereno di Livia, la sorella minore di Franca. Livia vide l'uomo e si rabbuiò, ma non con l'odio che c'avrebbe messo la sorella, ma come un bambina che non vuole la minestra.
– Buon pomeriggio – disse.
– Ma guarda, – disse il signor Giovanni riprendendosi dalla sorpresa, – la tua sorellina. Peccato non sia arrivata prima: avrei fatto un regalo anche a lei. Magari la prossima volta.
– Che regalo...– iniziò Livia.
– Niente. – La interruppe rabbiosa Franca. – Nessun regalo. Il signor Giovanni scherza. È venuto a trovare la mamma ed ora se ne va.
– Vabbè. Arrivederci allora – salutò andandosene in camera.
Franca Vannucchi vide lo sguardo dell'uomo sulla sorellina.
– Se ne deve andare ora – gli disse.
– Sì, ma tornerò.
Lei lo fissò un attimo.
– Va bene. Ma non qui. E non gratis.
Lui rise.
– Hai capito l'antifona, zoccoletta. Bene. E dove ci vediamo?
– Ci vediamo domani sera alle nove e mezza alla fermata del 54 in viale Verdi. Andremo al parco delle Rose. A quell'ora non c'è nessuno.
– Così lontano? Non puoi venire a casa mia?
– Mia madre se ne accorgerebbe. Prendere o lasciare... e – fece una pausa per guardarlo in modo strano – di bocca non sono affatto vergine, e ci so fare.
Lui la guardò interdetto, con la bocca asciutta, consapevole che non avrebbe pensato ad altro fino all'appuntamento. Lui non era il tipo di fissarsi per una donna, una ragazzina poi, ma quella l'aveva rivoltato come un calzino fin dal primo sguardo.
– Va bene, come vuoi tu.
Lei lo guardò uscire e fissò la porta per qualche secondo. Poi riassettò i cuscini del divano e controllò che non ci fossero tracce di quel che era successo sul tappeto o altrove. Quando ne fu sicura andò in bagno, si mise al bidet, e costrinse la sua immagine specchiata sulle piastrelle bianche del bagno a non piangere mentre con l'acqua gelida cercava di far passare il bruciore che sentiva nell'ano e nella vagina. Quando ebbe finito si guardò allo specchio sopra il lavandino e si sistemò i capelli. Aprì l'ultimo cassetto del mobiletto e ne estrasse una bustina di cuoio con la cerniera. La aprì e si fece scivolare nella mano il rasoio ancora nuovo che suo padre aveva lasciato lì tanti anni prima. Lo aprì e ne testò il filo con un polpastrello. Per quello che aveva in mente di fare sarebbe andato benissimo.
Franca Vannucchi aspettò che il signor Giovanni, inginocchiato davanti a lei, affondasse la faccia tra le sue cosce, e si beasse di quel profumo di calze e femmina. Poi gli afferrò la testa con la mano sinistra, lo guardò negli occhi invitante, e poi, fulminea, gli passò la mano libera sotto la gola, come un battito di ali. Il signor Giovanni si sentì un sapore dolciastro in bocca e guardò con stupore la ragazzina. Vide il rasoio insanguinato che lei teneva in mano ma ci mise ancora qualche secondo a realizzare ciò che era accaduto. Nel frattempo era morto.
Franca si scrollò di dosso il vecchio che gli si era accasciato tra le gambe, poi gli prese il portafoglio e l'orologio d'oro dal taschino. Quindi si spogliò completamente e prese dallo zainetto la biancheria, i jeans e una maglia pulita. Infilò in un sacco nero i vestiti sporchi di sangue e si incamminò. Quel parco da tossici, appena fuori città, sarebbe rimasto chiuso fino all'indomani mattina. Trovò facilmente il buco nella recinzione da cui era entrata poco prima con il signor Giovanni. Avrebbe fatto quasi 5 chilometri a piedi, prima di raggiungere la fermata del 54 notturno che l'avrebbe riportata a casa, e lungo la strada si sarebbe liberata del rasoio e dell'orologio.
Tre giorni prima il signor Giovanni era seduto nella poltrona del suo salotto mentre di là, nella camera degli ospiti, un suo conoscente si stava sbattendo Anna Zambelli, la madre di Franca Vannucchi. Da uomo d'affari qual'era aveva ben presto capito che quella donna era sprecata a fargli le pulizie ma non era stato facile convincerla. Aveva resistito anche ad un paio di ceffoni e solo dopo che l'aveva minacciata di sfratto davanti alle sue figlie, nell'appartamento in cui loro stavano, la donna aveva accettato di fare qualche marchetta ogni tanto, ma solo con gente conosciuta, che gli avesse procurato lui. Il signor Giovanni aveva fatto girare la voce e lei era diventata merce pregiata. Diversi uomini pagavano profumatamente per scoparsi, non una qualsiasi puttana, ma l'ex amante del Vannucchi. Il pensiero li arrapava.
Ma il signor Giovanni, seduto nella sua poltrona, non era soddisfatto. Quando era andato nell'appartamento della donna, aveva notato una cosa il cui ricordo, nelle settimane a seguire, era diventato un pensiero fisso, fino a mutarsi in ossessione. Quel giorno, mentre insultava la donna e le diceva che l'avrebbe buttata in strada dove non avrebbe potuto fare altro che mettersi a battere, aveva visto quegli incantevoli occhi azzurri di Franca, la figlia del Vannucchi, bella come la madre, ma appena sedicenne, e con quegli occhi azzurri carichi d'odio purissimo. Si era divertito, a quello sguardo, ma quello sguardo lo aveva anche turbato, l'aveva perseguitato fino a dominare tutti gli altri desideri.
Mentre sentiva l'uomo ansimare di là, pensò che la donna sarebbe rimasta occupata ancora per un po'. Prese il soprabito ed uscì. Dopo 20 minuti suonava il campanello dell'appartamento che un tempo era stato del Vannucchi. L'appartamento che il signor Giovanni, aveva ricevuto a saldo di un pesante debito.
Franca Vannucchi aprì la porta e si trovò davanti quello stronzo del padrone di casa.
– Mamma non c'è – disse gelida, senza salutare.
– Lo so – rispose l'uomo spingendola di lato ed entrando nell'appartamento.
L'uomo gironzolò come fosse a casa sue, e la cosa indispettì, la ragazza.
– Sei da sola? – chiese.
– Sì.
– Bene. Dobbiamo parlare.
L'uomo si sedette sull'unica poltrona del minuscolo salotto della casa e fece un gesto per invitare la ragazza a sederglisi di fronte, sul divanetto. Franca Vannucchi indossava i pantaloni piuttosto larghi di una tuta ed una felpa verde. Aveva i capelli raccolti da una coda e nello sguardo, in quegli occhi azzurri, un grosso carico di fastidio.
– Ti chiami Franca, vero? Beh, Franca, lo sai cosa fa tua madre per me?
– Fa le pulizie...
Il signor Giovanni esplose in una risata. – Sii... le pulizie....
Lei lo guardava seria. Turbata.
– Tua madre, piccola Franca, fa la puttana. Proprio in questo momento è a casa mia con un cliente tra le cosce. O forse glielo sta succhiando, chi lo sa?
Franca era giovane, ma non era stupida, e lo sguardo che aveva ora era di rabbia. Ma lei la rabbia la sapeva controllare.
– Non dici niente? La tua mamma batte per mandarti a scuola, per darti da mangiare, e tu non dici niente?
Lei se ne stava zitta. Ostinata.
– Beh, se non dici niente, parlerò io. Sai?, prima di farla battere, lei era la mia puttana. Solo la mia, capisci? Ma adesso che se la passano tutti, a me fa un po' schifo. E così sono venuto a dirti che tu ora entri nell'attività di famiglia, per così dire. Ora la mia puttana sarai tu.
Il signor Giovanni, in quelle settimane aveva pensato più volte a quel dialogo. Si era immaginato che lei resistesse, che piangesse. Si era immaginato di ricattarla, di farla sentire in colpa, di consolarla infine. E invece la figlia del Vannucchi se ne stava lì zitta, a guardarlo con quello sguardo carico d'odio, con gli occhi azzurri resi ancora più chiari da una rabbia accecante, che le bruciava dentro bianca.
– Credo che tu abbia capito, zoccoletta.
L'uomo si alzò e le si sedette accanto. Mentre lei continuava a fissare la poltrona ormai vuota, lui prese a tastarla tra le gambe, sui seni. Il signor Giovanni non si era mai fatto una ragazza così giovane, con i seni così duri contenuti appena da quel reggiseno da ragazzina, con la pelle del collo così liscia sotto la sua lingua, ed i capelli profumati di shampoo. Sempre più infoiato le abbassò con malagrazia i pantaloni, mentre lei rimaneva rigida come un pezzo di ghiaccio, e come ghiaccio erano ormai i suoi occhi sempre fissi sulla poltrona. Lui le infilò le mani nelle mutandine, tra i peli biondi e radi.
– Non dirmi che sei vergine, zoccoletta? – disse aprendosi la via tra le sue labbra con le sue dita da vecchio. – Sì! Che sorpresa... stasera doppia festa.
Il signor Giovanni prese la giovane e la strattonò finché lei non si trovò inginocchiata davanti al divano. Da dietro, le sfilò la felpa lasciandola praticamente nuda, poi la sbatte contro i cuscini della seduta, piegata, e si mise a tastarle il culo. Lei, sempre zitta, ora fissava davanti, i ghirigori che ornavano la fodera dello schienale.
– Quanto sei fica, zoccoletta, sei anche meglio di quella puttana di tua madre.
Si fermò per strapparle le mutandine. – Non mi dici niente, Franca? Vedrai adesso come canterai.
Il signor Giovanni tirò fuori il cazzo dai pantaloni. Quel suo cazzo rinsecchito che aveva scopato la madre di quella ragazza appena due giorni prima. Lo puntò sulla fica ed iniziò a premere allargandole le labbra con le dita. Spinse senza remore, senza alcun rispetto, a rischio di farsi male a sua volta. Con un ultimo strattone fu dentro e solo allora, Franca Vannucchi si lasciò sfuggire un lieve gemito, che subito riuscì a contenere.
– Tutto qui, puttana? ...dai! Fammi sentire.... Non dirmi che non l'hai sentito?
Ma lei stava zitta, come impassibile, mentre lui la stantuffava con rabbia, con appena una lacrima che faceva capolino da un ciglio. – Parla, puttana, grida! – disse ancora l'uomo sculacciandola forte sul sedere fino ad arrossarlo, incurante del rivolo di sangue che le scendeva lungo la coscia.
Ma non arrivava a niente. Il signor Giovanni era sudato, e stanco. Sarebbe venuto di lì a poco e quella puttana l'avrebbe avuta vinta.
– Fai la difficile... – ansimava. – Ora vediamo se non canti.
Sfilò da lei il suo cazzo sporco di umori e sangue. La tenne ferma e glielo puntò in culo.
– Ora vediamo, zoccoletta.
Glielo piantò fino in fondo come un bastardo. Allora lei cercò di ritrarsi, colma di dolore per quell'intrusione violenta, profonda e cattiva. Ma lui non aspettava altro e la teneva per i fianchi, premendola contro il divano.
– Questo ti piace, puttana? Anche a tua madre piace, anche lei mi gridava di smetterla, la prima volta.
Franca iniziò a gemere mordendosi le labbra per non farlo, ma poi aprì la bocca ed un primo grido gutturale le uscì da solo, e poi altri ad ogni spinta del vecchio che le sfondava il culo.
– Eccomi, – gridò il vecchio tra i suoi lamenti, – eccomi che ti riempio il culo.
E così fece.
Si rialzò lasciandola piegata sul divano, con la fica aperta ed il culo arrossato da cui usciva il suo sperma. Il vecchio la guardò e ridacchiò.
– Hai visto che non è stato difficile, puttana. Ora sai il mestiere e quando tornerò sarai più disponibile, con me, non è vero?
Lei stava sul divano e piangeva piano, con il viso voltato in modo che lui non potesse vederla.
D'un tratto si sentì un ascensore partire e lei si riscosse, di nuovo padrona di sé. Rapidissima raccolse i pantaloni e se li infilò.
– Te ne devi andare – disse infilandosi la felpa e nascondendosi in tasca le mutandine stracciate.
– Beh... che c'è adesso? – rispose il signor Giovanni che nel dubbio si era riallacciato i pantaloni. – Tua madre non torna prima....
In quel momento si sentì armeggiare alla porta. Quando si aprì apparve il volto sereno di Livia, la sorella minore di Franca. Livia vide l'uomo e si rabbuiò, ma non con l'odio che c'avrebbe messo la sorella, ma come un bambina che non vuole la minestra.
– Buon pomeriggio – disse.
– Ma guarda, – disse il signor Giovanni riprendendosi dalla sorpresa, – la tua sorellina. Peccato non sia arrivata prima: avrei fatto un regalo anche a lei. Magari la prossima volta.
– Che regalo...– iniziò Livia.
– Niente. – La interruppe rabbiosa Franca. – Nessun regalo. Il signor Giovanni scherza. È venuto a trovare la mamma ed ora se ne va.
– Vabbè. Arrivederci allora – salutò andandosene in camera.
Franca Vannucchi vide lo sguardo dell'uomo sulla sorellina.
– Se ne deve andare ora – gli disse.
– Sì, ma tornerò.
Lei lo fissò un attimo.
– Va bene. Ma non qui. E non gratis.
Lui rise.
– Hai capito l'antifona, zoccoletta. Bene. E dove ci vediamo?
– Ci vediamo domani sera alle nove e mezza alla fermata del 54 in viale Verdi. Andremo al parco delle Rose. A quell'ora non c'è nessuno.
– Così lontano? Non puoi venire a casa mia?
– Mia madre se ne accorgerebbe. Prendere o lasciare... e – fece una pausa per guardarlo in modo strano – di bocca non sono affatto vergine, e ci so fare.
Lui la guardò interdetto, con la bocca asciutta, consapevole che non avrebbe pensato ad altro fino all'appuntamento. Lui non era il tipo di fissarsi per una donna, una ragazzina poi, ma quella l'aveva rivoltato come un calzino fin dal primo sguardo.
– Va bene, come vuoi tu.
Lei lo guardò uscire e fissò la porta per qualche secondo. Poi riassettò i cuscini del divano e controllò che non ci fossero tracce di quel che era successo sul tappeto o altrove. Quando ne fu sicura andò in bagno, si mise al bidet, e costrinse la sua immagine specchiata sulle piastrelle bianche del bagno a non piangere mentre con l'acqua gelida cercava di far passare il bruciore che sentiva nell'ano e nella vagina. Quando ebbe finito si guardò allo specchio sopra il lavandino e si sistemò i capelli. Aprì l'ultimo cassetto del mobiletto e ne estrasse una bustina di cuoio con la cerniera. La aprì e si fece scivolare nella mano il rasoio ancora nuovo che suo padre aveva lasciato lì tanti anni prima. Lo aprì e ne testò il filo con un polpastrello. Per quello che aveva in mente di fare sarebbe andato benissimo.
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