Un paziente della dottoressa Angela - La prof di educazione fisica

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etero

Dottoressa Angela, mi chiamo Giorgio e sono uno studente di liceo all’ultimo anno. Ho 19 anni e quello che sto per raccontarle è assolutamente VERO! Non mi sto inventando nulla e spero nella sua discrezione e nella sua professionalità.
Mi è successo ieri, con la mia professoressa di educazione fisica. Lei ha 15 anni più di me, ma dovesse vederla! Un fisico statuario, alta un metro e ottanta (quasi 10 centimetri più di me). Seno prosperoso, gambe lunghissime, polpacci muscolosi e spalle larghe… Lunghi capelli castani, stranamente quasi mai raccolti nonostante il lavoro, una grande bocca carnosa e due grandi occhi verdi. Il tipo di donna che non può non fartelo venire duro, ma che potrebbe anche prenderti a pugni se le fai girare le palle. Una sorta di Wonder woman, insomma. La dominatrice perfetta.
Prima di iniziare le lezioni, obbliga gli studenti a fare 30 flessioni, e se uno non le fa nella maniera corretta, lei gli piazza la sua scarpa da ginnastica numero 43 sulla schiena, mentre con dolcezza gli ripete “vai più giù, vai più giù!”. Con me lo fa sempre, e sentire il suo piede che spinge sulla mia schiena mi eccita moltissimo, tant’è che preferisco sempre indossare la tuta piuttosto che i pantaloncini leggeri, perché potrebbe notare la mia eccitazione.
Comunque, ecco la mia storia:
Qualche giorno fa, durante l’ora di italiano, la prof di educazione fisica entrò in classe, chiedendo al suo collega se potesse parlare con me per 5 minuti in privato, fuori dalla classe. Lì per lì mi sono spaventato, ma in realtà non avevo fatto nulla di male. Siamo usciti insieme dalla classe. Era vestita con una nuovissima tuta in nylon della nike, verde scuro. Mi mise una mano sulla spalla. La guardai dritta negli occhi; l’avrei baciata, tanto sono innamorato di lei. Avrei messo la mia testa tra i suoi seni e avrei inspirato il suo odore celestiale. Avrei leccato la sua tuta di nylon fino alle caviglie, dove avrei leccato pure le scarpe della nike bianche e consumate. Lì, in mezzo al corridoio; tanto eravamo soli!
“Dunque Giorgio, ti ho tenuto d’occhio durante le lezioni”. Avevo paura che avesse scoperto che mi comportavo in modo strano con lei.
“e… Non sei esattamente il ragazzo più veloce della scuola, ma hai una grande resistenza! Per me sei uno dei migliori 20 che possono competere per la maratona!”
Ah ecco. A metà febbraio la scuola organizzava sempre una specie di “olimpiade in miniatura” nel grande cortile della scuola. Nella disciplina della maratona in pratica bisognava girare intorno all’edificio principale per una quarantina di volte, e il primo che arrivava non vinceva assolutamente niente, ma si beccava l’onore di rappresentare la propria scuola al campionato scolastico cittadino. In realtà non mi andava per niente. Avrei preferito fare scuola piuttosto, ma potevo forse deludere la mia professoressa? Mentre mi guardava sorridente sentivo le mutande gonfiarsi, così sorrisi a mia volta e le dissi “Certo, quand’è?”
“stupendo!” disse lei. Fece scivolare le sue mani dalle mie spalle al mio petto, e poi le tolse da me. “Dirò ai tuoi professori che dopodomani le prime due ore sei impegnato. Non andare in classe, ma presentati in palestra, chiaro?”. Annuii. Mi lasciò lì, solo soletto nel corridoio della scuola, ad annusare il suo profumo che ancora aleggiava nell’aria. Col pisello duro rientrai in classe, con calma.
Ieri la gara: inutile che ve ne parli; sono arrivato ultimo. Non mi importava, anzi, ero solo un po’ arrabbiato per il fatto di essermi ritrovato alla fine tutto sudato, sporco e senza fiato, quando avrei potuto tranquillamente starmene in classe piuttosto che all’esterno in quella freddissima giornata di febbraio.
Poi però vidi il volto della mia prof; era delusa. Allora mi sentii una merda. Quel meraviglioso angelo era triste a causa mia. Mi sarei ucciso solo per vederla sorridere di nuovo.
Aspettai che gli altri ragazzi entrarono negli spogliatoi e mi diressi verso il mio angelo.
“Prof… mi dispiace tanto!”
“Fa niente, tranquillo. D’altronde la colpa è mia. avrei dovuto immaginare che non eri tagliato per la maratona. Ti ho fatto solo perdere tempo!”
Avrei voluto dirle che mi sentivo una merda, e che per rimediare avrei fatto qualsiasi cosa, come inchinarmi e leccare le suole delle sue scarpe sporche di fango implorando il suo perdono, ma non lo feci.
Mi diressi verso lo spogliatoio come un cane bastonato, e appena dentro non riuscii più a trovare il mio zaino.
“dai ragazzi!” dissi arrabbiato a quegli idioti che mi avevano nascosto lo zaino.
“Giorgio hanno messo il tuo zaino nello spogliatoio delle femmine!”. Disse uno.
“perché dovete essere così stronzi?”. Un ragazzo della terza classe ma muscoloso il doppio di me mi sorrise. “Non ti incazzare! Visto che non arrivavi più pensavamo che qualcuno se lo fosse dimenticato! E poi è meglio se ti cambi nell’altro spogliatoio; tanto di femmine non ce ne sono e qui siamo già in troppi!”
Non aveva tutti i torti. Eravamo ammassati come animali e la puzza di fango e sudore era insostenibile. Feci un cenno con la testa e mi diressi nell’altro spogliatoio. In effetti il mio zaino era lì. Quello spogliatoio era non solo più spazioso, ma decisamente più pulito e ordinato: chissà perché! Mi spogliai e mi sedetti in mutande sulla panca di legno. Mi infilai la mano nelle mutande e iniziai a pensare alla prof di educazione fisica. Si succhiava le dita e se le infilava nella fica. Poi me la sbatteva in faccia e io annusavo. Mi pareva di sentire l’odore. Chiusi gli occhi. La prof che mi prendeva l’uccello nella sua grande bocca carnosa e se lo spingeva giù lungo la gola. E sorrideva. E mi fissava. Me l’ero ritrovata davanti appena qualche minuto fa quindi i particolari del suo volto erano impressi nella mia memoria. Un neo sulla guancia, uno sopra il labbro a sinistra… uno piccolo sopra il sopracciglio sinistro. Alcuni piccoli sparsi per il volto. E le sopracciglia folte, il naso rotondo. Ma si, una volta sborrato mi sarei sentito meglio.
All’improvviso però, sentii un urlo e saltai in piedi come una molla dallo spavento. Ebbi a malapena il tempo di riaprire gli occhi che me la trovai davanti. La prof.
Era in mutande e reggiseno. Non sapevo cosa dire. Rimasi immobile ad osservare quella meraviglia, mentre lei con altrettanta curiosità fissava me, goffo e scheletrico in mutande bianche. I suoi seni riempivano il reggiseno all’inverosimile, e la sua pelle abbronzata sembrava di seta purissima. Le sue mutandine bianche lasciavano intravedere una leggera peluria, mentre le sue gambe lunghe e muscolose sembravano volersi intrecciare per coprirsi a vicenda. Ai piedi due pesanti calze di spugna bianche, ora più gialle e marroni però.
Lei notò che avevo ancora la mano nelle mutande, e indietreggiò. “che cosa ci fai qui Giorgio?” disse spaventata. Ma io non riuscii a risponderle… Avrei tanto voluto dirle che si trattava di un equivoco, ma riuscivo soltanto ad emettere suoni senza senso, e inutili balbettii. Tirai fuori la mano dalle mutande e feci un passo verso di lei, ma lei indietreggiò nuovamente. “Stai fermo!” mi disse.
La mia vita era ufficialmente finita. La prof ne avrebbe parlato col preside e io probabilmente sarei finito in prigione, non so…
“Aspetta… quello è il tuo zaino?” mi chiese. Io annuii con la testa.
“quindi tu eri già qui prima?”.
“prof… nello spogliatoio dei maschi c’è un casino e… non sapevo che lei…”
La prof sorrise. E il suo sorriso mi levò dal petto un peso di una tonnellata.
“Oh cavolo… Che imbarazzo… io… sai Giorgio, nello spogliatoio dei professori il bagno è rotto e cosi sai… non essendoci femmine non pensavo che… mi dispiace; adesso mi vesto e ti lascio solo…”
Mi sorrise, poi abbassò lo sguardo sulle mie parti basse. Per qualche secondo fissò il mio cazzo duro che quasi squarciava le mutande, poi si girò e si diresse verso le docce. Il suo culo rotondo era la perfezione estetica assoluta. Tornò con una piccola borsa, la appoggiò su una panca e si sedette imbarazzata. Estrasse dalla borsa il cellulare, e lo appoggiò sulla panca, poi mosse la borsa per estrarre i vesti e il cellulare scivolò a terra.
“Cavolo!” disse. Come un portiere di calcio, mi lanciai ai suoi piedi e raccolsi il cellulare, poi, in ginocchio, glielo porsi. Lei lo accettò senza dire niente.
Li, accanto a lei, in ginocchio come un umile schiavo ai suoi piedi, mi sentivo ormai come un giocatore di poker che teneva le carte girate al contrario. Lei aveva capito tutto, ovviamente; non era stupida. E forse non era nemmeno la prima volta.
Pensando ormai che la mia situazione fosse compromessa, avvicinai le mie labbra al suo ginocchio…
“Perché fai così?” mi chiese aprendo le gambe, e quindi allontanando entrambe le ginocchia dal mio viso.
“C-cosa? perché… prof… posso dirle una cosa?”
“Sentiamo”
“Io sono pazzo di lei!”.
Ci fu un lungo momento di silenzio. Poi lei fece una risatina beffarda, sorridendomi.
“E dimmi Giorgio, pensi di essere l’unico?”
Feci di no con la testa. Immaginai che qualsiasi ragazzo eterosessuale della scuola (ma che dico: del mondo intero) avesse fantasticato sulla prof almeno una volta. Tutti la guardavano come morti di figa. Nessuno degli studenti risparmiava mai commenti sottovoce ben poco lusinghieri.
“Ma tu sei l’unico a trovarti qui da solo con la prof di educazione fisica. Per lo più siamo entrambi in mutande. La situazione sembra a tuo vantaggio!”
alzò il piede, tolse il calzino ingiallito e puzzolente e appoggiò le sue dita nude sulle mie labbra. Dopo pochi secondi però, tolse il piede.
“Però… c’è un però Giorgio: tu sei un perdente!”
“Cosa?”
Si alzò in piedi. Con il piede nudo mi spinse colpendomi al petto e io finii a terra, a pancia in su. Una volta in piedi, si slacciò il reggiseno, mostrandomi come per magia i suoi seni rotondi e sodi. Se li strizzò un paio di volte, fissandomi con sguardo serio, poi estrasse dalla borsa un reggiseno azzurro, e lo indossò. Poi si tolse le mutandine. Cercai di alzarmi ma lei me lo impedì, spingendo il suo grosso bellissimo piede nudo sul mio petto. Indossò un paio di mutande pulite, e mise quelle sporche nella borsa.
“Mi dispiace caro… oggi mi hai deluso… non puoi avere tutto questo… questo è solo per i vincenti!”. Si sedette sulla panca e indossò un paio di calzini di cotone, poi i jeans, poi una felpa sportiva, poi delle scarpe blu da passeggio.
“ma io posso vincere!”
“come scusa?”
Deglutii rumorosamente. “Penso di poter vincere la maratona!”
“Si certo…” disse lei sbuffando. “oggi ne hai dato prova!”
Mi alzai, sedendomi per terra. “io posso vincere la maratona. Ho già vinto in passato questo tipo di competizioni! Se non ci crede ho anche i ritagli di giornale!”
“Se fossi arrivato secondo o terzo… o almeno nei primi dieci… Ma sei arrivato ultimo! Giorgio io non ti credo”. Si alzò e fece per andarsene dallo spogliatoio, lasciandomi li, seminudo sul pavimento.
“Non ho corso con convinzione… se lo avessi fatto sarei arrivato sicuramene tra i primi 5… e se mi alleno, credo di poter vincere la maratona… so di potercela fare; io sono un vincente!”
Lei lasciò la maniglia della porta, appoggiò a terra la borsa e mi fece segnò di alzarmi da terra e di sedermi sulla panca.
“Sai Giorgio… per una professoressa di educazione fisica come me è molto importante avere degli studenti che le diano soddisfazioni… avere uno studente che vince la maratona, per esempio, significa molto. Significa finire sul giornale cittadino magari, con una bella foto per la pagina sportiva. Significa che il preside della scuola terrà molto più in considerazione la suddetta professoressa, nel caso possa pensare un futuro di licenziarla!”
La prof mi abbassò le mutande, e iniziò a farmi una bella sega.
“E nel caso dovesse comunque licenziarmi per i più disparati motivi, i presidi delle altre scuole potrebbe pensare -quella è la prof della scuola che ha vinto il campionato scolastico! Quella è brava! Prendiamo lei! Diamole uno stipendio adeguato alla sua bravura! -”
Si riempì la bocca di saliva e la fece colare, quasi bollente, dalla sua bocca fin sopra la mia cappella. Nel frattempo andava su e giù con la mano, lentamente, quasi come se volesse che la implorassi di andare più veloce. Col pollice premette con forza lungo la circonferenza della mia cappella, poi strinse appena sotto, quasi come se volesse strozzare un pollo. Avvicinò la bocca, e sperai che la aprisse, ma non lo fece. Fortunatamente iniziò ad andare un po’ più veloce, e io iniziai a fare dei versi disperati. Avevo le lacrime agli occhi. Avevo il cazzo talmente duro che la pelle era tirata al limite, e la prof sputò ancora sulla mia cappella. Con la sinistra mi accarezzò le palle, poi me le schiacciò, ma senza farmi male. iniziò a muovere il polso al ritmo di un martello pneumatico, e fu solo questione di secondi. Mise la mano sinistra a cucchiaio e mi coprì la cappella, contenendo il getto di sborra. Tirò fuori i suoi calzini sporchi di spugna e li usò per pulirsi le mani. Io ero ancora senza fiato quando lei me li fece cadere sulle gambe. “te li regalo!”.
Calzini puzzolenti, sudati, sporchi, coperti di sborra: li avrei custoditi gelosamente!
Mentre si lavava le mani al lavabo continuò a parlare: “Hai capito quindi quello che devi fare?”
“Si prof… prof, le prometto che vincerò la maratona! Lo farò per lei, solo per lei!”
“prima Giorgio ti devi qualificare… non sarà facile, ma cercherò di convincere i tuoi professori a farti partecipare ai trial della quarta classe. Come scusa dirò loro che ti sei fatto male e hai il diritto di riprovarci domani; siamo d’accordo?”
“Si!”
Si avvicinò a me e mi sorrise. Mi diede un bacio sulla bocca, succhiando le mie labbra e lasciandomi la bocca ricoperta di saliva. Il mio cazzo era ancora duro. Lei gli diede un leggero schiaffetto.
“Se vinci domani, ti prometto che te lo succhio. Te lo succhio così forte da staccartelo!”. Mentre me lo diceva, non solo il cazzo diventava più duro, ma il mio cuore batteva all’impazzata, tant’è che pensavo mi sarebbe venuto un infarto”.
“E sarà sempre meglio, perché se vinci il campionato scolastico… Giorgio, guardala ancora una volta!” tirò la zip dei jeans. Abbassò le mutandine e mi mostrò la fichetta pelosa.
“Se vinci il campionato scolastico questa è tutta tua! La puoi leccare la puoi baciare… ovviamente ci puoi anche mettere dentro quel bel cazzone!”
Quella visione, quel profumo… La prof saltò all’indietro, perché avevo sborrato di nuovo, stavolta da solo, senza che lei mi toccasse.
“Ha ha… quasi mi sporcavi la felpa… no sul serio Giorgio; allenati. Se vinci ti prometto che farò qualsiasi cosa per te…” e se ne andò.
Dottoressa Angela, stamattina ho corso la gara di qualificazione e, nonostante il fiato corto, nonostante le gambe mi facciano ancora male, nonostante alla fine della gara abbia vomitato, c’è l’ho fatta! Dopo la gara la prof e io ci siamo appartati nello spogliatoio delle femmine e lei mi ha strappato i pantaloncini! Se lo è messo tra le tette e per qualche secondo ha fatto così. Poi me lo ha preso in bocca! La sensazione più bella mia vita. Gli sono venuto in bocca e lei ha ingoiato tutta la mia sborra. La mia storia finisce qui. ora devo andare ad allenarmi! È incredibilmente facile farlo, perché mentre mi alleno, da solo, penso a quello che la prof mi farà la prossima volta!
Forse userà i suoi bei piedi, o forse vorrà farselo mettere nel culo. Mi piacerebbe tanto metterglielo nel culo, credo che se vinco la prossima, sarà questo il mio premio!
scritto il
2018-02-20
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