Silenzio
di
fabrizio
genere
gay
Verso sera scivola sulla panchina dove sono seduto, mentre leggo sul giornale come noi uomini ci stiamo dannando per perdere le ultime tracce della nostra umanità; ha una maglietta a righe orizzontali, larghe, i bermuda di jeans e le scarpe da ginnastica. Una testa di capelli ricci e una peluria sul volto che non è ancora barba ma che è efficace nel coprire gli ultimi segni di acne.
In questi imbrunire è già passato di qua, ma solo oggi ha trovato il coraggio, o la follia, di sedersi.
Fissa un indefinito punto lontano, ogni tanto un’occhiata senza convinzione al cellulare; non faccio nessuno sforzo per metterlo a suo agio, tentando di intavolare una qualche conversazione banale sul caldo, né in qualche modo dandogli l’impressione di sentire il battito impazzito del suo cuore. La seduzione è più silenzio che parole.
Finisco l’articolo, ripiego il giornale e getto il mozzicone di sigaretta che sfrigola nella pozzanghera dell’ultimo acquazzone; poi mi alzo, e percorro i pochi passi fino all’angolo della piazza, dove gli ampi spazi si incanalano sotto i portici.
Mi volto, e guardo il suo sguardo incerto; in pochi passi affannati mi raggiunge.
Percorriamo il centinaio di passi che ci separano dal portone, io davanti, lui un paio di metri indietro; apro il portone, e lo faccio passare, come si conviene ad un padrone di casa. Sulle scale ripasso in testa, apro la porta e lo faccio entrare, mentre Micio comincia a strusciarsi sull’inatteso nuovo paio di gambe. Richiudo e lasciandolo nella penombra dell'ingresso, entro in cucina che illumino della luce della cappa, riempio due bicchieri d’acqua presa dal frigo, mi siedo e bevo un sorso.
Lui entra timidamente, afferra il bicchiere e tenendolo in mano si appoggia al lavello. Attende.
Penso a quante persone, nella mia vita, ho fatto aspettare, alcune volte arrivando, altre volte inutilmente; e a come, col passare del tempo, via via sono state sempre più quelle che mi hanno atteso invano, e sempre meno quelle che ho ricompensato per la loro fiducia.
Ma oggi sono già qua: mi inginocchio davanti, gli slaccio la cintura, gli abbasso pantaloncini e mutande.
Un bel cazzo; non grosso, non lungo, ma liscio e morbido come solo i cazzi giovani sanno essere. Una bella cappella rosea, già gonfia. Un piccolo triangolo di peluria bionda, morbida. Qualche neo che macchia la pelle chiara e tesa sull'addome. Mi protendo e lo ingurgito in un colpo solo.
Finalmente sento la sua voce, se così vogliamo definire il suo sospiro; mentre lo trattengo fra le labbra, e glielo accarezzo con la lingua, con una mano percorro le palle e il perimetro del buco. Dalla sua docilità capisco che non è la prima volta che gli capita, forse qualche esperienza fra compagni nei cessi della scuola o quelle seghe reciproche e clandestine dietro i cespugli fra adolescenti; e chissà se è sempre stato così remissivo ai desideri del partner oppure se ha preteso, magari bruscamente, di avere ciò che desiderava; ma ora è qui, ed il passato e il futuro non ha alcuna significato a confronto della mia lingua che gli percorre l'asta in tutta la sua lunghezza, né del mio pollice che lo sta penetrando nelle viscere.
Quando comincia a vibrare comprendo che sta avvenendo tutto troppo in fretta, così mi stacco da lui, lo prendo per mano e, con ancora mutande e pantaloncini arrotolati alle caviglie che cammina come un pinguino, lo dirigo in camera da letto. Qui appoggio sul comodino il bicchiere che ancora teneva in mano, lo faccio stendere, poi mi spoglio completamente.
Ci sono persone che con l’età temono diventano bulimiche del poco tempo che rimane loro; altre invece, come me, rinunciano a tentare di sfuggire al loro destino, e si godono attimo per attimo quel che c’è.
Così mi inginocchio fra le sue gambe, e lo riprendo in bocca, cercando di far dilatare all’infinito quei pochi attimi residui.
Mi viene violentemente in bocca, sento i fiotti del suo sperma riempirmi di quel gusto indefinibile di piacere appena provato e già rimpianto; gli forzo le labbra e con un paio di colpi di lingua condivido il suo succo; poi mi accovaccio sul suo ventre e mentre con una mano gli accarezzo il petto sudato e ancora ansimante, con l’altra mi masturbo lentamente fino a spruzzarlo di poche gocce del mio liquido ormai trasparente.
Poi mi stendo al suo fianco, e quando i nostri respiri si regolarizzano, accendo una sigaretta osservando le strisce di luce e ombra che il lampione in strada proietta dalle tapparelle al soffitto.
Silenziosamente scivola giù dal letto, si ricompone, e guidato dalla luce della cucina, raggiunge la porta ed esce.
Senza bisogno di parole, scivola sulla panchina dove sono seduto leggendo sul giornale; oggi la maglietta è a tinta unita.
In questi imbrunire è già passato di qua, ma solo oggi ha trovato il coraggio, o la follia, di sedersi.
Fissa un indefinito punto lontano, ogni tanto un’occhiata senza convinzione al cellulare; non faccio nessuno sforzo per metterlo a suo agio, tentando di intavolare una qualche conversazione banale sul caldo, né in qualche modo dandogli l’impressione di sentire il battito impazzito del suo cuore. La seduzione è più silenzio che parole.
Finisco l’articolo, ripiego il giornale e getto il mozzicone di sigaretta che sfrigola nella pozzanghera dell’ultimo acquazzone; poi mi alzo, e percorro i pochi passi fino all’angolo della piazza, dove gli ampi spazi si incanalano sotto i portici.
Mi volto, e guardo il suo sguardo incerto; in pochi passi affannati mi raggiunge.
Percorriamo il centinaio di passi che ci separano dal portone, io davanti, lui un paio di metri indietro; apro il portone, e lo faccio passare, come si conviene ad un padrone di casa. Sulle scale ripasso in testa, apro la porta e lo faccio entrare, mentre Micio comincia a strusciarsi sull’inatteso nuovo paio di gambe. Richiudo e lasciandolo nella penombra dell'ingresso, entro in cucina che illumino della luce della cappa, riempio due bicchieri d’acqua presa dal frigo, mi siedo e bevo un sorso.
Lui entra timidamente, afferra il bicchiere e tenendolo in mano si appoggia al lavello. Attende.
Penso a quante persone, nella mia vita, ho fatto aspettare, alcune volte arrivando, altre volte inutilmente; e a come, col passare del tempo, via via sono state sempre più quelle che mi hanno atteso invano, e sempre meno quelle che ho ricompensato per la loro fiducia.
Ma oggi sono già qua: mi inginocchio davanti, gli slaccio la cintura, gli abbasso pantaloncini e mutande.
Un bel cazzo; non grosso, non lungo, ma liscio e morbido come solo i cazzi giovani sanno essere. Una bella cappella rosea, già gonfia. Un piccolo triangolo di peluria bionda, morbida. Qualche neo che macchia la pelle chiara e tesa sull'addome. Mi protendo e lo ingurgito in un colpo solo.
Finalmente sento la sua voce, se così vogliamo definire il suo sospiro; mentre lo trattengo fra le labbra, e glielo accarezzo con la lingua, con una mano percorro le palle e il perimetro del buco. Dalla sua docilità capisco che non è la prima volta che gli capita, forse qualche esperienza fra compagni nei cessi della scuola o quelle seghe reciproche e clandestine dietro i cespugli fra adolescenti; e chissà se è sempre stato così remissivo ai desideri del partner oppure se ha preteso, magari bruscamente, di avere ciò che desiderava; ma ora è qui, ed il passato e il futuro non ha alcuna significato a confronto della mia lingua che gli percorre l'asta in tutta la sua lunghezza, né del mio pollice che lo sta penetrando nelle viscere.
Quando comincia a vibrare comprendo che sta avvenendo tutto troppo in fretta, così mi stacco da lui, lo prendo per mano e, con ancora mutande e pantaloncini arrotolati alle caviglie che cammina come un pinguino, lo dirigo in camera da letto. Qui appoggio sul comodino il bicchiere che ancora teneva in mano, lo faccio stendere, poi mi spoglio completamente.
Ci sono persone che con l’età temono diventano bulimiche del poco tempo che rimane loro; altre invece, come me, rinunciano a tentare di sfuggire al loro destino, e si godono attimo per attimo quel che c’è.
Così mi inginocchio fra le sue gambe, e lo riprendo in bocca, cercando di far dilatare all’infinito quei pochi attimi residui.
Mi viene violentemente in bocca, sento i fiotti del suo sperma riempirmi di quel gusto indefinibile di piacere appena provato e già rimpianto; gli forzo le labbra e con un paio di colpi di lingua condivido il suo succo; poi mi accovaccio sul suo ventre e mentre con una mano gli accarezzo il petto sudato e ancora ansimante, con l’altra mi masturbo lentamente fino a spruzzarlo di poche gocce del mio liquido ormai trasparente.
Poi mi stendo al suo fianco, e quando i nostri respiri si regolarizzano, accendo una sigaretta osservando le strisce di luce e ombra che il lampione in strada proietta dalle tapparelle al soffitto.
Silenziosamente scivola giù dal letto, si ricompone, e guidato dalla luce della cucina, raggiunge la porta ed esce.
Senza bisogno di parole, scivola sulla panchina dove sono seduto leggendo sul giornale; oggi la maglietta è a tinta unita.
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