La Famiglia SpA - 1/5

di
genere
etero

Propongo a lettrici e lettori un racconto lungo, suddiviso in cinque capitoli.
La categoria di pubblicazione corretta sarebbe “cinismo”, purtroppo non è prevista. Surrettiziamente pubblico in “etero” pur essendoci brani che si riferiscono ad altre modalità di rapporto umano.
Per questo invito ad assaporarne il contenuto senza lasciarsi condizionare dalle etichette che, spesso, risultano fuorvianti.


La grassa troia urla come una scrofa sgozzata.
Si, oggi sono in vena di similitudini. Oddio, in realtà questa è più una tautologia, ma in un mondo che ha perso l’uso del congiuntivo, chi vuoi se ne accorga?
I colpi di bacino si propagano alle natiche e alla schiena come onde del mare che si accavallano schiumeggiando.
Si, meglio.
Piccole gocce di sudore si raccolgono fra le pieghe della pelle ruscellando poi a terra.
Le tette lattiginose ruotano vorticosamente, i capezzoli sfiorano il pavimento sul quale è puntellata a quattro zampe: anzi, tre, perché con una mano si masturba freneticamente.
La testa ondeggia di qua e là, rovesciandosi all’indietro, sgroppando in avanti.
Come una cavalla imbizzarrita la sto rodeando appollaiato sul suo culo senza smettere di pomparlo.
La sto inculando a sangue e insieme le ritaglio similitudini su misura. Non so cosa sia più eccitante.
Sono sempre stato così, capace di fare - bene - più cose assieme; tipo disegnare con una mano e colorare con l’altra; tipo seguire le lezioni e fantasticare sulle sevizie da infliggere alla prof; tipo ascoltare le domande e, al loro interno trovare la risposta implicitamente contenuta.
Dire alle persone ciò che pensano, convincendole delle loro buone ragioni nel desiderare ciò che voglio loro dare.
Sto divagando. Ma non c’è problema. Non corro il rischio di perdere il ritmo. Men che meno di uscirle fuori, anzi, proprio il contrario: il suo orifizio mi trattiene in uscita e mi risucchia in entrata. Casomai potrebbe ingoiarmi completamente. Poco male, ci sarà più posto lì dentro che nel mio monolocale.
Smettila di fare il cretino, mi dico. Con pochi colpi secchi la finisco e le vengo dentro. La troia ulula al cielo un’ultima volta, e crolla a terra come una medusa spiaggiata. Le tette si appiattiscono ai lati del corpo. L’aria è piena del suo affannoso ansimare.
Lei ha avuto quel che voleva. La sua soddisfazione, e me.
Io ho avuto quel che volevo. Il mio contratto e il potere su di lei.
Uno scambio equo.

Il mio lavoro è tutto un gioco di equilibrio. E io sono bravo, molto bravo, nel mio lavoro. Peccato soffra di vertigini, sarei stato un ottimo funambolo.
Devi saperti vendere; ma non devi farti comprare.
Devi essere indipendente; ma devi lavorare in squadra.
Devi rispettare norme e procedure; ma non puoi usarle come alibi.
Devi essere ripetitivo e affidabile; ma anche creativo e innovatore.

Io ho due assi nella manica: il primo ve l’ho già accennato, vedo le cose prima che gli altri aprano gli occhi.
Mi pare si dica: sapere dove cadrà la pallina prima che venga lanciata.
Vi svelo il trucco, ci riesco perché sono io a lanciarla, la pallina. E ho anche una buona mira.
Il secondo asso è che lo prendo in bocca; che sia una cazzo, che sia una figa, farsi spompinare dal sottoscritto inginocchioni è una sensazione che muove a compassione tutti; e tutte.
Anche qui vi svelo il trucco: sono bravo perché mi piace. Prenderlo in bocca, certo. Ma soprattutto il potere. Portare all’orgasmo a colpi di lingua mi conferisce un potere inimmaginabile.
Pensano succhi il loro sesso; in realtà succhio loro il potere. E il loro potere ha un gusto dolce. E come lo sperma, una volta che lo assaggi non puoi più farne a meno.
Come con la suddetta troia, ognuno riceve ciò che desidera. Un equo baratto.

Quella collaborazione mi interessava; un piccolo progetto, un compenso ridicolo; ma mi permetteva di entrare nel giro che conta, e a quei livelli da cosa nasce cosa. Specialmente per chi spompina a fondo come me.
Mi ero procurato un primo contatto e quell’arpia di Segretaria mi aveva fatto accomodare in sala d’aspetto mentre la Dottoressa si liberava.
La Dottoressa era come me l’aspettavo: età matura, un grasso bignè strizzato in un castigato tailleur blu. Il filo di perle intrecciato alla catenella degli occhiali da contabile. La scarpe basse. La voce roca da fumatrice.
Il suo curriculum. Le sue aspettative. Le sue motivazioni. Le sue esperienze.
Primo campanello. Un lieve arrochirsi della voce pronunciando la parola esperienze.
Mentre la guardo fissa, le snocciolo il mio variegato excursus personale, la versatilità con cui ho ricoperto i precedenti incarichi, il desiderio di collaborare con il loro prestigioso gruppo. Soprattutto la mia piena disponibilità a fare nuove esperienze.
Ammorbidisce il labbro inferiore; la lingua riposa morbida. Sofferma un attimo di troppo lo sguardo su di me prima di posarlo sulla scrivania.
Mi lascia le specifiche tecniche del lavoro. Ci pensi su e mi faccia avere una proposta - di nuovo arrochita - di massima; lo esamineremo in Consiglio, qui siamo come in famiglia, e le faremo sapere. Ci farebbe davvero piacere collaborare con lei.
L’arpia mi pilota fuori.

Conosco il copione; l’unica sbavatura è il riferimento alla famiglia; da quando Eva si è sbattuta il serpente, e Caino ha scannato Abele, sul tema famiglia sono sempre un po’ prevenuto. Ma forse è solo un loro modo di pensarsi, chissà...
scritto il
2019-03-24
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