Tra Vecchio e Nuovo - Zia e Nipote - Capitolo III

di
genere
incesti

“Ti sono piaciute le rose?” Fece Giovanni fuori dalla porta.
“Sì sono belle, ma come ti ho detto, meglio non vederci più.” Rispose Rita cercando di tagliare corto.
“Ma perché? Ti sei messa con quell’altro?”
Chissà a chi si riferiva Giovanni. Matteo stava origliando la conversazione dalla cucina, che confinava proprio con la porta dell’ingresso ed era la miglior posizione per ascoltare senza essere visti, anche se Rita sapeva che lui era lì.
“No, non sto con nessuno. Comunque non sono affari tuoi. Su, Giovanni, non rendere la cosa troppo difficile, devi anche saper accettare un rifiuto.” Stavolta Rita fu più severa per tentare di chiudere il discorso e infatti a tali parole, il ragazzo si rassegnò e la salutò, non prima di aver dichiarato il suo completo amore un’ultima volta e averle detto che lui ci sarebbe sempre stato per lei.
Lo spettacolo si concluse e Rita sbuffò una volta chiusa la porta.
“Hai sentito tutto, vero?” Chiese a Matteo dall’altra stanza.
“Emh… di sfuggita. Ma chi è quell’altro di cui ha parlato?” Cerco di minimizzare.
“Ma non saprei… Credo pensi pure che io sia tornata con Pietro, roba da matti.”
“Chi è?” Chiese Matteo cercando di nascondere l’impazienza di saperne di più di quelle cronache rosa.
“E’ un suo amico con cui sono stata prima di lui. Per cinque anni in realtà. E’ tramite Pietro che ho conosciuto Giovanni, ma ora non voglio più saperne di loro.” Rita non sembrava triste, ma piuttosto scocciata. Quindi Matteo continuò ad indagare senza la preoccupazione di essere troppo insistente e di causarle dolore o tristezza.
“Ma come li hai conosciuti?”
“Ora riderai proprio. Ho conosciuto Pietro nello studio nel quale lavoro, era venuto per una causa nella quale voleva il supporto dell’avvocato per cui lavoro. E poi sono stata con lui, anche se non era una cosa a coppia fissa ecco, cioè, non eravamo due fidanzatini, non facevamo tutte le cose che fanno i fidanzatini… però a volte sono uscita anche insieme ad i suoi amici e li ho conosciuto anche Giovanni.”
Matteo si interessava sempre di più a tutta quella storia, era diventata veramente eccitante e interessante, ai limiti dell’assurdo.
“E ora?”
“Ora sono di nuovo da sola, mi sono presa una pausa, non ho avuto proprio ciò che cercavo da loro, men che meno da Giovanni. Pietro se n’è fatto una ragione da tempo, ma Giovanni come vedi continua.”
Il solo pensiero di sua zia con dei suoi coetanei accese un certo fuoco in Matteo che però addomesticò come avesse dei vigili del fuoco dentro di sé. Pensava anche a quanto erano stati fortunati quei due ad averla avuto, ad averci fatto l’amore e chissà quali altre cose di cui Rita era una maestra. Ma cosa cercava veramente da loro che non aveva ottenuto? Matteo doveva saperlo.
“Sei una tipa esigente zia?” Scherzò Matteo cercando di buttarla sul ridere per carpire altre informazioni.
Rita rise. “Ma chi io? Non penso di esserlo, dai. Ho insegnato molto ad entrambi quei due, ora però devono andare avanti da soli.” Fece con una certa fierezza.
“Anche a me piacerebbe imparare, voglio dire, saperci fare con le donne intendo…” Matteo si stava incartando su se stesso. Aveva esagerato con quell’uscita, aveva paura di essere sembrato troppo stupido, ingenuo.
Rita rise di nuovo. “Faccio tardi al lavoro, ci vediamo più tardi.” Fece prima di iniziare a prepararsi per uscire.

Mentre percorreva la solita strada a piedi da casa sua all’ufficio, pensò un po’ al suo passato con quei due ragazzi e a quanto comunque si era divertita. Un po’ le mancavano quelle emozioni, quei languori, quelle passioni. C’era abituata a conviverci, sapeva accettare se stessa, le proprie perversione, le proprie emozioni. Era una donna ben adulta e libera da quei vincoli che si era lasciata nella profonda Puglia. Anche Matteo aveva seguito il suo esempio e in qualche modo ci si rispecchiava. Anche lui si stava liberando di quei vincoli che gli tarpavano le ali. Matteo era come lei, del passato. La differenza era che lei non aveva avuto nessuna guida, si era barcamenata da sola nel nuovo mondo moderno, nella grossa metropoli di Milano, piena di cantieri, di lavoro, di attività, di vita e di sessualità. Aveva saputo trovare la sua strada e ora voleva indicarla anche a Matteo. Ma fino a che punto intendeva farlo? Questo ancora non lo sapeva, ma l’istinto glielo avrebbe forse detto. Ad un certo punto però, si fermò. Non aveva fatto molta strada, era poco distante da casa, ma sentì di non poter più camminare. Nonostante tutti i suoi sforzi per essere felice, era invece triste e si sentiva nuovamente sola. Forse aveva ragione sua sorella: in vita sua non era riuscita nemmeno a trovarsi un uomo che la sposasse. Solo avventure con ragazzini, eccitanti ma non stabili. I suoi capricci sessuali l’avevano portata a circondarsi di una spessa corazza intorno al cuore che le aveva impedito di provare amore, quel sentimento vero e passionale, travolgente nella sua semplicità, seducente nelle sue mille sfaccettature. Combinare sesso e amore, ecco cosa non le era mai riuscito. Sentiva che non ne sarebbe mai stata capace e in tutto quello, le venne da piangere. Come un fiume in piena che fa scorrere acqua e sentimenti che portavano via il trucco dal suo viso scavando solchi neri sulle guance.

Nel frattempo Matteo lottava contro i propri istinti in casa, da solo. La lotta fu breve, perché cedette immediatamente alla voglia di masturbarsi. Suo pensiero fisso, ovviamente, sua zia. Era banale, ma doveva sfogarsi dopo tutto quel pensare a lei. Non era la prima volta che lo faceva, ma stavolta era ancora più potente la sua eccitazione. Soddisfare con la masturbazione le sue pulsioni carnali gli dava sempre un forte coinvolgimento emotivo sul momento, che però si scioglieva presto come neve al sole, lasciando quella pozzanghera di risentimento e repulsione come quando la neve diventa fanghiglia dell’ormai vecchio ricordo di bianchezza e purezza.

Per soffocare quelle emozioni, il ragazzo decise di infilarsi il cappotto e fare due passi, giusto dieci minuti prima di mettersi sui libri. Gli mancavano le sue passeggiate in campagna. Quelle in città non erano la stessa cosa, ma comunque lo riempivano di stimoli sonori , visivi e olfattivi oltre che di pensieri diversi. Dopo aver sceso le scale del condominio di corsa, sbucò immediatamente in strada e dopo aver percorso appena duecento metri, trovò sua zia, ferma sul ciglio della strada, in preda ad un pianto che cercava di nascondere alla folla di passanti che brulicavano sui marciapiedi. Ma non c’era bisogno di nascondere proprio nulla, perché il grande formicaio della metropoli non si cura delle sue formichine e queste vanno e vengono su e giù per le strade senza domandarsi cosa succede alle loro simili.

“Zia, ma che hai?” Fece Matteo avvicinandosi.
Rita non riuscì a rispondere inizialmente. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano, sporcandosi più che altro di trucco, poi tirò su con il naso un paio di volte e infine trovò la forza di rispondere.
“Andiamo a casa, oggi non vado al lavoro.” Rispose con voce tremante. “Non mi sento bene.”
“Vuoi che vada ad avvertire?” Chiese Matteo cercando di rendersi utile.
“Sì, va. Dì che sto male. La strada la sai. Ci vediamo a casa.”
In meno di mezz’ora, il ragazzo aveva percorso la strada d’andata e di ritorno, aveva avvertito l’ufficio di sua zia ed era tornato a casa a vedere come stesse Rita. Il suo sospetto era che avesse avuto un malore fisico, non ne sospettava uno sentimentale.
All’inizio Rita fu reticente nell’aprirsi. Non voleva parlar di sé, non voleva ammettere i suoi demoni. Ma Matteo aveva imparato bene da suo padre che le donne amavano essere ascoltate più d’ogni altra cosa e che bisognava essere semplicemente disponibili, pronti a dare piuttosto che pretenziosi nell’avere. In questo caso Rita aveva bisogno d’orecchie e Matteo era pronto a prestargliene. Dopo un po’ d’insistenza, alla fine, Rita si aprì.
“Sono una donna complicata, caro. Non ho mai saputo gestire le mie relazioni, come avrai ben visto.” Cominciò lei.
“Ma… abbiamo già detto che alla fine l’età non è poi così importante…” Rita lo interruppe senza lasciarlo finire.
“Non è quello il problema, infatti. O meglio, è solo parte del problema. Non ho mai saputo congiungere sesso e amore, due componenti fondamentali nelle relazioni. Ho sempre pensato al sesso e su quello non ho mai avuto problemi. Solo ora mi accorgo che d’amore in vita mia, d’amore vero, ne ho vissuto veramente poco. Ti assicuro Matteo che non si può vivere senza amore e me ne sto accorgendo ora… Dio… Sono patetica, non è vero?”
Matteo si rese conto che anche lui d’amore in vita sua non ne aveva visto nemmeno l’ombra e in realtà nemmeno di sesso. Certo, era giovane e avrebbe avuto il tempo per tutto, ma poteva comprendere la situazione di sua zia.
“Certo che no! Non si può essere patetici perché si vuole solo amare! Non è così che funziona…” Matteo si rese conto di non saper che dire, in una situazione come quella. Come poteva consolare una persona più grande di lui? Si sentiva in un ruolo che non era suo, che non gli si addiceva.
Rita si sentì avvampare. Un brivido, una pulsione, un istinto. Suo nipote, così giovane, così prestante. Un frutto fresco, maturo, pronto per essere assaporato, succulento nella sua giovinezza, vitalistico nell’essenza più profonda di sé, ad un passo da lei, ad un palmo dal suo corpo, a pochi centimetri dalle sue labbra. Lei in declino, in decadenza e lui in ascesa, in fioritura. La sua instabilità emotiva l’aveva turbata e scossa. Era quello il momento per lei? Esitò, titubò dentro di sé. Lui aveva ricominciato a parlare, cercava ancora parole di conforto, parole zuccherose, come le voleva lei. Aveva preso a fissarlo con lo sguardo perso, assorta nella confusione della propria anima, tra le proprie passioni che si mescolavano l’un l’altra.
Matteo smise di parlare, chiedendosi perché sua zia avesse cambiato improvvisamente atteggiamento. Aveva una strana sensazione addosso. Troppo giovane per percepire distintamente gli elettroni nell’aria addensarsi intorno ai loro corpi eccitati, ma troppo grande per ignorare completamente quella instabile tensione. Qualcosa doveva accadere, ma non comprendeva cosa.
Furono secondi che durarono decadi per loro. Tutto nuovo per Matteo, tutto sconosciuto, inesplorato e mai provato. Per Rita era tutt’altro discorso. Lei viveva di queste tensioni, sapeva crearle, dissiparle, manipolarle, ma stavolta qualcosa c’era di diverso anche per lei: quella carica si era creata inconsapevolmente, non programmata in quel momento, improvvisa. Un po’ come quando si addensano velocemente le nubi in una tempesta e un lampo precede il fracasso del tuono che inevitabilmente arriva. Rita aveva visto almeno il lampo e aspettava il tuono, Matteo invece quel lampo non riusciva a vederlo e il tuono stava per sorprenderlo.
Rita si avvicinò di qualche centimetro bloccandosi, fissando lo sguardo sulle labbra di Matteo che erano appena socchiuse, in tensione. Anche il ragazzo guardò le labbra di sua zia, forse per riflesso incondizionato o mimica della donna di fronte a lui. Il rossetto gli sembrò ancora più vivido e accesso, un rosso fuoco calamitico. Rita fece un ulteriore passo in avanti, sporgendosi ancora di più. Ora i due percepivano il respiro dell’altro sui rispettivi volti, ma quella fase fu velocemente superata da Rita che coprì definitivamente lo spazio mancante e congiunse le sue labbra a quelle del nipote.
I due si baciarono, a stampo, per qualche secondo. Entrambi i loro corpi brulicavano di ormoni in scombuglio, l’eccitazione li assalì entrambi senza risparmiare una sola fibra. Quando si staccarono e si guardarono però, qualcosa non andò nel verso giusto.
Rita si aspettava un seguito, un’ulteriore avvicinamento e un bacio più coinvolgente e passionale, come le accadeva di solito. Stavolta invece subentrò un’anomalia non considerata: Matteo si allontanò con un volto stupito e quasi scandalizzato.
“Zia, ma che… Che ti prende?” Sussurrò il ragazzo.
“Aspetta, forse ho esagerato… Io volevo solo…” Rita non fece in tempo a finire la frase, che Matteo si alzò di scatto.
“Nono abbiamo sbagliato, mi dispiace… Zia io… Non so che mi è preso…”
“Fermo, tranquillo, non c’è niente di sbagliato, non sentirti in colpa!” Cominciò la donna con una certa lucidità e calma che sorprese Matteo.
“Ma tu sei mia zia! Io non… Posso… Cristo! Ho bisogno di un po’ d’aria, devo camminare.” Matteo si avvicinò all’ingresso e si infilò le scarpe e il cappotto.
“Aspetta, vengo con te.” Fece Rita cercando di seguirlo.
“No, voglio stare solo… Scusa.” Dicendo questo, il ragazzo chiuse la porta alle sue spalle.
Rita rimase di stucco. Non si sarebbe mai aspettata una reazione del genere da Matteo. In quei mesi in cui avevano convissuto gli era sembrato pronto, ma forse era stata eccessivamente precoce.
La donna si abbandonò sul divano infilandosi le mani tra i capelli. Che aveva combinato?
scritto il
2019-02-22
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