Sweetheart

di
genere
etero

L’appartamento nel quale mi sono trasferita per la mia ultima settimana londinese è piccolino ma è un appartamento, non una stanza. Chiaramente ricavato da uno più grande, dove abitano Tess e Davìd. C’è una porta che non saprei dire se è chiusa a chiave o murata che mi separa dalla loro casa. L’ingresso però è indipendente, lo sapete, si entra da un vicoletto dove dominano i mattoni rossi.

Tess e Davìd gestiscono, o sono proprio i padroni, non lo so, il pub che sta proprio al piano di sotto. Ci sono già stata, vi ho raccontato anche questo. E’ il pub dove ho passato una serata con Tanita e con l’olandesina. E dove Paul, il professorino, si era fatto accompagnare a comprare le birre quella sera che poi sono finita a succhiargli il cazzo completamente ubriaca.

Davìd non so quanti anni possa avere. Trenta, forse. Assomiglia a una via di mezzo tra uno Scamarcio e un Benicio Del Toro giovane, ma forse lo dico solo perché Benicio Del Toro è spagnolo. Sì, lo so che è nato a Portorico, ma è naturalizzato spagnolo, non rompete il cazzo, è uno dei miei attori preferiti. Dicevo di Davìd, ha un sex appeal naturale. E’ evidente che è la passione di Tanita, che se lo mangia con gli occhi ogni volta che può, ossia quando Tess non è in giro. Ma è probabile che se ne sia accorta. Mi ci giocherei qualsiasi cosa che è il protagonista assoluto dei suoi giochi solitari. E’ troppo smaccata la cosa. Ma, direi anche, troppo frustrante per lei. All’inizio penso anche che Tess, proprio per questo, la sopporti poco, visto come la tratta. Poi in realtà capisco che è proprio un suo modo di rivolgersi alle persone. Tutt’altro che affabile.

Me lo presentano come David ma lui precisa che il suo nome si pronuncia Davìd. Credo che lo faccia con me, per la verità, perché essendo italiana pensa che io apprezzi la differenza. A me, francamente, non me ne frega un cazzo.

Per due motivi. Il primo è che un secondo dopo essersi presentato non mi si incula proprio, e vabbè. Anche se devo dire che il suo sguardo è forse il più penetrante che abbia mai subito in tutta la mia vita. E quando dico “penetrante” intendo proprio quello. Uno sguardo che ti scopa il cervello in un istante e ti fa salire il calore. Però, ripeto, è roba di un istante e dopo avermi stretto la mano lui si disinteressa completamente della sottoscritta.

Il secondo motivo è che quella che chiaramente comanda, non so in casa ma nel locale sicuramente sì, è Tess, la moglie o quel che è. Tess non è una bella donna, tutt’altro. Sembra più grande di lui. Non è magra, è segaligna e spigolosa. Non ha i capelli biondi, ha la saggina di una scopa in testa. Ha gli occhi azzurri ma sono acquosi. Ha la faccia che pare perennemente incazzata. Eppure con me, a differenza che con tutto il resto del mondo, è meglio di Mary Poppins. E’ dolce, materna. Non so perché gli faccio sto effetto alla gente… Passa subito dal chiamarmi “Analiza” a “Sweetheart”. Mi riserva il posto migliore nel loro locale, mi riempie di attenzioni e complimenti. Cioè, nemmeno mia madre…

Per tutta la settimana faccio casa-scuola-casa. Frequento tantissimo Tanita, che lì sembra avere il suo secondo ufficio. Ci vediamo ogni pomeriggio, mi presenta i suoi amici, mi porta in giro per la città e passiamo le serate a bere. Bevute micidiali. Quanta cazzo di birra bevono sti inglesi non ne avete idea. Una volta mi portano anche alle corse dei cavalli.

A me sta benissimo così. Come sapete, non ho particolari sensi di colpa per quello che ho fatto con Paul e per le possibili conseguenze per il suo lavoro e per la sua famiglia. Ma sticazzi, mica l’ho costretto, anzi. E la stessa tirata moralistica e allarmata di Tanita da un orecchio mi è entrata e dall’altro mi è uscita. Non credo proprio di avere delle remore. Resta il fatto che, dopo alcuni giorni un po’ debosciati, darmi una regolata non dispiace nemmeno a me. Non saprei dirvelo, il motivo. Ma è così.

E poi quando passo al pub mi lascio coccolare da Tess. Che la mattina, per dire, manda a comprare per me i croissant salati e il pomeriggio, se sono di sopra a studiare per il test, mi fa portare il tè.

Anche approfittando del fatto che ormai per tornare a casa ci metto cinque-dieci minuti e che di tempo ne ho, riprendo a correre. Solo che non lo faccio più a Hyde Park ma in giro per Covent garden, con la gente che si volta a guardarmi fasciata nel top e nei tight da palestra. E il venerdì sera vado persino alla festa di fine corso. Molto meno alcolica della precedente, per fortuna. Almeno per me. Con Paul non c’è stato più nulla. Qualche sguardo imbarazzato da parte sua i primi due giorni, poi nemmeno più quello. In compenso credo che ci sia il suo zampino dietro il “certificate” davvero lusinghiero che la scuola mi ha rilasciato.

Un’altra cosa che mi distrae e mi fa essere allegra, leggera, è il pensiero che domenica sì, ok, partirò. Ma a Roma ci rimbalzerò soltanto, per così dire. Serena mi ha invitata a stare con lei, nel villaggio vacanze dove sta lavorando, visto che il suo bungalow si svuota. Naturalmente, quando l’ha fatto, la prima cosa che le ho detto è che accettavo solo perché l’idea di stare distesa a crogiolarmi al sole mentre lei lavora era troppo allettante. Ma in realtà sono contentissima. E no, non tanto perché prima di partire, come ricorderete, avevo avuto una sbroccata lesbica nei suoi confronti e ora mi si presenterebbe pure l’occasione. No, mi dispiace per voi. Capisco che il contesto di questi miei racconti potrebbe portarvi a pensare questo, ma non è così. Sono felice di vederla e di stare con lei, punto. Oltre che di stare cinque-sei giorni a non fare un cazzo su una spiaggia. Non avete idea di come abbia penato per convincere mia madre. Mio padre, invece, l’ho intortato subito, pover’uomo. Oltre alla ricarica della carta di credito ha tirato fuori pure i soldi del biglietto Roma-Cagliari. Mi è arrivato sul telefono. Ha speso un botto…

Comunque, vi dicevo, durante i miei ultimi giorni a Londra sono stata così, buonina buonina. Irreprensibile. Almeno fino al sabato sera. Cioè il giorno prima della mia partenza.

Tutto avviene in modo un po’ paradossale. Tess ottiene cinque ingressi per quella che dice essere la più grande discoteca di Londra, The Ministry of Sound. Già questo è stato complicato, mi dice, perché bisogna pensarci un po’ prima, in genere. Non si sa in che modo (pare che sia ancora più complicato) convince Davìd ad accompagnarci. Lei, una sua amica, me e Tanita, intendo dire. Sono un po’ sorpresa che Tess si sia data da fare per Tanita, ma vabbè, si vede che proprio non l’ho inquadrata.

Il fatto è che proprio Tess, e di conseguenza la sua amica, si sfilano all’ultimo momento. Voi avete presenti le case inglesi, no? Strette e su due o tre piani, con le scale che salgono… Il B&B in cui stavo a Kensington per esempio era così. E una sera, proprio salendo quelle scale, mi sono domandata: ma come cazzo fanno quando invecchiano? Voglio dire, mia nonna, col cavolo che potrebbe vivere in una casa così, rischierebbe ogni giorno di precipitare giù dalle scale. Ecco, è quello che è successo alla mamma di Tess. Che non sarà vecchia come mia nonna ma che dalle scale ci è cascata giù lo stesso. E poiché vive a Birmingham è lì che Tess è andata di corsa.

I due ingressi che restano vengono offerti a un ragazzo e una ragazza della scuola che, dopo nemmeno un paio di giorni che erano a Londra, hanno fatto coppia. Una coppia bizzarra, a dire il vero. Lei è cinese e, a parte il tono di voce che sembra sempre quello di chi ti sta proponendo un massaggio in spiaggia, è anche molto carina e simpatica. Lui è svizzero, e con questo mi sembra di avere detto tutto. No, dai, scherzo, è un bel ragazzo anche lui, simpatico. Mentre viaggiamo stretti stretti nella macchina di Davìd passano un po’ troppo tempo a fare ciù-ciù ciù-ciù ma ci si sta bene.

Io non mi sono messa nemmeno tanto in tiro. Mi sono un po’ coperta perché, dopo una giornata di pioggia, il cielo si è completamente aperto ma fa un po’ fresco. Ho praticamente un bra nero sotto una camicia bianca di foggia un po’ maschile che lascio aperta e un giubbottino, che prima di scendere lascio in macchina. Sotto invece ho i leggings. Che è vero che lasciano pochissimo spazio alla fantasia per quanto sono stretti (devono essere indossati con un perizoma strategico), ma che almeno dietro sono coperti dalla camicia. Pare infatti che il dress code di questo posto non sia particolarmente di manica larga. Almeno così mi ha detto Tanita. La quale peraltro, oltre ai leggings che come al solito le fasciano il sedere un po’ troppo grosso, ha optato per una delle sue solite canottiere di due taglie inferiori sulla quale c’è una scritta – “smetti di spogliarmi con gli occhi, usa i denti” – che mi fa sghignazzare appena la vedo.

Il locale meriterebbe un capitolo a sé. Dentro non è bellissimo, diciamo che è particolare, ma è enorme, con tante sale dove c’è musica diversa. Ci diamo un punto di riferimento, un check point, per evitare di perderci ma, a parte lo svizzero e la cinesina che vanno per cazzi loro, ho l’impressione che Tanita ci tenga che mi tiri fuori dai coglioni per poter marcare stretto Davìd. Anche se Davìd se la fila poco e a dirla tutta non mi sembra proprio il tipo da posti così.

Quindi vado un po’ in giro e poi ritorno, faccio l’elastico. Mi sento osservata e mi piace. Bevo un paio di drink e basta perché costano uno sproposito, ma sono molto ben disposta sia per ballare che per farmene offrire uno. La musica non è proprio quella che preferisco ma per una serata così va bene, e l’impatto sonoro bisogna dire che è impressionante. Ancora più impressionante è la folla.

In una sala incrocio, è il caso di dire per miracolo, lo svizzero e la cinese e ci scateniamo un po’ insieme. Quando mi mollano, inevitabilmente visto che hanno voglia di divertirsi in due e basta, subisco una specie di assalto di maschi arrapati ma nemmeno tanto fastidiosi. Qualche mano si appoggia, ok, ma nulla di che. Finché non conosco Matt, un ragazzo che mi si incolla addosso e che mi offre da bere. Volevo quello, no? Di ciò che dice capirò il dieci per cento, visto il volume della musica. Ma non è un problema. E’ un rapporto di ritmo, di sorrisi, di corpi che strusciano. E’ carino, non saprei dire se simpatico, ma a me sta bene così. Se fossi un po’ padrona della situazione probabilmente mi farei portare da qualche parte e gli farei un pompino. Non è che ne senta proprio il bisogno o ne abbia una voglia particolare. Lo dico così, perché sarebbe una buona idea. Solo che prima di perderci di vista Tanita mi ha raccomandato di stare attenta ai comportamenti perché qui ci mettono un attimo a spedirti fuori. Non ho capito bene se fosse un modo per dirmi “non fare la troietta” ma credo proprio di sì.

Certi segnali fisici sono inequivocabili, si capisce perfettamente che lui vorrebbe di più. Tuttavia tra un passaggio in pista e l’altro con Matt ci sono solo baci. Abbastanza focosi, ma baci e basta. Almeno fino al momento in cui, proprio mentre intrecciamo le lingue l’uno con l’altra, la situazione la situazione di capovolge in modo repentino. Fin quando cioè non sento una mano che mi tasta il culo. Non è nemmeno la prima della serata, eh? Ma è di una precisione quasi chirurgica per come sento due dita scivolare nel solco del mio sesso e delle mie natiche, soffermandosi rapidissimamente ma altrettanto inesorabilmente sulle mie piccole aperture. Un tocco spietato, soprattutto quello sul buchetto, che se ci fosse il tempo mi farebbe reagire e miagolare “oh no, lascialo lì”. Ma è tutto troppo veloce.

Io però, dopo quel tocco, mi sono accesa come una lampadina, cazzo!

Mi stacco un attimo da Matt per fare la smorfiosa e dirgli di non farlo più. Di dirglielo con un sorriso, in modo che lui capisca che lo deve fare ancora. Solo che mi accorgo che le mani di Matt sono posate sulle mie spalle e che quella che mi ha fatto quasi fremere in quel modo non può essere la sua. Il ragazzo, che ovviamente non ha capito nulla, deve però sentirsi compiaciuto della mia reazione. Era troppo evidente, gli ho tremato addosso come una foglia. La sua stretta si fa più forte. E anche il suo invito appoggiato sul mio ventre si fa, come vogliamo dire, più pressante? Ok, più pressante.

E a questo punto, mi dispiace, ma non me ne frega più un cazzo di dove siamo e delle raccomandazioni di Tanita. Non mi ricordo bene, in questo momento, se sia un modo di dire che abbiamo tradotto noi da loro o che traduco io in inglese. Anzi, non so nemmeno se in inglese abbia senso, per la verità. So solo che gli lecco il collo fino all’orecchio e gli scandisco per bene “voglio succhiarti il cazzo come se non ci fosse un domani”. Proprio così, “wanna blow you like there’s no tomorrow”. Mi risponde con uno sguardo abbastanza stralunato. Magari si stava chiedendo come convincermi, magari non si aspettava di ritrovarsi tra le mani una biondina dall’aspetto delicato, angelico, ma così zoccoletta dentro. Bello mio, hai pescato the winning number.

La sua reazione, in mezzo a centinaia di corpi scatenati, è una stretta sul sedere e una mano che per la prima volta si intrufola sotto il bra e mi torce un capezzolo. Non credo che il volume della musica gli consenta di sentire il mio gemito, ma poiché mentre lo fa mi guarda in faccia è impossibile che non si accorga della mia voglia che si contorce, del mio labbro quasi lacerato dai denti. E chissà cosa gli dicono i miei occhi… La mia bocca invece, appena ritorna in prossimità del suo orecchio, gli dice “adesso!”.

La ricerca del posto adatto non è così facile come sembra, perché di angolini bui non ce ne sono e i bagni sono tutti abbastanza sorvegliati. Tranne uno che, chissà, mi viene da pensarlo ma è improbabile, viene lasciato libero apposta, come valvola di sfogo. Della serie: non possiamo permetterci che trasformiate tutto in un troiaio, ma se proprio non ce la fate… Ma no, mi dico, non può essere, e me lo dico mentre ci intrufoliamo nella parte riservata alle femmine.

Non siamo i primi ad avere avuto quell’idea, perché puntiamo un box la cui porta si sta giusto aprendo. Ne esce una ragazza con un miniabito viola dal quale spunta, nonostante sia persino più piatta di me, il pizzo di un reggiseno di quart’ordine. Nella mano stringe invece delle mutandine. Mi colpisce per la sua bruttezza. Non voglio fare la stronza, ma è così. Ha una metà dei capelli arancio e l’altra metà azzurri, le scendono fino alle spalle e li trovo interessanti, il viso incavato e il naso storto e con la gobba. Gli occhi a palla. Nonostante i suoi tacchi altissimi la guardo dall’alto in basso, deve essere quasi una nana. Ha uno sguardo stravolto e osceno, mi osserva con l’aria di voler dire “dio santo come mi ha riempita”. Ma è invece molto più plausibile che questa sia solo un’immagine creata dalla mia eccitazione e che lei sia semplicemente strafatta. Di cosa, non saprei. Mi sorride debolmente, le sorrido. Il suo manzo è ancora di spalle che si sta probabilmente pulendo il cazzo, perché dopo un po’ vedo un foglietto di carta volare nel water. Non so che tipo sia né lo saprò mai, perché mi volto a baciare Matt e a tastargli il pacco mentre sento il rumore dello sciacquone. Entriamo e ci chiudiamo dentro. Mi eccita da pazzi sapere che in quel cubicolo una troia come me è stata appena scopata. Non so perché, ma mi eccita che le ragazze debbano fare la fila per nascondersi dietro quella porta e godersi il cazzo di uno, presumibilmente, appena conosciuto.

Mi eccita talmente tanto che ci metto un attimo a ritrovarmi in ginocchio ad armeggiare con la cintura dei pantaloni di Matt. Tira fuori un affare discreto, non molto lungo ma di una bella larghezza. Aspiro forte e quasi svengo dalla voglia. L’odore di maschio mi fa questo effetto, che ci volete fare. E il sapore mi fa sbroccare anche di più. Adesso sì che li deve sentire i miei mugolii mentre glielo succhio. Deve davvero prendermi per una puttana ninfomane per come lo guardo in faccia per vedere come se la gode. Peccato solo che duri troppo poco, ma è bello carico, il ragazzo. Mi afferra la testa e se la tira al ventre, non ho difficoltà a prenderlo tutto, mi basta spalancare le fauci. Vibra come sotto uno shock elettrico e mentre il suo latte caldo e vischioso comincia a scivolarmi in gola altro seme mi riempie la bocca. E’ difficile tenergli dietro. Lo sperma mi cola da un angolo delle labbra e mi stacco un attimo per raccoglierlo con un dito e succhiarlo. Per un momento ho paura che lui consideri terminata lì la pratica, o almeno mi dà questa impressione. Lo imploro con un tremante e sussurrato “aspetta… aspetta” e mi rifiondo sul suo cazzo. Lo lustro, lo ripulisco come se fosse la cosa più importante del mondo. Non per lui, per me!

Mi rialzo, siamo una di fronte all’altro a non più di dieci centimetri. C’è un odore di sesso insostenibile. Sono decollata, la fica mi pulsa senza vergogna e i capezzoli spingono. Alzo il reggiseno, Matt mi osserva le tette con lo sguardo ancora alterato. I leggings sono fradici in mezzo. Li abbasso fino alle ginocchia insieme al perizoma, mi volto e appoggio le mani alla parete voltando indietro la testa e miagolandogli “please”. E’ una implorazione indecente, senza decoro, umiliante persino. Sono perfettamente consapevole che gli ho appena svuotato le palle ma non ce la faccio a non chiederglielo. E non c’è dignità che possa far da argine alla voglia che mi è esplosa dentro. Improvvisa e inaspettata, almeno in queste proporzioni. Incontrollabile, persino pericolosa. Lo sapete che cosa sono. E io lo so meglio di chiunque altro. Ma in questo istante quasi mi stupisco di me stessa.

Non è lui, ve lo ripeto. E’ carino ma non mi fa impazzire fino a questo punto. In realtà potrebbe essere chiunque altro. Sono io, io che ho bisogno ora, che non so trattenermi. Sono io che mi sento aperta, pronta per essere riempita e al tempo stesso scandalosamente vuota. Che potrei strillare il mio orgasmo come una gallina sgozzata alla prima violazione del suo cazzo. Mi conosco, credetemi, è così.

Lui mi dice che non ha il condom, gli rispondo quasi piangendo che non mi interessa, non me ne frega un cazzo. “Ti prego, scopami”. La sua risposta arriva e mi gela: “No, senza preservativo non ti scopo”. Non ci credo. Voglio dire, mi hai vista? Hai visto in che condizioni sono? Che c’è, non ti piaccio? Sei diventato frocio tipo negli ultimi quindici secondi? “Dai, ti prego”, dico voltandomi leggermente guardandolo negli occhi. Stacco una mano dalla parete e la indirizzo verso il suo cazzo e i suoi coglioni in una carezza così lasciva che non ho proprio idea di come faccia a non tornargli di pietra e inchiodarmi al muro.

Potrei dirvi che la cosa peggiore, dopo il suo “no, sorry”, è la sensazione di inutilità dalla mia personale degradazione. Oppure potrei dirvi che, dopo che Matt scappa lasciando spalancata la porta del box, la cosa peggiore è invece lo sguardo prima sorpreso e poi schifato di una ragazza che mi vede così, con il reggiseno tirato sopra le tette e leggings e mutandine calate alle ginocchia. E’ una ragazza biondastra, dalla faccia paffuta, con una mini ridicola per le cosce che si ritrova e che, singolarmente prese, sono più del doppio delle mie. E invece no, cazzo, non me ne frega niente della mia reputazione o dell’umiliazione. Non me ne frega proprio un cazzo della figura di merda. E figuriamoci se me ne frega qualcosa di essere stata usata come una puttana, anzi.

No, sticazzi, non me ne importa nulla. La cosa DAVVERO insopportabile è non essere stata scopata. E non voglio dire tutte quelle menate sul rifiuto, il fatto di non sentirsi considerata, desiderata, ste stronzate qui. No, no. Voglio proprio dire che la cosa peggiore è proprio che questo deficiente non mi abbia messo il cazzo dentro. Mi fa impazzire, questa cosa. Mi fa sbattere la porta del box per richiuderla e battere i pugni al muro strillando “stronzo! testa di cazzo! pezzo di merda! vaffanculo!”. Ok, tutte cose che strillo quasi piangendo in italiano. Ma secondo me chi mi sente da fuori lo capisce benissimo che lì dentro c’è una ragazza superincazzata con un ragazzo.

Mi ricompongo ed esco imbufalita dal box, vado verso i lavandini per sciacquarmi un po’ la faccia. Tra l’alcol, il ballo, il pompino e la rabbia da sbollire ho bisogno di un po’ di roba fredda in viso. Senza considerare che sono le tre e mezza di notte. Nel lavandino accanto al mio c’è la cicciona di prima, quella che mi ha vista con la fica e le tette all’aria nel gabinetto. Si sta lavando le mani, mi guarda attraverso lo specchio. La guardo anche io attraverso lo specchio. Dopo di che, poiché nessuna delle due abbassa lo sguardo, le faccio una smorfia tipo “che cazzo c’hai da guardare?”. Lei ora sì che abbassa gli occhi ma mi indirizza uno sguardo obliquo e sibila, nemmeno a voce tanto bassa, “whore”. Mi volto a guardarla e stavolta sono io che provo un profondo disgusto per lei. E spero che si veda. Le rispondo a mia volta “chubby, useless slut”. Cicciona, inutile puttana. Non sarà politically correct? Sticazzi. Sarà uno spot in favore dell’anoressia? Sticazzi bis. Non me ne frega un cazzo, le piacerebbe avere un corpo come il mio a sta stronza. Ti piacerebbe avere venti chili di meno, eh? Mignotta. La reazione di questa povera adiposa potrebbe essere violenta se non intervenisse una ragazza a separarci. Non so bene chi l’abbia delegata a mantenere l’ordine pubblico nel cesso, ma la ringrazio. E’ una ragazza nera nera con i dreadlocks solo da una parte e dei labbroni enormi. Non ha bisogno di parlare, le basta rivolgere lo sguardo alla cicciona come a dire “ho sentito tutto”, e a me come a dire “ehi tu, non esagerare”. Per come sto messa le vorrei dire “tutto quello che vuoi, sorella, ma proprio tutto”. In realtà mi limito ad annuire.

Torno barcollando al nostro check point. Mi gira tutto intorno, ma non mi sento malferma sulle gambe. Vedo Davìd appoggiato a un bancone con l’aria un po’ annoiata. Però è sudato, segno che Tanita l’ha davvero trascinato in pista. Non l’avrei detto. Sta bevendo una birra. Mi avvicino, nonostante me la sia sciacquata probabilmente ho ancora la bocca che puzza della sborra di Matt. Gli prendo il bicchiere e do una lunga sorsata, mi ci voleva. “Mi ci voleva”, dico a Davìd, ma chiaramente lui capisce un’altra cosa. Mi riserva un’occhiata che non mi ha mai riservato in questi giorni. Ve l’ho detto, è uno di quelli che ti scopano con lo sguardo, ma chiaramente è una mia impressione. Nonostante ne sia consapevole un brivido mi corre lungo la schiena. Ha davvero la camicia fradicia e un’aria da figlio di puttana che, se non fosse per Tess e per Tanita, mi farebbe sbroccare. Già, Tanita. La cerco con lo sguardo e la vedo ballare in mezzo a un gruppo di ragazzi e ragazze. Anche lei è sudata, soprattutto sul petto. Le sue tettone ballonzolano mentre si agita, e in mezzo sembra esserci una chiazza di bagnato che non ha mai fine. Esattamente in questo momento mi rendo conto che: a) domani mattina devo partire, nemmeno tanto tardi; b) a letto stanotte non ci si va, o se ci si va sarà al massimo per un’ora. Cazzo cazzo cazzo. Sono furibonda e distrutta al tempo stesso. La voglia di scopare, frustrata e repressa, mi ha schiantata. E il bello è che non mi è nemmeno passata, anzi. Ma credo proprio che adesso sia troppo tardi.

Usciamo che sono, più o meno, le cinque meno un quarto. Siamo, chi più chi meno, bevuti tutti e tre. Io e Tanita, soprattutto. Ma nulla di eccessivo. Ho freddo. In macchina mi metto il giubbotto e mi accuccio sul sedile posteriore per riscaldarmi. Lo svizzero e la cinesina sono, beati loro, chissà dove a divertirsi, presumibilmente in posizione orizzontale. Non ho nemmeno sonno, nessuno ha sonno. Non mi sfugge il tono morbido della voce con cui Tanita chiede a Davìd di “portare la ragazzina”, ovvero io, a vedere la città dall’alto di notte. Non mi sfugge nemmeno la mano che, con studiata nonchalance, gli poggia su una gamba. La cosa inaspettata è che Davìd accetta, assecondandola. Mi sarei aspettato che la mandasse a fare in culo. Stasera gli gira bene. Quanto a me, non me ne frega un cazzo di vedere Londra dall’alto, tanto sono stata sul London eye. L’unica cosa che non mi va è di tornare a casa.

Dopo venti minuti, anche meno, arriviamo in un posto chiamato Primrose. E’ un angolo verde e buio che offrirebbe, secondo Tanita, ma non credo solo secondo lei, una vista dall’alto della metropoli. Vorrei dire loro se hanno un’idea di cosa possa essere Roma vista da Monte Mario o dal Gianicolo ma mi sto zitta. Un po’ perché non mi va di discutere e un po’ perché penso che, di questi tempi, Roma si può vedere solo dall’alto, visto che appena si scende per le strade fa vomitare.

Guardiamo il panorama un po’ deludente (anche se a Tanita dico “wow”) passandoci la canna che lei ha tirato fuori. Buona, non tanto forte. Poi però ne arriva subito un’altra e qui il gioco si fa un po’ più pesante. Siamo illuminati solo dalle luci lontane della città. Chiacchieriamo di nulla. Mentre sto raccontando loro che domani notte a quest’ora starò dormendo in un posto in riva al mare della Sardegna, Tanita fa: “David, non pensi che Ann-Lise sia bellissima?”.

Resto un attimo di stucco. Soprattutto perché è una frase che, in quella situazione, non c’entra assolutamente un cazzo. Rido per l’imbarazzo mentre Davìd le risponde “of course”, nessuno può pensare il contrario. Ok, sto per chiedere a tutti e due se abbiano deciso di farmi arrossire, perché è chiaro che Tanita mi vuole mettere in mezzo. Ma la mia domanda non fa nemmeno in tempo a nascere ché la voce di Tanita sovrasta la mia.

– E mi ha detto anche che ti vuole baciare.

Per un momento resto di sasso, poi mi volto verso di lei. La sorpresa credo che stia trasfigurando il mio sorriso. Vorrei esclamare “what the fuck?” ma ancora una volta la mia voce viene sovrastata, stavolta da quella di Davìd.

– Forse vuole fumare.

Mi volto verso di lui e vedo la sua faccia illuminata dalla brace rossa della canna che sta tirando. Me la passa mentre trattiene il fumo e, cazzo, stavolta sì che il suo sguardo non è solo “come se” mi scopasse la testa. Me la scopa proprio. Il brivido che ho provato prima in discoteca, quando mi ha guardata, non è niente in confronto a questo. E il crampetto che prima non c’era adesso c’è.

Per un attimo penso a Tess. Poi vedo gli occhi di Davìd proprio davanti ai miei e le sue labbra a stampo sulle mie e non ci penso più. Apro la bocca e lascio che mi ci soffi dentro il fumo. Inspiro, trattengo, sento la botta. Apro la bocca per lasciare che il fumo esca, ma soprattutto che lui mi ci ficchi la lingua dentro. Ma che cazzo sta succedendo?

Al primo bacio reagisco un po’ passivamente. Quando mi stacco lo osservo, volto la testa e guardo Tanita. Credo che nei miei occhi la sorpresa si legga eccome. Come dicevo prima: che cazzo sta succedendo?

Questo per quanto riguarda il primo bacio. Subito dopo, ovvero dopo che Davìd mi ha messo la mano sulla nuca e mi ha attirata a sé, arriva il secondo. E qui mi lascio andare, quasi mi cedono le gambe, mi lascio sostenere da lui. Dopo un po’ mi riprendo e mi avvinghio. E’ quel momento che credo conoscano tutti. Quando sei talmente fuori come un balcone che non puoi né parlare né pensare. Vuoi solo sentire quel corpo contro il tuo. Anche Davìd si avvinghia, mi stringe. Mi spezza la schiena, mi stringe il culo, mi incolla contro il suo pacco. Lo sento, lo cerco. Sto tornando a bagnarmi come una fontana.

Ma la sorpresa più grande arriva quando sento due mani poggiarsi sulle mie spalle. Non sono quelle di Davìd. E’ Tanita, che sta dietro di me e mi spinge giù. In un modo che mi sono sentita fare un sacco di volte e che significa una cosa sola.

– Sono sicura che sai baciare meglio… – mi dice con un filo di ironia. Ma un filo appena, eh? Si capisce benissimo che non sta scherzando.

Poco prima che le mie ginocchia incontrino il terreno volto la testa verso di lei e le lancio uno sguardo interrogativo. Non è che non capisca cosa sta succedendo, intendiamoci. Non sono mica scema. Solo che vorrei sapere come siamo arrivati a questo punto, come tutto è cominciato e chi prende le decisioni. Perché sì, ecco, da questo punto di vista proprio non mi ci raccapezzo per niente. E non riesco a dire una parola. Nemmeno Tanita dice nulla, mi guarda dall’alto e sorride. Poi con lo sguardo che le luccica mi indica una cosa. Volto di nuovo la testa e torno a guardare davanti a me. E vedo il cazzo di Davìd in primissimo piano, questione di due o tre centimetri. Se l’è tirato fuori già duro, punta verso la mia faccia. Non ho nemmeno bisogno di avvicinarmi, per la seconda volta questa notte annuso l’odore di cazzo. Voi volete farmi impazzire, lo sapete che perdo la brocca quando è così, no?

Mentre ansimo, inspiro e mi ubriaco di quell’odore, però, Tanita deve pensare che stia esitando, perché mi dà un colpetto con le dita sulla nuca. Per incoraggiarmi. Come se ce ne fosse bisogno. Apro la bocca e mi avvento. E’ molto duro, durissimo, e lo è per me. Anche questo mi fa impazzire. Non è nemmeno molto grosso, anzi. Ma forse è anche meglio, perché voglio farlo mio, possederlo, dirigere il gioco. Voglio farlo morire e decidere io il momento. Sto un po’ così a succhiare e quando avverto un primo rantolo comincio a lavorare di lingua. Sento lo sbuffo di Davìd, il suo cedimento. E’ mio. Dall’alto sento la voce di Tanita che fa “good girl…”.

Poiché però questo deve essere il belvedere delle sorprese, dopo un po’ avverto un’alitata calda sul collo. Apro gli occhi e vedo Tanita accanto a me. Anche lei è in ginocchio, ora. E non solo. Si è tirata fuori le tette dalla canotta. Ballonzolano enormi, scure, come è scura la sua pelle. Anche i capezzoli sono enormi, quasi neri come l’areola, che sarà tre-quattro volte la mia. Dopo avere tirato fuori le tette, Tanita tira fuori la lingua e inizia a leccare i coglioni di Davìd. L’unica cosa che può leccare, visto che il suo cazzo me lo tengo piantato tutto in bocca e che i suoi peli pubici mi solleticano la punta del naso. Poi la ragazza mi fa capire che le piacerebbe prendere il mio posto. La accontento e mi allontano, le lascio quel paletto lucido della mia saliva. Lei commenta sorridendo “good girl” un’altra volta e ci si fionda sopra a fauci spalancate, iniziando a stuzzicarsi le mammelle. Io mi dedico ad abbassare per bene pantaloni e mutande di Davìd, portandoli fino alle caviglie. Gli passo la lingua sulle cosce tornite, sul ventre, sull’inguine. E infine anche io sui coglioni.

Ci alterniamo così, per un po’. Con la gratificazione assoluta, per me, di essere io quella che quando lo succhia viene afferrata per la testa e spinta verso quel pube maschile. Vuole scoparmi la testa, quando è il mio turno, vorrebbe soffocarmi. Ma non ha un cazzo tale da mettermi in difficoltà. Tuttavia, in questa specie di gara con Tanita, per ricompensarlo di avermi scelta inizio a mugolare, ad amplificare i miei soliti rumori osceni, a fargli capire il piacere che provo a farlo impazzire e che una succhiacazzi brava come me merita un premio, il premio del suo sperma caldo.

Però è destino che nemmeno questo, stasera, vada come deve andare, cazzo. Nemmeno questo. Proprio mentre lo sento ingrossarsi e contrarsi, quando lo sento ansimare in modo sempre più veloce e stringermi per i capelli contro di sé, Tanita quasi mi spinge via e prende il mio posto. Resto qualche secondo sorpresa, interdetta, indispettita, a guardare la scena di Davìd che afferra la testa di Tanita e le affonda il cazzo in gola, mentre il suo addome si contrae e si rilassa, le guance di lei che si incavano per succhiare. Ma soprattutto, ho quasi un orgasmo ad ascoltare il ruggito dell’uomo che accompagna la sua esplosione di sperma. Mai sentito un ruggito così, da mettere i brividi.

Forse è quel ruggito che mi sveglia, che mi fa diventare cattiva. Boh, non saprei dire. Fatto sta che faccio una cosa di cui non mi sarei mai considerata capace. Stavolta sono io che metto una mano dietro la testa di Tanita e le stringo i capelli, la volto verso di me quasi ringhiandole “non ingoiare, non ingoiare puttana!”, poi mi butto su di lei e le infilo la lingua in bocca a riprendermi quello che è rimasto e che è mio. Lei sussulta, mi sospira in bocca e per diversi secondi stiamo lì a baciarci selvaggiamente, scambiandoci lingue, saliva e sperma. Lei mi afferra per le mani e se le mette sulle mammelle. Sono così grandi che non riesco a contenerle. Non avrei mai pensato che la sua pelle potesse essere così morbida. Per un po’ mi alterno tra la sua bocca e il cazzo di Davìd. Un po’ si sta sgonfiando, ma nemmeno tanto. Lo succhio per ripulirlo e poi torno ad offrire il suo sapore a Tanita.

Che a un certo punto mi regala l’ennesima sorpresa. Quella più devastante, probabilmente. Allunga una mano verso il basso, oltre l’elastico dei miei leggings. Le miagolo “no, dai” e “che cazzo stai facendo?”. Ma a parte il fatto che glielo miagolo in italiano e lei non capisce, contemporaneamente contraggo gli addominali per appiattirli e lasciarla passare meglio. Non è che lo voglio fare, non lo decido mica. Lo faccio e basta. Le sue dita camminano lungo il ventre finché non trovano l’elastico del perizoma e oltrepassano anche quello. Immediatamente più in basso mi trovano bagnata in modo indecente. Non deve essere una che fa tanti complimenti, Tanita, perché dopo avere passato un paio di volte le dita sulla mia fessura e sul grilletto me ne infila direttamente uno dentro, senza tante storie. Mi irrigidisco un secondo e lancio un urletto per la sorpresa, e non solo.

Credo di avere gli occhi spalancati, devo anche appoggiare le mani sulle sue spalle perché rischio di cadere in avanti. Resto senza fiato per qualche secondo, trafitta. Piagnucolo, sempre in italiano, “dio, dio, dio” ma in realtà mentre lo faccio penso “Cristo, ma tu i ditalini te li fai con questo?”. Lo sento enorme, quel dito, è quasi come avere un cazzo dentro. Non si limita a penetrarmi, mi apre. Ne ho una voglia pazzesca. Ho capito tutto, Tanita. Adesso sì che ho capito tutto. Che zoccola che sei. E glielo dico pure, finalmente in inglese. O meglio le dico una cosa a metà tra un sospiro e un piagnisteo: “Che gran puttana che sei, Tanita”. Lei mi guarda con occhi trionfanti, guarda il mio piacere, la mia impotenza a resisterle. E’ trionfante, è sarcastica e irridente. “Sweetheart…”, mi sussurra. E sorride. O meglio, ghigna. Il suo dito mi frulla dentro, sciacqua mentre io vado a fuoco, mi contraggo. Poi la botta che mi fa letteralmente scattare, lo strillo, la mancanza di tutti i sensi. Il buio.

Mi ritrovo con il sedere mezzo scoperto a contatto con l’erba fradicia e gelata, in un contrasto assurdo con il calore che sento pochi centimetri più sotto, dentro. Sto pulsando, ansimando, torno poco alla volta a rimettere a fuoco le immagini, come al rallentatore. Tanita che si rialza con le tette che ballano libere. Davìd che la osserva con il cazzo che punta in avanti, tornato in forma in un minuto. Vederci lesbicare, sentirmi godere, deve avergli fatto un certo effetto. Vedo lei che apre la portiera della macchina e si inginocchia di traverso sul sedile del passeggero. Si cala i leggings e ci offre la visione del suo grande sedere burroso. Quando il suo vocione esclama “C’mon, fuck me” mi sembra di essere dentro la scena di un video porno. Poi smetto di vedere il suo sedere perché tra me e lei adesso c’è il sedere maschile e muscoloso di Davìd. Ha i pantaloni abbassati alle caviglie come glieli ho sistemati io. Vedo le sue mani protese in avanti ad afferrare Tanita, vedo un attimo di incertezza e poi la spinta in avanti. Sento lo straziante “oh, fffuck!” che taglia l’aria. Poi il rumore delle carni che sbattono e la voce di lei che si trasforma in gridolini acuti, sottili, lancinanti. Strano, mi dico, non mi pareva che Davìd avesse un cazzo tale da farla strillare in questo modo.

Però c’è qualcosa che non torna. Forse dipende dal fatto che sono appena venuta, o forse no. Voglio dire, in un altro momento vederli e sentirli sarebbe anche eccitante, credo. E invece non riesco che a fissarmi su di lei che, finito chissà dove il suo vocione, squittisce come uno scoiattolo. E’ buffa, mi viene da ridere. Mi distendo completamente sull’erba. Guardo le stelle. Li ascolto.

Sono bellissime le stelle, stasera. Ci sarebbe da prendere il telefono e far partire l’app di Star Walk e scoprire la loro posizione nel cielo. Carni che sbattono. Orione, forse. Forse Tanita che strilla di continuo e che forse a un certo punto viene, è difficile dire. Il ruggito di Davìd, un altro. Mentre lo ascolto mi dico che quella deve essere la corona boreale. Poi i miei pensieri cambiano. Lo so che il cielo stellato ha ispirato riflessioni più profonde, ma a me in questo momento non viene nulla di meglio che pensare: “Che cazzo di maschio, questo, che ruggisce quando te la spara dentro”.

Del ritorno a casa non è che abbia molti ricordi. Io tra le braccia di Tanita, sul sedile posteriore. Con la testa appoggiata sulle sue tettone e lei che mi carezza i capelli, stop.

Solo quando arriviamo al pub e Davìd si allontana per cercare parcheggio mi risveglio un po’. In piedi sul marciapiedi, una accanto all’altra, io e Tanita guardiamo le luci rosse della macchina che si allontanano. Mi sento come una che non ha capito un cazzo di ciò che è successo.

– Gli ho detto che avevi fatto un pompino a Paul. E che gliel’avresti fatto volentieri anche a lui.

Mi volto verso Tanita con l’espressione di una che sta per chiedere “ma perché cazzo hai fatto una cosa del genere?”. Mi viene quasi da ridere. Ma non c’è bisogno di chiedere nulla.

– Però eri tu che te lo volevi scopare – le dico.

– Non potevo saperlo che sarebbe finita così, ma è andata bene – risponde sistemandosi i leggings – è una vita che volevo farlo.




scritto il
2019-11-04
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