A che serve l'estate - Mondo segreto
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Browserfast
genere
etero
Vado fuori Roma da un’amica, mamma, hanno la piscina. Ci vediamo stasera. Sì, certo, faccio attenzione con la macchina. Martina mi consegna in silenzio le chiavi della sua Cinquecento, la ringrazio mentre mi rivolge un’occhiata ironica come a dirmi “un’amica, eh?”. Le sorrido facendo un occhiolino che significa “poi ti racconto”. Esco di casa con lo zainetto pieno di cose inutili. Il telo da mare, la protezione totale, il costume. Ma anche le cose che ho addosso sono totalmente inutili: un paio di sandali, dei microshorts di tela leggera, un perizoma e una canotta nera. Sono solo le otto e un quarto, ma non ce la facevo più a rimanere a casa.
E poi Tommy ha preso questo appartamento che, cazzo, pure quello è fuori città. Un posto assurdo sulla Cassia, senza Google maps non l’avrei mai trovato. Quando arrivo davanti al cancello ho i capezzoli che sembrano bucare il tessuto e tra le gambe sono umida. Per tutto il viaggio, un’ora, ho pensato a una cosa sola. Ma non è la stessa che pensate voi.
Non ha preso una casa, sto pazzo, si è preso una villa. Chissà quanto cazzo sta spendendo, non sapevo che su Airbnb si trovassero ste cose. E se quel Grand Cherokee parcheggiato là dentro è suo vuol dire che ha proprio deciso di fare le cose in grande. Suono il campanello. Sotto il sole il caldo è già feroce.
Non faccio quasi in tempo a entrare in casa. Tommy è a torso nudo, con dei pantaloncini indosso, e basta. Sbatte la porta dietro di me. Il salone sembra devastato. Sedie qua e là, poltrone dove non dovrebbero essere, sul tavolo bottiglie su bottiglie e bicchieri. Appoggiate sul bordo superiore di un 48 pollici, delle mutandine da donna. Tommy si accorge che le sto guardando. Gli dico “allora non è vero che non te la sei scopata, quella troia”. Ride e mi dice “ah no, l’altra sera con Matteo e gli altri ci siamo portati qui due rumene”. Ho un sussulto e sto per chiedergli se sono diventati dei puttanieri, lui e i suoi amici. Poi penso alla sera in cui quegli stronzi di Vittorio e Gabriele mi hanno scopata e mi hanno dato quattrocento euro, e lascio perdere. Rifletto piuttosto sul fatto che queste sono state le prime parole che ci siamo detti stamattina. Nemmeno “ciao”. E sempre senza un “ciao”, di colpo, mi mette una mano sulla testa, cerca di spingermi in basso. Dice “dai, vediamo se sei brava come loro”. I pantaloncini non riescono a nascondere la sua incipiente erezione.
Mi divincolo, arretro. Gli dico con rabbia “cazzo, nemmeno un bacio mi hai dato”. Mi guarda con ironia e dice “per te non è mai stato un problema, con o senza bacio… sei diventata schizzinosa?”. Sì, è vero. Non è mai stata una condizione indispensabile, ha ragione. Ma adesso è diventato un puntiglio, Tommy. Ho la fica che sta pulsando, ok, ma senza un bacio non faccio nulla. Voglio un gesto che mi ricordi cosa eravamo. E per quanto assurdo possa sembrare, mi torna in mente quella volta a Bologna che lui mi portò in giro per la città seduta sulla canna della sua bicicletta. Cazzo, mi si sono bagnati anche gli occhi, ora, non solo la fica.
Fa un passo verso di me, minaccioso. Mi fa quasi paura. Metto istintivamente le mani avanti. Piagnucolo “no” quando mi abbassa gli shorts e le mutandine. Piagnucolo ancora “no, ti prego”, ma in realtà vorrei essere più articolata, dirgli che non può farlo, non prima di avermi baciata, non può stuprarmi. Contrariamente alle mie paure, invece, è lui che si inginocchia, che mi sfila tutto, che mi fa allargare le gambe.
Non è stato mai un granché, Tommy, a leccare la fica. Non è che mi dispiacesse quando lo faceva, chiaro. Però davvero, non è nemmeno nella top ten. In questo momento tuttavia mi fa impazzire, mi fa piegare le gambe, mi costringe ad afferrargli i capelli per paura di cadere. Anche se dopo un po’ capisco che non è quello il motivo. E’ che ho voglia che non si fermi.
Fulmineo, inatteso, mi sale dentro e mi conquista, mi fa gridare il nome di lui, mi porta via. Uno degli orgasmi più belli che abbia mai avuto. Disseto Tommy come lui tante volte ha dissetato me. Si rialza e mi abbraccia. E per fortuna, perché sto tremando così tanto che se non lo facesse cadrei per terra. Mi aggrappo a lui. Quasi nemmeno lo sento quando mi dice, con quel suo birignao ducale del cazzo, “andava bene, questo, come bacio?”. Poi mi infila la lingua in bocca, facendomi sentire il mio sapore, con il muso ancora tutto bagnato.
E’ un bacio furibondo, come quelli che ci davamo una volta, quando proprio non ce la facevamo più. Non sono sorpresa, né tantomeno impaurita, dopo un po’ rispondo al bacio con la sua stessa fame. Le nostre menti probabilmente si detestano, le nostre anime sono ormai indifferenti l’una all’altra. Ma per i nostri corpi sembra che tutto questo tempo non sia passato. Si vogliono, si cercano. E’ da ieri sera che si cercano, senza che nemmeno ce ne rendessimo conto. Non c’è più da pensare a niente, ora. Il mio corpo vuole il tuo. E’ solo lui che risponde per me. Io non posso né voglio controllarlo, non voglio controllare nulla. Non avere dubbi o paure, adesso, non pensarci troppo. Fottimi. Fottimi! Mettimi il cazzo dove vuoi. Schiantami in ginocchio e infilamelo in bocca, piegami a novanta e spaccami. Non è che ne ho voglia o bisogno, non è questo il punto. Il punto è che questa è l’unica cosa che c’è al mondo in questo momento.
Inaspettatamente, mi prende in braccio e mi porta via dalla sala. Ha il cazzo che è diventato un pennone, che gli tende i pantaloncini. Gli ansimo addosso e lo guardo, gli sorrido. Portami dove cazzo vuoi, anche il letto va benissimo. Non mi porta sul letto. Apre una porta con un calcio ed entriamo nel bagno. C’è una Jacuzzi, o quel cazzo che è. E’ piena d’acqua quasi fino al bordo. Mi ci lascia cadere dentro ed è proprio splash. Lo faccio io e lo fa l’acqua che straborda e precipita sul pavimento. Gli grido “cazzo!”, lui mi fa “ti avevo preparato il bagnetto”, e si mette a ridere. Mi sfilo la canotta ormai zuppa gridandogli “tu sei scemo, mettila ad asciugare”. Lui la prende e la butta in un angolo, mi fa “aspetta qui”. E prima di andarsene fa partire l’idromassaggio.
Ritorna con le mani occupate. Nella sinistra non vedo bene cosa abbia, anche perché la mia attenzione è concentrata sulla destra, che regge una magnum di champagne. Me la porge e mi dice “vuoi bere?”. Così, a canna, senza bicchiere. Alzo la voce per coprire il rumore e rispondo che non sono nemmeno le dieci e che mi pare un po’ presto. Anche lui alza la voce e mi fa “e non fare la stronza come al solito!”. Poi mi versa mezza bottiglia sulla testa.
E’ gelata, cazzo. Mi dimeno facendo cadere altra acqua sul pavimento. Urlo. O meglio, prima urlo e basta. Poi gli urlo “cazzo faiiii?” e cerco di immergermi per riscaldare la testa e le spalle. Quando riemergo lo vedo che mi sorride e mi dice “e dai, apri la bocca”. Gli sorrido anch’io, gli rispondo “stronzo” e obbedisco. Me lo fa precipitare ovunque. Sui capelli, ancora, sul viso, sul naso e in bocca. Bevo. Poco ma bevo. Sento le bollicine frizzarmi addosso e dentro. Mi metto a ridere, mi adagio nella vasca a godermi il massaggio. Tommy si volta verso il ripiano del lavandino e comincia ad armeggiare, ma non vedo cosa sta facendo. Arrivano dei colpetti ritmati e dopo un po’ si piega. Lo sento distintamente tirare su con il naso. Una volta, due volte. Sbagliarsi non è possibile. Smetto di ridere e gli chiedo “Tommy, che cazzo fai?”.
“Sei abbastanza intelligente per capirlo”, mi risponde voltandosi e continuando a tirare su con il naso. Gli domando “da quando?” abbastanza stupita perché lui non era nemmeno tanto il tipo da cannoni. Dice “dall’altro giorno, vuoi provare?”.
Io non lo so se voglio provare. Quando quella troia di Roberta me la offrì, rifiutai. Ma ora sono indecisa. Spesso, con Tommy, ho fatto cose che non avevo mai fatto prima.
Rispondo che ho paura. E in fondo è come se avessi già cominciato ad accettare. Mi dice che non si diventa mica tossicodipendenti, per un tiro. Gli dico anche che non saprei come tirarla su. Cioè, non come ha fatto lui. Mi fa “torno subito”, scompare. Resto sola con le bolle dell’idromassaggio, ma non sono più tanto rilassata. Mi chiedo se non stia per fare una cazzata e che in fondo faccio sempre in tempo a tirarmi indietro. Ma in realtà non è vero.
Tommy riappare con un cucchiaino piccolo, di quelli da caffè. Spegne l’idromassaggio. Mi tornano in mente le immagini delle serie tv sui narcotrafficanti, che tirano così. Ce ne mette una punta, non mi sembra molta ma nonostante ciò lo guardo con un certo timore. Mi fa “tranquilla” mentre me lo avvicina al naso, mi dice “tira su”. Aspiro forte, mi frizza, mi prude, mi fa venire voglia di starnutire. Tommy mi dice di continuare a tirare con il naso. Reprimere lo starnuto mi fa lacrimare, ma ci riesco. Piagnucolo “mi pizzica” e lui mi tappa la bocca e dice ancora “tira su”. Poi me la stappa e mi chiude il naso con le dita, lo massaggia. Ripete l’operazione con l’altra narice, massaggio del naso compreso. Adesso va meglio. Ma obiettivamente non sento nulla di speciale.
Anzi, ora che lo osservo, una cosa di speciale c’è ed è il suo cazzo inverosimilmente in tiro, buffo sotto i calzoncini. Gli dico quasi ridendo “sono nuda in una vasca da bagno, tu sei duro, e l’unica cosa che riesci a fare è toccarmi il naso…”. Mi risponde “prima ti ho toccato un’altra cosa e non mi pare che ti sia dispiaciuto”. Gli accarezzo il cazzo da sopra il tessuto e gli mormoro “potrei ricambiare?”. “Potevi farlo prima e farmi vedere se sei brava come quelle due troie dell’altra sera… ci sapevano fare sai?”.
Mi incazzo, a questo punto mi incazzo davvero e gli chiedo che cazzo c’entrano e perché continua a tirarle in ballo. Non risponde, mi afferra per un braccio e mi ringhia “vieni fuori”. Strillo, grido che mi fa male ma lui non si ferma, sono costretta ad assecondare la sua volontà. “Che cazzo gridi, ti è sempre piaciuto essere trattata così e adesso gridi?”. Mi spinge giù mentre piagnucolo “mi fai male, stronzo!”. Dopo tutta l’acqua che è schizzata fuori dalla vasca mi sembra di essere inginocchiata in un lago. “Dicevi sempre che non dovevo essere delicato… – mi fa con tono irridente – te lo sei scopato quello, ieri sera?”. “No”, rispondo. “Nemmeno un pompino?”. “No”, mento. “Conoscendoti è strano, come mai?”. “Non mi piace tanto”. “Ci siamo fatte sofisticate? A scuola lo succhiavi a chiunque”. “Non è vero”. “Ahahahah non è vero… A Annalì, l’altra sera eravamo in quattro qui… li hai presi in bocca tutti…”. “Non è vero”. “Ma che cazzo dici… Franco l’hai spompinato?”. “Sì…”. “Matteo?”. “Sì…”. “Luca?”. “Sì…”, ammetto dopo un attimo di esitazione. E’ vero. Quando ero a scuola ho succhiato il cazzo a tutti loro. Prima di conoscere Tommy e anche dopo averlo conosciuto. “Ricordi quella volta che ti ho chiesto se non ti dava fastidio che tutti ti considerassero una troia?”. “Sì…”. “E allora?”.
Già e allora cosa? Cosa c’è, vuoi umiliarmi? Ma perché? “Guarda che degli altri non me ne fregava un cazzo”, gli dico cercando di rialzarmi. Lui però mi tiene giù, in ginocchio, gli basta un’altra spinta sulla testa. “Non te ne fregava però il cazzo glielo prendevi in bocca”. “E tu ti scopavi quella vacca di Benedetta!”.
Ma basta, cazzo, ma che senso ha? Dobbiamo stare ancora qui a rinfacciarci il fatto che abbiamo sfasciato tutto? Non me ne frega più niente.
– Perché mi hai fatta venire qui?
E’ strano domandarglielo così, guardandolo dal basso in alto. Nuda, bagnata, e con il cazzo che gli tende i pantaloncini in primo piano. Potrebbe sembrare una classica scena di sottomissione, ma non lo è per niente.
– Lo sai, no? Per lo stesso motivo per cui venivi da me a Bologna. Sei sempre venuta da me per quello.
Non è vero, lo sa benissimo anche lui che non è vero. Oggi sì, oggi è per quello. Ma prima no, non è stato mai solo per quello. Tuttavia, quando glielo dico, dentro non sento nulla. Come se di colpo mi fossi accorta che, qualsiasi cosa faccia, non può più ferirmi.
– Che aspetti, allora? Dovevi sbattermi appena entrata in casa!
Mi afferra per un braccio (sempre il solito) stringendolo, mi lascia i segni, mi tira su ringhiandomi “quando ti scopo lo decido io”. Mi fa appoggiare al lavandino e si toglie il pantaloncino. Lo vedo svettare, deve essere durissimo, ha la punta tutta scoperta. Qualche tempo fa sarei svenuta dalla voglia. Adesso… boh, adesso non so nemmeno se mi va più tanto. Oddio, sì. Pensandoci bene mi va. Ho proprio l’istinto di rituffarmi in ginocchio e succhiarlo. A volte i ricordi fanno brutti scherzi. E qui è tutta una battaglia tra i miei ricordi e i suoi, tra le mie voglie e le sue. Tra la mia stupidità e la sua stronzaggine. Nessuno di noi due dovrebbe essere qui, ma ci siamo. A fare i conti, più di un anno dopo, con i cocci della storia di due ragazzini che nessuno dei due ha mai chiamato amore, ma che lo era. Una storia che era il rifugio dalle nostre ansie e dalle nostre follie. Una storia che, se ci ripenso ora, non mi vengono in mente i suoni osceni dei miei pompini o delle mie urla sotto le sue botte di cazzo, ma i silenzi dei nostri abbracci. Ognuno ha il suo mondo segreto, separato. Ma quella storia era il nostro mondo segreto, di tutti e due, dove amavamo rifugiarci. L’ho sempre pensato e lo penso anche ora.
A Tommy però non è che gliene freghi particolarmente di quello che penso io. Si avvicina intimandomi “apri le gambe” e io le allargo quasi come un automa, come ho sempre fatto con lui. Cerca frenetico il mio ingresso, io ansimo e lo guardo. Ce l’ha durissimo e quando cerca di entrare urlo più per il dolore che per la mia naturale reazione ai maschi che vengono a omaggiarmi. La sua bella mazza non dovrebbe avere segreti, per me. E invece mi fa proprio male, è come se cercasse di spingermi dentro un bastone di legno caldo. Gli grido di aspettare, che così non ce la faccio, ma al tempo stesso muovo il bacino per cercare di farlo entrare. Lo guardo negli occhi, e qui sì che mi spavento. Sembra spiritato, più spiritato di ieri sera, quasi cattivo. Mi sembra di essere scopata da un Tommy che non è Tommy, è un altro che gli assomiglia. La posizione non è proprio quella che permette la penetrazione migliore, ma quando si abbassa sulle ginocchia e rialzandosi di scatto riesce a spingermelo tutto dentro avverto chiaramente la botta e urlo ancora. Gli urlo “stronzo mi fai male!”, ma non gli dico quanto lo sento, quanto mi piace. Risponde “dimmi quanto ti sto sfondando”. Appoggio la testa alla sua spalla e mi aggrappo con le mani alla sua schiena. Non porto le unghie particolarmente lunghe ma sono certa che lo sto graffiando a sangue. Lo mordo soffocando un altro strillo. Ho le lacrime agli occhi e gli piagnucolo “mi stai sfondando”. “Come una troia”, dice lui. “Mi stai sfondando come una troia”, ripeto. E’ la pura verità, del resto. Ogni volta che stavamo insieme, quando passavamo al sesso, mi sentivo la sua troia. Mi piaceva, mi faceva sbroccare. E’ sempre stato così. Adesso invece mi sento molto più troia che sua. Anzi, sua non mi ci sento per niente. Ho soltanto voglia di cazzo.
Già, perché al di fuori di questo nostro gioco crudele ad umiliarci e insultarci, c’è il suo cazzo. Lo sento dentro come forse non l’ho mai sentito. Anzi, togliete il forse. Lo sento come non ho mai sentito nessun altro. E soprattutto godo come nessun altro mi ha mai fatto godere in vita mia. Lo avverto mentre mi prende millimetro per millimetro, mi sembra di sentire la mia vagina che lo stringe e quasi lo impugna, come fosse una mano. Gli ansimo “prendimi”, gli dico “sbattimi, chiavami”, gli urlo “sfondami!”. Non risponde ma mi afferra le chiappe e comincia a darci dentro. Mi alza le gambe e me le fa allacciare dietro la sua schiena. Penso che voglia portarmi in giro così, in camera da letto magari, ma invece la prima cosa che fa è schiantarmi contro al muro. Urlo perché la botta è forte e perché la mia schiena è andata a colpire lo stipite della porta. Fa malissimo ma non me ne frega niente. Ho altro cui pensare, ho altro da godere. Ha il cazzo durissimo e tra un bacio, un morso e uno strillo me lo sto prendendo tutto. E l’unica cosa che desidero è essere giustiziata in questo modo.
Il primo orgasmo ce l’ho nel corridoio. Mentre sì, stavolta sì, mi sta portando in camera da letto. E mi spavento perché è proprio uno di quegli orgasmi che mi portano via, mi fanno perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Ma invece del solito blackout stavolta lo sento tutto, lucidissima come non sono mai stata. Non sento solo il mio corpo iniziare a vibrare, il mio ventre contrarsi, la scossa attraversarmi e poi bum, buio. No, la durata di quella vibrazione e di quella contrazione la sento per intero. Ed è lunghissima. La scossa è lunghissima. Le mie orecchie si riempiono di parole strillate di cui mi vergognerei, di cui mi sono vergognata quelle volte che me le hanno fatte notare. Quello “sfondami la fregna, sborramela” che gli urlo fin quasi a spaccarmi le corde vocali, in un altro momento, mi farebbe accapponare la pelle. Perché lo so che sono volgare quando perdo il controllo, ma sentirsi, averne la consapevolezza piena è un’altra cosa. Avere la consapevolezza che quella supplica corrisponde esattamente a quello di cui ho bisogno adesso è tutta un’altra cosa.
Dopo che mi ha tuffata sul letto e ha continuato a montarmi ho una serie di orgasmi in sequenza da ammazzare chiunque. E accanto a questi, sì lo so che è pazzesco, è come se ricordassi perfettamente ogni nostra singola scopata. Ogni singolo centimetro del suo cazzo che entrava nel mio corpo. Lui non parla, non dice niente. Se non fosse per i miei strilli, nella stanza si sentirebbe solo il suo respiro pesante e il rumore delle carni che sbattono, oltre a quello dello sciacquettio del cazzo nella mia vagina. Il tempo è dilatato, ogni sensazione è dilatata. Dopo un po’ mi fa male. Mi fa male e mi fa bene. E questa in fondo è la metafora perfetta del nostro rapporto. Mi hai sempre fatto male e mi hai sempre fatto bene, Tommy. Sin da quando mi chiedevi di farti un pompino prima di andarti a scopare Benedetta. Per durare di più con lei. Cazzo, all’uscita da scuola…
Improvvisamente, come se si fosse stancato o disinteressato, smette di scoparmi. Esce senza venire. Prende il telefono e inizia a guardare WhatsApp e Instagram come se io non ci fossi. Non so se esserne sollevata o dispiaciuta. Sicuramente sono devastata, ma in ogni caso mi ripiego per prenderglielo in bocca. Anche le mie labbra lo riconoscono, ora, finalmente. Anche la mia lingua. Voglio andare fino in fondo e capire se anche il mio palato riconoscerà il sapore del suo sperma. Mi scopro a compiacermi immensamente del pompino che gli sto facendo, ho letteralmente la bocca invasa da questo piacere. Ma a lui non frega un cazzo nemmeno di questo, mi afferra per i capelli e mi tira su verso di lui. Mi fa male e protesto, mi sento usata e godo. Mentre sbircio il telefono, glielo sego lentamente. Leggo i messaggi dei suoi amici. Sono indecorosi, volgari. Parlano di quello che hanno fatto a quelle due mignotte l’altra sera, le irridono. Io però mi ci rivedo un po’ in quelle due ragazze. Rivedo me con Giovanna, la mia amica. O me con Roberta, quella troia pariolina. Penso che quelli che ci hanno scopate avranno fatto più o meno gli stessi commenti. Mi vergogno. E mentre mi vergogno mi eccito ancora. Gli stringo il cazzo più forte e gli sussurro “ti prego, fottimi, fai qualcosa”. Non solo perché ho voglia di essere fottuta, ma per far scomparire quelle scene dai miei occhi. Perché ho voglia di essere presa da lui che, almeno una volta, mi amava.
Lui sogghigna e apre il messaggio che gli ho mandato ieri notte con la foto del culo e le parole “questo te lo ricordi?”. Posa il telefono e mi gira. Mi ribalta e mi dice quasi con rabbia “e tu questo te lo ricordi?”.
Non c’è bisogno di altro, è tutto implicito. Come in un flash mi scorrono davanti le immagini, lo strazio e persino i dettagli di quella notte in cui abbiamo sfasciato ogni cosa. Non è un pensiero, è l’ennesima e velocissima percezione. Da quella notte ho fatto di tutto senza (quasi) mai pensare a lui. Eppure, ogni suo WhatsApp, ogni sua pur breve telefonata, tutte le volte, tutte le maledette volte, mi hanno sempre ricondotta a lui. Magari solo per un minuto, durante il quale pensavo allo sbaglio che avevamo fatto. Ma lasciando sempre in sospeso la cosa. Adesso mi rendo conto che, senza nemmeno saperlo, non facevo altro che lasciare aperto un piccolo spiraglio. Perché sapete come si dice, il primo amore non si scorda mai. E allo stesso tempo, però, mi rendo anche conto che quella porta si è chiusa, che quello spiraglio non c’è più, che quello che abbiamo rotto non si può aggiustare. Per la prima volta in vita mia mi sento di essere di fronte a un lutto.
Un lutto diverso dal suo, un lutto che lui non sa e non conosce. Non ha la più pallida idea dei miei pensieri, come può averla delle mie percezioni? Siamo come due estranei che seguono due differenti follie. Lui intanto mi monta sopra e mi scopa il culo fino a che non piango. Dopo un po’ mi chiede perché piango. Gli rispondo che non lo so e intanto piango ancora. Piango il mio lutto, ma lui non può capirlo. Mi dice che piango perché mi ha fatto male. Gli dico che non è questo il motivo. Mi chiede allora qual è il motivo. Ma come faccio a spiegarglielo?
Sì, certo, mi ha fatto male. Meno di quanto temessi, ma mi sono comunque inarcata strillando di dolore. E a un certo punto, devo ammettere, mi è anche piaciuto. Ne voglio ancora. Piuttosto che spiegargli perché piango ne voglio ancora.
– Finisci, Tommy – gli mormoro con la voce meno piagnucolosa che riesco a tirare fuori – vai fino in fondo… vai fino in fondo.
Ricomincia più forte di prima, più duro di prima, più cattivo di prima. Adesso parla, adesso mi insulta e dice che sono una rottainculo, adesso vuole sapere a quanti altri l’ho dato. Ma io non ce la faccio a rispondergli, riesco solo a gemere, a strillare, a lamentarmi. Riesco solo ad urlargli “porco bastardo” quando mi spruzza il suo seme nell’intestino. Ma subito dopo gli urlo anche “così, così!” seguendo il ritmo dei suoi spasmi e dei suoi schizzi. Perché il mio fuoco non voleva altro che quello, perché non desideravo altro che essere marchiata.
Si stende ansimante sopra la mia schiena mentre continua a pulsarmi dentro. Io… io non riesco nemmeno a fermare il tremore convulso delle mie gambe. Fa una cosa assurda, incongrua, che non c’entra un cazzo con quello che è stato con me fino a questo momento. Mi cinge con le braccia, stringe forte, sussurra “piccola…” con una dolcezza che non ha mai avuto, ma proprio mai. Un tempo mi sarei rifugiata in quell’abbraccio, ubriaca di piacere. Forse, dopo la nostra rottura, quell’abbraccio mi avrebbe commossa. Ora no, ora ho l’impressione che, mentre io elaboravo il mio lutto, lui mi scopava per allontanare il suo.
Gli domando perché mi chiami “piccola”, una parola che non ha mai usato. Risponde che è perché sono piccola e mi dà un bacio sui capelli. Si alza, dice che deve andare al bagno ma che userà quello di servizio, che mi lascia quello che abbiamo usato prima, che se ho fame posso andare in cucina a vedere se nel frigo c’è qualcosa di cui ho voglia.
Non ho fame, ma in cucina ci vado lo stesso. Apro il frigo e ci trovo Coca Cola, alcolici, bevande energetiche e non so cosa cazzo d’altro. Da mangiare, in realtà, solo una decina di vaschette di insaccati. Prendo una Monster e me la verso. Poi riapro il frigo, afferro una bottiglia di vodka e dentro il bicchiere ci finisce l’equivalente di uno shot. Sento qualcosa che mi cola dal culo giù dritto lungo una gamba, non voglio nemmeno sapere cos’è. Torno nel bagno che abbiamo trasformato in uno stagno e mi ributto dentro la vasca. L’acqua si è raffreddata ma sticazzi, il sollievo che mi dà è immediato, come è immediata la sensazione di pulito che avverto. Esco dalla vasca e do un sorso al bicchiere, recupero il mio telefono e ritorno a letto senza nemmeno asciugarmi.
Ho ancora una voglia assurda di essere scopata, ma Tommy non c’è. Apro l’applicazione di Netflix e mi metto a cercare qualcosa. Vado su Narcos, così almeno resto in tema, no? E’ da prima di Natale che non lo vedo. L’ultima volta fu quando Debbie, la mia amica olandese, mi fece infilare un ovetto vibrante nella vagina e mi disse di andare a vedere la televisione in salotto insieme a mamma e papà. Al solo pensiero di Debbie la fica mi implora di far scendere giù almeno una mano.
Tommy torna in camera che ho appena finito il mio Monster corretto alla vodka. Vede che mi sto facendo un ditalino e mi chiede ridendo se stia guardando Youporn. E’ rimasto amabile, mi chiede persino scusa per essere stato tanto tempo via ma che ha dovuto fare un paio di telefonate. Del fatto che mi abbia beccata così non me ne può fregare di meno. Faccio spallucce e gli rispondo che sto guardando Narcos. In realtà in quel momento sto guardando il suo cazzo che, non so se per merito mio e della scena di masturbazione che gli sto offrendo, sta tornando una stanga.
Mi fa “ancora quella roba?” e io gli dico la prima cazzata che mi passa per la testa, che l’ho scoperta da poco. Ma intanto non smetto di sgrillettarmi. E anche se non distolgo lo sguardo dal display la visione laterale del suo cazzo non mi sfugge. Sale in ginocchio sul letto e avanza verso il mio viso, me lo sbatte sulle labbra e mi dice “chupamelo puta”, scherzando e imitando la voce roca dei protagonisti. Rido allontanandoglielo con una mano e gli replico “ay que no!”, imitando a mia volta l’intonazione delle mignotte colombiane, ma in realtà il gioco mi eccita. E’ un’eccitazione diversa, lontana dal parossismo di poco fa. Me lo risbatte sulle labbra e ripete “chupa!”. Il colpo della cappella sulla bocca mi fa quasi male, ma è invitante. Come sono invitanti i suoi addominali e il suo pube riccioluto, i suoi bei coglioni pronti per essere accarezzati e lappati prima di svuotarsi ancora una volta. Cerco di fare la stronza e di resistere, per puro puntiglio, ma non c’è nulla da fare, ha deciso che è il momento del sesso orale. Si tuffa tra le mie gambe ripiegate, le mie cosce spalancate, e inizia a leccarmela. Anzi più che leccarmela quasi me la mangia, mi dà anche fastidio per come lo fa. Tommy non è mai stato un granché, ve l’ho detto. Ma io sono troppo accesa e ben presto il fastidio diventa piacere, anche se cerco di scacciarlo. Gli dico “stronzo, porco, figlio di puttana, lasciami, voglio vedere come va a finire”. Mi tradisce il fatto che mentre gli dico “stronzo smettila” con una mano gli spingo la testa per non farlo smettere.
Lui, chiaramente, smette. Mi chiede ok, con quel tipo di ieri sera no, ma con quanti altri ragazzi sei stata da quando non ci vediamo? Per la verità dice “quanti cazzi hai preso?”. Rispondo d’istinto, reticente, come sempre sono stata con lui: “Ho avuto una storia con un ragazzo, ma è durata poco”, e penso a Davide. Tommy mi ha sempre raccontato tutto, ferendomi ogni volta con la sua sincerità. Io non gli ho mai detto niente. Perché cominciare adesso? “E basta?”, chiede. “E basta”, rispondo. “Non ci credo – ride sarcastico – una troia come te non ce la vedo… avrai succhiato il cazzo a chiunque… almeno”. Come se niente fosse, terminato di parlare mi infila un dito nella vagina e, per essere un dito, la sensazione di penetrazione che avverto è incredibile. Tiro fuori un miagolio e, insieme a quel miagolio, un “nooo… non sono più così” pronunciato a fatica. Non so nemmeno io perché gli dico questo, probabilmente per mantenere il punto. Ma vero è che dopo che mi ha infilato quel dito non me ne frega più un cazzo di parlare con lui. Il mio tempo delle parole è finito, credesse ciò che vuole. Io voglio solo che continui.
Tommy no. Tommy ha progressivamente smesso di essere amabile. Vuole essere derisorio e insultante quando mi dice “mi sa che con quello sarà anche durata poco ma te lo metteva nel culo tutti i giorni visto come ti sei abituata”. Gli mento ancora e gli sospiro “il culo me l’hai fatto solo tu”. Inizia a uncinare il dito dentro la vagina e mi domanda “e chi ti ha sverginata qui?”. “Tu, sei stato tu”, sussurro cominciando a muovermi e a smaniare. Voglio solo che la pianti e che mi faccia godere, ormai sento distintamente la mia contrazione intorno all’invasore. Ma dura poco, perché quel dito bagnato di me lo sfila dalla fica e lo spinge senza esitazione nel sedere dicendo “solo con me, eh?”. Mi fa ancora male da prima, strillo. Strillo ma lo voglio. Anzi lo voglio da morire. Adesso sono i miei muscoli rettali che si stanno stringendo intorno a quel dito. La testa non ce l’ho più, sbrocco di desiderio. Gli grido che deve mettermi dentro un altro dito, o infilarmici direttamente il cazzo. Ma poiché adesso vuole mangiarmi ancora la fica, la sua scelta ricade sull’altro dito, il medio, spinto fino in fondo a fare compagnia all’anulare. Grido come una pazza, ma godo. Godo e lo insulto. Godo e glielo dico, glielo abbaio proprio che godo: “Godo! Godo, stronzo! Godo!”. Alla fine però, sotto la sua lingua, godo davvero e mi contorco urlando impalata a quella piccola tortura. Ho una tale consapevolezza di quanto il piacere sia incontrollabile che ne sono terrorizzata.
Non c’è nessun tipo di pace, perché io ne voglio ancora e, a questo punto, pure lui. Mi sale tra le gambe e mi trafigge, mi riempie la fica in un colpo solo. Sopra, sotto, di lato, a pecora. Mi gioca come vuole lui senza smettere un attimo di stantuffare. Così come io non smetto per un attimo la mia lagna indecente. E’ una specie di maratona che sembra non finire mai. Non saprei nemmeno da dove cominciare a descrivere questa specie di valanga che mi investe e mi travolge. Non potrei mai spiegare quanto senta ogni sua cellula di carne e nervi dentro ogni mia cellula di carne e nervi, quanto tutto ciò sia al tempo stesso insostenibile e necessario. Ipocrita e sublime. Grido, tremo, strappo le lenzuola, mordo i cuscini e il suo corpo. Ma lo voglio.
Poiché purtroppo abbiamo anche il dono della parola, tra urla, gemiti e grugniti inizia però anche una colluttazione verbale senza senso. Lo derido dicendogli che il cazzo non ce l’ha mai avuto così duro e che se non fosse per quella roba è da un pezzo che avrebbe smesso di fottermi. In un certo senso sta al gioco, perché risponde che prima di tornare in camera da letto si è fatto un altro tiro. Lo irrido ancora, “ti farà male, diventerai impotente”. Si ferma un attimo e ricomincia a chiavarmi come un pazzo, e mentre io guaisco come una cagna mi sfotte pure dicendo “a te però non fa male per niente”. Poi, non lo so perché e probabilmente non lo capirò mai, inizio a gridargli addosso “stronzo, bastardo, sbattimi, sborrami dentro, mettimi incinta”. Mi chiede se ho smesso di prendere la pillola e io gli dico “no ma vediamo se mi metti incinta lo stesso!”. Lo so, lo so, cazzate assurde, ma mi sento così piena di rabbia e di voglia, mi sembra che ogni mia sensazione sia esasperata. E anche lui non è da meno, perché dopo avermi allargato le braccia come per inchiodarmele su una croce, prende a sbattermi ancora più forte e mi rantola sprezzante “pensa che bel figlio di troia nascerebbe”. Gli rispondo per puro istinto di difesa che faccio lo stesso mestiere di sua madre. Di colpo si ferma, smette di scoparmi e grida “tu mia madre la lasci stare!”. Mi ammolla uno sganassone che mi fa voltare la faccia dall’altra parte. Strillo, piango, gli urlo “porco, frocio, puttaniere, mi hai fatto male!”. Me ne dà un altro, anche più forte del primo, e stavolta mi fa male davvero. Stavolta non riesco nemmeno più ad insultarlo. La faccia mi brucia, mi fa male anche il naso perché mi ha colpita pure lì. Riesco solo tirare su il moccio e a dire a fatica “da quando è che picchi le donne?”. E non vedo quasi più un cazzo perché gli occhi mi si riempiono di lacrime.
Si ferma, come se si rendesse conto dell’enormità del suo gesto. Quella notte in cui litigammo e mandammo tutto affanculo, di una cosa tuttavia ero certa, di una sola cosa. Mi dicevo che Tommy non mi avrebbe mai davvero fatto male, non mi avrebbe mai picchiata. E invece no, anche questo non esiste più.
Ma anche io mi rendo conto di ciò che gli ho detto. Vorrei morire.
– Scusa Tommy, non volevo offendere tua madre… scusa, cazzo, scusa, sono una povera stronza, scusa…
– Sei una troia, Annalisa… – dice ansimando, distogliendo lo sguardo – lo sei sempre stata e lo sei rimasta, pensi davvero che creda alle tue cazzate? Ma io ti ho sempre amata e ti amo ancora.
No. Cazzo no, non voglio. Non c’è proprio discussione, non voglio e basta. Vorrei non averlo sentito, vorrei che si ricacciasse in bocca quelle parole. Vorrei che crepasse adesso come suo padre. Esplodi, esplodimi davanti, cazzo. Ti odio, ti odio per quello che mi hai appena detto. Perché detto oggi è uno sfregio.
Si alza dal letto, continuando a rifiutarsi di guardarmi negli occhi. Mi dice “voglio farmi un cannone”. Lo prendo per il culo e gli chiedo “pure? Non sarà troppo?”. Mi risponde “e a te che cazzo te ne frega?” che è già uscito dalla stanza. “E io voglio fare un altro tiro!”, gli urlo dietro quasi disperata. Ritorna indietro e mi fa “davvero?”. Rispondo “davvero” mettendomi in ginocchio sul letto. Faccio una cosa che, solo a raccontarla, mi fa schifo, ma che in questo momento mi è del tutto indifferente. Mi soffio il naso nel lenzuolo, me lo libero dal muco, controllo che non ci sia sangue. Il suo colpo mi fa ancora male.
Si ripresenta segandosi con una mano e con la roba nell’altra. Con un ghigno in faccia. “Vediamo se sei brava”, dice porgendomi una cannuccia tagliata a metà. “Ma che cazzo fai?”, gli domando mentre stende una striscia sull’asta del pisello. “Me l’ha fatto vedere Franco l’altra sera”, risponde. E’ incredibile che resti lì sopra. Forse è la prima volta che guardo un cazzo così gonfio e duro senza desiderarlo. “Tira su e poi succhiamelo, fa’ quello che sai fare meglio”.
Lo faccio, non sono brava ma lo faccio. Devo ripassarci due o tre volte. Quando ho finito mi afferra per la nuca e me lo spinge in bocca. Sento l’amaro della polvere che è rimasta appiccicata sulla pelle. Mi scopa la testa in un colpo solo, altro che succhiarglielo. I conati, i colpi di tosse e l’apnea. Il duro della carne di un maschio in bocca. Tutte cose che mi fanno impazzire, che mi hanno sempre fatta impazzire da quando ho cominciato a fare i pompini. E invece adesso non sento niente, non me ne frega niente. Quando mi molla, e ci vuole un bel po’, lo fa con malagrazia, spingendomi via prima di sparire. Io intanto gli sbavo letteralmente sul letto.
Torna con l’erba, le cartine, l’accendino. Gli domando “quanta me ne hai data?”. “Poca”, risponde rollando un pezzettino di carta per fare il filtro. Non è molto bravo, non mi ricordo di avergli mai visto fare una canna, ci mette parecchio. Durante questo “parecchio” ricomincio a succhiarglielo, perché la voglia mi è tornata. Soprattutto perché lo decido io. Spero solo di avere la forza di fare ciò che ho pensato di fare.
Glielo prendo in mano e gli salgo sopra. Me lo infilo dentro proprio mentre si accende la canna. Per un attimo è puro Nirvana. E’ durissimo e lo sento ovunque. Quella lì è proprio la polvere di Priapo. Resto immobile piagnucolando tutto il mio piacere poi prendo a muovermi piano. Gemo, faccio la lagna e miagolo “oddio quanto mi piace il cazzo”. E chissenefrega se pensa che stia parlando del suo. Allargo due dita per invitarlo a passarmela. Il suo birignao di merda mi sfotte chiedendomi “non hai paura che ti faccia male?”. Gli rispondo come mi ha risposto lui: “E a te che cazzo te ne frega?”.
Faccio un tiro e lo trattengo. Non è particolarmente forte. Mi piego verso di lui. Ha gli occhi spalancati, ma non lo so se mi vede. Lo bacio e gli soffio in bocca il fumo, glielo spingo dentro come tante volte lui mi ci ha spinto il cazzo. Prende un gran respiro per mandarlo giù. Sorride, gli piace, forse per lui è una novità. Mi rialzo e glielo chiedo proprio: “Ti piace?”. Sorride ancora, di più, mi avvicino al suo volto e gli dico che me l’ha fatto un tipo a Londra, era un uomo sposato. In un parco, di notte, prima che glielo succhiassi. E poi gli dico anche che la mattina dopo è salito nella mia stanza e mi si è fatta, mi ha anche inculata. “Sì, ti ho mentito, mi sono fatta scopare da un sacco di ragazzi… e anche uomini… anche uomini sposati come lui, che mi ha fatto il culo e che non è stato il solo. E poi ci sono state anche un paio di ragazze… La fica, scusa, la figaaa, la lecco molto meglio di te, sai?”.
Mi rialzo e aspiro ancora, un tiro lungo. Mi sollevo giusto per un attimo. Gli prendo il cazzo e me lo infilo dietro. Brucia ma fa anche meno male di prima. Mentre si fa strada nel mio intestino riesco solo a sbuffare il fumo per aria e a mordermi il labbro. Mi sento piena fino alla bocca dello stomaco.
– Se me lo avessi detto un anno fa, ti avrei riso in faccia e poi sarei corsa in bagno a piangere di felicità… Ma le cose hanno un loro tempo, Tommy, non te ne rendi conto? Per me non sei nulla… mi stai inculando e mi piace pure… ma potresti essere chiunque… Non me ne frega più un cazzo.
Do un’altra tirata, butto fuori il fumo, chiudo gli occhi per non guardarlo.
– E adesso sbattimi se sei un uomo…
Ore 21,30. Mi rivesto, non ci vuole molto. Tommy è steso sul letto e mi guarda imbambolato. Non ha reagito nemmeno quando gli ho detto “basta, è tardi, e io mi sono rotta il cazzo”. La canotta è rimasta appallottolata nel bagno allagato e col cavolo che si è asciugata. La devo strizzare prima di rimettermela. Sticazzi. Poi i microshorts di tela, i sandali. Le mutandine invece gliele lancio: “Tieni Tommy, sniffa queste che è meglio”. Apro la porta e la richiudo dietro di me con molta circospezione, come se non volessi fare rumore. C’è ancora un po’ di luce, nonostante l’ora. Mi sento addosso la stanchezza e l’annuncio di tutti i dolori che domani verranno a farmi compagnia, ma non me ne frega un cazzo nemmeno di questo. Mi sento più leggera, felice. Molto felice. Come quando il dottore ti dice “sei guarita”.
CONTINUA
E poi Tommy ha preso questo appartamento che, cazzo, pure quello è fuori città. Un posto assurdo sulla Cassia, senza Google maps non l’avrei mai trovato. Quando arrivo davanti al cancello ho i capezzoli che sembrano bucare il tessuto e tra le gambe sono umida. Per tutto il viaggio, un’ora, ho pensato a una cosa sola. Ma non è la stessa che pensate voi.
Non ha preso una casa, sto pazzo, si è preso una villa. Chissà quanto cazzo sta spendendo, non sapevo che su Airbnb si trovassero ste cose. E se quel Grand Cherokee parcheggiato là dentro è suo vuol dire che ha proprio deciso di fare le cose in grande. Suono il campanello. Sotto il sole il caldo è già feroce.
Non faccio quasi in tempo a entrare in casa. Tommy è a torso nudo, con dei pantaloncini indosso, e basta. Sbatte la porta dietro di me. Il salone sembra devastato. Sedie qua e là, poltrone dove non dovrebbero essere, sul tavolo bottiglie su bottiglie e bicchieri. Appoggiate sul bordo superiore di un 48 pollici, delle mutandine da donna. Tommy si accorge che le sto guardando. Gli dico “allora non è vero che non te la sei scopata, quella troia”. Ride e mi dice “ah no, l’altra sera con Matteo e gli altri ci siamo portati qui due rumene”. Ho un sussulto e sto per chiedergli se sono diventati dei puttanieri, lui e i suoi amici. Poi penso alla sera in cui quegli stronzi di Vittorio e Gabriele mi hanno scopata e mi hanno dato quattrocento euro, e lascio perdere. Rifletto piuttosto sul fatto che queste sono state le prime parole che ci siamo detti stamattina. Nemmeno “ciao”. E sempre senza un “ciao”, di colpo, mi mette una mano sulla testa, cerca di spingermi in basso. Dice “dai, vediamo se sei brava come loro”. I pantaloncini non riescono a nascondere la sua incipiente erezione.
Mi divincolo, arretro. Gli dico con rabbia “cazzo, nemmeno un bacio mi hai dato”. Mi guarda con ironia e dice “per te non è mai stato un problema, con o senza bacio… sei diventata schizzinosa?”. Sì, è vero. Non è mai stata una condizione indispensabile, ha ragione. Ma adesso è diventato un puntiglio, Tommy. Ho la fica che sta pulsando, ok, ma senza un bacio non faccio nulla. Voglio un gesto che mi ricordi cosa eravamo. E per quanto assurdo possa sembrare, mi torna in mente quella volta a Bologna che lui mi portò in giro per la città seduta sulla canna della sua bicicletta. Cazzo, mi si sono bagnati anche gli occhi, ora, non solo la fica.
Fa un passo verso di me, minaccioso. Mi fa quasi paura. Metto istintivamente le mani avanti. Piagnucolo “no” quando mi abbassa gli shorts e le mutandine. Piagnucolo ancora “no, ti prego”, ma in realtà vorrei essere più articolata, dirgli che non può farlo, non prima di avermi baciata, non può stuprarmi. Contrariamente alle mie paure, invece, è lui che si inginocchia, che mi sfila tutto, che mi fa allargare le gambe.
Non è stato mai un granché, Tommy, a leccare la fica. Non è che mi dispiacesse quando lo faceva, chiaro. Però davvero, non è nemmeno nella top ten. In questo momento tuttavia mi fa impazzire, mi fa piegare le gambe, mi costringe ad afferrargli i capelli per paura di cadere. Anche se dopo un po’ capisco che non è quello il motivo. E’ che ho voglia che non si fermi.
Fulmineo, inatteso, mi sale dentro e mi conquista, mi fa gridare il nome di lui, mi porta via. Uno degli orgasmi più belli che abbia mai avuto. Disseto Tommy come lui tante volte ha dissetato me. Si rialza e mi abbraccia. E per fortuna, perché sto tremando così tanto che se non lo facesse cadrei per terra. Mi aggrappo a lui. Quasi nemmeno lo sento quando mi dice, con quel suo birignao ducale del cazzo, “andava bene, questo, come bacio?”. Poi mi infila la lingua in bocca, facendomi sentire il mio sapore, con il muso ancora tutto bagnato.
E’ un bacio furibondo, come quelli che ci davamo una volta, quando proprio non ce la facevamo più. Non sono sorpresa, né tantomeno impaurita, dopo un po’ rispondo al bacio con la sua stessa fame. Le nostre menti probabilmente si detestano, le nostre anime sono ormai indifferenti l’una all’altra. Ma per i nostri corpi sembra che tutto questo tempo non sia passato. Si vogliono, si cercano. E’ da ieri sera che si cercano, senza che nemmeno ce ne rendessimo conto. Non c’è più da pensare a niente, ora. Il mio corpo vuole il tuo. E’ solo lui che risponde per me. Io non posso né voglio controllarlo, non voglio controllare nulla. Non avere dubbi o paure, adesso, non pensarci troppo. Fottimi. Fottimi! Mettimi il cazzo dove vuoi. Schiantami in ginocchio e infilamelo in bocca, piegami a novanta e spaccami. Non è che ne ho voglia o bisogno, non è questo il punto. Il punto è che questa è l’unica cosa che c’è al mondo in questo momento.
Inaspettatamente, mi prende in braccio e mi porta via dalla sala. Ha il cazzo che è diventato un pennone, che gli tende i pantaloncini. Gli ansimo addosso e lo guardo, gli sorrido. Portami dove cazzo vuoi, anche il letto va benissimo. Non mi porta sul letto. Apre una porta con un calcio ed entriamo nel bagno. C’è una Jacuzzi, o quel cazzo che è. E’ piena d’acqua quasi fino al bordo. Mi ci lascia cadere dentro ed è proprio splash. Lo faccio io e lo fa l’acqua che straborda e precipita sul pavimento. Gli grido “cazzo!”, lui mi fa “ti avevo preparato il bagnetto”, e si mette a ridere. Mi sfilo la canotta ormai zuppa gridandogli “tu sei scemo, mettila ad asciugare”. Lui la prende e la butta in un angolo, mi fa “aspetta qui”. E prima di andarsene fa partire l’idromassaggio.
Ritorna con le mani occupate. Nella sinistra non vedo bene cosa abbia, anche perché la mia attenzione è concentrata sulla destra, che regge una magnum di champagne. Me la porge e mi dice “vuoi bere?”. Così, a canna, senza bicchiere. Alzo la voce per coprire il rumore e rispondo che non sono nemmeno le dieci e che mi pare un po’ presto. Anche lui alza la voce e mi fa “e non fare la stronza come al solito!”. Poi mi versa mezza bottiglia sulla testa.
E’ gelata, cazzo. Mi dimeno facendo cadere altra acqua sul pavimento. Urlo. O meglio, prima urlo e basta. Poi gli urlo “cazzo faiiii?” e cerco di immergermi per riscaldare la testa e le spalle. Quando riemergo lo vedo che mi sorride e mi dice “e dai, apri la bocca”. Gli sorrido anch’io, gli rispondo “stronzo” e obbedisco. Me lo fa precipitare ovunque. Sui capelli, ancora, sul viso, sul naso e in bocca. Bevo. Poco ma bevo. Sento le bollicine frizzarmi addosso e dentro. Mi metto a ridere, mi adagio nella vasca a godermi il massaggio. Tommy si volta verso il ripiano del lavandino e comincia ad armeggiare, ma non vedo cosa sta facendo. Arrivano dei colpetti ritmati e dopo un po’ si piega. Lo sento distintamente tirare su con il naso. Una volta, due volte. Sbagliarsi non è possibile. Smetto di ridere e gli chiedo “Tommy, che cazzo fai?”.
“Sei abbastanza intelligente per capirlo”, mi risponde voltandosi e continuando a tirare su con il naso. Gli domando “da quando?” abbastanza stupita perché lui non era nemmeno tanto il tipo da cannoni. Dice “dall’altro giorno, vuoi provare?”.
Io non lo so se voglio provare. Quando quella troia di Roberta me la offrì, rifiutai. Ma ora sono indecisa. Spesso, con Tommy, ho fatto cose che non avevo mai fatto prima.
Rispondo che ho paura. E in fondo è come se avessi già cominciato ad accettare. Mi dice che non si diventa mica tossicodipendenti, per un tiro. Gli dico anche che non saprei come tirarla su. Cioè, non come ha fatto lui. Mi fa “torno subito”, scompare. Resto sola con le bolle dell’idromassaggio, ma non sono più tanto rilassata. Mi chiedo se non stia per fare una cazzata e che in fondo faccio sempre in tempo a tirarmi indietro. Ma in realtà non è vero.
Tommy riappare con un cucchiaino piccolo, di quelli da caffè. Spegne l’idromassaggio. Mi tornano in mente le immagini delle serie tv sui narcotrafficanti, che tirano così. Ce ne mette una punta, non mi sembra molta ma nonostante ciò lo guardo con un certo timore. Mi fa “tranquilla” mentre me lo avvicina al naso, mi dice “tira su”. Aspiro forte, mi frizza, mi prude, mi fa venire voglia di starnutire. Tommy mi dice di continuare a tirare con il naso. Reprimere lo starnuto mi fa lacrimare, ma ci riesco. Piagnucolo “mi pizzica” e lui mi tappa la bocca e dice ancora “tira su”. Poi me la stappa e mi chiude il naso con le dita, lo massaggia. Ripete l’operazione con l’altra narice, massaggio del naso compreso. Adesso va meglio. Ma obiettivamente non sento nulla di speciale.
Anzi, ora che lo osservo, una cosa di speciale c’è ed è il suo cazzo inverosimilmente in tiro, buffo sotto i calzoncini. Gli dico quasi ridendo “sono nuda in una vasca da bagno, tu sei duro, e l’unica cosa che riesci a fare è toccarmi il naso…”. Mi risponde “prima ti ho toccato un’altra cosa e non mi pare che ti sia dispiaciuto”. Gli accarezzo il cazzo da sopra il tessuto e gli mormoro “potrei ricambiare?”. “Potevi farlo prima e farmi vedere se sei brava come quelle due troie dell’altra sera… ci sapevano fare sai?”.
Mi incazzo, a questo punto mi incazzo davvero e gli chiedo che cazzo c’entrano e perché continua a tirarle in ballo. Non risponde, mi afferra per un braccio e mi ringhia “vieni fuori”. Strillo, grido che mi fa male ma lui non si ferma, sono costretta ad assecondare la sua volontà. “Che cazzo gridi, ti è sempre piaciuto essere trattata così e adesso gridi?”. Mi spinge giù mentre piagnucolo “mi fai male, stronzo!”. Dopo tutta l’acqua che è schizzata fuori dalla vasca mi sembra di essere inginocchiata in un lago. “Dicevi sempre che non dovevo essere delicato… – mi fa con tono irridente – te lo sei scopato quello, ieri sera?”. “No”, rispondo. “Nemmeno un pompino?”. “No”, mento. “Conoscendoti è strano, come mai?”. “Non mi piace tanto”. “Ci siamo fatte sofisticate? A scuola lo succhiavi a chiunque”. “Non è vero”. “Ahahahah non è vero… A Annalì, l’altra sera eravamo in quattro qui… li hai presi in bocca tutti…”. “Non è vero”. “Ma che cazzo dici… Franco l’hai spompinato?”. “Sì…”. “Matteo?”. “Sì…”. “Luca?”. “Sì…”, ammetto dopo un attimo di esitazione. E’ vero. Quando ero a scuola ho succhiato il cazzo a tutti loro. Prima di conoscere Tommy e anche dopo averlo conosciuto. “Ricordi quella volta che ti ho chiesto se non ti dava fastidio che tutti ti considerassero una troia?”. “Sì…”. “E allora?”.
Già e allora cosa? Cosa c’è, vuoi umiliarmi? Ma perché? “Guarda che degli altri non me ne fregava un cazzo”, gli dico cercando di rialzarmi. Lui però mi tiene giù, in ginocchio, gli basta un’altra spinta sulla testa. “Non te ne fregava però il cazzo glielo prendevi in bocca”. “E tu ti scopavi quella vacca di Benedetta!”.
Ma basta, cazzo, ma che senso ha? Dobbiamo stare ancora qui a rinfacciarci il fatto che abbiamo sfasciato tutto? Non me ne frega più niente.
– Perché mi hai fatta venire qui?
E’ strano domandarglielo così, guardandolo dal basso in alto. Nuda, bagnata, e con il cazzo che gli tende i pantaloncini in primo piano. Potrebbe sembrare una classica scena di sottomissione, ma non lo è per niente.
– Lo sai, no? Per lo stesso motivo per cui venivi da me a Bologna. Sei sempre venuta da me per quello.
Non è vero, lo sa benissimo anche lui che non è vero. Oggi sì, oggi è per quello. Ma prima no, non è stato mai solo per quello. Tuttavia, quando glielo dico, dentro non sento nulla. Come se di colpo mi fossi accorta che, qualsiasi cosa faccia, non può più ferirmi.
– Che aspetti, allora? Dovevi sbattermi appena entrata in casa!
Mi afferra per un braccio (sempre il solito) stringendolo, mi lascia i segni, mi tira su ringhiandomi “quando ti scopo lo decido io”. Mi fa appoggiare al lavandino e si toglie il pantaloncino. Lo vedo svettare, deve essere durissimo, ha la punta tutta scoperta. Qualche tempo fa sarei svenuta dalla voglia. Adesso… boh, adesso non so nemmeno se mi va più tanto. Oddio, sì. Pensandoci bene mi va. Ho proprio l’istinto di rituffarmi in ginocchio e succhiarlo. A volte i ricordi fanno brutti scherzi. E qui è tutta una battaglia tra i miei ricordi e i suoi, tra le mie voglie e le sue. Tra la mia stupidità e la sua stronzaggine. Nessuno di noi due dovrebbe essere qui, ma ci siamo. A fare i conti, più di un anno dopo, con i cocci della storia di due ragazzini che nessuno dei due ha mai chiamato amore, ma che lo era. Una storia che era il rifugio dalle nostre ansie e dalle nostre follie. Una storia che, se ci ripenso ora, non mi vengono in mente i suoni osceni dei miei pompini o delle mie urla sotto le sue botte di cazzo, ma i silenzi dei nostri abbracci. Ognuno ha il suo mondo segreto, separato. Ma quella storia era il nostro mondo segreto, di tutti e due, dove amavamo rifugiarci. L’ho sempre pensato e lo penso anche ora.
A Tommy però non è che gliene freghi particolarmente di quello che penso io. Si avvicina intimandomi “apri le gambe” e io le allargo quasi come un automa, come ho sempre fatto con lui. Cerca frenetico il mio ingresso, io ansimo e lo guardo. Ce l’ha durissimo e quando cerca di entrare urlo più per il dolore che per la mia naturale reazione ai maschi che vengono a omaggiarmi. La sua bella mazza non dovrebbe avere segreti, per me. E invece mi fa proprio male, è come se cercasse di spingermi dentro un bastone di legno caldo. Gli grido di aspettare, che così non ce la faccio, ma al tempo stesso muovo il bacino per cercare di farlo entrare. Lo guardo negli occhi, e qui sì che mi spavento. Sembra spiritato, più spiritato di ieri sera, quasi cattivo. Mi sembra di essere scopata da un Tommy che non è Tommy, è un altro che gli assomiglia. La posizione non è proprio quella che permette la penetrazione migliore, ma quando si abbassa sulle ginocchia e rialzandosi di scatto riesce a spingermelo tutto dentro avverto chiaramente la botta e urlo ancora. Gli urlo “stronzo mi fai male!”, ma non gli dico quanto lo sento, quanto mi piace. Risponde “dimmi quanto ti sto sfondando”. Appoggio la testa alla sua spalla e mi aggrappo con le mani alla sua schiena. Non porto le unghie particolarmente lunghe ma sono certa che lo sto graffiando a sangue. Lo mordo soffocando un altro strillo. Ho le lacrime agli occhi e gli piagnucolo “mi stai sfondando”. “Come una troia”, dice lui. “Mi stai sfondando come una troia”, ripeto. E’ la pura verità, del resto. Ogni volta che stavamo insieme, quando passavamo al sesso, mi sentivo la sua troia. Mi piaceva, mi faceva sbroccare. E’ sempre stato così. Adesso invece mi sento molto più troia che sua. Anzi, sua non mi ci sento per niente. Ho soltanto voglia di cazzo.
Già, perché al di fuori di questo nostro gioco crudele ad umiliarci e insultarci, c’è il suo cazzo. Lo sento dentro come forse non l’ho mai sentito. Anzi, togliete il forse. Lo sento come non ho mai sentito nessun altro. E soprattutto godo come nessun altro mi ha mai fatto godere in vita mia. Lo avverto mentre mi prende millimetro per millimetro, mi sembra di sentire la mia vagina che lo stringe e quasi lo impugna, come fosse una mano. Gli ansimo “prendimi”, gli dico “sbattimi, chiavami”, gli urlo “sfondami!”. Non risponde ma mi afferra le chiappe e comincia a darci dentro. Mi alza le gambe e me le fa allacciare dietro la sua schiena. Penso che voglia portarmi in giro così, in camera da letto magari, ma invece la prima cosa che fa è schiantarmi contro al muro. Urlo perché la botta è forte e perché la mia schiena è andata a colpire lo stipite della porta. Fa malissimo ma non me ne frega niente. Ho altro cui pensare, ho altro da godere. Ha il cazzo durissimo e tra un bacio, un morso e uno strillo me lo sto prendendo tutto. E l’unica cosa che desidero è essere giustiziata in questo modo.
Il primo orgasmo ce l’ho nel corridoio. Mentre sì, stavolta sì, mi sta portando in camera da letto. E mi spavento perché è proprio uno di quegli orgasmi che mi portano via, mi fanno perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Ma invece del solito blackout stavolta lo sento tutto, lucidissima come non sono mai stata. Non sento solo il mio corpo iniziare a vibrare, il mio ventre contrarsi, la scossa attraversarmi e poi bum, buio. No, la durata di quella vibrazione e di quella contrazione la sento per intero. Ed è lunghissima. La scossa è lunghissima. Le mie orecchie si riempiono di parole strillate di cui mi vergognerei, di cui mi sono vergognata quelle volte che me le hanno fatte notare. Quello “sfondami la fregna, sborramela” che gli urlo fin quasi a spaccarmi le corde vocali, in un altro momento, mi farebbe accapponare la pelle. Perché lo so che sono volgare quando perdo il controllo, ma sentirsi, averne la consapevolezza piena è un’altra cosa. Avere la consapevolezza che quella supplica corrisponde esattamente a quello di cui ho bisogno adesso è tutta un’altra cosa.
Dopo che mi ha tuffata sul letto e ha continuato a montarmi ho una serie di orgasmi in sequenza da ammazzare chiunque. E accanto a questi, sì lo so che è pazzesco, è come se ricordassi perfettamente ogni nostra singola scopata. Ogni singolo centimetro del suo cazzo che entrava nel mio corpo. Lui non parla, non dice niente. Se non fosse per i miei strilli, nella stanza si sentirebbe solo il suo respiro pesante e il rumore delle carni che sbattono, oltre a quello dello sciacquettio del cazzo nella mia vagina. Il tempo è dilatato, ogni sensazione è dilatata. Dopo un po’ mi fa male. Mi fa male e mi fa bene. E questa in fondo è la metafora perfetta del nostro rapporto. Mi hai sempre fatto male e mi hai sempre fatto bene, Tommy. Sin da quando mi chiedevi di farti un pompino prima di andarti a scopare Benedetta. Per durare di più con lei. Cazzo, all’uscita da scuola…
Improvvisamente, come se si fosse stancato o disinteressato, smette di scoparmi. Esce senza venire. Prende il telefono e inizia a guardare WhatsApp e Instagram come se io non ci fossi. Non so se esserne sollevata o dispiaciuta. Sicuramente sono devastata, ma in ogni caso mi ripiego per prenderglielo in bocca. Anche le mie labbra lo riconoscono, ora, finalmente. Anche la mia lingua. Voglio andare fino in fondo e capire se anche il mio palato riconoscerà il sapore del suo sperma. Mi scopro a compiacermi immensamente del pompino che gli sto facendo, ho letteralmente la bocca invasa da questo piacere. Ma a lui non frega un cazzo nemmeno di questo, mi afferra per i capelli e mi tira su verso di lui. Mi fa male e protesto, mi sento usata e godo. Mentre sbircio il telefono, glielo sego lentamente. Leggo i messaggi dei suoi amici. Sono indecorosi, volgari. Parlano di quello che hanno fatto a quelle due mignotte l’altra sera, le irridono. Io però mi ci rivedo un po’ in quelle due ragazze. Rivedo me con Giovanna, la mia amica. O me con Roberta, quella troia pariolina. Penso che quelli che ci hanno scopate avranno fatto più o meno gli stessi commenti. Mi vergogno. E mentre mi vergogno mi eccito ancora. Gli stringo il cazzo più forte e gli sussurro “ti prego, fottimi, fai qualcosa”. Non solo perché ho voglia di essere fottuta, ma per far scomparire quelle scene dai miei occhi. Perché ho voglia di essere presa da lui che, almeno una volta, mi amava.
Lui sogghigna e apre il messaggio che gli ho mandato ieri notte con la foto del culo e le parole “questo te lo ricordi?”. Posa il telefono e mi gira. Mi ribalta e mi dice quasi con rabbia “e tu questo te lo ricordi?”.
Non c’è bisogno di altro, è tutto implicito. Come in un flash mi scorrono davanti le immagini, lo strazio e persino i dettagli di quella notte in cui abbiamo sfasciato ogni cosa. Non è un pensiero, è l’ennesima e velocissima percezione. Da quella notte ho fatto di tutto senza (quasi) mai pensare a lui. Eppure, ogni suo WhatsApp, ogni sua pur breve telefonata, tutte le volte, tutte le maledette volte, mi hanno sempre ricondotta a lui. Magari solo per un minuto, durante il quale pensavo allo sbaglio che avevamo fatto. Ma lasciando sempre in sospeso la cosa. Adesso mi rendo conto che, senza nemmeno saperlo, non facevo altro che lasciare aperto un piccolo spiraglio. Perché sapete come si dice, il primo amore non si scorda mai. E allo stesso tempo, però, mi rendo anche conto che quella porta si è chiusa, che quello spiraglio non c’è più, che quello che abbiamo rotto non si può aggiustare. Per la prima volta in vita mia mi sento di essere di fronte a un lutto.
Un lutto diverso dal suo, un lutto che lui non sa e non conosce. Non ha la più pallida idea dei miei pensieri, come può averla delle mie percezioni? Siamo come due estranei che seguono due differenti follie. Lui intanto mi monta sopra e mi scopa il culo fino a che non piango. Dopo un po’ mi chiede perché piango. Gli rispondo che non lo so e intanto piango ancora. Piango il mio lutto, ma lui non può capirlo. Mi dice che piango perché mi ha fatto male. Gli dico che non è questo il motivo. Mi chiede allora qual è il motivo. Ma come faccio a spiegarglielo?
Sì, certo, mi ha fatto male. Meno di quanto temessi, ma mi sono comunque inarcata strillando di dolore. E a un certo punto, devo ammettere, mi è anche piaciuto. Ne voglio ancora. Piuttosto che spiegargli perché piango ne voglio ancora.
– Finisci, Tommy – gli mormoro con la voce meno piagnucolosa che riesco a tirare fuori – vai fino in fondo… vai fino in fondo.
Ricomincia più forte di prima, più duro di prima, più cattivo di prima. Adesso parla, adesso mi insulta e dice che sono una rottainculo, adesso vuole sapere a quanti altri l’ho dato. Ma io non ce la faccio a rispondergli, riesco solo a gemere, a strillare, a lamentarmi. Riesco solo ad urlargli “porco bastardo” quando mi spruzza il suo seme nell’intestino. Ma subito dopo gli urlo anche “così, così!” seguendo il ritmo dei suoi spasmi e dei suoi schizzi. Perché il mio fuoco non voleva altro che quello, perché non desideravo altro che essere marchiata.
Si stende ansimante sopra la mia schiena mentre continua a pulsarmi dentro. Io… io non riesco nemmeno a fermare il tremore convulso delle mie gambe. Fa una cosa assurda, incongrua, che non c’entra un cazzo con quello che è stato con me fino a questo momento. Mi cinge con le braccia, stringe forte, sussurra “piccola…” con una dolcezza che non ha mai avuto, ma proprio mai. Un tempo mi sarei rifugiata in quell’abbraccio, ubriaca di piacere. Forse, dopo la nostra rottura, quell’abbraccio mi avrebbe commossa. Ora no, ora ho l’impressione che, mentre io elaboravo il mio lutto, lui mi scopava per allontanare il suo.
Gli domando perché mi chiami “piccola”, una parola che non ha mai usato. Risponde che è perché sono piccola e mi dà un bacio sui capelli. Si alza, dice che deve andare al bagno ma che userà quello di servizio, che mi lascia quello che abbiamo usato prima, che se ho fame posso andare in cucina a vedere se nel frigo c’è qualcosa di cui ho voglia.
Non ho fame, ma in cucina ci vado lo stesso. Apro il frigo e ci trovo Coca Cola, alcolici, bevande energetiche e non so cosa cazzo d’altro. Da mangiare, in realtà, solo una decina di vaschette di insaccati. Prendo una Monster e me la verso. Poi riapro il frigo, afferro una bottiglia di vodka e dentro il bicchiere ci finisce l’equivalente di uno shot. Sento qualcosa che mi cola dal culo giù dritto lungo una gamba, non voglio nemmeno sapere cos’è. Torno nel bagno che abbiamo trasformato in uno stagno e mi ributto dentro la vasca. L’acqua si è raffreddata ma sticazzi, il sollievo che mi dà è immediato, come è immediata la sensazione di pulito che avverto. Esco dalla vasca e do un sorso al bicchiere, recupero il mio telefono e ritorno a letto senza nemmeno asciugarmi.
Ho ancora una voglia assurda di essere scopata, ma Tommy non c’è. Apro l’applicazione di Netflix e mi metto a cercare qualcosa. Vado su Narcos, così almeno resto in tema, no? E’ da prima di Natale che non lo vedo. L’ultima volta fu quando Debbie, la mia amica olandese, mi fece infilare un ovetto vibrante nella vagina e mi disse di andare a vedere la televisione in salotto insieme a mamma e papà. Al solo pensiero di Debbie la fica mi implora di far scendere giù almeno una mano.
Tommy torna in camera che ho appena finito il mio Monster corretto alla vodka. Vede che mi sto facendo un ditalino e mi chiede ridendo se stia guardando Youporn. E’ rimasto amabile, mi chiede persino scusa per essere stato tanto tempo via ma che ha dovuto fare un paio di telefonate. Del fatto che mi abbia beccata così non me ne può fregare di meno. Faccio spallucce e gli rispondo che sto guardando Narcos. In realtà in quel momento sto guardando il suo cazzo che, non so se per merito mio e della scena di masturbazione che gli sto offrendo, sta tornando una stanga.
Mi fa “ancora quella roba?” e io gli dico la prima cazzata che mi passa per la testa, che l’ho scoperta da poco. Ma intanto non smetto di sgrillettarmi. E anche se non distolgo lo sguardo dal display la visione laterale del suo cazzo non mi sfugge. Sale in ginocchio sul letto e avanza verso il mio viso, me lo sbatte sulle labbra e mi dice “chupamelo puta”, scherzando e imitando la voce roca dei protagonisti. Rido allontanandoglielo con una mano e gli replico “ay que no!”, imitando a mia volta l’intonazione delle mignotte colombiane, ma in realtà il gioco mi eccita. E’ un’eccitazione diversa, lontana dal parossismo di poco fa. Me lo risbatte sulle labbra e ripete “chupa!”. Il colpo della cappella sulla bocca mi fa quasi male, ma è invitante. Come sono invitanti i suoi addominali e il suo pube riccioluto, i suoi bei coglioni pronti per essere accarezzati e lappati prima di svuotarsi ancora una volta. Cerco di fare la stronza e di resistere, per puro puntiglio, ma non c’è nulla da fare, ha deciso che è il momento del sesso orale. Si tuffa tra le mie gambe ripiegate, le mie cosce spalancate, e inizia a leccarmela. Anzi più che leccarmela quasi me la mangia, mi dà anche fastidio per come lo fa. Tommy non è mai stato un granché, ve l’ho detto. Ma io sono troppo accesa e ben presto il fastidio diventa piacere, anche se cerco di scacciarlo. Gli dico “stronzo, porco, figlio di puttana, lasciami, voglio vedere come va a finire”. Mi tradisce il fatto che mentre gli dico “stronzo smettila” con una mano gli spingo la testa per non farlo smettere.
Lui, chiaramente, smette. Mi chiede ok, con quel tipo di ieri sera no, ma con quanti altri ragazzi sei stata da quando non ci vediamo? Per la verità dice “quanti cazzi hai preso?”. Rispondo d’istinto, reticente, come sempre sono stata con lui: “Ho avuto una storia con un ragazzo, ma è durata poco”, e penso a Davide. Tommy mi ha sempre raccontato tutto, ferendomi ogni volta con la sua sincerità. Io non gli ho mai detto niente. Perché cominciare adesso? “E basta?”, chiede. “E basta”, rispondo. “Non ci credo – ride sarcastico – una troia come te non ce la vedo… avrai succhiato il cazzo a chiunque… almeno”. Come se niente fosse, terminato di parlare mi infila un dito nella vagina e, per essere un dito, la sensazione di penetrazione che avverto è incredibile. Tiro fuori un miagolio e, insieme a quel miagolio, un “nooo… non sono più così” pronunciato a fatica. Non so nemmeno io perché gli dico questo, probabilmente per mantenere il punto. Ma vero è che dopo che mi ha infilato quel dito non me ne frega più un cazzo di parlare con lui. Il mio tempo delle parole è finito, credesse ciò che vuole. Io voglio solo che continui.
Tommy no. Tommy ha progressivamente smesso di essere amabile. Vuole essere derisorio e insultante quando mi dice “mi sa che con quello sarà anche durata poco ma te lo metteva nel culo tutti i giorni visto come ti sei abituata”. Gli mento ancora e gli sospiro “il culo me l’hai fatto solo tu”. Inizia a uncinare il dito dentro la vagina e mi domanda “e chi ti ha sverginata qui?”. “Tu, sei stato tu”, sussurro cominciando a muovermi e a smaniare. Voglio solo che la pianti e che mi faccia godere, ormai sento distintamente la mia contrazione intorno all’invasore. Ma dura poco, perché quel dito bagnato di me lo sfila dalla fica e lo spinge senza esitazione nel sedere dicendo “solo con me, eh?”. Mi fa ancora male da prima, strillo. Strillo ma lo voglio. Anzi lo voglio da morire. Adesso sono i miei muscoli rettali che si stanno stringendo intorno a quel dito. La testa non ce l’ho più, sbrocco di desiderio. Gli grido che deve mettermi dentro un altro dito, o infilarmici direttamente il cazzo. Ma poiché adesso vuole mangiarmi ancora la fica, la sua scelta ricade sull’altro dito, il medio, spinto fino in fondo a fare compagnia all’anulare. Grido come una pazza, ma godo. Godo e lo insulto. Godo e glielo dico, glielo abbaio proprio che godo: “Godo! Godo, stronzo! Godo!”. Alla fine però, sotto la sua lingua, godo davvero e mi contorco urlando impalata a quella piccola tortura. Ho una tale consapevolezza di quanto il piacere sia incontrollabile che ne sono terrorizzata.
Non c’è nessun tipo di pace, perché io ne voglio ancora e, a questo punto, pure lui. Mi sale tra le gambe e mi trafigge, mi riempie la fica in un colpo solo. Sopra, sotto, di lato, a pecora. Mi gioca come vuole lui senza smettere un attimo di stantuffare. Così come io non smetto per un attimo la mia lagna indecente. E’ una specie di maratona che sembra non finire mai. Non saprei nemmeno da dove cominciare a descrivere questa specie di valanga che mi investe e mi travolge. Non potrei mai spiegare quanto senta ogni sua cellula di carne e nervi dentro ogni mia cellula di carne e nervi, quanto tutto ciò sia al tempo stesso insostenibile e necessario. Ipocrita e sublime. Grido, tremo, strappo le lenzuola, mordo i cuscini e il suo corpo. Ma lo voglio.
Poiché purtroppo abbiamo anche il dono della parola, tra urla, gemiti e grugniti inizia però anche una colluttazione verbale senza senso. Lo derido dicendogli che il cazzo non ce l’ha mai avuto così duro e che se non fosse per quella roba è da un pezzo che avrebbe smesso di fottermi. In un certo senso sta al gioco, perché risponde che prima di tornare in camera da letto si è fatto un altro tiro. Lo irrido ancora, “ti farà male, diventerai impotente”. Si ferma un attimo e ricomincia a chiavarmi come un pazzo, e mentre io guaisco come una cagna mi sfotte pure dicendo “a te però non fa male per niente”. Poi, non lo so perché e probabilmente non lo capirò mai, inizio a gridargli addosso “stronzo, bastardo, sbattimi, sborrami dentro, mettimi incinta”. Mi chiede se ho smesso di prendere la pillola e io gli dico “no ma vediamo se mi metti incinta lo stesso!”. Lo so, lo so, cazzate assurde, ma mi sento così piena di rabbia e di voglia, mi sembra che ogni mia sensazione sia esasperata. E anche lui non è da meno, perché dopo avermi allargato le braccia come per inchiodarmele su una croce, prende a sbattermi ancora più forte e mi rantola sprezzante “pensa che bel figlio di troia nascerebbe”. Gli rispondo per puro istinto di difesa che faccio lo stesso mestiere di sua madre. Di colpo si ferma, smette di scoparmi e grida “tu mia madre la lasci stare!”. Mi ammolla uno sganassone che mi fa voltare la faccia dall’altra parte. Strillo, piango, gli urlo “porco, frocio, puttaniere, mi hai fatto male!”. Me ne dà un altro, anche più forte del primo, e stavolta mi fa male davvero. Stavolta non riesco nemmeno più ad insultarlo. La faccia mi brucia, mi fa male anche il naso perché mi ha colpita pure lì. Riesco solo tirare su il moccio e a dire a fatica “da quando è che picchi le donne?”. E non vedo quasi più un cazzo perché gli occhi mi si riempiono di lacrime.
Si ferma, come se si rendesse conto dell’enormità del suo gesto. Quella notte in cui litigammo e mandammo tutto affanculo, di una cosa tuttavia ero certa, di una sola cosa. Mi dicevo che Tommy non mi avrebbe mai davvero fatto male, non mi avrebbe mai picchiata. E invece no, anche questo non esiste più.
Ma anche io mi rendo conto di ciò che gli ho detto. Vorrei morire.
– Scusa Tommy, non volevo offendere tua madre… scusa, cazzo, scusa, sono una povera stronza, scusa…
– Sei una troia, Annalisa… – dice ansimando, distogliendo lo sguardo – lo sei sempre stata e lo sei rimasta, pensi davvero che creda alle tue cazzate? Ma io ti ho sempre amata e ti amo ancora.
No. Cazzo no, non voglio. Non c’è proprio discussione, non voglio e basta. Vorrei non averlo sentito, vorrei che si ricacciasse in bocca quelle parole. Vorrei che crepasse adesso come suo padre. Esplodi, esplodimi davanti, cazzo. Ti odio, ti odio per quello che mi hai appena detto. Perché detto oggi è uno sfregio.
Si alza dal letto, continuando a rifiutarsi di guardarmi negli occhi. Mi dice “voglio farmi un cannone”. Lo prendo per il culo e gli chiedo “pure? Non sarà troppo?”. Mi risponde “e a te che cazzo te ne frega?” che è già uscito dalla stanza. “E io voglio fare un altro tiro!”, gli urlo dietro quasi disperata. Ritorna indietro e mi fa “davvero?”. Rispondo “davvero” mettendomi in ginocchio sul letto. Faccio una cosa che, solo a raccontarla, mi fa schifo, ma che in questo momento mi è del tutto indifferente. Mi soffio il naso nel lenzuolo, me lo libero dal muco, controllo che non ci sia sangue. Il suo colpo mi fa ancora male.
Si ripresenta segandosi con una mano e con la roba nell’altra. Con un ghigno in faccia. “Vediamo se sei brava”, dice porgendomi una cannuccia tagliata a metà. “Ma che cazzo fai?”, gli domando mentre stende una striscia sull’asta del pisello. “Me l’ha fatto vedere Franco l’altra sera”, risponde. E’ incredibile che resti lì sopra. Forse è la prima volta che guardo un cazzo così gonfio e duro senza desiderarlo. “Tira su e poi succhiamelo, fa’ quello che sai fare meglio”.
Lo faccio, non sono brava ma lo faccio. Devo ripassarci due o tre volte. Quando ho finito mi afferra per la nuca e me lo spinge in bocca. Sento l’amaro della polvere che è rimasta appiccicata sulla pelle. Mi scopa la testa in un colpo solo, altro che succhiarglielo. I conati, i colpi di tosse e l’apnea. Il duro della carne di un maschio in bocca. Tutte cose che mi fanno impazzire, che mi hanno sempre fatta impazzire da quando ho cominciato a fare i pompini. E invece adesso non sento niente, non me ne frega niente. Quando mi molla, e ci vuole un bel po’, lo fa con malagrazia, spingendomi via prima di sparire. Io intanto gli sbavo letteralmente sul letto.
Torna con l’erba, le cartine, l’accendino. Gli domando “quanta me ne hai data?”. “Poca”, risponde rollando un pezzettino di carta per fare il filtro. Non è molto bravo, non mi ricordo di avergli mai visto fare una canna, ci mette parecchio. Durante questo “parecchio” ricomincio a succhiarglielo, perché la voglia mi è tornata. Soprattutto perché lo decido io. Spero solo di avere la forza di fare ciò che ho pensato di fare.
Glielo prendo in mano e gli salgo sopra. Me lo infilo dentro proprio mentre si accende la canna. Per un attimo è puro Nirvana. E’ durissimo e lo sento ovunque. Quella lì è proprio la polvere di Priapo. Resto immobile piagnucolando tutto il mio piacere poi prendo a muovermi piano. Gemo, faccio la lagna e miagolo “oddio quanto mi piace il cazzo”. E chissenefrega se pensa che stia parlando del suo. Allargo due dita per invitarlo a passarmela. Il suo birignao di merda mi sfotte chiedendomi “non hai paura che ti faccia male?”. Gli rispondo come mi ha risposto lui: “E a te che cazzo te ne frega?”.
Faccio un tiro e lo trattengo. Non è particolarmente forte. Mi piego verso di lui. Ha gli occhi spalancati, ma non lo so se mi vede. Lo bacio e gli soffio in bocca il fumo, glielo spingo dentro come tante volte lui mi ci ha spinto il cazzo. Prende un gran respiro per mandarlo giù. Sorride, gli piace, forse per lui è una novità. Mi rialzo e glielo chiedo proprio: “Ti piace?”. Sorride ancora, di più, mi avvicino al suo volto e gli dico che me l’ha fatto un tipo a Londra, era un uomo sposato. In un parco, di notte, prima che glielo succhiassi. E poi gli dico anche che la mattina dopo è salito nella mia stanza e mi si è fatta, mi ha anche inculata. “Sì, ti ho mentito, mi sono fatta scopare da un sacco di ragazzi… e anche uomini… anche uomini sposati come lui, che mi ha fatto il culo e che non è stato il solo. E poi ci sono state anche un paio di ragazze… La fica, scusa, la figaaa, la lecco molto meglio di te, sai?”.
Mi rialzo e aspiro ancora, un tiro lungo. Mi sollevo giusto per un attimo. Gli prendo il cazzo e me lo infilo dietro. Brucia ma fa anche meno male di prima. Mentre si fa strada nel mio intestino riesco solo a sbuffare il fumo per aria e a mordermi il labbro. Mi sento piena fino alla bocca dello stomaco.
– Se me lo avessi detto un anno fa, ti avrei riso in faccia e poi sarei corsa in bagno a piangere di felicità… Ma le cose hanno un loro tempo, Tommy, non te ne rendi conto? Per me non sei nulla… mi stai inculando e mi piace pure… ma potresti essere chiunque… Non me ne frega più un cazzo.
Do un’altra tirata, butto fuori il fumo, chiudo gli occhi per non guardarlo.
– E adesso sbattimi se sei un uomo…
Ore 21,30. Mi rivesto, non ci vuole molto. Tommy è steso sul letto e mi guarda imbambolato. Non ha reagito nemmeno quando gli ho detto “basta, è tardi, e io mi sono rotta il cazzo”. La canotta è rimasta appallottolata nel bagno allagato e col cavolo che si è asciugata. La devo strizzare prima di rimettermela. Sticazzi. Poi i microshorts di tela, i sandali. Le mutandine invece gliele lancio: “Tieni Tommy, sniffa queste che è meglio”. Apro la porta e la richiudo dietro di me con molta circospezione, come se non volessi fare rumore. C’è ancora un po’ di luce, nonostante l’ora. Mi sento addosso la stanchezza e l’annuncio di tutti i dolori che domani verranno a farmi compagnia, ma non me ne frega un cazzo nemmeno di questo. Mi sento più leggera, felice. Molto felice. Come quando il dottore ti dice “sei guarita”.
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