I cessi della stazione
di
Adelina69
genere
pulp
Sono seduto su questa dannata panchina, in questa stazione, davanti ai cessi pubblici.
Tra non molto qualcuno vedrà quello che c’è li dentro, chiamerà la polizia, che poi vedendomi, mi porterà via, e molto probabilmente passerò il resto della mia vita in galera.
Vi chiederete perché resto qui ad aspettare, perché non fuggo via.
Perché sono stufo di scappare, di avere a che fare con questa merda, di lottare ogni giorno per non morire.
Perché se non mi ferma qualcuno quella sarà la mia fine.
Ho iniziato a farmi le pere venti anni fa, quando ero poco più che tredicenne. Nel palazzone dove stavo, tutti si facevano, e tutti erano impegnati nello smercio dell’eroina.
“ogni dieci buste che piazzi due sono per te”.
Questo era il ritornello che ci ammaliava, e ci obbligava, ogni giorno a smerciare, per poterci soddisfare.
Una trappola perfetta, da cui non sono mai riuscito a svicolare.
Poi sono cresciuto, e con me anche il mio ruolo nell’organizzazione criminale.
Vedevo i miei amici morire, chi di overdose, altri in qualche conflitto a fuoco, con la polizia, o contro qualche altra banda di spacciatori.
Poi un giorno, forse per l’approssimarsi di qualche tornata elettorale, il grande giro di vite della giustizia, con le forze speciali impiegate, e la mega retata, a smantellare e portare tutti quanti nelle patrie galere.
Ero andato a fare una consegna. Mezzo chilo di cocaina ad un nostro spacciatore che lavorava nei quartieri benestanti, e quando feci rientro, da lontano vidi i lampeggianti, le strade sbarrate.
Avevo ventimila euro e l’unica alternativa di scappare. Me ne venni su al nord, da certi parenti di mia madre, che sapevo essere stati dei poco di buono, gente di cui mi potevo fidare.
Per un po’ mi hanno dato rifugio, e poi quando ho capito che nessuno mi cercava, e che gli altri erano stati tutti arrestati me ne sono andato per i fatti miei.
Nel frattempo, un po’ per tenermi fuori dai guai, e un po’ perché mi ero stufato avevo smesso di farmi.
I primi giorni è stata dura, pensavo di impazzire, ma poi l’ho superata e per un po’ sono stato pulito.
Mi ero trasferito in una camera in subaffitto da una signora, eravamo in tre coinquilini, e io gironzolavo, facendo finta di cercarmi un lavoro.
Poi un giorno conobbi una ragazza, abitava al piano di sotto. La incontravo ogni tanto in ascensore, oppure la vedevo al bar sotto casa, con qualche amica, e un gruppo di ragazzotti, il cui modo di fare per me tradiva, una certa propensione per gli stupefacenti.
Come spesso accade, per chi è soggiogato dalla maledizione dell’eroina, si fa presto a fare comunella, e come se ci fosse un campo magnetico, ci si attrae come calamite.
Ci siamo messi insieme, e dopo qualche giorno abbiamo scoperto questa nostra comune attrattiva, lei si era già fatta qualche pera con i suoi amici, ed è stato un lampo ricominciare.
Abbiamo preso in affitto un monolocale in un sobborgo dormitorio, e ben presto la nostra vita è diventata
un circolo vizioso al cui centro gravitazionale, le droghe di tutti i tipi sono diventate il fulcro esistenziale.
Abbiamo sempre avuto una grande intesa sessuale, le due cose che ci hanno accomunato e rovinato, il sesso e l’eroina.
Scopavamo in continuazione, almeno fino a quando lo sballo non ci ha del tutto estraniati dal mondo reale.
A lei piaceva essere leccata, e poi presa con dolcezza, lunghi amplessi delicati, al culmine dei quali mi regalava lunghi orgasmi appassionati, sentivo il suo fiato e il respiro affannato sul mio collo, mentre le mordevo il muscolo della spalla.
Adorava essere morsicata, al culmine del piacere, qualche volta anche a sangue.
Portava con fierezza i lividi violacei a forma di dentiera sulle spalle, quando qualcuno incuriosito chiedeva spiegazioni, rispondeva di stare con un licantropo, uno che quando la scopava la mordeva, la faceva godere fino a quasi morire.
Poi dopo un periodo più meno equilibrato ci siamo sprofondati nella perdizione più cupa e inquieta.
Il bisogno di soldi ha preso il sopravvento, e lei ha iniziato a scopare in giro, per rimediare denaro.
Quando si percorre un cammino in discesa, il grosso rischio è che l’erta diventi sempre più ripida, che dopo un po’ non ci sia più modo di frenare.
Si inizia ad incontrare gente sempre peggiore, spesso non si tratta di cattiveria, forse il bene e il male nemmeno esistono, sono solo persone che ormai non ti vedono più come un essere umano, ma come una delle tante opportunità per sopravvivere.
Ormai strafatto restavo tutto il giorno in casa, in attesa della mia dose, mentre lei si intrufolava sempre di più nel mondo sordido della prostituzione.
L’ultimo stadio, fare pompini nei cessi della stazione.
Poi una sera non fece più ritorno, restai due giorni ad aspettarla, poi la crisi di astinenza mi stava per ammazzare e dovetti uscire.
Vagai senza sapere dove andare, e poi passando davanti ad una edicola vidi la sua foto in una locandina, sotto c’era scritto: prostituta tossicodipendente trovata morta in un campo in periferia, si indaga nel giro dei clienti e degli spacciatori.
Per qualche oscuro mistero nessuno mi venne a cercare, in teoria avrei dovuto essere uno dei primi ad essere, se non sospettato, almeno interrogato.
Deduco che la polizia non sta indagando sull’omicidio. L’hanno considerata un rifiuto umano, forse addirittura pensano che chi l’ha ammazzata ci abbia liberato da un inutile parassita,che non valga la pena di perdere tempo.
Decido che il resto della mia vita, per quel poco che ancora valeva, lo dedicherò per trovare il suo assassino,
sarà l’unico modo per dare un senso alla mia sordida esistenza.
Torno a casa e trovo il cellulare, l’aveva dimenticato, è sotto ad un mucchio di panni sporchi, nemmeno si sono chiesti come mai non l’avesse con sé.
L’accendo e trovo una serie di messaggi, ad un certo Tony, e da quello che leggo deduco che lo stesse ricattando.
Di nascosto aveva fatto delle foto mentre glielo succhiava, si vede che è dentro il cesso della stazione, minacciava di mandare le foto alla moglie, ai suoi colleghi di lavoro.
Forse lo aveva seguito e aveva scoperto tutto quello che serviva.
Poi la velata minaccia di lui che dice, attenta potresti finire molto male.
C’è anche la data e l’ora dell’appuntamento in cui lui dice che le avrebbe dato i soldi, qualche ora prima di cui hanno stabilito che sia stata ammazzata.
So di avere in pugno l’assassino, lo potrei denunciare, oppure a mia volta ricattare, ma prima lo voglio trovare.
Devo iniziare a frequentare quei cessi, sono un tossico, ci andrò per far pompini, nessuno potrà mai sospettare.
Inizio a chiedere dopo qualche giorno, se qualcuno conosce Tony, all’inizio come sempre c’è omertà.
Poi una nigeriana grassa e tossica all’ultimo stadio, mi dice di conoscerlo, me lo descrive, viene tutte le settimane di giovedi sera.
La descrizione corrisponde alle foto del cellulare, gliele mostro e lei lo riconosce, mi dice, era il cliente fisso di quella tossica bianca e magra che hanno ritrovato morta, però ora che ci penso, da allora non si è più fatto rivedere.
E un ombra di sospetto e paura le attraversa lo sguardo, ma poi come sempre in questi ambienti, decide di farsi i fatti propri, da lei non avrei ottenuto altro.
Penso che quasi tutti abbiano la propria dipendenza, ed il sesso consumato in ambienti sordidi, con persone border line, sia alla stessa stregua di quella dell’eroina, e che presto a tardi si sarebbe ripresentato.
Nel frattempo, l’impegno nella ricerca mi distoglie dal bisogno di eroina, con i soldi che racimolo nei cessi della stazione, da un tizio che conosco che traffica in armi rubate, mi compro una vecchia Luger con la matricola abrasa.
Ormai sono venti giorni che bazzico la stazione, ho nascosto la pistola in un buco nel muro sotto al lavandino, occultata da una piastrella solo appoggiata, sto iniziando a pensare che abbia cambiato abitudini, probabilmente teme di essere scoperto per l’omicidio che ha commesso.
Quando sto per perdere la speranza, inizia a frequentare il cesso una tossica, bianca, magra, un po’ avanti negli anni, e allora mi si riaccende la speranza.
Magari il motivo della sparizione è che sia attratto da un particolare tipo di prostituta, stava solo aspettando che ne arrivasse una confacente al suo particolare modello di perversione.
Infatti dopo qualche giorno, una mattina, la nigeriana mi dice che, “quel tipo che stai cercando”, è ritornato.
Ha chiesto della tossica bianca, ma lei viene solo alla mattina,”può darsi , se hai fortuna si faccia rivedere”.
Una settimana dopo si compie il mio destino.
Tony verso le undici arriva, e entra nel cesso cercando con lo sguardo la tossica da cui vuole farsi fare un pompino.
Lo stavo aspettando seduto sulla panchina,ed entro, vado al lavandino e inizio a lavarmi le mani, sotto c’è la Luger che mi aspetta.
La tossica sta facendo una sega ad un vecchio davanti al pisciatoio, si guardano per un attimo, e lei si affretta, sapendo che un nuovo cliente sta aspettando che lo faccia sborrare.
Il vecchio viene con un rantolo soffocato, e lei dopo averglielo menato ancora per qualche istante, si avvicina al lavandino, si sciacqua veloce le mani, e poi si avvicina a Tony, parlottano piano, e si infilano dentro ad un cesso chiudendo la porta.
Tiro fuori la Luger dal suo buco, scarrello mettendo il colpo in canna, ed entro nel cesso a fianco, salgo sulla tazza e sporgendo la testa al di là del muretto li vedo.
Tony ha abbassato i calzoni e le mutande fino alle ginocchia, mentre la tossica gli sta succhiando il cazzo.
Ha un cazzino da bambinetto, e lei lo fa sparire tutto il bocca, comprese le palle, lui le tiene la testa con le mani, dirige il ritmo della succhiata.
Sporgo il braccio al di là del muretto, e con la pistola a dieci centimetri dalla testa di Tony sparo il primo colpo.
Un grosso schizzo di sangue e cervello mi colpisce in pieno volto, mentre Tony cade a sedere sul cesso morto stecchito.
La tossica alza lo sguardo, mi vede e inizia a gridare.
Sparo una seconda volta, e la colpisco in pieno volto, poi mentre cade in avanti addosso a Tony con un altro colpo le buco la schiena, tra le scapole.
Esco dal cesso, ed un grassone esce dal terzo cesso dove stava scopando con la nigeriana.
Lo colpisco due volte, in pieno petto e nella panza enorme, poi guardo nel cesso, dove la nigeriana mi guarda terrorizzata seduta sulla tazza con le cosce spalancate.
Sparo altre due volte, senza capire cosa colpisco, mi giro e vedo il vecchio maiale, che nel frattempo aveva ricominciato a segarsi, probabilmente eccitato dall’idea di quegli altri che scopavano dentro ai cessi.
Mi guarda stranito con il cazzo in mano, senza pensare a cosa colpisco gli scarico addosso tutto il caricatore.
Getto la Luger in terra, dappertutto c’è sangue, sono tutto sporco, gli schizzi mi hanno ricoperto il volto e le scarpe, macchiato i pantaloni.
Osservo quei corpi immobili, forse ho liberato le loro tristi esistenze da ulteriori inutili sofferenze, esco dal cesso, mi siedo su questa panchina, ed inizio ad aspettare.
Tra non molto qualcuno vedrà quello che c’è li dentro, chiamerà la polizia, che poi vedendomi, mi porterà via, e molto probabilmente passerò il resto della mia vita in galera.
Vi chiederete perché resto qui ad aspettare, perché non fuggo via.
Perché sono stufo di scappare, di avere a che fare con questa merda, di lottare ogni giorno per non morire.
Perché se non mi ferma qualcuno quella sarà la mia fine.
Ho iniziato a farmi le pere venti anni fa, quando ero poco più che tredicenne. Nel palazzone dove stavo, tutti si facevano, e tutti erano impegnati nello smercio dell’eroina.
“ogni dieci buste che piazzi due sono per te”.
Questo era il ritornello che ci ammaliava, e ci obbligava, ogni giorno a smerciare, per poterci soddisfare.
Una trappola perfetta, da cui non sono mai riuscito a svicolare.
Poi sono cresciuto, e con me anche il mio ruolo nell’organizzazione criminale.
Vedevo i miei amici morire, chi di overdose, altri in qualche conflitto a fuoco, con la polizia, o contro qualche altra banda di spacciatori.
Poi un giorno, forse per l’approssimarsi di qualche tornata elettorale, il grande giro di vite della giustizia, con le forze speciali impiegate, e la mega retata, a smantellare e portare tutti quanti nelle patrie galere.
Ero andato a fare una consegna. Mezzo chilo di cocaina ad un nostro spacciatore che lavorava nei quartieri benestanti, e quando feci rientro, da lontano vidi i lampeggianti, le strade sbarrate.
Avevo ventimila euro e l’unica alternativa di scappare. Me ne venni su al nord, da certi parenti di mia madre, che sapevo essere stati dei poco di buono, gente di cui mi potevo fidare.
Per un po’ mi hanno dato rifugio, e poi quando ho capito che nessuno mi cercava, e che gli altri erano stati tutti arrestati me ne sono andato per i fatti miei.
Nel frattempo, un po’ per tenermi fuori dai guai, e un po’ perché mi ero stufato avevo smesso di farmi.
I primi giorni è stata dura, pensavo di impazzire, ma poi l’ho superata e per un po’ sono stato pulito.
Mi ero trasferito in una camera in subaffitto da una signora, eravamo in tre coinquilini, e io gironzolavo, facendo finta di cercarmi un lavoro.
Poi un giorno conobbi una ragazza, abitava al piano di sotto. La incontravo ogni tanto in ascensore, oppure la vedevo al bar sotto casa, con qualche amica, e un gruppo di ragazzotti, il cui modo di fare per me tradiva, una certa propensione per gli stupefacenti.
Come spesso accade, per chi è soggiogato dalla maledizione dell’eroina, si fa presto a fare comunella, e come se ci fosse un campo magnetico, ci si attrae come calamite.
Ci siamo messi insieme, e dopo qualche giorno abbiamo scoperto questa nostra comune attrattiva, lei si era già fatta qualche pera con i suoi amici, ed è stato un lampo ricominciare.
Abbiamo preso in affitto un monolocale in un sobborgo dormitorio, e ben presto la nostra vita è diventata
un circolo vizioso al cui centro gravitazionale, le droghe di tutti i tipi sono diventate il fulcro esistenziale.
Abbiamo sempre avuto una grande intesa sessuale, le due cose che ci hanno accomunato e rovinato, il sesso e l’eroina.
Scopavamo in continuazione, almeno fino a quando lo sballo non ci ha del tutto estraniati dal mondo reale.
A lei piaceva essere leccata, e poi presa con dolcezza, lunghi amplessi delicati, al culmine dei quali mi regalava lunghi orgasmi appassionati, sentivo il suo fiato e il respiro affannato sul mio collo, mentre le mordevo il muscolo della spalla.
Adorava essere morsicata, al culmine del piacere, qualche volta anche a sangue.
Portava con fierezza i lividi violacei a forma di dentiera sulle spalle, quando qualcuno incuriosito chiedeva spiegazioni, rispondeva di stare con un licantropo, uno che quando la scopava la mordeva, la faceva godere fino a quasi morire.
Poi dopo un periodo più meno equilibrato ci siamo sprofondati nella perdizione più cupa e inquieta.
Il bisogno di soldi ha preso il sopravvento, e lei ha iniziato a scopare in giro, per rimediare denaro.
Quando si percorre un cammino in discesa, il grosso rischio è che l’erta diventi sempre più ripida, che dopo un po’ non ci sia più modo di frenare.
Si inizia ad incontrare gente sempre peggiore, spesso non si tratta di cattiveria, forse il bene e il male nemmeno esistono, sono solo persone che ormai non ti vedono più come un essere umano, ma come una delle tante opportunità per sopravvivere.
Ormai strafatto restavo tutto il giorno in casa, in attesa della mia dose, mentre lei si intrufolava sempre di più nel mondo sordido della prostituzione.
L’ultimo stadio, fare pompini nei cessi della stazione.
Poi una sera non fece più ritorno, restai due giorni ad aspettarla, poi la crisi di astinenza mi stava per ammazzare e dovetti uscire.
Vagai senza sapere dove andare, e poi passando davanti ad una edicola vidi la sua foto in una locandina, sotto c’era scritto: prostituta tossicodipendente trovata morta in un campo in periferia, si indaga nel giro dei clienti e degli spacciatori.
Per qualche oscuro mistero nessuno mi venne a cercare, in teoria avrei dovuto essere uno dei primi ad essere, se non sospettato, almeno interrogato.
Deduco che la polizia non sta indagando sull’omicidio. L’hanno considerata un rifiuto umano, forse addirittura pensano che chi l’ha ammazzata ci abbia liberato da un inutile parassita,che non valga la pena di perdere tempo.
Decido che il resto della mia vita, per quel poco che ancora valeva, lo dedicherò per trovare il suo assassino,
sarà l’unico modo per dare un senso alla mia sordida esistenza.
Torno a casa e trovo il cellulare, l’aveva dimenticato, è sotto ad un mucchio di panni sporchi, nemmeno si sono chiesti come mai non l’avesse con sé.
L’accendo e trovo una serie di messaggi, ad un certo Tony, e da quello che leggo deduco che lo stesse ricattando.
Di nascosto aveva fatto delle foto mentre glielo succhiava, si vede che è dentro il cesso della stazione, minacciava di mandare le foto alla moglie, ai suoi colleghi di lavoro.
Forse lo aveva seguito e aveva scoperto tutto quello che serviva.
Poi la velata minaccia di lui che dice, attenta potresti finire molto male.
C’è anche la data e l’ora dell’appuntamento in cui lui dice che le avrebbe dato i soldi, qualche ora prima di cui hanno stabilito che sia stata ammazzata.
So di avere in pugno l’assassino, lo potrei denunciare, oppure a mia volta ricattare, ma prima lo voglio trovare.
Devo iniziare a frequentare quei cessi, sono un tossico, ci andrò per far pompini, nessuno potrà mai sospettare.
Inizio a chiedere dopo qualche giorno, se qualcuno conosce Tony, all’inizio come sempre c’è omertà.
Poi una nigeriana grassa e tossica all’ultimo stadio, mi dice di conoscerlo, me lo descrive, viene tutte le settimane di giovedi sera.
La descrizione corrisponde alle foto del cellulare, gliele mostro e lei lo riconosce, mi dice, era il cliente fisso di quella tossica bianca e magra che hanno ritrovato morta, però ora che ci penso, da allora non si è più fatto rivedere.
E un ombra di sospetto e paura le attraversa lo sguardo, ma poi come sempre in questi ambienti, decide di farsi i fatti propri, da lei non avrei ottenuto altro.
Penso che quasi tutti abbiano la propria dipendenza, ed il sesso consumato in ambienti sordidi, con persone border line, sia alla stessa stregua di quella dell’eroina, e che presto a tardi si sarebbe ripresentato.
Nel frattempo, l’impegno nella ricerca mi distoglie dal bisogno di eroina, con i soldi che racimolo nei cessi della stazione, da un tizio che conosco che traffica in armi rubate, mi compro una vecchia Luger con la matricola abrasa.
Ormai sono venti giorni che bazzico la stazione, ho nascosto la pistola in un buco nel muro sotto al lavandino, occultata da una piastrella solo appoggiata, sto iniziando a pensare che abbia cambiato abitudini, probabilmente teme di essere scoperto per l’omicidio che ha commesso.
Quando sto per perdere la speranza, inizia a frequentare il cesso una tossica, bianca, magra, un po’ avanti negli anni, e allora mi si riaccende la speranza.
Magari il motivo della sparizione è che sia attratto da un particolare tipo di prostituta, stava solo aspettando che ne arrivasse una confacente al suo particolare modello di perversione.
Infatti dopo qualche giorno, una mattina, la nigeriana mi dice che, “quel tipo che stai cercando”, è ritornato.
Ha chiesto della tossica bianca, ma lei viene solo alla mattina,”può darsi , se hai fortuna si faccia rivedere”.
Una settimana dopo si compie il mio destino.
Tony verso le undici arriva, e entra nel cesso cercando con lo sguardo la tossica da cui vuole farsi fare un pompino.
Lo stavo aspettando seduto sulla panchina,ed entro, vado al lavandino e inizio a lavarmi le mani, sotto c’è la Luger che mi aspetta.
La tossica sta facendo una sega ad un vecchio davanti al pisciatoio, si guardano per un attimo, e lei si affretta, sapendo che un nuovo cliente sta aspettando che lo faccia sborrare.
Il vecchio viene con un rantolo soffocato, e lei dopo averglielo menato ancora per qualche istante, si avvicina al lavandino, si sciacqua veloce le mani, e poi si avvicina a Tony, parlottano piano, e si infilano dentro ad un cesso chiudendo la porta.
Tiro fuori la Luger dal suo buco, scarrello mettendo il colpo in canna, ed entro nel cesso a fianco, salgo sulla tazza e sporgendo la testa al di là del muretto li vedo.
Tony ha abbassato i calzoni e le mutande fino alle ginocchia, mentre la tossica gli sta succhiando il cazzo.
Ha un cazzino da bambinetto, e lei lo fa sparire tutto il bocca, comprese le palle, lui le tiene la testa con le mani, dirige il ritmo della succhiata.
Sporgo il braccio al di là del muretto, e con la pistola a dieci centimetri dalla testa di Tony sparo il primo colpo.
Un grosso schizzo di sangue e cervello mi colpisce in pieno volto, mentre Tony cade a sedere sul cesso morto stecchito.
La tossica alza lo sguardo, mi vede e inizia a gridare.
Sparo una seconda volta, e la colpisco in pieno volto, poi mentre cade in avanti addosso a Tony con un altro colpo le buco la schiena, tra le scapole.
Esco dal cesso, ed un grassone esce dal terzo cesso dove stava scopando con la nigeriana.
Lo colpisco due volte, in pieno petto e nella panza enorme, poi guardo nel cesso, dove la nigeriana mi guarda terrorizzata seduta sulla tazza con le cosce spalancate.
Sparo altre due volte, senza capire cosa colpisco, mi giro e vedo il vecchio maiale, che nel frattempo aveva ricominciato a segarsi, probabilmente eccitato dall’idea di quegli altri che scopavano dentro ai cessi.
Mi guarda stranito con il cazzo in mano, senza pensare a cosa colpisco gli scarico addosso tutto il caricatore.
Getto la Luger in terra, dappertutto c’è sangue, sono tutto sporco, gli schizzi mi hanno ricoperto il volto e le scarpe, macchiato i pantaloni.
Osservo quei corpi immobili, forse ho liberato le loro tristi esistenze da ulteriori inutili sofferenze, esco dal cesso, mi siedo su questa panchina, ed inizio ad aspettare.
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