Testardo come un montone
di
PifferaioMagico
genere
etero
Avevo conosciuto Mauve Seydoux alla presentazione della sua linea di borse a secchiello «in pelle morbida e robusta». Non immaginavo che mi sarei inerpicato in una relazione dove il sesso, fisico e mentale, sarebbe stato l'elemento centrale delle nostre giornate. Anzi, dominante.
– Lei mi ricorda un mio ex fidanzato spagnolo – mi aveva detto dopo qualche minuto, provando a testare le mie reazioni.
Francese nei modi e italiana di adozione, Mauve non voleva che passassimo le notti insieme, ma pretendeva che almeno due volte al giorno i nostri corpi si fondessero in un'unica entità psico-energetica. Comme d'habitude, tutto ciò avveniva nel suo attico-laboratorio di Piazza dei Quiriti, a poche centinaia di metri dalle mura Vaticane.
– I tuoi capelli sono rossi naturali? – avevo chiesto, vedendola strofinarsi le lunghe chiome fuori dalla doccia.
40enne dal fisico asciutto ma tonico, Mauve aveva deciso di insegnarmi i fondamenti del romanticismo d'altri tempi, convinta che la mia educazione sentimentale fosse simile, parole sue, a quella di un «mouton».
– Se io sono un montone – avevo provato a scherzare – allora tu puoi essere la mia pecorella smarrita.
Per punizione avevo dovuto leccarle entrambi gli stivali, ancora impolverati dalla calura serale del Lungotevere di fine agosto. E subito dopo, tra le risate reciproche, stenderle un intero bucato di biancheria intima sulla veranda interna, mentre lei assetata di dominazione mi guardava sorseggiando un gin tonic.
I nostri giochi di sadismo a corrente alternata erano in realtà un preliminare malizioso, senza cattiverie né intenzioni restrittive. Entrambi eravamo convinti che l'attrazione magnetica dei nostri organi sessuali venisse maggiormente esaltata da momenti «trasversalmente dinamici», da sconfinamenti nelle ingenue pratiche della sottomissione, necessari a riequilibrare le pressioni quotidiane.
Sia io che MM (Mademoiselle Mauve) vestivamo sul lavoro un ruolo professionale di comando. Io nella mia multinazionale debordante di inutili sotto-manager raccomandati, buoni solo a leccare il culo in senso metaforico e non solo. Lei nella sua azienda di accessori ad alto lusso, transalpina in un mondo di latini mai sinceri, riparata dietro le sue barriere valoriali fuori moda. Per questo la nostra relazione fuori dai binari coniugali, era in realtà un lasciapassare per il Paradiso, dove l'Inferno era il punto di partenza e il Purgatorio un torrente di montagna dove tuffarsi al termine di giornate tropicali.
Quella sera Mauve aveva ricevuto un intenso mazzo di rose multicolore, come gesto da uno sconosciuto. Lei si aspettava che io le facessi una scenata di gelosia, mentre a me divertiva che altri cazzi speranzosi le girassero intorno come delfini in cerca di attenzioni. Come al solito non avevo capito nulla: il labirinto mentale femminile continuava a essere per me terreno impervio e a tratti sconosciuto.
– Ora ti scordi la solita scopata – aveva detto lei inviperita e fintamente attratta dal bigliettino allegato alle rose. Costretto a sedere sul pavimento di fronte a lei, con le mani dietro la schiena come un somaro dietro la lavagna, MM aveva cominciato ad aprirsi un varco tra le sue mutandine, sfiorandosi la figa con due dita delicate ma impazienti.
– Povero mouton – continuava a dire, masturbandosi con crescente frenesia e guardandomi con un misto di perfidia e tenerezza. Le sue dita tracciavano disegni comprensibili soltanto a chi sa dipingere nell'aria i tratti dell'amore erotico. Il suono delle pareti vaginali mi rimbombava nel cervello, come giusta penitenza a quella mancanza di tatto femminile.
A un tratto, con la mano sinistra aveva iniziato a carezzarsi entrambi i seni, prima dal di fuori dell'immacolato reggiseno, poi via via insinuandosi sotto i bordi di tessuto. Fino ad arrivare a scuotere i capezzoli e indirettamente le mie tempie pulsanti.
– Mauve, ti prego, fammi avvicinare....
Gusto e olfatto erano ricettivi all'ennesima potenza. Senza poter ricorrere al tatto (le mani dovevano sempre restare incrociate sulla schiena), ero riuscito a ridurre la distanza tra le mie labbra pronte a qualsiasi capitolazione e le sue labbra vaginali, allagate come un lago di rugiada.
– Vediamo se mi sai recitare una poesia romantica, caro mouton... Allora, forse, potrai bere alla mia fonte.
La proposta mi sembrava una tortura da tribunale dei diritti dell'uomo. Una poesia..? E per di più romantica..?!?
D'un tratto, spinto dalla pulsione sessuale, la mente aveva cominciato a ripescare dei versi riletti qualche settimana prima. La guardavo toccarsi il clitoride e declamavo:
L’ultima rosa dell’estate
Ancor fiorisce ma è sola
Tutte le sue compagne
Son sfiorite nell’aiuola...
Era stata lei a portare l'indice della mano destra davanti al naso, intimandomi il silenzio. Il suo sguardo era trionfante e insieme stupefatto. Quelle prime strofe potevano bastare. Ti sono debitore, Thomas Moore.
Quella notte aveva tenuto il mio cazzo, durissimo e romantico, dentro la sua bocca per un'interminabile mezz'ora, intimandomi con determinazione padronale di non venire. Pena la fustigazione tramite cintura Saint Laurent in pelle craquelé nera.
Dopodiché era toccato a me il privilegio di accarezzare la sua pelle vellutata, il concavo sedere transalpino, la morbidezza interiore. La massaggiavo dolcemente con le sue essenze preferite all'olio di mandorle e linfa d'acero. Le stuzzicavo i capezzoli, le annusavo i lobi delle orecchie, le distendevo le piante dei piedi.
– Viens ici, mon cher garçon. Ora puoi leccare per bene la mia figa. Senti che sapore di passione.
Mi ero candidamente inoltrato, prima con un lento massaggio a due mani e poi con la punta della mia lingua fremente, tra le labbra e le pareti della sua intimità. Provando a non disperdere profumi, sapori e gocce di piacere.
Soltanto, credo, dopo un'ora e mezza di pratiche feline lei ha afferrato il mio cazzo alla base, tendendone la pelle con energia verso il basso e facendo emergere una cappella rosata e convessa all'inverosimile.
– Entra dentro e non uscirne mai più! – era stato il suo ordine proferito con il tono di una madre badessa al suo monaco schiavo.
Era stata la scopata più dolce, intensa, temporalmente indefinita della mia recente vita. Il mio cazzo era entusiasta di non sapere dove stesse andando. Di continuare a cercare strade impervie e assolate, dove riposarsi e poi riprendere a correre, come quando dopo un sentiero in salita arrivano all'improvviso sterminate discese di prato.
E tu non puoi fare altro che lasciarti andare, finalmente. Senza riferimenti al passato e anticipazioni del futuro. Libero nel mio presente.
Rotolando per inerzia verso una vita leggera e gonfia di pulsioni. Têtu et naïf comme seuls les béliers peuvent être.
– Lei mi ricorda un mio ex fidanzato spagnolo – mi aveva detto dopo qualche minuto, provando a testare le mie reazioni.
Francese nei modi e italiana di adozione, Mauve non voleva che passassimo le notti insieme, ma pretendeva che almeno due volte al giorno i nostri corpi si fondessero in un'unica entità psico-energetica. Comme d'habitude, tutto ciò avveniva nel suo attico-laboratorio di Piazza dei Quiriti, a poche centinaia di metri dalle mura Vaticane.
– I tuoi capelli sono rossi naturali? – avevo chiesto, vedendola strofinarsi le lunghe chiome fuori dalla doccia.
40enne dal fisico asciutto ma tonico, Mauve aveva deciso di insegnarmi i fondamenti del romanticismo d'altri tempi, convinta che la mia educazione sentimentale fosse simile, parole sue, a quella di un «mouton».
– Se io sono un montone – avevo provato a scherzare – allora tu puoi essere la mia pecorella smarrita.
Per punizione avevo dovuto leccarle entrambi gli stivali, ancora impolverati dalla calura serale del Lungotevere di fine agosto. E subito dopo, tra le risate reciproche, stenderle un intero bucato di biancheria intima sulla veranda interna, mentre lei assetata di dominazione mi guardava sorseggiando un gin tonic.
I nostri giochi di sadismo a corrente alternata erano in realtà un preliminare malizioso, senza cattiverie né intenzioni restrittive. Entrambi eravamo convinti che l'attrazione magnetica dei nostri organi sessuali venisse maggiormente esaltata da momenti «trasversalmente dinamici», da sconfinamenti nelle ingenue pratiche della sottomissione, necessari a riequilibrare le pressioni quotidiane.
Sia io che MM (Mademoiselle Mauve) vestivamo sul lavoro un ruolo professionale di comando. Io nella mia multinazionale debordante di inutili sotto-manager raccomandati, buoni solo a leccare il culo in senso metaforico e non solo. Lei nella sua azienda di accessori ad alto lusso, transalpina in un mondo di latini mai sinceri, riparata dietro le sue barriere valoriali fuori moda. Per questo la nostra relazione fuori dai binari coniugali, era in realtà un lasciapassare per il Paradiso, dove l'Inferno era il punto di partenza e il Purgatorio un torrente di montagna dove tuffarsi al termine di giornate tropicali.
Quella sera Mauve aveva ricevuto un intenso mazzo di rose multicolore, come gesto da uno sconosciuto. Lei si aspettava che io le facessi una scenata di gelosia, mentre a me divertiva che altri cazzi speranzosi le girassero intorno come delfini in cerca di attenzioni. Come al solito non avevo capito nulla: il labirinto mentale femminile continuava a essere per me terreno impervio e a tratti sconosciuto.
– Ora ti scordi la solita scopata – aveva detto lei inviperita e fintamente attratta dal bigliettino allegato alle rose. Costretto a sedere sul pavimento di fronte a lei, con le mani dietro la schiena come un somaro dietro la lavagna, MM aveva cominciato ad aprirsi un varco tra le sue mutandine, sfiorandosi la figa con due dita delicate ma impazienti.
– Povero mouton – continuava a dire, masturbandosi con crescente frenesia e guardandomi con un misto di perfidia e tenerezza. Le sue dita tracciavano disegni comprensibili soltanto a chi sa dipingere nell'aria i tratti dell'amore erotico. Il suono delle pareti vaginali mi rimbombava nel cervello, come giusta penitenza a quella mancanza di tatto femminile.
A un tratto, con la mano sinistra aveva iniziato a carezzarsi entrambi i seni, prima dal di fuori dell'immacolato reggiseno, poi via via insinuandosi sotto i bordi di tessuto. Fino ad arrivare a scuotere i capezzoli e indirettamente le mie tempie pulsanti.
– Mauve, ti prego, fammi avvicinare....
Gusto e olfatto erano ricettivi all'ennesima potenza. Senza poter ricorrere al tatto (le mani dovevano sempre restare incrociate sulla schiena), ero riuscito a ridurre la distanza tra le mie labbra pronte a qualsiasi capitolazione e le sue labbra vaginali, allagate come un lago di rugiada.
– Vediamo se mi sai recitare una poesia romantica, caro mouton... Allora, forse, potrai bere alla mia fonte.
La proposta mi sembrava una tortura da tribunale dei diritti dell'uomo. Una poesia..? E per di più romantica..?!?
D'un tratto, spinto dalla pulsione sessuale, la mente aveva cominciato a ripescare dei versi riletti qualche settimana prima. La guardavo toccarsi il clitoride e declamavo:
L’ultima rosa dell’estate
Ancor fiorisce ma è sola
Tutte le sue compagne
Son sfiorite nell’aiuola...
Era stata lei a portare l'indice della mano destra davanti al naso, intimandomi il silenzio. Il suo sguardo era trionfante e insieme stupefatto. Quelle prime strofe potevano bastare. Ti sono debitore, Thomas Moore.
Quella notte aveva tenuto il mio cazzo, durissimo e romantico, dentro la sua bocca per un'interminabile mezz'ora, intimandomi con determinazione padronale di non venire. Pena la fustigazione tramite cintura Saint Laurent in pelle craquelé nera.
Dopodiché era toccato a me il privilegio di accarezzare la sua pelle vellutata, il concavo sedere transalpino, la morbidezza interiore. La massaggiavo dolcemente con le sue essenze preferite all'olio di mandorle e linfa d'acero. Le stuzzicavo i capezzoli, le annusavo i lobi delle orecchie, le distendevo le piante dei piedi.
– Viens ici, mon cher garçon. Ora puoi leccare per bene la mia figa. Senti che sapore di passione.
Mi ero candidamente inoltrato, prima con un lento massaggio a due mani e poi con la punta della mia lingua fremente, tra le labbra e le pareti della sua intimità. Provando a non disperdere profumi, sapori e gocce di piacere.
Soltanto, credo, dopo un'ora e mezza di pratiche feline lei ha afferrato il mio cazzo alla base, tendendone la pelle con energia verso il basso e facendo emergere una cappella rosata e convessa all'inverosimile.
– Entra dentro e non uscirne mai più! – era stato il suo ordine proferito con il tono di una madre badessa al suo monaco schiavo.
Era stata la scopata più dolce, intensa, temporalmente indefinita della mia recente vita. Il mio cazzo era entusiasta di non sapere dove stesse andando. Di continuare a cercare strade impervie e assolate, dove riposarsi e poi riprendere a correre, come quando dopo un sentiero in salita arrivano all'improvviso sterminate discese di prato.
E tu non puoi fare altro che lasciarti andare, finalmente. Senza riferimenti al passato e anticipazioni del futuro. Libero nel mio presente.
Rotolando per inerzia verso una vita leggera e gonfia di pulsioni. Têtu et naïf comme seuls les béliers peuvent être.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Quel sapore di ventenne olandese (cap finale)racconto sucessivo
Madame L. e il povero prete ammanettato
Commenti dei lettori al racconto erotico