Letto a castello
di
Yuko
genere
etero
Vacanze di Natale, pernottamento in rifugio, Dolomiti.
L'odore della neve, la vista sulle alte cime vezzosamente incipriate di neve, l'odore dei rami resinosi che bruciano nel camino, la vita spartana, con la cena a base di minestrone di legumi e poi polenta e brasato di qualche animale assurdo, tipo aquila reale o marmotta.
Stanza singola con letto a castello, io e Jos.
La mattina dopo dobbiamo fare un giretto di ambientamento con gli sci e non c'è bisogno della levataccia, prima sferzata delle giornate in cui la sofferenza è l'ingrediente fondamentale ed immancabile per ognuna di quelle magiche esperienze che culminano con un grosso traguardo e che poi, dimenticata la sofferenza, incaselli tra i ricordi migliori della tua vita.
Alle prime luce dell'alba sono ancora sotto una enorme trapunta, attaccata all'ultimo sonno ed al calore come una zecca all'orecchio di un cane.
Quelle trapunte gonfie di calore, che trasudano tepore solo a guardarle, imbottite come una pastiera napoletana e con le cuciture in sfacciata evidenza, come gli addobbi di una meringata.
Jos dorme al piano di sotto, mentre io soggiorno al piano rialzato del letto a castello.
L'olandese si alza per primo mentre io rifuggo i richiami alla realtà e mi rimpicciolisco sotto la coltre protettiva, come i protagonisti di 'viaggio allucinante' venivano ridotto a dimensioni microscopiche per viaggiare nelle arterie, tra i globuli rossi e le piastrine.
Si alza soddisfatto e si stiracchia. Fin qui tutto normale. Poi vede un amorfo rigonfiamento sotto la trapunta del piano di sopra, che ostenta un fine russare, quasi con sfacciataggine.
Un rigonfiamento dalle chiare sembianze orientali.
Si avvicina minaccioso al letto; nella sua mente, quello che vertiginosamente sta frullando non lascia presagire nulla di buono per me, ma io sono ancora ignara nel mio sonno imbottito di sana, beata innocenza.
Con un gesto plateale solleva un lembo della trapunta e lo lancia lontano nello spazio e nel tempo. Io, ancora in morfeica adorazione, mi ritraggo di istinto come una vongola nel suo guscio. Cosce e braccia in posizione fetale.
Ma lui no, nessuna pietà per gli ultimi stralci di calore che ancora indugiano sul corpo di una giovane, innocente giapponese.
Mi afferra una coscia e la trascina oltre il bordo del letto. Mi gira di colpo e mi sveglio del tutto.
Neanche il tempo di un'esclamazione volgare, che invero stonerebbe in questa vacanza natalizia, che i calzoni del mio pigiama vengono vergognosamente strappati dalle mie cosce e gettati in un posto irraggiungibile.
Sento il freddo sulle coscette di pollo, ma già il tulipano sta passando alla fase successiva del suo atroce e diabolico piano.
Mi porta al bordo del letto trascinandomi per le cosce e me le spalanca come se aprisse la gazzetta dello sport per nutrirsi dei titoloni di prima pagina.
Agendo di istinto affonda la faccia tra le cosce e la mia attenzione è tutta monopolizzata dalla lingua che di colpo si impone su ogni altra sensazione, affondando nella vulva.
In poco più di una manciata di secondi passo dai sogni dell'ultimo sonno, allo sgomento di un risveglio rapace, ad un freddo porco di quelli che preludono ad una lunga agonia, alla sensazione ottenebrante di una lingua calda e vorace che mi schiaffeggia il clitoride.
Con tutto quello che ne consegue.
“Aaaaahh!” spavento.
“Aaaaahh!” freddo maiale.
“Aaaaahh!” linguetta.
'Ctrl alt canc' su tutte le altre sensazioni, mentre appoggio le braccia dietro la schiena e mi drizzo sul busto per concentrarmi sull'ultima arrivata tra le stimolazione, che si impone perentoriamente su tutte le precedenti, annullandole, polverizzandole, ridicolizzandole, come un giocatore esperto di poker potrebbe farsi beffe di neofiti giunti al suo incontro solo per farsi succhiare i loro propri averi.
L'olandese mi lavora il clitoride con la lingua come un abile cuoco potrebbe lavorarsi uno zabaione a bagno maria.
Lo mescola accuratamente, lo lascia riposare e ci ritorna prima che il vortice si fermi.
Alterna insaziabili leccate ad avide suzioni, senza dimenticare di succhiarmi le piccole labbra che scompaiono tra le sue fauci roventi per ricomparire dopo una doverosa lievitazione.
Si infila come può, quanto più può, in vagina, spingendo il suo organo del gusto nel mio organo della riproduzione e del piacere, e, come un ritornello, ritorna fedele al clitoride.
Presto lo avvolgo con una sciarpa fatta dalle mie cosce, per tenermelo bene appresso e per fargli capire che neanche ci deve pensare a smettere. Nemmeno una remota ipotesi.
I miei gemiti si spengono nelle perline che ricoprono le pareti della nostra cameretta in mansarda.
Lui in piedi di fianco al letto a castello. Io al secondo piano con le cosce nude che lo ghermiscono come tentacoli di una piovra gigante. Calda, giapponese e in pieno fermento riproduttivo.
'Altezza leccata di figa', direbbe un ingegnere esperto di letti a castello, giustificando l'esatta metratura del piano di sopra, ed ora anche io posso capire questa atavica verità. Una dimostrazione vale più di mille parole scritte.
Il maledetto 'orange' ha rapidamente ragione delle mie strenue, ostinate ed irragionevoli resistenze e presto esplodo con la sequenza di urla e gemiti di repertorio.
Resto abbandonata sul letto, ansimante. Mi riprendo un frammento di trapunta calda e mi copro pancia-topa-cosce. Mi porto le mani sulle tette, trascurate in questa sessione di sesso nippo-olandese, e mi riabbandono al sonno inopinatamente interrotto anzitempo.
Letti castello ad altezza figa... Un'invenzione geniale!
L'odore della neve, la vista sulle alte cime vezzosamente incipriate di neve, l'odore dei rami resinosi che bruciano nel camino, la vita spartana, con la cena a base di minestrone di legumi e poi polenta e brasato di qualche animale assurdo, tipo aquila reale o marmotta.
Stanza singola con letto a castello, io e Jos.
La mattina dopo dobbiamo fare un giretto di ambientamento con gli sci e non c'è bisogno della levataccia, prima sferzata delle giornate in cui la sofferenza è l'ingrediente fondamentale ed immancabile per ognuna di quelle magiche esperienze che culminano con un grosso traguardo e che poi, dimenticata la sofferenza, incaselli tra i ricordi migliori della tua vita.
Alle prime luce dell'alba sono ancora sotto una enorme trapunta, attaccata all'ultimo sonno ed al calore come una zecca all'orecchio di un cane.
Quelle trapunte gonfie di calore, che trasudano tepore solo a guardarle, imbottite come una pastiera napoletana e con le cuciture in sfacciata evidenza, come gli addobbi di una meringata.
Jos dorme al piano di sotto, mentre io soggiorno al piano rialzato del letto a castello.
L'olandese si alza per primo mentre io rifuggo i richiami alla realtà e mi rimpicciolisco sotto la coltre protettiva, come i protagonisti di 'viaggio allucinante' venivano ridotto a dimensioni microscopiche per viaggiare nelle arterie, tra i globuli rossi e le piastrine.
Si alza soddisfatto e si stiracchia. Fin qui tutto normale. Poi vede un amorfo rigonfiamento sotto la trapunta del piano di sopra, che ostenta un fine russare, quasi con sfacciataggine.
Un rigonfiamento dalle chiare sembianze orientali.
Si avvicina minaccioso al letto; nella sua mente, quello che vertiginosamente sta frullando non lascia presagire nulla di buono per me, ma io sono ancora ignara nel mio sonno imbottito di sana, beata innocenza.
Con un gesto plateale solleva un lembo della trapunta e lo lancia lontano nello spazio e nel tempo. Io, ancora in morfeica adorazione, mi ritraggo di istinto come una vongola nel suo guscio. Cosce e braccia in posizione fetale.
Ma lui no, nessuna pietà per gli ultimi stralci di calore che ancora indugiano sul corpo di una giovane, innocente giapponese.
Mi afferra una coscia e la trascina oltre il bordo del letto. Mi gira di colpo e mi sveglio del tutto.
Neanche il tempo di un'esclamazione volgare, che invero stonerebbe in questa vacanza natalizia, che i calzoni del mio pigiama vengono vergognosamente strappati dalle mie cosce e gettati in un posto irraggiungibile.
Sento il freddo sulle coscette di pollo, ma già il tulipano sta passando alla fase successiva del suo atroce e diabolico piano.
Mi porta al bordo del letto trascinandomi per le cosce e me le spalanca come se aprisse la gazzetta dello sport per nutrirsi dei titoloni di prima pagina.
Agendo di istinto affonda la faccia tra le cosce e la mia attenzione è tutta monopolizzata dalla lingua che di colpo si impone su ogni altra sensazione, affondando nella vulva.
In poco più di una manciata di secondi passo dai sogni dell'ultimo sonno, allo sgomento di un risveglio rapace, ad un freddo porco di quelli che preludono ad una lunga agonia, alla sensazione ottenebrante di una lingua calda e vorace che mi schiaffeggia il clitoride.
Con tutto quello che ne consegue.
“Aaaaahh!” spavento.
“Aaaaahh!” freddo maiale.
“Aaaaahh!” linguetta.
'Ctrl alt canc' su tutte le altre sensazioni, mentre appoggio le braccia dietro la schiena e mi drizzo sul busto per concentrarmi sull'ultima arrivata tra le stimolazione, che si impone perentoriamente su tutte le precedenti, annullandole, polverizzandole, ridicolizzandole, come un giocatore esperto di poker potrebbe farsi beffe di neofiti giunti al suo incontro solo per farsi succhiare i loro propri averi.
L'olandese mi lavora il clitoride con la lingua come un abile cuoco potrebbe lavorarsi uno zabaione a bagno maria.
Lo mescola accuratamente, lo lascia riposare e ci ritorna prima che il vortice si fermi.
Alterna insaziabili leccate ad avide suzioni, senza dimenticare di succhiarmi le piccole labbra che scompaiono tra le sue fauci roventi per ricomparire dopo una doverosa lievitazione.
Si infila come può, quanto più può, in vagina, spingendo il suo organo del gusto nel mio organo della riproduzione e del piacere, e, come un ritornello, ritorna fedele al clitoride.
Presto lo avvolgo con una sciarpa fatta dalle mie cosce, per tenermelo bene appresso e per fargli capire che neanche ci deve pensare a smettere. Nemmeno una remota ipotesi.
I miei gemiti si spengono nelle perline che ricoprono le pareti della nostra cameretta in mansarda.
Lui in piedi di fianco al letto a castello. Io al secondo piano con le cosce nude che lo ghermiscono come tentacoli di una piovra gigante. Calda, giapponese e in pieno fermento riproduttivo.
'Altezza leccata di figa', direbbe un ingegnere esperto di letti a castello, giustificando l'esatta metratura del piano di sopra, ed ora anche io posso capire questa atavica verità. Una dimostrazione vale più di mille parole scritte.
Il maledetto 'orange' ha rapidamente ragione delle mie strenue, ostinate ed irragionevoli resistenze e presto esplodo con la sequenza di urla e gemiti di repertorio.
Resto abbandonata sul letto, ansimante. Mi riprendo un frammento di trapunta calda e mi copro pancia-topa-cosce. Mi porto le mani sulle tette, trascurate in questa sessione di sesso nippo-olandese, e mi riabbandono al sonno inopinatamente interrotto anzitempo.
Letti castello ad altezza figa... Un'invenzione geniale!
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