Neve in autostrada
di
zorrogatto
genere
trio
Accidenti a me! Accidenti ai clienti da visitare, ben fuori città! Accidenti anche a questa cazzo di neve! E accidentaccio a quel coglione di camionista che si è intraversato là in fondo, facendosi scontrare anche da un suo degno collega!
Ed ora sono qui, con la macchina bloccata con poca benzina -visto che contavo di fare il pieno all’area di servizio trenta chilometri più avanti!- la neve che continua a cadere fitta, con fiocchi che sembrano lenzuoli ed il termometro che mi parla di un meno otto, fuori!
La radio continua a dirmi che l’autostrada è bloccata, come se non lo sapessi!, e che continua a nevicare forte, mentre sta rapidamente diventando buio.
Getto un’occhiata alla lancetta della benzina ed in quella la spia gialla della riserva si accende; so che ho ancora una cinquantina di chilometri di autonomia… ma andando! Non restando bloccati col motore acceso per non congelare, in mezzo ad una tormenta siberiana come non se ne vedevano da trent’anni!
Valuto la situazione: sembra che nevicherà fino a domattina e, a giudicare da quello che vedo dai finestrini, in questa ultima ora ne è caduta non meno di venti centimetri; cazzo!
Se continua così, le probabilità di essere soccorsi prima di domani sono meno di zero…
Valuto che, ammesso che riesca a ripartire prima o poi, potrei arrivare al distributore con… uhm… metà della riserva, se viaggio in quinta a sessanta all’ora?
Ma se la strada si sbloccasse, sulla neve mica posso muovermi in quinta, costantemente! Dovrei lavorare di cambio e consumerei un bel po', cazzo!
Devo economizzare il carburante: spengo!
Dopo soli dieci minuti, comincio a sentire sgradevolmente freddo: molto più caldo che fuori, d’accordo, ma il mio abbigliamento è adatto ad uffici riscaldati, non ad auto gelate, sepolte sotto la neve!
Indosso il parka e poi, per scaldarmi, accendo il motore… ma quanto mi durerà il carburante? Se in un quarto d’ora la temperatura è così scesa, quante volte dovrò accenderlo? E per quanto tempo tenerlo acceso? E se “i nostri” non ce la fanno a soccorrerci prima di domattina presto –eventualità probabilissima!- cosa faccio senza un goccio di carburante? Che alternativa ho, a parte la morte per assideramento?
Mi viene un’idea e guardo nello specchietto esterno, a vedere se ricordavo bene; è coperto di neve e perciò abbasso il finestrino per pulirlo con la mano: diochefredddoooo!
Sì, ricordavo bene: dietro all’auto accodata a me è fermo un tir: i tir hanno enormi serbatoi e quindi probabilmente chi è là sopra non morirà dal freddo, stanotte.
In fondo si tratta di scendere, fare dieci metri, bussare alla portiera, chiedere di salire anch’io e…
Ma no: chi sa che tipo è, il camionista!
Accendo il quadro e avvio il motorino: gira, ma stancamente e solo dopo un pochino, il motore si accende, anche se con poca convinzione. Accidenti: anche la batteria mi sta lasciando a piedi!
Mi cade l’occhio sul termometro: adesso da meno otto virgola sette, la temperatura è scesa a meno nove virgola due!
No! Solo quella cabina di tir mi può salvare… ed alla svelta, prima che altri abbiano la mia stessa idea!
Valuto il mio abbigliamento: decisamente poco adatto a quel clima polare, ma in fondo son solo una decina di metri!
Indosso già il parka: rialzo il cappuccio bordato di pelliccetta sulla testa e contemplo con autocommiserazione le scarpe con le quali dovrò affrontare dieci metri di neve ghiacciata: le mie decolté con tacco a spillo sono quasi più inadatte di un paio di infradito!
Mi metto la borsetta a tracolla e mi incoraggio: tiro la levetta d’apertura e spingo la portiera; si apre di forse trenta centimetri, frusciando col bordo inferiore sulla neve, mentre il gelo si impadronisce del mio ancora tiepido abitacolo!
Occazzo! Vorrei rinunciare e richiudere, ma la portiera è bloccata.
Mi incoraggio: sprofondo il piede nella neve, mi alzo dal sedile e spingo con la spalla; si apre abbastanza da lasciarmi sgusciare fuori -fortuna che sono snella!- mentre il vento mi sbatacchia e i fiocchi di neve gelata mi crepitano sul parka come pallini da caccia.
Riesco fortunosamente a richiudere la portiera e mi avvio, con le gambe che mi bruciano dal freddo e dalla mitragliata della neve.
Incespicando, quasi accecata dalla tormenta che adesso limita la visuale a forse cinque metri, mi avventuro: l’auto dietro la mia è piena, ci sono quattro tizi con l’aria torva e comunque non era quella la mia destinazione.
Ormai gelata, arrivo accanto alla cabina del tir e picchio con la mano sulla portiera; intuisco dei movimenti dietro al finestrino gelato e poi la portiera si apre ed una manona pelosa si protende, a cercare la mia.
Sarebbe stato impossibile salire fin là sopra da sola, ma anche con l’aiuto del camionista son stati lunghi, pietosi momenti.
Il tepore della cabina è quasi ubriacante; riprendo fiato qualche minuto e poi realizzo che sono, in pratica, a pancia sotto, sulle cosce del camionista, come se dovessi essere sculacciata…
Lo guardo: parecchi fili bianchi tra i capelli corti, qualche pelo bianco sulle guance non rasate da giorni, grassoccio ma con un sorriso, appena accennato, benevolo.
Lo ringrazio, e lui risponde… in un’altra lingua, sconosciuta.
Poi ride e mostra una bella dentatura; indica sé stesso e dice solo «Jamal, Turkie»
Occavolo: proprio un turco! E va beh, chissenefrega! Con quella cabina calda può venire anche da Marte!
Poi indica l’occupante dell’altro sedile (e chi lo aveva visto?) e dice: «Ahmed», mentre gli da un affettuoso buffetto.
Guardo l’altro, un giovanotto e noto una vaga rassomiglianza col camionista; chiedo «tuo figlio?» e sorrido, cercando di aiutarmi con la mimica.
Lui ride, tutto contento che ho capito e annuisce.
Mi indico: «Mara!»
Sorride, confortato dall'aver superato lo scoglio delle presentazioni, prende una fiaschetta e versa in un bicchiere di plastica un liquore trasparente; ho un attimo di esitazione (“Mi vogliono far ubriacare per violentarmi???”), poi però faccio mentalmente spallucce, lo ringrazio con un sorriso e lo bevo: è forte da farmi tossire, ma cazzo se scalda!
Adesso sorridiamo tutti, fatte le presentazioni, ma io sono scossa da brividi: mi abbraccio ed esagero i brividi, ma hanno già capito; Jamal ha allungato una mano sulla cuccetta dietro di sé e mi porge un asciugamano, poi mi indica le gambe ed i piedi, appena coperte dai collant e da quelle maledette decolté.
Dovrei levarmi calze e scarpe, ma come faccio con loro due lì?
Mi viene di nuovo da battere i denti e capisco che… al diavolo il pudore!
Levo le scarpe, faccio per alzare la gonna ma la manona del camionista mi si appoggia sull’avambraccio. Oddio! Cosa vorrà, adesso?
Mi sorride e mi indica la cuccetta, dietro di loro. Gentile! Io chissà cosa pensavo, già…
Lo ringrazio con un sorriso e scivolo sulla cuccetta; poi mi alzo la gonna fino alla vita, afferro l’orlo dei collant e me li tolgo: sono fradici e gelati!!!
Mi asciugo e friziono i piedi gelati, bianchi come la neve, senza più sangue per il freddo umido; poi passo alle gambe e l’asciugamano è già inzuppato di acqua fredda.
Una mano mi appare davanti al viso, con un asciugamano che tiepido perché era sulle bocchette dell’aria calda!
Gli porgo quello bagnato e mi godo il tepore del tessuto sulla pelle, mentre la circolazione sanguigna che ritorna normale mi fa bruciare i piedi come se fossero nel fuoco.
Dopo un quarto d’ora, mi sento meglio: passo nuovamente tra loro e do un’occhiata attraverso il parabrezza: tutte le auto sono ormai sepolte dalla neve e faccio fatica a capire che il secondo cumulo di neve davanti a noi contiene la mia auto.
Mi giro verso Ahmed e lo guardo finalmente: un bel ragazzo, sotto i venticinque anni; alto snello, spalle larghe, riccioli neri, occhi nerissimi e lunghe ciglia ad addolcirne lo sguardo, con il bel sorriso ereditato dal padre.
Mi sorride, gli sorrido.
Il padre sbadiglia, poi da uno sportellino tira fuori una formaggetta, una grossa pagnotta, un bottiglione di vino rosso e delle arance.
Con un grosso coltello a serramanico, taglia le fette di pane e di formaggio; Hamed versa il vino, nei bicchieri appoggiati sull’ampio cruscotto .
Con un gesto cordiale mi invitano a servirmi; dopo una brevissima esitazione, ringrazio con un sorriso e comincio a mangiare, rendendomi conto solo in quel momento di quanto fossi affamata.
Il formaggio ha un sapore forte ed il vino è ottimo, anche se un po’ troppo pesante per i miei gusti, ma Ahmed mi riempie il bicchiere almeno altre due volte, mentre loro due chiacchierano e scherzano.
Dopo una mezz’ora, Jamal mi fa segno che si corica per dormire; passa nella cuccetta e tira la tendina.
Resto in cabina, seduta al posto del passeggero; il tepore ed il vino mi fanno scivolare nell’assopimento, nonostante la cabina sia squassata dalle potenti raffiche di vento.
Per cercare una posizione migliore sul pur comodo sedile, devo essermi mossa in modo scomposto: mi ha svegliata il lievissimo tocco del giovane sulla coscia e mi rendo conto che la gonna è risalita fino a far vedere nitidamente il perizoma.
Lui mi sta accarezzando la gamba e spia le mie reazioni, sorridendomi esitante.
Cosa posso fare, in quella situazione, con la testa leggera come un palloncino? Sorrido anch’io, guardandolo: ha stranamente tirato giù l’ampio maglione fino al pube, ma indovino… qualcosa.
Oddio! Se è davvero ciò che penso, è… enorme!
Ne sono come ipnotizzata e quasi non mi rendo conto del giovane, che mi prende la mano e me la pilota fino ad appoggiarla su quell’ingombro…
Mentre le sue dita si fanno timidamente strada verso la mia natura, non voglio credere a ciò che sto tastando: alzo il maglione e… Ohhhh!
In quarantadue anni, non avevo mai visto –dal vivo!- una tale meraviglia!
Provo ad impugnarlo, ma la mia manina non basta a circondarlo: col pollice e l’indice riesco a malapena a coprire metà della sua circonferenza!
Sento le sue dita che, scostato il civettuolo pizzo del perizoma, sondano la cedevolezza della mia fichetta, che è già inumidita e poi colmata da uno suo dito… (faccio un ansimo per la sensazione!) e poi da due… (e io, di nuovo) da tre (“Ohhhhhh...”) che si muovono con calma, con la sicurezza del padrone dentro di me, mentre l’altra sua mano mi si appoggia sulla nuca e mi attira a sé: un bacio, dolcissimo, sensuale, con le nostre lingue che, dopo le prime esitazioni, esplorano la bocca dell’altro e poi la sua che esce e guizza sul profilo delle mie labbra… dio, che bello!
La sua mano, frugandomi, mi ha fatto cambiare posizione: ora sono inginocchiata sul sedile ed è… normale che mi abbassi, che cominci a baciare quel trionfo di carne dura, che gli dia qualche leccata sempre meno timida, sempre più sfacciata, più golosa, che lo percorra in tutta la sua smisurata lunghezza tra lo scroto peloso e la cappella congestionata, godendo dell’asperità di ogni turgida vena in rilievo, del filetto teso come una corda di violino, del buchino sulla sommità che sembra un occhietto che mi guarda, sfidandomi!
Ed io accetto la sfida, facendolo sparire all’interno della mia bocca e poi, con risoluta calma, massaggio il glande con le mie labbra e lo accolgo sempre più nel profondo della mia bocca, fino a quando lo sento in gola… e ce n’è ancora metà fuori!!!!
Lo coccolo con la lingua, lo stringo con le labbra, lo aspiro… è stupendo!
Le sue dita sono diventate quattro, dentro di me e le sento sciaguattare nel mio più intimo umidore: sono bagnatissima!
Sento che anche il suo pollice entra in me, ma solo per poco: dopo un pochino lo sfila e ne sento la mancanza quasi dolorosa, ma lui lo usa per massaggiarmi la rosellina posteriore e, inumidito, lo spinge delicatamente dentro, allargandomi…
Oddio! Mi vorrà anche inculare? Sono torbidamente attratta dall’idea: davanti penso di poterlo accogliere con un minimo di sforzi, ma dietro… è troppo!
L’altra sua mano mi ha fatto risalire il pullover, la maglietta, mi ha sfilato i seni dalle coppe del reggiseno ed adesso gioca delicatamente coi miei capezzolini turgidi, ritti come chiodi, provocandomi lampi di piacere.
Sento le sue mani che mi accarezzano le cosce, che mi palpano –un po’ ruvidamente- le natiche, che mi percorrono la spina dorsale , mentre ormai le sue dita sono padrone della mia micetta zuppa , del mio buchino e dei miei capezzolini congestionati…
No, aspetta! Ma quante cazzo di mani ha, questo turco?
Getto uno sguardo di lato: anche Jamal mi sta toccando… non me ne frega nulla, ormai. Anche fossero in sei, mi farei fare tutto da tutti loro!
L’uomo mi fa staccare dal membro del figlio, mi fa alzare le braccia e mi sfila tutto di dosso, lasciandomi con solo la gonna attorno alla vita.
Poi mi prende per una mano e delicatamente mi attira sulla brandina e mi trovo così davanti al viso il suo membro; una bella dotazione, anche se ovviamente sfigura, accanto a quella del figlio.
Mi inginocchio sulla brandina e comincio a dedicarmi anche a lui, anche se la mia natura pulsa dalla voglia di essere riempita, ora che è rimasta orfana delle sapienti dita del giovane.
Pensavo (speravo, quasi!) che si mettesse dietro di me e che mi riempisse in quella posizione, ma invece anche lui si è mezzo seduto sulla branda e mi guarda, con un vago sorriso sulle labbra, mentre pigramente si tocca la proboscide.
Devo averlo!
Dopo aver ben spompinato Jamal, insalivandogli lo scroto e tutta l’asta, fino alla cappella turgida, dopo averlo accolto fino alla radice in bocca, dopo aver usato tutta la mia capacità in quel tipo di prestazione, sono ossessionata dal prendere Ahmed dentro di me, sentirlo riempirmi, allargarmi, impazzire dal piacere!
Lascio Jamal, mi giro, fronteggio il giovane e poi piegandomi sulle ginocchia, mi appoggio la sua trionfale cappella sulle labbrine; lui mi guarda, sorridente.
Gli sorrido, lo bacio e provo a scendere, piaaaaaaano!
Dio com’èggrosso!!!
Sta fermo, lo tiene alla base, fermo ed apprezzo: devo fare da sola, è meglio!
Do un leggero affondo ed il mostro si fa un pochino strada dentro di me… Altro affondo, più profondo, anche se di poco.
Terzo affondo: adesso lo sento bene dentro… Provo ancora a scendere…. Ohhhhhhhh… Dio, chebbello….
E’ gigantesco, non ne ho mai sentito di così grossi, ma adesso c’è… comincio a danzarci sopra ed alla fine mi sento completamente riempita, invasa, allargata, dilatata, rotta, donna completa e completata; gli bacio la bocca sensuale e…. esplodo!!!!!!
Dio, che orgasmo! Il padre e la madre di tutti gli orgasmi!
Mi sento partire come un razzo, girare, scuotermi tutta, perdo il tempo, il luogo, tutto e poi... poi niente: mi ritrovo lì, ammucchiata nel mio sfinimento.
Sono inginocchiata ai lati dei suoi fianchi, il suo palo solidamente infisso in me, le sue mani a stuzzicarmi i capezzoli e Jamal, dietro di me, che mi fa girare due dita nel buchino, divaricandole, allargandomi, preparandomi…
Dopo poco, sento la sua cappella turgida bussare a quella porticina; lo accolgo, rilassandomi e…. Ohhhhh!
I due turchi mi hanno colmata ed Ahmed, che era restato immobile mentre il padre prendeva posizione dentro di me, ora ricomincia a muoversi, a darsi e darmi piacere, a… fottermi! Sì, fottermi come una cagna, una troia, una porca, col suo colossale cazzone che mi sfonda la fica e mentre quel maiale di suo padre mi incula ed io, riempita dai loro due bei cazzi, che godo, godo, godo…
La mattina dopo, mi sveglio abbracciata ad Ahmed, mentre sento Jamal russare dalla brandina superiore.
Siamo nudi e mi sento impiastricciata del loro sperma, colato fuori dai miei deliziosamente martoriati buchini.
Sono lurida, spettinata ed ho ancora in bocca il sapore dei loro membri, del seme che dopo mi hanno offerto da bere e che ho accettato con gioia.
Guardo fuori: ha smesso di nevicare e anzi un pallido sole cerca di farsi largo tra la nuvolaglia; il termometro racconta di una temperatura esterna di ‘solo’ due gradi sotto lo zero ed il vento è caduto: la tormenta è finita.
Guardando davanti, vedo il camion intraversato muoversi; penso ad un’illusione ottica ma no: viene davvero tolto da un grosso mezzo e poi uno spazzaneve libera man mano i mezzi bloccati, che possono ripartire.
I due turchi si vestono, mi sorridono, mi baciano mentre finisco di rivestirmi, poi mi chiedono a gesti qual è la mia auto; quando lo hanno capito, scendono, armeggiano in una stiva sotto il rimorchio e poi arrivano, nel mezzo metro di neve, fino alla mia auto e con una vanghetta liberano la portiera e poi davanti.
Con una paletta da spazzatura, poi, sgombrano i finestrini ed infine tornano alla motrice.
Non mi alletta l’idea di tornare a sprofondare nella neve con collant e decolté, ma loro hanno la soluzione: a gesti mi fanno capire di salire sulle robuste spalle di Ahmed e mi depositano delicatamente al posto di guida della mia auto.
Provo ad accendere il motore ed al terzo tentativo, parte. Loro adesso sono tranquilli: mi abbracciano, mi baciano e tornano al loro bestione.
Ripenso con languore alle dolci sensazioni provate, mentre l’auto davanti alla mia viene liberata e… il primo che parla male dei turchi, lo PICCHIO!
Ed ora sono qui, con la macchina bloccata con poca benzina -visto che contavo di fare il pieno all’area di servizio trenta chilometri più avanti!- la neve che continua a cadere fitta, con fiocchi che sembrano lenzuoli ed il termometro che mi parla di un meno otto, fuori!
La radio continua a dirmi che l’autostrada è bloccata, come se non lo sapessi!, e che continua a nevicare forte, mentre sta rapidamente diventando buio.
Getto un’occhiata alla lancetta della benzina ed in quella la spia gialla della riserva si accende; so che ho ancora una cinquantina di chilometri di autonomia… ma andando! Non restando bloccati col motore acceso per non congelare, in mezzo ad una tormenta siberiana come non se ne vedevano da trent’anni!
Valuto la situazione: sembra che nevicherà fino a domattina e, a giudicare da quello che vedo dai finestrini, in questa ultima ora ne è caduta non meno di venti centimetri; cazzo!
Se continua così, le probabilità di essere soccorsi prima di domani sono meno di zero…
Valuto che, ammesso che riesca a ripartire prima o poi, potrei arrivare al distributore con… uhm… metà della riserva, se viaggio in quinta a sessanta all’ora?
Ma se la strada si sbloccasse, sulla neve mica posso muovermi in quinta, costantemente! Dovrei lavorare di cambio e consumerei un bel po', cazzo!
Devo economizzare il carburante: spengo!
Dopo soli dieci minuti, comincio a sentire sgradevolmente freddo: molto più caldo che fuori, d’accordo, ma il mio abbigliamento è adatto ad uffici riscaldati, non ad auto gelate, sepolte sotto la neve!
Indosso il parka e poi, per scaldarmi, accendo il motore… ma quanto mi durerà il carburante? Se in un quarto d’ora la temperatura è così scesa, quante volte dovrò accenderlo? E per quanto tempo tenerlo acceso? E se “i nostri” non ce la fanno a soccorrerci prima di domattina presto –eventualità probabilissima!- cosa faccio senza un goccio di carburante? Che alternativa ho, a parte la morte per assideramento?
Mi viene un’idea e guardo nello specchietto esterno, a vedere se ricordavo bene; è coperto di neve e perciò abbasso il finestrino per pulirlo con la mano: diochefredddoooo!
Sì, ricordavo bene: dietro all’auto accodata a me è fermo un tir: i tir hanno enormi serbatoi e quindi probabilmente chi è là sopra non morirà dal freddo, stanotte.
In fondo si tratta di scendere, fare dieci metri, bussare alla portiera, chiedere di salire anch’io e…
Ma no: chi sa che tipo è, il camionista!
Accendo il quadro e avvio il motorino: gira, ma stancamente e solo dopo un pochino, il motore si accende, anche se con poca convinzione. Accidenti: anche la batteria mi sta lasciando a piedi!
Mi cade l’occhio sul termometro: adesso da meno otto virgola sette, la temperatura è scesa a meno nove virgola due!
No! Solo quella cabina di tir mi può salvare… ed alla svelta, prima che altri abbiano la mia stessa idea!
Valuto il mio abbigliamento: decisamente poco adatto a quel clima polare, ma in fondo son solo una decina di metri!
Indosso già il parka: rialzo il cappuccio bordato di pelliccetta sulla testa e contemplo con autocommiserazione le scarpe con le quali dovrò affrontare dieci metri di neve ghiacciata: le mie decolté con tacco a spillo sono quasi più inadatte di un paio di infradito!
Mi metto la borsetta a tracolla e mi incoraggio: tiro la levetta d’apertura e spingo la portiera; si apre di forse trenta centimetri, frusciando col bordo inferiore sulla neve, mentre il gelo si impadronisce del mio ancora tiepido abitacolo!
Occazzo! Vorrei rinunciare e richiudere, ma la portiera è bloccata.
Mi incoraggio: sprofondo il piede nella neve, mi alzo dal sedile e spingo con la spalla; si apre abbastanza da lasciarmi sgusciare fuori -fortuna che sono snella!- mentre il vento mi sbatacchia e i fiocchi di neve gelata mi crepitano sul parka come pallini da caccia.
Riesco fortunosamente a richiudere la portiera e mi avvio, con le gambe che mi bruciano dal freddo e dalla mitragliata della neve.
Incespicando, quasi accecata dalla tormenta che adesso limita la visuale a forse cinque metri, mi avventuro: l’auto dietro la mia è piena, ci sono quattro tizi con l’aria torva e comunque non era quella la mia destinazione.
Ormai gelata, arrivo accanto alla cabina del tir e picchio con la mano sulla portiera; intuisco dei movimenti dietro al finestrino gelato e poi la portiera si apre ed una manona pelosa si protende, a cercare la mia.
Sarebbe stato impossibile salire fin là sopra da sola, ma anche con l’aiuto del camionista son stati lunghi, pietosi momenti.
Il tepore della cabina è quasi ubriacante; riprendo fiato qualche minuto e poi realizzo che sono, in pratica, a pancia sotto, sulle cosce del camionista, come se dovessi essere sculacciata…
Lo guardo: parecchi fili bianchi tra i capelli corti, qualche pelo bianco sulle guance non rasate da giorni, grassoccio ma con un sorriso, appena accennato, benevolo.
Lo ringrazio, e lui risponde… in un’altra lingua, sconosciuta.
Poi ride e mostra una bella dentatura; indica sé stesso e dice solo «Jamal, Turkie»
Occavolo: proprio un turco! E va beh, chissenefrega! Con quella cabina calda può venire anche da Marte!
Poi indica l’occupante dell’altro sedile (e chi lo aveva visto?) e dice: «Ahmed», mentre gli da un affettuoso buffetto.
Guardo l’altro, un giovanotto e noto una vaga rassomiglianza col camionista; chiedo «tuo figlio?» e sorrido, cercando di aiutarmi con la mimica.
Lui ride, tutto contento che ho capito e annuisce.
Mi indico: «Mara!»
Sorride, confortato dall'aver superato lo scoglio delle presentazioni, prende una fiaschetta e versa in un bicchiere di plastica un liquore trasparente; ho un attimo di esitazione (“Mi vogliono far ubriacare per violentarmi???”), poi però faccio mentalmente spallucce, lo ringrazio con un sorriso e lo bevo: è forte da farmi tossire, ma cazzo se scalda!
Adesso sorridiamo tutti, fatte le presentazioni, ma io sono scossa da brividi: mi abbraccio ed esagero i brividi, ma hanno già capito; Jamal ha allungato una mano sulla cuccetta dietro di sé e mi porge un asciugamano, poi mi indica le gambe ed i piedi, appena coperte dai collant e da quelle maledette decolté.
Dovrei levarmi calze e scarpe, ma come faccio con loro due lì?
Mi viene di nuovo da battere i denti e capisco che… al diavolo il pudore!
Levo le scarpe, faccio per alzare la gonna ma la manona del camionista mi si appoggia sull’avambraccio. Oddio! Cosa vorrà, adesso?
Mi sorride e mi indica la cuccetta, dietro di loro. Gentile! Io chissà cosa pensavo, già…
Lo ringrazio con un sorriso e scivolo sulla cuccetta; poi mi alzo la gonna fino alla vita, afferro l’orlo dei collant e me li tolgo: sono fradici e gelati!!!
Mi asciugo e friziono i piedi gelati, bianchi come la neve, senza più sangue per il freddo umido; poi passo alle gambe e l’asciugamano è già inzuppato di acqua fredda.
Una mano mi appare davanti al viso, con un asciugamano che tiepido perché era sulle bocchette dell’aria calda!
Gli porgo quello bagnato e mi godo il tepore del tessuto sulla pelle, mentre la circolazione sanguigna che ritorna normale mi fa bruciare i piedi come se fossero nel fuoco.
Dopo un quarto d’ora, mi sento meglio: passo nuovamente tra loro e do un’occhiata attraverso il parabrezza: tutte le auto sono ormai sepolte dalla neve e faccio fatica a capire che il secondo cumulo di neve davanti a noi contiene la mia auto.
Mi giro verso Ahmed e lo guardo finalmente: un bel ragazzo, sotto i venticinque anni; alto snello, spalle larghe, riccioli neri, occhi nerissimi e lunghe ciglia ad addolcirne lo sguardo, con il bel sorriso ereditato dal padre.
Mi sorride, gli sorrido.
Il padre sbadiglia, poi da uno sportellino tira fuori una formaggetta, una grossa pagnotta, un bottiglione di vino rosso e delle arance.
Con un grosso coltello a serramanico, taglia le fette di pane e di formaggio; Hamed versa il vino, nei bicchieri appoggiati sull’ampio cruscotto .
Con un gesto cordiale mi invitano a servirmi; dopo una brevissima esitazione, ringrazio con un sorriso e comincio a mangiare, rendendomi conto solo in quel momento di quanto fossi affamata.
Il formaggio ha un sapore forte ed il vino è ottimo, anche se un po’ troppo pesante per i miei gusti, ma Ahmed mi riempie il bicchiere almeno altre due volte, mentre loro due chiacchierano e scherzano.
Dopo una mezz’ora, Jamal mi fa segno che si corica per dormire; passa nella cuccetta e tira la tendina.
Resto in cabina, seduta al posto del passeggero; il tepore ed il vino mi fanno scivolare nell’assopimento, nonostante la cabina sia squassata dalle potenti raffiche di vento.
Per cercare una posizione migliore sul pur comodo sedile, devo essermi mossa in modo scomposto: mi ha svegliata il lievissimo tocco del giovane sulla coscia e mi rendo conto che la gonna è risalita fino a far vedere nitidamente il perizoma.
Lui mi sta accarezzando la gamba e spia le mie reazioni, sorridendomi esitante.
Cosa posso fare, in quella situazione, con la testa leggera come un palloncino? Sorrido anch’io, guardandolo: ha stranamente tirato giù l’ampio maglione fino al pube, ma indovino… qualcosa.
Oddio! Se è davvero ciò che penso, è… enorme!
Ne sono come ipnotizzata e quasi non mi rendo conto del giovane, che mi prende la mano e me la pilota fino ad appoggiarla su quell’ingombro…
Mentre le sue dita si fanno timidamente strada verso la mia natura, non voglio credere a ciò che sto tastando: alzo il maglione e… Ohhhh!
In quarantadue anni, non avevo mai visto –dal vivo!- una tale meraviglia!
Provo ad impugnarlo, ma la mia manina non basta a circondarlo: col pollice e l’indice riesco a malapena a coprire metà della sua circonferenza!
Sento le sue dita che, scostato il civettuolo pizzo del perizoma, sondano la cedevolezza della mia fichetta, che è già inumidita e poi colmata da uno suo dito… (faccio un ansimo per la sensazione!) e poi da due… (e io, di nuovo) da tre (“Ohhhhhh...”) che si muovono con calma, con la sicurezza del padrone dentro di me, mentre l’altra sua mano mi si appoggia sulla nuca e mi attira a sé: un bacio, dolcissimo, sensuale, con le nostre lingue che, dopo le prime esitazioni, esplorano la bocca dell’altro e poi la sua che esce e guizza sul profilo delle mie labbra… dio, che bello!
La sua mano, frugandomi, mi ha fatto cambiare posizione: ora sono inginocchiata sul sedile ed è… normale che mi abbassi, che cominci a baciare quel trionfo di carne dura, che gli dia qualche leccata sempre meno timida, sempre più sfacciata, più golosa, che lo percorra in tutta la sua smisurata lunghezza tra lo scroto peloso e la cappella congestionata, godendo dell’asperità di ogni turgida vena in rilievo, del filetto teso come una corda di violino, del buchino sulla sommità che sembra un occhietto che mi guarda, sfidandomi!
Ed io accetto la sfida, facendolo sparire all’interno della mia bocca e poi, con risoluta calma, massaggio il glande con le mie labbra e lo accolgo sempre più nel profondo della mia bocca, fino a quando lo sento in gola… e ce n’è ancora metà fuori!!!!
Lo coccolo con la lingua, lo stringo con le labbra, lo aspiro… è stupendo!
Le sue dita sono diventate quattro, dentro di me e le sento sciaguattare nel mio più intimo umidore: sono bagnatissima!
Sento che anche il suo pollice entra in me, ma solo per poco: dopo un pochino lo sfila e ne sento la mancanza quasi dolorosa, ma lui lo usa per massaggiarmi la rosellina posteriore e, inumidito, lo spinge delicatamente dentro, allargandomi…
Oddio! Mi vorrà anche inculare? Sono torbidamente attratta dall’idea: davanti penso di poterlo accogliere con un minimo di sforzi, ma dietro… è troppo!
L’altra sua mano mi ha fatto risalire il pullover, la maglietta, mi ha sfilato i seni dalle coppe del reggiseno ed adesso gioca delicatamente coi miei capezzolini turgidi, ritti come chiodi, provocandomi lampi di piacere.
Sento le sue mani che mi accarezzano le cosce, che mi palpano –un po’ ruvidamente- le natiche, che mi percorrono la spina dorsale , mentre ormai le sue dita sono padrone della mia micetta zuppa , del mio buchino e dei miei capezzolini congestionati…
No, aspetta! Ma quante cazzo di mani ha, questo turco?
Getto uno sguardo di lato: anche Jamal mi sta toccando… non me ne frega nulla, ormai. Anche fossero in sei, mi farei fare tutto da tutti loro!
L’uomo mi fa staccare dal membro del figlio, mi fa alzare le braccia e mi sfila tutto di dosso, lasciandomi con solo la gonna attorno alla vita.
Poi mi prende per una mano e delicatamente mi attira sulla brandina e mi trovo così davanti al viso il suo membro; una bella dotazione, anche se ovviamente sfigura, accanto a quella del figlio.
Mi inginocchio sulla brandina e comincio a dedicarmi anche a lui, anche se la mia natura pulsa dalla voglia di essere riempita, ora che è rimasta orfana delle sapienti dita del giovane.
Pensavo (speravo, quasi!) che si mettesse dietro di me e che mi riempisse in quella posizione, ma invece anche lui si è mezzo seduto sulla branda e mi guarda, con un vago sorriso sulle labbra, mentre pigramente si tocca la proboscide.
Devo averlo!
Dopo aver ben spompinato Jamal, insalivandogli lo scroto e tutta l’asta, fino alla cappella turgida, dopo averlo accolto fino alla radice in bocca, dopo aver usato tutta la mia capacità in quel tipo di prestazione, sono ossessionata dal prendere Ahmed dentro di me, sentirlo riempirmi, allargarmi, impazzire dal piacere!
Lascio Jamal, mi giro, fronteggio il giovane e poi piegandomi sulle ginocchia, mi appoggio la sua trionfale cappella sulle labbrine; lui mi guarda, sorridente.
Gli sorrido, lo bacio e provo a scendere, piaaaaaaano!
Dio com’èggrosso!!!
Sta fermo, lo tiene alla base, fermo ed apprezzo: devo fare da sola, è meglio!
Do un leggero affondo ed il mostro si fa un pochino strada dentro di me… Altro affondo, più profondo, anche se di poco.
Terzo affondo: adesso lo sento bene dentro… Provo ancora a scendere…. Ohhhhhhhh… Dio, chebbello….
E’ gigantesco, non ne ho mai sentito di così grossi, ma adesso c’è… comincio a danzarci sopra ed alla fine mi sento completamente riempita, invasa, allargata, dilatata, rotta, donna completa e completata; gli bacio la bocca sensuale e…. esplodo!!!!!!
Dio, che orgasmo! Il padre e la madre di tutti gli orgasmi!
Mi sento partire come un razzo, girare, scuotermi tutta, perdo il tempo, il luogo, tutto e poi... poi niente: mi ritrovo lì, ammucchiata nel mio sfinimento.
Sono inginocchiata ai lati dei suoi fianchi, il suo palo solidamente infisso in me, le sue mani a stuzzicarmi i capezzoli e Jamal, dietro di me, che mi fa girare due dita nel buchino, divaricandole, allargandomi, preparandomi…
Dopo poco, sento la sua cappella turgida bussare a quella porticina; lo accolgo, rilassandomi e…. Ohhhhh!
I due turchi mi hanno colmata ed Ahmed, che era restato immobile mentre il padre prendeva posizione dentro di me, ora ricomincia a muoversi, a darsi e darmi piacere, a… fottermi! Sì, fottermi come una cagna, una troia, una porca, col suo colossale cazzone che mi sfonda la fica e mentre quel maiale di suo padre mi incula ed io, riempita dai loro due bei cazzi, che godo, godo, godo…
La mattina dopo, mi sveglio abbracciata ad Ahmed, mentre sento Jamal russare dalla brandina superiore.
Siamo nudi e mi sento impiastricciata del loro sperma, colato fuori dai miei deliziosamente martoriati buchini.
Sono lurida, spettinata ed ho ancora in bocca il sapore dei loro membri, del seme che dopo mi hanno offerto da bere e che ho accettato con gioia.
Guardo fuori: ha smesso di nevicare e anzi un pallido sole cerca di farsi largo tra la nuvolaglia; il termometro racconta di una temperatura esterna di ‘solo’ due gradi sotto lo zero ed il vento è caduto: la tormenta è finita.
Guardando davanti, vedo il camion intraversato muoversi; penso ad un’illusione ottica ma no: viene davvero tolto da un grosso mezzo e poi uno spazzaneve libera man mano i mezzi bloccati, che possono ripartire.
I due turchi si vestono, mi sorridono, mi baciano mentre finisco di rivestirmi, poi mi chiedono a gesti qual è la mia auto; quando lo hanno capito, scendono, armeggiano in una stiva sotto il rimorchio e poi arrivano, nel mezzo metro di neve, fino alla mia auto e con una vanghetta liberano la portiera e poi davanti.
Con una paletta da spazzatura, poi, sgombrano i finestrini ed infine tornano alla motrice.
Non mi alletta l’idea di tornare a sprofondare nella neve con collant e decolté, ma loro hanno la soluzione: a gesti mi fanno capire di salire sulle robuste spalle di Ahmed e mi depositano delicatamente al posto di guida della mia auto.
Provo ad accendere il motore ed al terzo tentativo, parte. Loro adesso sono tranquilli: mi abbracciano, mi baciano e tornano al loro bestione.
Ripenso con languore alle dolci sensazioni provate, mentre l’auto davanti alla mia viene liberata e… il primo che parla male dei turchi, lo PICCHIO!
1
voti
voti
valutazione
9
9
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Come cambia la vita! (dedicato a Padron De Sade)racconto sucessivo
I racconti di Terry 1) Sereno American Bar
Commenti dei lettori al racconto erotico