Mare di Croazia
di
Yuko
genere
voyeur
Al largo della costa, lontano dalle voci e dalle radio, galleggio.
Le punte dei piedi spuntano dall'acqua, come scogli in agguato per velieri imprudenti e mi sorprendo a chiedermi se, in contrasto alla pelle abbronzata, stia meglio uno smalto per le unghie fucsia o acquamarina.
Ripasso le leggi della fisica. Solo il monotono frinire delle cicale fa da sfondo sonoro ai miei esperimenti di galleggiamento.
Gonfio i polmoni e il corpo emerge facilmente dall'acqua salata.
Il seno sporge e sono fiera della sua consistenza. Svetta come culmine di un atollo esotico, cime gemelle su un deserto di pelle che dal rossastro-scottato comincia ad assumere una piacevole tinta nocciola.
Il ventre è uno scudo gradevolmente convesso, zolla galleggiante nel mare di magma primordiale.
L'ombelico un'oasi, unica fonte di acqua nel terreno emergente.
Piccole onde lambiscono i fianchi e si infilano fra le cosce, come delfini eccitati incontro alla mia vulva.
Sento le onde fresche che filtrano negli slip regalandomi carezze provocanti.
Espiro lentamente e il corpo si inabissa, come un sommergibile in assetto da battaglia.
Prima scompaiono i piedi, dopo l'ultimo orgoglioso guizzo delle unghie smaltate, come il raggio verde a suggellare l'ultimo atto di un tramonto perfetto.
Poi le cosce e il monte di Venere, appena accennato sopra la muscolatura dei quadricipiti, e infine il ventre.
Il seno tramonta come la luna tra le dune del deserto della Namibia, curve di forma cangiante, la sabbia trasportata in moto eterno da un vento instancabile.
I capezzoli come ultimo baluardo delle rotondità che scompaiono nei flutti marini.
Il fresco li mantiene contratti e sporgenti, sensuale richiamo per naufraghi in età fertile.
La massa morbida delle mammelle mi trattiene a galla, meravigliosa composizione di ghiandole e grasso, sapientemente dosata per il miglior richiamo alla riproduzione e alla passione.
Ma di nuovo inspiro l'aria, come da una grotta a circolazione eolica variabile e il seno inverte la sua rotta e riemerge provocante, emettendo segnali di richiamo visivo e olfattivo per leoni marini dai sensi acuiti e in tempesta androgenica.
Finalmente un tonno abbocca al sensuale richiamo della sirena.
Un bel manzo di mare dalla mandibola volitiva e la barba di tre giorni.
Mi gira intorno due o tre volte, come una foca che non sa come approdare su un piccolo iceberg.
Poi allunga una mano sul seno, ne verifica se la consistenza promessa è, alla resa dei conti, reale.
Gioca sui bordi del tessuto, indeciso sulla migliore procedura di denudamento.
Intorno a noi non c'è nessuno, non famigliole in canotto, né emuli di Mark Spitz, né adolescenti che potrebbero venir turbati da quanto il menù voyeuristico promette di realizzare nel breve termine.
La mano mi abbassa una spallina, ma ancora non ci siamo.
Le dita si immergono sotto la schiena in cerca di un nodo da sciogliere.
È tempo di modificare l'assetto e da orizzontale, mi lascio scivolare in posizione ortogonale.
Anni di ingegneria digitale hanno facile gioco sul nodo del reggiseno e l'indumento si stacca dalle tette, andando laconicamente alla deriva.
Il contrasto tra la pelle abbronzata e le regioni nascoste al Sole, come la linea del terminatore che separa la luce dalle tenebre sulla tonda superficie della Luna.
Sottile demarcazione a elevata carica erotica, il segno del costume di una donna.
Promessa di mondi imperdibili.
Richiamo irresistibile.
Ma la scena ormai si è spostata sotto il livello delle acque, lontana pure dagli sguardi dei grifoni e lascio fare, curiosa su come evolverà la situazione.
I capezzoli sono due antenne pronte a ricevere e inviare segnali in codice.
La luce del sole gioca ora con la mia pelle.
Losanghe e triangoli irregolari si disegnano sul mio seno e sul mio ventre, con luce balenante giallo dorata dai contorni ambrati.
I raggi si scompongono in diffrazioni imprevedibili, preziosi arabeschi di fugaci arcobaleni.
Quale miglior tessuto per il mio corpo nudo, pelle abbronzata sullo sfondo turchese del mare croato.
Jos resta ad ammirare le forme luminose, effimeri raggi laser che accarezzano i miei seni senza toccarli. Brillamenti sul ventre che si inoltrano a sfiorare le cosce.
Scintillii per gazze rapaci, segnali radio su oscilloscopi puntati verso quasar lontani.
Pulsazioni indecifrabili prendono vita e si materializzano sul mio corpo, sotto i nostri occhi affascinati.
Le dita olandesi mi sfiorano il seno inseguendo le scintille che balenano sulla pelle come meteore nel cielo notturno.
Un pittore impazzito cerca di catturare l'infinità della luce, su una tela di pelle orientale.
Due mani scivolano sui miei fianchi, dal petto riunendosi sulla vita per riallargarsi nella curva del mio bacino e si arrestano sullo stretto laccio che mi lega i due pezzi dello slip.
Piccolo triangolo fucsia che fascia la convessità del monte di Venere.
Soffice cuscino su cui appoggiare il capo mentre i sensi si inebriano di profumo di donna e le dita giocano a rincorrersi fra i ciuffi di peli, prima di immergersi tra pieghe umide in agognata attesa.
Una mano mi abbassa il costume, i peli neri emergono vivaci, come anemoni di mare, lunghi e morbidi, in fluttuazione armonica.
La mano si infila dove la vista non riesce e io stringo le labbra, mi appoggio alla spalla di fronte per non annegare, mentre le dita frugano e cercano, affondano in grotte marine, in rifugi per cefalopodi in pericolo.
E così sento le dita muoversi, le intuisco, anche senza vederle, nascoste dal velo dei peli e dall'oscurità delle profondità marine.
Ma di più non si può.
L'amplesso mentre si cerca di galleggiare è perdente e l'amore consumato in basse acque marine, che tutto sciolgono e diluiscono, può risultare troppo ruvido e spiacevole, almeno per la donna.
A riva poi è un circo di bambini e madri premurose, anche se l'ouverture offerta dalle cicale sarebbe molto appropriata.
Magari stanotte, stessa spiaggia, stesso mare, se le cicale ci concederanno il bis con un notturno di Chopin.
Le punte dei piedi spuntano dall'acqua, come scogli in agguato per velieri imprudenti e mi sorprendo a chiedermi se, in contrasto alla pelle abbronzata, stia meglio uno smalto per le unghie fucsia o acquamarina.
Ripasso le leggi della fisica. Solo il monotono frinire delle cicale fa da sfondo sonoro ai miei esperimenti di galleggiamento.
Gonfio i polmoni e il corpo emerge facilmente dall'acqua salata.
Il seno sporge e sono fiera della sua consistenza. Svetta come culmine di un atollo esotico, cime gemelle su un deserto di pelle che dal rossastro-scottato comincia ad assumere una piacevole tinta nocciola.
Il ventre è uno scudo gradevolmente convesso, zolla galleggiante nel mare di magma primordiale.
L'ombelico un'oasi, unica fonte di acqua nel terreno emergente.
Piccole onde lambiscono i fianchi e si infilano fra le cosce, come delfini eccitati incontro alla mia vulva.
Sento le onde fresche che filtrano negli slip regalandomi carezze provocanti.
Espiro lentamente e il corpo si inabissa, come un sommergibile in assetto da battaglia.
Prima scompaiono i piedi, dopo l'ultimo orgoglioso guizzo delle unghie smaltate, come il raggio verde a suggellare l'ultimo atto di un tramonto perfetto.
Poi le cosce e il monte di Venere, appena accennato sopra la muscolatura dei quadricipiti, e infine il ventre.
Il seno tramonta come la luna tra le dune del deserto della Namibia, curve di forma cangiante, la sabbia trasportata in moto eterno da un vento instancabile.
I capezzoli come ultimo baluardo delle rotondità che scompaiono nei flutti marini.
Il fresco li mantiene contratti e sporgenti, sensuale richiamo per naufraghi in età fertile.
La massa morbida delle mammelle mi trattiene a galla, meravigliosa composizione di ghiandole e grasso, sapientemente dosata per il miglior richiamo alla riproduzione e alla passione.
Ma di nuovo inspiro l'aria, come da una grotta a circolazione eolica variabile e il seno inverte la sua rotta e riemerge provocante, emettendo segnali di richiamo visivo e olfattivo per leoni marini dai sensi acuiti e in tempesta androgenica.
Finalmente un tonno abbocca al sensuale richiamo della sirena.
Un bel manzo di mare dalla mandibola volitiva e la barba di tre giorni.
Mi gira intorno due o tre volte, come una foca che non sa come approdare su un piccolo iceberg.
Poi allunga una mano sul seno, ne verifica se la consistenza promessa è, alla resa dei conti, reale.
Gioca sui bordi del tessuto, indeciso sulla migliore procedura di denudamento.
Intorno a noi non c'è nessuno, non famigliole in canotto, né emuli di Mark Spitz, né adolescenti che potrebbero venir turbati da quanto il menù voyeuristico promette di realizzare nel breve termine.
La mano mi abbassa una spallina, ma ancora non ci siamo.
Le dita si immergono sotto la schiena in cerca di un nodo da sciogliere.
È tempo di modificare l'assetto e da orizzontale, mi lascio scivolare in posizione ortogonale.
Anni di ingegneria digitale hanno facile gioco sul nodo del reggiseno e l'indumento si stacca dalle tette, andando laconicamente alla deriva.
Il contrasto tra la pelle abbronzata e le regioni nascoste al Sole, come la linea del terminatore che separa la luce dalle tenebre sulla tonda superficie della Luna.
Sottile demarcazione a elevata carica erotica, il segno del costume di una donna.
Promessa di mondi imperdibili.
Richiamo irresistibile.
Ma la scena ormai si è spostata sotto il livello delle acque, lontana pure dagli sguardi dei grifoni e lascio fare, curiosa su come evolverà la situazione.
I capezzoli sono due antenne pronte a ricevere e inviare segnali in codice.
La luce del sole gioca ora con la mia pelle.
Losanghe e triangoli irregolari si disegnano sul mio seno e sul mio ventre, con luce balenante giallo dorata dai contorni ambrati.
I raggi si scompongono in diffrazioni imprevedibili, preziosi arabeschi di fugaci arcobaleni.
Quale miglior tessuto per il mio corpo nudo, pelle abbronzata sullo sfondo turchese del mare croato.
Jos resta ad ammirare le forme luminose, effimeri raggi laser che accarezzano i miei seni senza toccarli. Brillamenti sul ventre che si inoltrano a sfiorare le cosce.
Scintillii per gazze rapaci, segnali radio su oscilloscopi puntati verso quasar lontani.
Pulsazioni indecifrabili prendono vita e si materializzano sul mio corpo, sotto i nostri occhi affascinati.
Le dita olandesi mi sfiorano il seno inseguendo le scintille che balenano sulla pelle come meteore nel cielo notturno.
Un pittore impazzito cerca di catturare l'infinità della luce, su una tela di pelle orientale.
Due mani scivolano sui miei fianchi, dal petto riunendosi sulla vita per riallargarsi nella curva del mio bacino e si arrestano sullo stretto laccio che mi lega i due pezzi dello slip.
Piccolo triangolo fucsia che fascia la convessità del monte di Venere.
Soffice cuscino su cui appoggiare il capo mentre i sensi si inebriano di profumo di donna e le dita giocano a rincorrersi fra i ciuffi di peli, prima di immergersi tra pieghe umide in agognata attesa.
Una mano mi abbassa il costume, i peli neri emergono vivaci, come anemoni di mare, lunghi e morbidi, in fluttuazione armonica.
La mano si infila dove la vista non riesce e io stringo le labbra, mi appoggio alla spalla di fronte per non annegare, mentre le dita frugano e cercano, affondano in grotte marine, in rifugi per cefalopodi in pericolo.
E così sento le dita muoversi, le intuisco, anche senza vederle, nascoste dal velo dei peli e dall'oscurità delle profondità marine.
Ma di più non si può.
L'amplesso mentre si cerca di galleggiare è perdente e l'amore consumato in basse acque marine, che tutto sciolgono e diluiscono, può risultare troppo ruvido e spiacevole, almeno per la donna.
A riva poi è un circo di bambini e madri premurose, anche se l'ouverture offerta dalle cicale sarebbe molto appropriata.
Magari stanotte, stessa spiaggia, stesso mare, se le cicale ci concederanno il bis con un notturno di Chopin.
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