Gloriose figure di merda - Capodanno senza botta
di
PabloN
genere
comici
Allora non lo sapevo, ma quello sarebbe stato il mio ultimo Capodanno da single. L’anno seguente tutto sarebbe cambiato. Per il momento ciò che era certo era che da circa due mesi ero tornato sul mercato. Senza grossi traumi per nessuno dei due, a dire il vero.
Certo si poneva, in occasione delle festività natalizie, il problema di come passare l’ultimo giorno dell’anno. Mi venne in aiuto un amico, uno di quelli con cui suonavo in un piccolo gruppo. Niente di che. Solo cinque amici con la passione per la musica che si ritrovavano in un garage e davano sfogo alla loro passione.
Uno di questi aveva casa in un paese vicino ad Alba. Una piccola casa, tipico cascinale langarolo, diviso in due piani A quello inferiore cucina, una sala e un bagno, a quello superiore due camere da letto e un altro bagno. Tutto qui.
La casa veniva usata in estate per sfuggire all’afa che chiudeva la città sotto una cappa pesante. In inverno rimaneva per lo più chiusa, ma era comunque presente un impianto di riscaldamento e la cucina era dotata di stufa che svolgeva due funzioni: piano cottura e, appunto, sistema di riscaldamento. Quello che in lingua locale si chiama putagè.
Alla fine aderimmo in sette: due coppie e tre singles.
Preparammo tutto, ripulimmo, provammo a far scaldare i termosifoni, portammo legna per la stufa e, ovviamente, ci divedemmo le cibarie da preparare. Last, but not least, l’acool. Vino, ovviamente. Senza disdegnare però liquorini vari e superalcolici.
In realtà nessuno era un grande estimatore del’alcool. Non ricordavo di aver mai visto nessuno di loro ciucco. Per quanto mi riguardava forse un paio di volte avevo ecceduto la mia dose normale ma senza conseguenze gravi ed irreparabili. Ma c’è sempre una prima volta, e per quanto mi riguarda fu quella.
I singles, oltre me, erano Giulia, sorella del quinto componente il gruppo, che quell’anno aveva deciso di spassarsela a Piazza del Plebiscito a Napoli, e il nostro secondo chitarrista. Tralascio la
descrizione del chitarrista. Da che lo conoscevo lo avevo sempre visto da solo, cosa che non capivo perché per quanto ne capivo io non era un cesso ed era di ottima compagnia.
Giulia era, invece, un tipico prodotto degli anni ottanta. Amava gli abiti firmati, usava profumo alla moda. Ci guardava con aria di superiorità . Noi eravamo residui di quel mitico sessantotto ormai già dimenticato. Certo non era niente male, ma era come dire…fuori luogo ecco. Ciò non toglie che quando si presentò quella sera, con una camicia firmata tesa sul seno, jeans che le disegnavano le natiche tonde e, almeno a quanto appariva, sode e un profumo sensuale..beh diciamo che non mi passò inosservata.
La sistemazione offriva la possibilità di rimanere a dormire, cosa alquanto gradita considerando che si sarebbe festeggiato fino a tardi e che il tasso alcolico dei partecipanti sarebbe stato, presumibilmente, più elevato della norma.
Le stanze al piano superiore sarebbero state delle due coppie, noi tre ci saremmo sistemati al piano inferiore. Io e l’altro tapino in cucina, Giulia in sala.
Spostando i mobili e utilizzando le nostre cuccette da campeggio e sacchi a pelo ne veniva fuori una sistemazione più che accettabile. Tanto più che sarebbe stato per una sola notte, e per un numero di ore ridotto, essendo quella una notte di festeggiamenti.
Tutto andò bene. Mangiammo, ridemmo, a mezzanotte brindisi e fuochi comprati per l’occasione e fatti brillare nel cortile della casa. Le bottiglie di vino, nel frattempo, erano già allineate sul tavolo della sala, vuote e sconsolate.
Dopo una serie di giochi di società, decidemmo per un poker. Ma non a soldi! Con le tasche vuote che avevamo a nessuno sarebbe venuto in mente. La posta in gioco era un goccetto deciso di volta in volta dal vincitore. Partecipammo noi quattro maschietti, preferendo le donzelle una partita a ciance (traduzione: farsi i cazzi altrui).
Iniziammo più o meno alle due di notte. Alle quattro decidemmo di smettere per sopraggiunto limite di alcolemia.
Chi disse sfortunato al gioco fortunato in amore era coglione, o ubriaco. Probabilmente entrambi. Io in amore non avevo gran fortuna e quanto al gioco avevo dimostrato di non essere da meno. Di certo ero quello che aveva bevuto di più.
La sfiga era che avevo mani buone, così ero indotto a giocarle. Al momento di scoprire le carte, però, spesso qualcuno le aveva migliori delle mie. Cosi che…cimpa!! Una volta Cointreau, una volte Rhum, quello che decideva il vincitore del giro insomma.
Solo piccoli sorsi, per carità. Ma se ne sommi un bel numero è come essersi scolati una bottiglia. La miscellanea poi creava effetti imprevedibili.
Andai a letto con la testa rintronata. La cucina, riscaldata dalla stufa, manteneva una temperatura decisamente troppo alta per le mie abitudini. Inoltre sudavo come un cammello per effetto dell’alcool ingerito. La bocca era indescrivibile e una leggera nausea iniziava a disturbare il mio tentativo di addormentarmi.
A peggiorare la situazione vi era poi il chitarrista. Capivo perché era single. Non credevo nemmeno fosse possibile russare con una simile emissione di Decibel. Lui invece emetteva suoni raggelanti senza scomporsi. Una tortura!
Non so dopo quanto tempo decisi che la nausea fosse divenuta decisamente pericolosa. Fatto sta che mi alzai, barcollando, dirigendomi verso il bagno. La testa girava e dovevo appoggiarmi per evitare di finire per terra.
Giunto alla sala mi fermai. Dovetti appoggiarmi a un mobile e cercare di riprendere il controllo della giostra. Fu in quel momento che gli eventi presero una piega imprevista, precipitandomi verso l’epilogo.
Appoggiato, guardai nella stanza. Vidi la brandina di Giulia. Vedevo poco, sia per la sbornia, sia perché solo poca luce filtrava dalle imposte socchiuse. Più che altro intravedevo la forma distesa, nulla di più.
Iniziai a pensare che non era poi così male. Era stata al gioco, simpatica. Rideva delle nostre battute, magari per pietà, però lo faceva. Poi i pensieri persero innocenza. Non lo avevo premeditato, semplicemente la mente prese vie proprie sulle quali non esercitava alcun controllo.
Iniziai dal seno, per me ancora oggi una meraviglia della natura femminile. Le tolsi la camicia, poi il reggiseno. Che belle tette doveva avere! Potevo quasi sentirle, sode, calde, eccitanti sotto le mani e sulle labbra Quindi passai ai jeans. Chissà che bel culetto aveva. La pietra era stata lanciata e rotolava senza più freni. Via anche le mutandine. Perizoma? Ma si dai, non badiamo a spese! Un pelo corto e morbido, che solletica la mano che lo accarezza alla ricerca della sua passerina liscia e, ovviamente, umida. Quasi ne sentivo il sapore.
Immagini su immagini. Immagini che provocavano l’aumento di afflusso sanguigno al mio amico del piano ammezato. Complice l’alcool però non riuscivano a portare il suo turgore al massimo livello. Lo disse Shakespeare che l’alcool eccita la fantasia e deprime l’azione. Forse aveva passato anche lui un capodanno così. Lo diceva per esperienza.
Fatto stà che la mano scivolò nel pantalone del pigiama, lo abbassò quel tanto che bastava, trovò il sesso a mezz’asta e iniziò a massaggiarlo lenta, su e giu, godendosi quel momento di autoerotismo suscitato da un’ignara ragazza che giaceva li, a pochi passi da me. Almeno così credevo.
Fu un leggero scricchiolio che mi fece voltare appena. Lei era li, accanto a me. In piedi. Incredula. Gli occhi iniettati di sangue come una lupa pronta ad attaccare. E lo fece. Attaccare intendo. La mano si levò e ricadde pesante sulla mia faccia, facendomi letteralmente girare dalla parte opposta.
La voce usci come un ruggito:
“Queste porcate vai almeno a farle in bagno, STRONZO!”
Stronzo sottolineato con enfasi.
Evidentemente quello che avevo guardato sulla brandina era solo il sacco a pelo lasciato alla rinfusa. Lei era andata in bagno e al ritorno mi aveva beccato.
Sentii la nausea riprendere quota, ripartii di corsa. Giusto in tempo per guadagnare la tazza del water e scaricare in essa la massa di cicchetti ingoiata in due ore di sfortunata partita a poker.
Di ritorno al mio giaciglio, passando nuovamente davanti la sua brandina credo di aver sentito, seppur sommessamente “Stronzo…”. La mano sul fuoco però non la metto.
Anche se a fatica misi a fuoco quale figura di merda mi fossi fatto.
Beccato dalla sorella di un amico a masturbarmi davanti la sua brandina , con un’erezione che lasciava alquanto a desiderare e che, nel caso le fosse anche passato per la testa di dare corpo alle mie fantasie, non mi avrebbe consentito di portare a compimento i miei desideri.
Ormai era fatta e la stanchezza vinse. Mi impiombai e dormii fino alle tre del pomeriggio seguente.
Quando mi svegliai lei era già andata via. Aiutai a risistemare e tornai a casa.
Non parlammo mai di quanto era successo nelle poche occasioni in cui ci incontrammo nuovamente.
Che io sappia oggi vive a Milano e lavora per Mediaset. In fondo quello era il suo posto.
Certo si poneva, in occasione delle festività natalizie, il problema di come passare l’ultimo giorno dell’anno. Mi venne in aiuto un amico, uno di quelli con cui suonavo in un piccolo gruppo. Niente di che. Solo cinque amici con la passione per la musica che si ritrovavano in un garage e davano sfogo alla loro passione.
Uno di questi aveva casa in un paese vicino ad Alba. Una piccola casa, tipico cascinale langarolo, diviso in due piani A quello inferiore cucina, una sala e un bagno, a quello superiore due camere da letto e un altro bagno. Tutto qui.
La casa veniva usata in estate per sfuggire all’afa che chiudeva la città sotto una cappa pesante. In inverno rimaneva per lo più chiusa, ma era comunque presente un impianto di riscaldamento e la cucina era dotata di stufa che svolgeva due funzioni: piano cottura e, appunto, sistema di riscaldamento. Quello che in lingua locale si chiama putagè.
Alla fine aderimmo in sette: due coppie e tre singles.
Preparammo tutto, ripulimmo, provammo a far scaldare i termosifoni, portammo legna per la stufa e, ovviamente, ci divedemmo le cibarie da preparare. Last, but not least, l’acool. Vino, ovviamente. Senza disdegnare però liquorini vari e superalcolici.
In realtà nessuno era un grande estimatore del’alcool. Non ricordavo di aver mai visto nessuno di loro ciucco. Per quanto mi riguardava forse un paio di volte avevo ecceduto la mia dose normale ma senza conseguenze gravi ed irreparabili. Ma c’è sempre una prima volta, e per quanto mi riguarda fu quella.
I singles, oltre me, erano Giulia, sorella del quinto componente il gruppo, che quell’anno aveva deciso di spassarsela a Piazza del Plebiscito a Napoli, e il nostro secondo chitarrista. Tralascio la
descrizione del chitarrista. Da che lo conoscevo lo avevo sempre visto da solo, cosa che non capivo perché per quanto ne capivo io non era un cesso ed era di ottima compagnia.
Giulia era, invece, un tipico prodotto degli anni ottanta. Amava gli abiti firmati, usava profumo alla moda. Ci guardava con aria di superiorità . Noi eravamo residui di quel mitico sessantotto ormai già dimenticato. Certo non era niente male, ma era come dire…fuori luogo ecco. Ciò non toglie che quando si presentò quella sera, con una camicia firmata tesa sul seno, jeans che le disegnavano le natiche tonde e, almeno a quanto appariva, sode e un profumo sensuale..beh diciamo che non mi passò inosservata.
La sistemazione offriva la possibilità di rimanere a dormire, cosa alquanto gradita considerando che si sarebbe festeggiato fino a tardi e che il tasso alcolico dei partecipanti sarebbe stato, presumibilmente, più elevato della norma.
Le stanze al piano superiore sarebbero state delle due coppie, noi tre ci saremmo sistemati al piano inferiore. Io e l’altro tapino in cucina, Giulia in sala.
Spostando i mobili e utilizzando le nostre cuccette da campeggio e sacchi a pelo ne veniva fuori una sistemazione più che accettabile. Tanto più che sarebbe stato per una sola notte, e per un numero di ore ridotto, essendo quella una notte di festeggiamenti.
Tutto andò bene. Mangiammo, ridemmo, a mezzanotte brindisi e fuochi comprati per l’occasione e fatti brillare nel cortile della casa. Le bottiglie di vino, nel frattempo, erano già allineate sul tavolo della sala, vuote e sconsolate.
Dopo una serie di giochi di società, decidemmo per un poker. Ma non a soldi! Con le tasche vuote che avevamo a nessuno sarebbe venuto in mente. La posta in gioco era un goccetto deciso di volta in volta dal vincitore. Partecipammo noi quattro maschietti, preferendo le donzelle una partita a ciance (traduzione: farsi i cazzi altrui).
Iniziammo più o meno alle due di notte. Alle quattro decidemmo di smettere per sopraggiunto limite di alcolemia.
Chi disse sfortunato al gioco fortunato in amore era coglione, o ubriaco. Probabilmente entrambi. Io in amore non avevo gran fortuna e quanto al gioco avevo dimostrato di non essere da meno. Di certo ero quello che aveva bevuto di più.
La sfiga era che avevo mani buone, così ero indotto a giocarle. Al momento di scoprire le carte, però, spesso qualcuno le aveva migliori delle mie. Cosi che…cimpa!! Una volta Cointreau, una volte Rhum, quello che decideva il vincitore del giro insomma.
Solo piccoli sorsi, per carità. Ma se ne sommi un bel numero è come essersi scolati una bottiglia. La miscellanea poi creava effetti imprevedibili.
Andai a letto con la testa rintronata. La cucina, riscaldata dalla stufa, manteneva una temperatura decisamente troppo alta per le mie abitudini. Inoltre sudavo come un cammello per effetto dell’alcool ingerito. La bocca era indescrivibile e una leggera nausea iniziava a disturbare il mio tentativo di addormentarmi.
A peggiorare la situazione vi era poi il chitarrista. Capivo perché era single. Non credevo nemmeno fosse possibile russare con una simile emissione di Decibel. Lui invece emetteva suoni raggelanti senza scomporsi. Una tortura!
Non so dopo quanto tempo decisi che la nausea fosse divenuta decisamente pericolosa. Fatto sta che mi alzai, barcollando, dirigendomi verso il bagno. La testa girava e dovevo appoggiarmi per evitare di finire per terra.
Giunto alla sala mi fermai. Dovetti appoggiarmi a un mobile e cercare di riprendere il controllo della giostra. Fu in quel momento che gli eventi presero una piega imprevista, precipitandomi verso l’epilogo.
Appoggiato, guardai nella stanza. Vidi la brandina di Giulia. Vedevo poco, sia per la sbornia, sia perché solo poca luce filtrava dalle imposte socchiuse. Più che altro intravedevo la forma distesa, nulla di più.
Iniziai a pensare che non era poi così male. Era stata al gioco, simpatica. Rideva delle nostre battute, magari per pietà, però lo faceva. Poi i pensieri persero innocenza. Non lo avevo premeditato, semplicemente la mente prese vie proprie sulle quali non esercitava alcun controllo.
Iniziai dal seno, per me ancora oggi una meraviglia della natura femminile. Le tolsi la camicia, poi il reggiseno. Che belle tette doveva avere! Potevo quasi sentirle, sode, calde, eccitanti sotto le mani e sulle labbra Quindi passai ai jeans. Chissà che bel culetto aveva. La pietra era stata lanciata e rotolava senza più freni. Via anche le mutandine. Perizoma? Ma si dai, non badiamo a spese! Un pelo corto e morbido, che solletica la mano che lo accarezza alla ricerca della sua passerina liscia e, ovviamente, umida. Quasi ne sentivo il sapore.
Immagini su immagini. Immagini che provocavano l’aumento di afflusso sanguigno al mio amico del piano ammezato. Complice l’alcool però non riuscivano a portare il suo turgore al massimo livello. Lo disse Shakespeare che l’alcool eccita la fantasia e deprime l’azione. Forse aveva passato anche lui un capodanno così. Lo diceva per esperienza.
Fatto stà che la mano scivolò nel pantalone del pigiama, lo abbassò quel tanto che bastava, trovò il sesso a mezz’asta e iniziò a massaggiarlo lenta, su e giu, godendosi quel momento di autoerotismo suscitato da un’ignara ragazza che giaceva li, a pochi passi da me. Almeno così credevo.
Fu un leggero scricchiolio che mi fece voltare appena. Lei era li, accanto a me. In piedi. Incredula. Gli occhi iniettati di sangue come una lupa pronta ad attaccare. E lo fece. Attaccare intendo. La mano si levò e ricadde pesante sulla mia faccia, facendomi letteralmente girare dalla parte opposta.
La voce usci come un ruggito:
“Queste porcate vai almeno a farle in bagno, STRONZO!”
Stronzo sottolineato con enfasi.
Evidentemente quello che avevo guardato sulla brandina era solo il sacco a pelo lasciato alla rinfusa. Lei era andata in bagno e al ritorno mi aveva beccato.
Sentii la nausea riprendere quota, ripartii di corsa. Giusto in tempo per guadagnare la tazza del water e scaricare in essa la massa di cicchetti ingoiata in due ore di sfortunata partita a poker.
Di ritorno al mio giaciglio, passando nuovamente davanti la sua brandina credo di aver sentito, seppur sommessamente “Stronzo…”. La mano sul fuoco però non la metto.
Anche se a fatica misi a fuoco quale figura di merda mi fossi fatto.
Beccato dalla sorella di un amico a masturbarmi davanti la sua brandina , con un’erezione che lasciava alquanto a desiderare e che, nel caso le fosse anche passato per la testa di dare corpo alle mie fantasie, non mi avrebbe consentito di portare a compimento i miei desideri.
Ormai era fatta e la stanchezza vinse. Mi impiombai e dormii fino alle tre del pomeriggio seguente.
Quando mi svegliai lei era già andata via. Aiutai a risistemare e tornai a casa.
Non parlammo mai di quanto era successo nelle poche occasioni in cui ci incontrammo nuovamente.
Che io sappia oggi vive a Milano e lavora per Mediaset. In fondo quello era il suo posto.
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