Omaggio a zio Renato - Quarta parte - La partenza

di
genere
gay

Il mattino

Mi svegliai con il canto del gallo. Alle 10 del mattino faceva già molto caldo, ma la tranquillità rassicurante della campagna circostante mi dava una pace interiore che non avrei dovuto provare. Perché? Perché la situazione era veramente complicata e, se pensavo alle parole di Renato della sera prima, rabbrividivo. Nel grande letto, coricata sulla pancia, ero a malapena coperta da leggere lenzuola di lino. Lasciavano intravvedere maliziosamente la perfetta forma dei miei glutei. Glutei leggermente sollevati con le cosce divaricate. Culo sodo. Cosce ben tornite. Portavo ancora le scarpe con i tacchi alti, le fini calze velate, e il reggicalze.
Era stata, come sempre con Renato, un’intensa notte.
Non riesco a capire, ancor oggi, come faceva ad avere quella resistenza e quella continua voglia assatanata quando faceva sesso con me.
Lo sentii salire le scale.
“Tesoro..!” bisbigliò piano. “E’ ora di alzarsi!”. Feci finta di svegliarmi in quel momento. Portava un vassoio da letto colmo di ogni bendidìo. Si sedette sul bordo del letto. La sua grande mano accarezzò la curva del mio culo. Esclamò sottovoce e maliziosamente: ”Meravigliosa! Mi fai già tirare il cazzo!” In risposta sollevai i glutei con un gemito da adolescente. La sua mano si insinuò sotto le lenzuola. Con il dito medio cominciò a trastullarmi l’orifizio mentre il desiderio si impadroniva di me. “Ho fame!” dissi. Lui, in risposta (e sogghignando), cominciò ad elencare i vari tipi di biscotti e di brioches che aveva appena portato.
Interruppi l’elenco del menù: “Non amo il dolce. Preferisco il salato. In questo momento gradirei un mezzo chilo di carne cruda”.
La sua espressione cambiò. Il lampo di malignità che conoscevo bene si manifestò sul suo viso.
“Ti voglio..!” sibilò. “Aspetta! Mi devo lavare… e truccare!” Risposi io.
“Allora sbrigati”. Ti concedo dieci minuti. Non di più”.
Mi diressi verso il bagno. Dopo la doccia entrai nella stanza segreta dove mi cosparsi di creme, mi truccai, e abbondai con un profumo da puttana di bordello.
Saltellando sui tacchi e arrivando in camera, lo trovai al centro del letto. Gambe divaricate. Ventre prominente. E.. meraviglioso membro in piena erezione.
Non mi stancava mai quell’enorme nerchia. Era il simbolo del potere e (per me) della devota sottomissione. Strisciai fino ad averlo a qualche centimetro dalla bocca. L’odore di muschio selvatico che emanava mi faceva eccitare come una vacca vogliosa. La fame prese il sopravvento. Lui gemeva come un porco mentre io facevo entrare il mega cazzo fino in fondo alla gola. Il mio scopo era quello di soddisfare in maniera perfetta il mio stallone. Ero vorace. Rimiravo quella nerchia che il mio pugno, viste le dimensioni, non riusciva a stringere completamente.
Succhiai per mezz’ora. Il pompino fu condito da una serie di insulti e bestemmie.
“Sei la più porca troia pompinara! Ti piace il mio cazzone eh?”
Gli insulti di Renato hanno sempre avuto un effetto straordinariamente eccitante su di me: mi facevano sentire totalmente femmina. Una femmina affamata di sborra calda.
Istintivamente, mi girai. Dopo essersi cibato del mio buco del culo, si sollevò, ritto sui piedi e, quasi completamente eretto dietro di me, mi prese. Si appoggiò poi su di me. Ebbi paura che mi sventrasse. Sentii un dolore profondo quando l’enorme arnese scivolò fino in fondo. Si fermò e.. rantolando come un maiale, praticamente mi violentò. “Renato… mi fai male!” “Zitta puttana!”
Al dolore subentrò poco dopo il piacere totale. Dopo mezz’ora venne. Urlando.
Crollai di pancia. Lui era ancora dentro di me. Dava gli ultimi sussulti. Venni anch’io, urlando di piacere.
Dopo pranzo
“Ti ho preparato la valigia: ti ho messo tutto il necessario. I tuoi amici mi hanno fatto un elenco dettagliato degli indumenti e delle scarpe che devi portare”
“Non sono miei amici”
“Lo diventeranno.. vedrai..”
“Non ho molti soldi, Renato”. “A questo posso rimediare” rispose.
Mi mise in mano 2000 euro in banconote da 100. “Bastano? “penso di si amore..” risposi sorpresa ed eccitata.

La partenza

Fu Lui ad accompagnarmi all’aeroporto di Bologna.
Dalla provincia di Piacenza all’aeroporto, ci vollero due ore. Non parlammo molto.
Arrivati al terminal, parcheggiò. Disse: “cerca di dare il meglio di te stessa… mi raccomando.”
Mi salutò. Alla sua maniera. Mi prese dalla nuca e mi avvicinò alla sua bocca. La lingua, corposa e turgida, mi ripassò l’intero cavo orale. “Wow!” dissi. “Se non fossimo già qui, vorrei essere inculata subito”.
“Scendi” disse. Scesi e presi il bagaglio. Mi accorsi solo in quel momento dell’anziana impallidita signora che aveva assistito al “saluto” del mio stallone. Feci finta di nulla e mi incamminai.
Il volo era in orario. A bordo, l’anziano signore che avevo di fianco, cercò, con fare lascivo di attaccare bottone. Gli feci capire che non era il caso. Dormii. Dopo un’ora e mezza di volo, iniziò la discesa.
Ritirato il bagaglio, mi avvicinai all’uscita. Immediatamente, mi si avvicinò un uomo sulla quarantina che chiese quasi sottovoce: ”Reginella?” “Si” dissi. “Seguimi”.
Nel parcheggio semideserto, guardandosi attorno con cautela, aprì il baule di una vecchia Fiat Panda.
“Sali svelta!” disse. Partimmo. “Io sono l’Autista. Non ho un nome. Per te sono semplicemente l’Autista”.
“Va bene” dissi rispettosa. “Pensavo di viaggiare su un’auto diversa, però”
Lui si limitò a dire solo due parole: “profilo basso”.
Il viaggio, se così si può chiamare, fu una tortura. Sobbalzi continui, polvere e caldo da morire.
Arrivati in una zona praticamente deserta fuori Vibo, mi porse un paio di occhialini da piscina. Erano completamente verniciati di nero. “Mettili” disse con fare perentorio.
Ubbidii. Non vedevo assolutamente nulla. L’auto proseguì per almeno due ore. Strade sterrate. Di questo ne ero sicura. “Ora li puoi togliere” disse quando arrivammo ad un enorme cancello in ferro battuto circondato da folta vegetazione. Scese, aprì, ed entrammo. Richiuse il cancello frettolosamente.
Quattro rottweiler, con colli taurini e collari con borchie, ci scortavano.
Il lungo viale portava ad un’abitazione che mi lasciò a bocca aperta. Lo stile barocco era evidente. Ma la costruzione era recente. Enorme. Circondata di prati perfettamente verdi. Meravigliose piante ovunque. Fiori, siepi odorose, aranceti e limonaie curati perfettamente.
Fermò l’auto sul retro. Subito, due signore non più giovani, presero il mio bagaglio ed entrammo dalla porta di servizio. I cani, che si erano seduti ad un semplice schiocco di dita dell’Autista, mi osservavano.
Venni accompagnato in una splendida suite. La stanza da letto era di una meraviglia unica.
Il lusso era ovunque. Il bagno era enorme. Vasca idromassaggio, sauna, idro doccia e rubinetteria. Ovviamente dorata.
La più alta delle due si rivolse a me: “Faccia con comodo. Sono le 15. Il signor Antonino arriva in serata e la vuole giù nel salone da pranzo per le 21”. Il signor Antonino mi ha detto di consegnarle questa.
Mi porse una busta. Pure quella era in carta pregiata.
Uscirono. Chiusero la porta a chiave.
Mi guardai attorno. Dalla parete di fronte al letto, mi guardava un C Seed 262, il TV 4K più grosso al mondo, 262” (duecentosessantadue pollici). Una grande libreria, sulla parete di destra, raccoglieva antichi tomi del settecento, oltre a centinaia di libri più recenti squisitamente rilegati: notai qualche autore: Scott Fitzgerald, Hemingway, Bukowsky. Che strano. Gli abitanti di quel luogo avevano i miei stessi gusti letterari….
Su un grande ripiano sotto il televisore, centinaia di dischi blu ray. Prevalentemente pornografici. Soprattutto di travestiti e trans.
Su un tavolo settecentesco sapientemente lavorato, un mazzo di cento rose rosse ed un altro di orchidee rare.
Aprii la busta. Un breve messaggio diceva: “Benvenuta tesoro. Spero che la mia umile dimora ti piaccia. Come ti è stato detto, ti aspetto per le 21 in sala da pranzo. Ceneremo io e te. Da soli. Gli indumenti che hai portato li indosserai solo nella tua stanza. Per gli altri eventi, ho procurato io tutto il necessario che ti sarà consegnato stasera alle 18. Buona permanenza.
Antonino.
Feci un bagno bollente. Poi una sauna. Mi buttai a letto. Ero stanca. Puntai la sveglia digitale, di fianco al letto, per le 17.55.
Dormii profondamente.
Il bip bip della sveglia mi svegliò di soprassalto. Non ero ancora completamente desta quando bussarono alla porta. Prima che potessi dire “avanti”, la chiave girò nella serratura, e, la più piccola delle due signore comparve con delle custodie per abiti ed alcune valigette in pelle.
Uscì senza dire una parola.
Aprii le custodie. Vestitino super sexy. Cortissimo. In vera pelle. Notai il marchio D & G.
Calze nere, velate. Soffici come una nuvola. Il reggicalze portava incastonati dei rubini. Lo stesso valeva per il perizoma. La mia attenzione venne attratta dal profumo: Oud & Santal di Cartier. Costava un’enormità. La parrucca era nera. Capelli veri naturalmente. Orecchini e collier, in platino, erano anch’essi tempestati di rubini autentici. Rosso sangue. Un diadema da imperatrice, sempre in platino e rubini, completava questa apoteosi di raffinatezza.
Le calzature erano uno splendore. Stivali neri sopra il ginocchio con tacco vertiginoso. Pelle vera. E ancora rubini.
Iniziai i preparativi. “Dovevo lavorarci molto. Indossare quelle meraviglie mi eccitava.”
Iniziai con un bagno. Pulizia maniacale. Per la depilazione usai sia le creme che i depilatori elettrici. Dopo essermi cosparsa di pregiati unguenti, passai alle creme vere e proprie. Avevo l’imbarazzo della scelta.
Il risultato fu una pelle morbidissima, dolce e profumata. Ero da mangiare.
Con estrema cautela, indossai il perizoma. Il cordoncino posteriore mi solleticava piacevolmente l’orifizio anale. Misi le calze. Fantastiche. Con esse, le mie gambe acquistavano ancor di più in slancio.
Passai al mio amato reggicalze. Lo fissai con estrema attenzione.
Passai al trucco. Optai per un trucco seducente ma non volgare. Ciglia lunghe finte, fondotinta perfetto, rossetto rosso sangue e matita agli occhi. Con le finte unghie, rosse, lunghe come artigli, immaginavo già la mia mano che stringeva vogliosa un fantastico uccello pulsante.
Indossai il vestito.
Dopo aver messo parrucca e stivali alti, mi guardai allo specchio.
Non ero io! Era impossibile! Ero un’incantevole e stupefacente femmina nata per soddisfare in ogni modo il suo maschio.
Il tocco finale fu il diadema.
Ero pronta. Ore 20.55.
La porta si aprì. Le due signore entrarono. Non mi sfuggì il loro sguardo di ammirazione e stupore.

La cena

Mi accompagnarono nel salone da pranzo. La tavola era apparecchiata per due. Mi fecero accomodare e se ne andarono.
L’ambiente, a dir poco faraonico, era arredato con gusto. Alle pareti dell’enorme stanza (di almeno 100 metri quadrati) erano appesi quadri che riconobbi subito come originali: Rubens, Figino, Campi e Arcimboldo. Dipinti di un valore incalcolabile. Tutti ritraevano temi riguardanti frutta.
Agli angoli del salone, statue greche, probabilmente del periodo Ellenistico, erano custodi di quell’oasi nascosta nella brulla campagna calabrese, che parlava di eccellente cucina e di arte.
In tavola, il menù proponeva raffinate pietanze francesi: Rotolo di pollo farcito alla salsa di miso con maionese e “madeleine” all’olio tartufato. Chiffonade d’indivia su fagottino tiepido al brie di Meaux e carne dei Grigioni servita con Vinaigrette al papavero di Neimours. Filetto di luccioperca saltato all’olio di melograno, coulis di crostacei e cuori d’indivia. Volo di farfalle colorate ai funghi di stagione.
Il vino, il francese Vosne Romanée Cros Parantoux era già in tavola. Naturalmente parliamo del vino rosso più caro al mondo: oltre 10000 euro a bottiglia.
Tutto questo era la normalità per quel luogo che ostentava l’opulenza più sfrenata ma anche una malvagità demoniaca nascosta dietro ogni parete.
Il rumore dell’elicottero arrivò inaspettato. Nascosto da altissimi aceri montani, a circa duecento metri dal complesso abitativo, un piccolo eliporto si nascondeva da sguardi indiscreti.
Cinque minuti dopo, entrò nel salone Antonino, accompagnato dall’ Autista.
Era in forma. Elegantissimo, trasudava potere e sesso. Allargò le braccia verso di me. Mi alzai.
“Reginella! Mio Dio! Ma sei proprio tu?” Il cortissimo abitino scopriva il reggicalze tempestato di rubini. Percepii immediatamente il suo istinto animalesco. “Allora? Ti piace la mia casetta?”
“Non ho mai visto nulla di più bello” risposi.
“Ma fatti guardare tesoro!”. Mi prese le mani. Mi fece girare su me stessa ammirandomi con lussuria.
“Che ne dice Autista?” disse rivolto al suo accompagnatore. L’Autista, da quando era entrato, non aveva cambiato la sua espressione di stupore e ammirazione verso di me.
“Vada pure Autista. Faccia allontanare anche la servitù. Mantenga solo gli uomini di guardia al perimetro della tenuta. E occhi aperti. Non voglio sorprese stanotte”
L’autista, abbozzò un inchino e si allontanò. Il suo ultimo sguardo fu per me. Era chiaramente stregato ed arrapato dal gran pezzo di fica di proprietà del suo padrone.
“Reginella! Fattelo dire! Sei un incredibile pezzo di fica! Hai fatto proprio un buon lavoro! Non potevo desiderare di meglio! Proprio come ti volevo!”
“Tu non sei una donna! Sei una dea scesa dall’Olimpo in mezzo a noi poveri e meschini mortali!”
Imbarazzata per tanti complimenti, sorrisi dicendo con voce femminea e tremolante: ”Grazie Antonino. Sei molto galante”. Ci sedemmo. Versò l’ottimo vino e disse: “un brindisi a noi due!”. “A noi due” risposi sorridendo. I cibi vennero serviti in tavola dall’ultimo rimasto della servitù. Cloche in acciaio proteggevano le fantastiche pietanze. L’enorme tavola era ora imbandita. “Può andare ora Adriel!” disse Antonino all’umile servitore filippino.
Penso di non aver mai mangiato così bene. La pantagruelica cena era di una impeccabilità assoluta. Nulla era lasciato al caso. “Mangia Reginella! Avrai bisogno di energie più tardi!” A quella frase ebbi un fremito. Il culo mi pulsava, pensando a come avrebbe accolto, dopo, il grande cazzo di quello che era ormai il mio nuovo padrone.
Cenando, parlammo di sesso. Solo di sesso. Mi chiese dei miei più reconditi desideri carnali. Io gli dissi tutto. Mi parlò dei suoi. L’eccitazione saliva. Sentivo sgorgare dal mio cazzo piccole stille di sperma.
“Il dessert lo prendiamo in camera mia” disse. “Vedrai.. ti piacerà tesoro”.
Ci incamminammo verso il piano superiore. La porta della sua stanza era blindata come Fort Knox.

Il mio signore e padrone

Entrammo. L’enormità dello spazio interno mi colpì. Avrei dovuto essere preparata ormai. Ma qui, ero davanti ad un’opera ancor più meravigliosa e perfetta. Il letto misurava quattro metri per lato. Televisore esagerato, impianto Hi-Fi che diffondeva musica Easy Listening da perfetto film porno, grande tavolo con enorme divano alla turca. Sul tavolo, oltre ad un vassoio in oro massiccio ricolmo di fragole, c’era un analogo recipiente traboccante di panna montata. Un vassoio d’argento, con decine di grammi di cocaina, simboleggiava perfettamente l’arroganza e l’infernale significato di quel luogo. Ebbi una pulsione erotica e contemporaneamente di panico quando, appartato nell’angolo della stanza, vidi una specie di antico altare.
Su di esso, idoli chiaramente di culto satanico e ceri che diffondevano effluvi che il mio odorato non riusciva a riconoscere.
“Quello è l’unico padrone che ho, Reginella!” Antonino scoppiò in una risata scellerata.
“Siediti tesoro!” Questa Ottomana è molto comoda sai?”. Sedemmo. Antonino avvicinò a se fragole e panna. “Ti imbocco io” disse. Prese delicatamente una fragola e me la porse alla bocca. La mia lingua, prima di cibarmene, ruotò su di essa. Poi la ingoiai. Antonino era ipnotizzato. Ripeté l’operazione varie volte. Ogni volta la sua attenzione era maggiore. Si tolse la giacca. L’immancabile fondina ascellare venne appesa alla parete. Riconobbi una Desert Eagle Israeliana Calibro 44 magnum.
Si sedette. Avvicinò a se il vassoio con la polvere bianca, ed iniziò a sminuzzare con una carta di credito i granellini. Ultimata la preparazione indicò le righe pronte e mi porse una banconota arrotolata. “Prego!” disse.
Titubante risposi: ”Scusa Antonino, non l’ho mai provata.. non so..”
“E’ il momento che tu la provi. Vedrai.. ti piacerà molto. E poi, non sto chiedendo il tuo parere. La DEVI prendere. Con me. Mi sono spiegato o mi devo irritare tesoro?”. L’ultima frase non dava spazio a repliche. A malavoglia, inalai, tutta in un colpo, una riga. Immediatamente, fui onnipotente, sicura che lo avrei fatto ancora. Paradiso e Inferno abitavano contemporaneamente in me.
Sniffò anche lui. Lo rifacemmo. Ingordi.
“Bene” disse. “Sei una puttana ubbidiente”. Rapidamente mi prese il viso con le due mani e mi ritrovai la sua lingua roteante in bocca. Feci altrettanto. La mano mi scivolò verso il suo membro. Percepivo chiaramente l’enorme uccello marmoreo. Mi girò. I mei glutei si sollevarono, e divaricai le gambe. L’immancabile coltello a serramanico tagliò il perizoma che venne sfilato. La lama non mi fece paura. Non avevo più paura di nulla. L’unico mio desiderio era che quella notte non finisse mai.
Il mio stallone e padrone immerse due dita nella panna. Iniziò a distribuirla delicatamente sul mio buco del culo. Poi, in preda a forti tremiti, iniziò a consumare il suo dessert. Dopo aver ben leccato il morbido contorno del mio orifizio, lambiva con la punta della sua carnosa lingua il buco. Sentii distintamente la lingua penetrare all’interno. Per almeno un paio di centimetri. Non mi trattenni. Iniziani a mugulare. I miei gridolini erano adesso vere e proprie urla. “Si padrone! Sono tua!” Ti prego! Non fermarti!”. Antonino sembrava un demonio. Ora si stava nutrendo di me.
Si fermò. Altra riga. Lo imitai. Prese dell’altra panna. Mi girò di schiena. Con una gran quantità della bianca e soffice sostanza, ricoprì il mio cazzo oramai durissimo e completamente scappellato. Quando sentii la sua bocca chiudersi con appetito sul mio membro, lanciai un urlo. “Sono io che lo devo fare a te Padrone!” Urlai.
Finito il dessert, mi prostrai ai suoi piedi. Gli tolsi scarpe e calze. Slacciai la cintura dei suoi pantaloni e glieli sfilai. Gli tolsi l’immacolata camicia. Antonino si sistemò di schiena appoggiando il capo su tre morbidi cuscini e attese. Imitandolo, presi una fragola che strizzai sulla smisurata cappella del mio padrone. Poi, presa panna in abbondanza, la distribuii sulla verga perfettamente eretta e iniziai a cibarmene.
Il muggire del MIO toro mi eccitava sempre di più. Il mio perfetto lavoro di bocca, era esaltato dal fatto che guardavo Antonino direttamente negli occhi mentre la mia lingua saettava attorno all’enorme glande, scendeva sulle pareti del cazzo, succhiava i due fenomenali coglioni gonfi di liquido che, si sarebbero prodotti poi nella più fenomenale sborrata che l’uomo ricordi.
Il mio unico desiderio in quel momento era che quel cazzone mi esplodesse in bocca. Le mie mani, non lo toccavano. Il pompino senza mani è più prolungato, lo sapevo bene. Era solo la mia bocca, ora, che scivolava fino a metà dell’asta e poi risaliva. Lo sentìì sussultare. L’urlo bestiale accompagnò una vera e propria eruzione di sborra caldissima. Lo schizzo mi colpì in pieno viso. Mi affrettai a richiudere le labbra sulla cappella. Il torrente di sperma non accennava ad esaurirsi. Ingoiai golosamente la densa e appiccicosa sostanza. Il gusto del maschio stimolava finalmente le mie papille gustative. Lo ripulii ben bene con la lingua. Poi, ancora esaltata dal profumo del bianco balsamo dello stallone, raccolsi con le dita la densa sborra che avevo incollata al viso e, fissando Antonino, la leccai tutta fissando devotamente negli occhi il mio signore e padrone Antonino.
Dopo una pausa ristoratrice, mi avviai in bagno. Mi lavai, rifeci il trucco, abbondai in profumi esclusivi, ma lasciai il vestitino sollevato mettendo in evidenza il mio fantastico e desiderabile fondoschiena.
Nell’altro bagno, lo stallone fece una doccia veloce.
Quando tornò, dissi “Antonino.. posso chiederti una cosa?”
Lui rispose: ”Sei giovane. Ma mettiamo bene in chiaro una cosa. Mi devi dare del Lei. Sempre. Lo esigo. Sinora non ti ho mai detto nulla, ma devi stare al tuo posto. Capito?”
Annuii timorosa. “Beh? Cosa vorresti sapere? Sentiamo”. Come fa, Signore, ad avere una attività sessuale così piena? Anche da Renato, ricordo che non si fermava mai. Non ha mai un momento di recupero. E poi, la quantità di sborra che schizza il suo magnifico cazzone è sempre abbondantissima. Ecco.. una mia curiosità.”
Lui sorrise, arrogante. “Vedi tesoro mio, al mondo esistono delle medicine, chiamiamole così, alle quali pochissime persone hanno accesso. Ufficialmente non se ne conosce l’esistenza. Siamo in pochissimi a farne uso. Presidenti di stato, emiri arabi, gli uomini più ricchi del mondo come i più alti rappresentanti dei cartelli sudamericani, ed io. Ci spendo trecentomila euro l’anno. Il potere assoluto non è prerogativa di tutti. Soddisfatta?” Feci un cenno affermativo con il mio dolce visino.
Capii. Il pensiero mi colpì come un fulmine. Allora anche Renato usava quelle sostanze. Per questo si era scriteriatamente indebitato con Antonino.

L'Adorazione del Maligno e la fantastica inculata.

“Ora, ti mostro una bella cosa. Vieni.”
Si alzò dal divano alla turca e mi mise davanti a lui. “Cazzo! Non smetterò mai di adorare il tuo culo, Reginella!” A mano aperta arrivò il doloroso sberlone sulle natiche. Si avvicinò ad una specie di armadio di fattezze orientali. Lo aprì. All’interno, diligentemente appesi, c’erano una serie di frustini di varie dimensioni. Il sadismo del mio padrone si rivelava pienamente. Mi sorprese vedere, all’interno dell’armadio, una serie di simboli nazisti chiaramente originali. “Ti piacciono?” disse. “Si. Molto carini”. ”.Vedi, l’unico padrone che ho, Azazèl, il divino Satana, mi ha chiesto di usarli con te. Devo purificarti.” La paura entrò in me, ma sapevo che non mi potevo opporre al mio Signore e Padrone.
Rapidamente, impugnò la frusta più grande. La corda arrivava a due metri di lunghezza. Si alternavano su di essa dei nodi. “E’ pelle di canguro tesoro. Vedrai come ti farà saltare…” E scoppiò in una risata satanica.
“Fatti un paio di righe prima. Faranno da anestetico”. Non parlai. Non sarebbe servito a nulla. Sniffammo tutti e due. Mi fece poi coricare sull’enorme letto. Mi tolse il vestitino. Ora vestivo solo le calze, il reggicalze e gli stivali. Sollevò in alto il flagello. Iniziò, ad occhi chiusi, a sciorinare parole incomprensibili.
Era chiaramente un rituale satanico pronunciato in una lingua dimenticata da secoli.
La frusta calò sui miei glutei. Tre volte. Urlai terrorizzata. Lui rideva. I suoi occhi erano capocchie di spillo.
Tornò a pregare il demonio. Poi, iniziò una lunga serie di scudisciate. Lo schiocco della frusta sulla mia pelle lo esaltava. Incredibilmente, cominciai a provare un piacere sempre più crescente. Mi piaceva. Il dolore mi inebriava sempre di più. La frequenza dei colpi aumentava. Alzai i glutei, urlando. Gli ultimi due colpi, potentissimi, mi fecero sborrare.
Il sadico stallone lasciò cadere a terra lo scudiscio. Mi fu sopra. Io sollevai il bacino. Sentivo colare rivoli di sangue dai miei glutei. Sentii che il mio dominatore, dopo averci passato le mani, lo leccava con smania.
Prepotentemente, appoggiò la verga al mio buco. Era talmente dura che sembrava sul punto di esplodere.
Come da Renato, non andò per il sottile. Lo spinse tutto fino in fondo. Un solo colpo. Arretrò lentamente e poi, rapidissimo, cominciò a montarmi. La violenza era crescente. Aveva ripreso a pregare il Demonio. Io urlavo. Lo incoraggiavo ad essere ancora più brutale. Venni ancora urlando: “Padrone, ho sborrato con il suo cazzo in culo!”. Quaranta minuti ininterrotti. Quaranta minuti in cui arrivai varie volte al culmine del piacere. Improvvisamente, sentii la nerchia pulsare di più. La frequenza dell’inculata aumentò. Poi, il mio Signore e padrone, rallentò. Diede cinque colpi. Ogni colpo era più violento del precedente. Urlò fino al punto di assordarmi. Come un demonio. Sentii il torrente caldo di sperma riempirmi il buco del culo. La violenza della sborrata era stata talmente travolgente da farmi percepire precisamente la potente schizzata nel mio ano ormai devastato.
Rimase dentro di me per cinque minuti. Poi uscì e io, da brava schiava, mi prodigai a pulire il suo cazzo dalla sborra mista al mio sangue. Era ancora duro. Che maschio. Che stallone. Ero completamente appagata. E lui pure.
“Io devo andare” disse. Rimettiti i tuoi cazzo di vestitini e consegna quelli che indossi alla servitù domani mattina. E che non manchi un solo rubino, altrimenti ti ammazzo”.
“A proposito, dimenticavo: dopodomani ho un ospite. Mi viene a trovare Andres Felipe, un mio caro amico e socio del cartello di Tijuana. Ti vorrà conoscere. Soprattutto quando vedrà il video che ho appena girato. Si tesoro. Ci sono telecamere ovunque. Ovunque.” Uscì. Naturalmente senza salutare.
Le ferite dello scudiscio cominciavano a dolermi. Presi degli antidolorifici dall’armadietto dei medicinali.

Poi, pippai coca e bevvi whiski. Tanto.
Nella mia mente, ora avevo una certezza: non sarebbe mai finita. Mai.

Reginella2462@virgilio.it
scritto il
2022-03-20
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