Cinque e diciassette

di
genere
etero

Dolce e chiara è la notte e senza vento. Immerso in un mare di silenzio, tutto è perfetto come deve essere. Compresi me e Luca, inginocchiati sul letto l'una di fronte all'altro, con lo sguardo l'una in quello dell'altro, e due piccoli sorrisi disegnati su entrambe le facce. A parte la sua bellezza, lui indosso non ha niente. Io solo la canotta nera sotto la quale sento spingere i capezzoli. Le mie braccia sono al suo collo, mi basta un lieve movimento per attirarlo a me, per posare sulle labbra baci ancora leggeri, appena accennati. La sua mano sinistra è appoggiata sul mio fianco, la destra è più in basso. Un suo dito percorre la mia fessura per tutta la sua lunghezza. Lentamente, avanti e indietro. Ad ogni viaggio scivola un po' di più, procurandomi voglie e brividi ai quali cerco di resistere con respiri profondi ma sempre più scettica di farcela. La mia mano tenta una sortita sul suo petto, lui la prende e se la riporta dietro il collo. Ribelle, scende ancora, stavolta più in basso. Appena il tempo di sfiorarlo e di sorprendermi, penso che non smetterò mai di farlo, per la durezza di cui a volte è capace. Luca accentua quasi impercettibilmente l'ironia del suo sorriso e, ancora una volta, mi riporta la mano dietro il collo, a fare compagnia e a intrecciarsi con l'altra. Il suo dito intanto continua a torturarmi, senza mai penetrare. Ce ne sarebbe abbastanza per apostrofarlo con uno "stronzetto", ma per qualche motivo sono molto ben disposta nei suoi confronti, sto al gioco e rinuncio alle nostre consuete baruffe verbali. Tiro leggermente la sua testa verso di me e sussurro al suo orecchio: "Voglio essere sodomizzata". Poi mi stacco un po' torno a sorridergli e a guardarlo negli occhi, per vedere l'effetto delle mie parole.

L’ho fatto apposta, anche se non ci ho ragionato tantissimo. Mi è venuta l’ispirazione e l’ho afferrata al volo. Parlo del verbo "sodomizzare". Non l'ho scelto per pudore ma nemmeno per caso. Straniamento, ostranenie, presentare le cose sotto una luce, se non nuova, almeno un po' diversa dal solito. E' un po' come se, per dire, in un racconto porno si scrivesse, anziché "mi incula", "mi fa gridare violando il mio fiore più nascosto". Sempre di prenderlo dietro si tratta, è vero, ma lo si rappresenta in modo meno logoro, meno abusato, chi legge indirizza maggiormente la sua attenzione sull'abuso vero e proprio. Perché per un attimo si è spezzata la corrispondenza automatica e abitudinaria tra forma e contenuto, giocando anche sul contrasto tra la delicata immagine del fiore e quella della carne che strilla. Ecco, io allo stesso modo desidero che Luca, ascoltando una parola meno usurata, ne sia più colpito e capisca meglio il mio desiderio, ne abbia maggiore consapevolezza.

Quanto al mio desiderio, è qualcosa che forse è più difficile spiegare che capire. C’è la voglia di assecondare la mia troiaggine, anche a costo di pagarne lo scotto. Ma allo stesso tempo e con la stessa intensità voglio assolutamente che a farmelo pagare, quello scotto, sia lui e soltanto lui. Le due cose si tengono insieme, non ci sarebbe l'una senza l'altra.

Potete dire che è amore, sì. Oppure gratitudine, mah... forse sì, anche questo. Lurida lussuria, voglia di giocare al gioco della sottomissione… Le sfaccettature sono tante, sentimentali, cerebrali, fisiche. Difficile isolarne una o due. Fanno tutte parte del nostro legame.

Già, pensandoci un attimo: legàme, legàmi, légami. Perché no?

Quando eravamo a Parigi, guardando il ferro battuto della testiera del letto, avrei voluto dirgli "ammanettami lì", con delle manette che non abbiamo mai avuto. E su quello stesso letto avevo già pensato di stupirlo con un "inculami".

Il fatto è che quando eravamo lì quelle cose non mi andava di farle. Volevo altro, non da lui ma da me stessa: volevo soprattutto ritornare a essere in grado di dirgliele, certe cose. Ma per dirle, te le devi sentire dentro. E quello non era il momento. Ce ne erano già tante di cose che avrei desiderato ritornare a pensare, a dire, a fare. Sì certo, anche il sesso fatto così, ma il sesso era un ago in un pagliaio di diecimila casini.

A Parigi ci siamo stati per le vacanze di Pasqua, quindi non proprio l'altro ieri. All'inizio nemmeno ci volevo andare, ho detto sì solo perché Luca aveva speso un sacco di soldi - i last minute saranno romantici ma costano - e perché sapevo che in fondo lo aveva fatto per me. Poi, mano a mano, ho iniziato a non guardare più al giorno della partenza con dispiacere.

Lo so, direte "beh, il tuo ragazzo ti porta una settimana a Parigi e ti lamenti pure?". Capisco il vostro punto di vista, è chiaro. Ma ci sono dei momenti, vi assicuro, in cui bere un aperitivo a Place des Vosges o a Covent Garden piuttosto che starsene accucciata sul divano di casa per me e per chi è come me non fa molta differenza, tanto è tutto triste e irreparabile. La mia chimica è fatta così. Però ok, come vi dicevo, alla fine per fortuna le cose cambiano e la normalità non è più un miraggio. Bisogna semmai tenere sotto controllo qualche rimbalzino euforico, non lasciarsi tentare, non dirsi “vabbè, ma un po’ di ebbrezza che sarà mai”. L’ho già fatto, avrei potuto rifarlo ma… era meglio evitare cazzate.

Al gate di imbarco da Fiumicino era successa una cosa strana, che avevo considerato di buon auspicio, o almeno simbolica: mi alzo per mettermi in fila e mi cade la custodia delle ear pods, un signore si china, la raccoglie. E' un signore anziano, avrà una sessantina d'anni, forse di più. Me le porge e mi sorride, poi sorride anche a Luca. Come se gli piacesse quello che vede. Come se volesse dirci "madonna quanto siete belli", oppure "madonna quanto siete giovani". Non so, durò tutto cinque secondi e magari è stato solo un film che mi sono fatta io, ma fu come se un angelo mi avesse appena fatto una carezza. In quel momento mi resi pienamente conto, come se fosse la prima volta ma non lo era, della cura che Luca aveva avuto per me in tutte quelle settimane e che ha sempre. Un pensiero che mi aveva commossa a tal punto che gli sono stata appiccicata per tutto il volo e con la testa poggiata sulla sua spalla, mentre lui avrebbe voluto, credo, leggere. Vabbè, sono una rompipalle.

Sono stati giorni molto easy. Quando accetti di fare tre ore di fila per salire sulla Tour Eiffel significa che, se non sei già guarita, stai guarendo. Tutte le cose che dovevamo vedere, che dovevamo fare, le abbiamo viste e fatte con una serena e divertita tranquillità. Compresa una puntata a Disney Paris. Sono stati giorni che mi hanno quasi ricordato quelli immediatamente successivi alla sera in cui ci siamo incontrati per la prima volta fuori da un locale, a Ios, e durante i quali lui mi corteggiava come un imbranato mentre io disseminavo qua e là tracce, accenni, grazie ai quali avrebbe potuto "casualmente" incontrarmi in spiaggia o in paese. L'unica cosa che a Parigi mancava era quella febbre di scoparci a vicenda che, lì in Grecia, a un certo punto praticamente ci obbligò a farlo. Ma per tanti motivi quella febbre non poteva più esserci, le prime volte restano prime volte, non le puoi clonare.

Non è che non ci sia stato sesso. Dolce e anche passionale. Luca riesce molto bene a essere allo stesso tempo dolce e passionale. Non saranno state scopate da finale olimpica, ok, ma ci sono state. Senza tante cose strane se si eccettua, forse, la notte in cui ha voluto scoparmi con le orecchie di Minnie in testa, giuro: tunf-tunf-tunf-tunf, il rumore sordo del letto, il corpo sballottato e, dentro di me, la ben nota sensazione di essere trivellata da qualcuno che sta dietro di me, il mio piagnisteo ritmico e le sue parole: "Ti aspettavi che Topolino ce l'avesse così grosso?". Nonostante possa ormai dire di conoscerlo bene, non riesco a capire come gli sia balzata in mente una messinscena del genere. Sul momento non mi venne particolarmente da ridere, ma ora ogni volta che ci ripenso lo faccio fino alle lacrime. Peccato che non lo possa prendere in giro, perché dovrei farlo anche con me, io ero Minnie.

Quella che semmai mancava, a letto, era la mia furia. Quella che mi fa scatenare e che lo fa scatenare. Non sto parlando di extra performance o di acrobazie, sto parlando anche in questo caso di una cosa che ci si sente dentro e che o c'è o non c'è. Non te la puoi dare, un po' come il coraggio di Don Abbondio. Già a Roma quella furia mancava da settimane, certamente è stato il periodo in cui abbiamo fatto meno sesso in assoluto. Non è che non sentissi certi istinti, a volte andava anche a me, il più delle volte non tanto. Spesso avevo l'impressione che mi cercasse come se volesse riportarmi alla vita anche grazie a quello, in un paio di occasioni ho avvertito invece il suo bisogno quasi esclusivamente fisico. Non mi sono mai negata. E con ciò non intendo dire che mi “lasciavo scopare”, tutt’altro. Non c’è stato nessun malinteso senso del dovere, figuriamoci. Partecipavo in modo diverso, però. A me piace dargli piacere e sono stata felice di darglielo anche in quei momenti, nonostante si trattasse di un piacere più modesto e più languido del solito.

Da questo punto di vista, mentre eravamo a Parigi, non era cambiato molto. Non mi sentivo ancora “ritornata”, anche se di giorno in giorno recuperavo qualcosa. Per esempio una sera, dopo cena, facemmo un giro per il nostro quartiere. Vedere la gente, i ragazzi e le ragazze, seduti ai tavolini all’aperto dei bar o nei dehors delle brasserie mi fece sentire di colpo serena, se non felice. Uno squarcio di vita semplice, biciclette e monopattini che sfilano silenziosi, poche, pochissime automobili, amici e amiche che camminano affiancati. Sembrava tutto così placido. Anche Luca se ne accorse, tirandomi a sedere sulle sue gambe dopo la nostra ordinazione.

- Come stai? – domandò.

- Bene, ma mi sento sudata e sporca, ho voglia di una doccia.

- Mi aspettavo qualcosa di più… romantico.

- Tipo?

- Tipo “bene, ti amo”, oppure “sono felice di stare qui con te, amore mio”, sai ste cose che ogni tanto si dicono tra fidanzati…

- Ma guarda che tu mica sei “amore mio”, io sto con te perché c’hai i soldi…

- Sì, vabbè…

Lo so, può sembrare una cazzata e in assoluto probabilmente lo è. Ma era parecchio che non battibeccavo, che non lo provocavo con cattiverie gratuite per invitarlo a uno dei nostri duelli a colpi di parole. Tornare a farlo ha fatto ridere me, ha fatto ridere lui, mi ha portata a pensare cazzo che bello, che ficata questo abbraccio avvolgente, questa autorità che allo stesso tempo ti protegge e ti rende sua senza scampo. Non è sempre così in ogni attimo di ogni giornata, è ovvio, ma quando succede mi rendo conto che cerco esattamente questo.

Sbroccate però non ce ne sono state, né a letto né altrove. La stessa Parigi mi è piaciuta - ci ero stata da piccola e non mi ricordavo quasi un cazzo - ma non mi ha dato quello shock che mi sarei aspettata. Non saprei dire se per colpa mia o perché ho visto troppe metropoli per sorprendermi ancora. Anche gli outfit delle ragazze per strada non mi attiravano più di tanto. E nemmeno lo shopping, nonostante l'offerta sia davvero esagerata. Certo, i dieci minuti di desiderio compulsivo ce li ho avuti anche io: voglio quella gonna, voglio quei tronchetti, voglio quel vestito corto da troia diurna con le aperture sui fianchi che fanno vedere la pelle. Ma a dire il vero l'unica cosa cui che mi ha magnetizzata è stata una borsa tangerine & pink da ottocento euro che mi seduceva dalla vetrina di una boutique a nemmeno cinquecento metri da casa. Luca invece si era incapriccito su una giacca che, per fortuna, non ha trovato della sua misura. "Amò, ma neanche come pigiama...".

E quindi vabbè, che vi devo dire? E’ stato tutto, tutto, molto quieto, anche un po’ piatto se volete. Ma senza crucci, senza affanni, senza sbalzi di umore. Anzi, semmai il contrario. Mi sono ritrovata in una condizione per certi versi nuova, faccia a faccia con una me stessa che sembrava la negazione dell’inquietudine. E soprattutto senza sentirmi dentro la tipica smania di ridiventare "la solita" nel più breve tempo possibile. Ero convinta che prima o poi sarei tornata alla formattazione originale, ma se anche questo non fosse successo l’avrei accettato. In fondo, mi sono detta, con il tempo si cambia.

Per il sesso, lo ammetto, mi sarebbe dispiaciuto. Sono quasi tre anni che sto con Luca e, d’accordo, da un po’ certe cose non le faccio più. Diciamo che non faccio più la troia urbi et orbi. Ma con lui sì, perché dovrei smettere? Non ho mai sentito nemmeno la più piccola forma di assuefazione, non ho mai provato i fastidi dell’abitudine. Magari ve ne sarete accorti da soli, ma ho sempre dato una certa importanza alle svariate modalità di accoppiamento, e in fondo non abbiamo nemmeno trent’anni, cazzo, mi sembra un po’ presto per approdare a un ménage tipo quello dei miei (che poi, chi lo sa…). Quindi, se per tutto il resto ero disposta ad accettare qualche cambiamento – che a conti fatti non mi sembra che ci sia stato, ve lo posso spoilerare – sul versante “sesso” no, la mia speranza era quella di assaporare quella cosa che chiamo “il ritorno”. Il ripristino delle impostazioni di fabbrica, il non-posso-stare-senza-di-te-ma-nemmeno-senza-il-tuo-cazzo.

Il problema è che, quando arriva, mica dici a te stessa “è arrivato”. Fai certe cose per istinto ma senza consapevolezza e quasi senza accorgertene. Così una notte, meno di un paio di settimane dopo il nostro rientro a Roma, mi sono ritrovata a strusciarmi nel letto contro di lui. Dal suo corpo caldo nessuna risposta ma mi strusciavo lo stesso. Sentivo di avere voglia. Ore cinque e diciassette del mattino e avevo voglia, una voglia pazzesca. Mi correggo, erano le cinque e diciassette quando sono tornata a letto, in quel momento sarà stato un po’ più tardi. Non molto, qualche minuto.

Avrei potuto fare da sola, torturami a gambe spalancate guardandolo dormire e immaginando. Sarebbe stato di sicuro più facile e più rapido, anche un po’ da porca. I miei desideri purtroppo erano altri. Mi strusciavo corpo contro corpo, sperando in un risveglio che non arrivava.

Coccole, baci, la sua mano che finisce molto presto sotto la mia felpa. Conosco i tempi, conosco la richiesta. La mia mano tra le sue gambe a sentire il pacco che si gonfia. Il Re Cazzo si è stufato, bimba, ste mestruazioni durano troppo. E allora giù, a scarcerarglielo, a leccarglielo, a ingoiarglielo piano, fino al suo "vieni qui". Abbassare i pantaloni, liberarsi delle mutandine. Miagolare, gemere e implorare l'Onnipotente. Saltargli sopra con le mani appoggiate alle sue spalle e sentirlo scaricarsi dentro, appoggiarsi sopra la sua estenuazione. "Ora penso a te...", "non fa niente, ti amo", "ti amo anch'io". E' così che avevamo fatto l'amore, la sera precedente. Bello così, certe volte un orgasmo non significa niente. Certe volte è anche più bello baciarsi e basta, dopo.

Ma alle cinque e diciassette di quella notte non mi era venuta voglia di fare l'amore. Volevo essere sco-pa-ta. Mi ero alzata con una sete terribile, possibile che fossero le acciughe nella pizza? Sono andata a bere ed è stato lì che ho visto l’ora sull’orologione appeso al muro. Cinque e diciassette. Dopo avere spento la luce della cucina per tornare in camera, sette-otto passi non di più, la botta! Il raptus, il pensiero che ti invade e occupa ogni singola meninge. Il ritorno pieno di questo istinto ferino, di questa frenesia di essere sconcia, di questo bisogno di essere assoggettata e messa a posto. Io femmina, tu maschio. Io preda tu cacciatore. Concetti basilari, semplici.

Perciò mi strusciavo. E strusciavo anche la mano in mezzo alle sue gambe. Qualcosa si risvegliava, ma non lui. Era un'erezione in corso, quella stringevo, erano i suoi coglioni generosi, quelli che accarezzavo sopra i pantaloncini. Che poi, Luca, avrai centomila shorts da running, da calcio, da palestra, avrai centomila t-shirt, che bisogno c'era di prendere anche questi da Intimissimi? Sono più scomodi da togliere, i pantaloncini, anche se ammetto che ti disegnano dei testicoli e un pisello da paura.

Il pompino l'ha risvegliato, l'ho capito dalla sua mano sulla nuca. Non so se avrebbe desiderato che andassi fino in fondo, forse sì ma io no. Avevo altro in mente. L'idea che mi scoppiava dentro era essere afferrata per i capelli e trascinata strisciante e scalciante dentro la caverna. Montata senza mediazioni, chiavata con brutalità. Cinque, dieci, quindici minuti, il tempo che dura. Ma deve essere chiaro che durante quel tempo io sono solo buco, bocca, pelle dove disseminare sperma. Non c'è nemmeno bisogno che me lo dica. Se me lo dice è meglio, ma in realtà mi basta che me lo faccia capire all'inizio e che non mi faccia più capire un cazzo alla fine. Buco, bocca, pelle, per il resto non conto un cazzo. La più troia tra le femmine del branco ha bisogno di cazzo per il suo calore e seme di maschio per la sua riproduzione. Atavicamente.

Ultimi due colpi profondi, di quelli che quando è bello sveglio gli strappano un "che bocchinara", come lo hanno strappato a tanti altri. La differenza è che adesso i bocchini li faccio solo a te, Luca. Tenuto conto del talento che ci metto dovresti considerarlo un privilegio speciale, sai?

Ultimi due colpi profondi. Di quelli che di solito gli fanno premere la mia testa contro il suo ventre lasciandomi in apnea a sbavare, lacrimare e rantolare per secondi infiniti. A volte è come se ne avessi bisogno io stessa. Ma se volevo le lacrime e il verso strozzato, il conato, l'occlusione e la bava, in quel momento dovevo pensarci da sola, perché quella mano con cui gli piace tenermi inchiodata a lui stavolta non sarebbe arrivata, me lo sentivo. Perciò giù con la testa, fino a sentire i peli pubici solleticare la punta del naso, fino a sentire il glande farsi strada tra le tonsille, fino a rantolare.

Il filo di saliva che univa il mio labbro al suo cazzo era molto lungo, lo potevo vedere anche nella penombra. Forse non si sarebbe spezzato così presto se non avessi fatto un movimento brusco, ma non ce la facevo più. Gli sono salita sopra, gliel'ho afferrato. Dio, era come tenere in mano una statuetta di mogano. Sapevo l'effetto che mi avrebbe fatto e volevo anche quello: quando non posso essere maltrattata devo maltrattarmi da sola. Guidarmelo dentro è stata la parte più facile, infilzarmi di colpo quella più temuta e desiderata. Quando scivola rapido, apre, cozza, sbatte. Più che un urlo mi ha strappato un grugnito. Il piccolo dolore si è sparpagliato, mi è arrivato al cervello, ha scaraventato fuori una parola tremante che è difficile da rendere per iscritto ma che assomiglia ad un "ca-aa-azzo" detto con un tono di voce che non è il mio, è più profondo. Cazzo cazzo cazzo, come al solito non si sa mai se è un'imprecazione o un'invocazione. Perché sì, Luca, te do sta notizia: non posso fare a meno del tuo cazzo, lo amo. Anzi, come dicono le troie di Ponte Milvio, "adoooro". Uno dei vantaggi di essere una quasi pariolina è quello di riconoscere le troie dalla quantità di vocali toniche che mettono nel verbo "adorare", modo indicativo presente, prima persona singolare.

La conferma del suo pieno risveglio non è arrivata dalle mani sul culo, è arrivata dalle dita che dopo un po' mi hanno stretta per le chiappe, sono affondate nella carne. E' arriva dal suo reclamo di possesso, dal suo sorrisetto ironico e arrapato, dal suo bisbiglio che rivela chi dei due tiene in mano i comandi. "Che c'è...?". "C'è che sono una troia". "Sì...", ha concordato. "Sì?", ho chiesto per un'amica. "Sì", ha confermato. Piagnucolio Numero Uno: "E allora dimmelo che sono una troia". Piagnucolio Numero Due: "Mettimi un dito nel culo".

Già impazzita, ben presto accontentata, ma con uno step supplementare di cui, in quell'istante, non potevo fare a meno. Perché tra il suo "sei la mia grandissima troia" e il dito, in quello spazio temporale lì, c'era una mission impossible da portare a termine, qualcosa di irrinunciabile: sfilarmi quel cazzo di baby doll e tirargli su la maglietta, fin sotto il mento. Per adagiarmi sul suo petto, grattugiarmi i capezzoli contro i suoi peli, come faccio a volte sul nido d'ape delle sue Lacoste. Esplodere di un piacere diffuso, che non so nemmeno dire esattamente da quali punti arrivi. Esplodere di latrati quando il suo dito ha fatto ciò per cui era stato chiamato in causa. Esplodere di remissività quando la sua mano mi ha tenuta giù per la testa impedendomi di scattare indietro e di sottrarmi. Così, così cazzo, così. Costretta, soggiogata, presa, posseduta. C'è voluto un po', ma ormai ha imparato che una cosa sono i miei desideri e un'altra le mie reazioni, che un urlo non significa che deve smettere, che un corpo che sguscia non significa che quello stesso corpo non voglia invece essere bloccato, forzato. La sua mazza piantata nella vagina, il suo dito piantato dietro, tette compresse e capezzoli strofinati sul suo petto. Cazzo quanto smanio, cazzo quanto godo, gliel'ho piagnucolato proprio, avevo bisogno di dirglielo, avevo bisogno che lo sapesse. "Cazzo Luca quanto godo". Mi ha ringhiato in faccia la sua voglia di dominazione no limits: "Lo vuoi nel culo?". "No...", ho risposto. Oddio, più che rispondere l'ho esalato. No, boh, sì, forse. Se lo avesse fatto lo stesso gli avrei gridato mille volte "porco", questo è poco ma sicuro, però non so se mi sarei opposta. Poi, vabbè, forse a un certo punto gli avrei gridato anche mille volte "continua" ma questo è un altro discorso. Se non l'ho voluto è perché non volevo nient'altro che quello, in quel preciso momento. Perché tra un po' sarebbe arrivato l'attimo più bello del mondo, io lo sapevo, io lo sentivo.

Zot, il fulmine. Non era "tra un po'", era "adesso": surprise! Così veloce non me l'aspettavo nemmeno io. Violento e anche un po' beffardo. Come uno che ti telefona "sto arrivando" e invece è già dietro la porta per farti un'improvvisata. Tanto violento che non mi ha lasciato il tempo di dire "vengo!", che mi ha strozzato in gola il "fottimi come una troia!". Elettrico, da rimbalzare avanti e indietro lungo tutto il corpo, da farmi sobbalzare che se non ci fosse stata la camicia di forza delle sue braccia sarei andata a sbattere chissà dove. E' difficile che non si accorga dei miei orgasmi. Capita a volte che sia uno tsunami interno e silenzioso, ma è raro. E comunque non è stata quella volta. Di solito aumenta la stretta, aumenta il ritmo, affonda i colpi con tutta la forza animale che ha. Magari lo fa per arrivare al piacere finale, magari è l'istinto di chi tra le gambe ha palle e cazzo. Magari è perché pensa di dare più piacere a me, anche se sono talmente satura di piacere che di più non ci va proprio. Nonostante sia proprio su un altro pianeta, distribuisco lo stesso invocazioni oscene a lui, al suo scettro, al suo sperma. Mi degrado con estrema naturalezza a mignotta, a cagna in calore, a sperm storage area-we're open. In qualche caso me ne rendo conto, in altri no, ma è ciò che succede quando, ben prima che lo faccia lui, questa eccitazione mi invade.

Il suo "voltati", il suo tentativo di ribaltarmi e mettermi doggy non è arrivato inatteso. Inattesa è invece stata la mia ribellione, del tutto agli antipodi rispetto alla scena che mi ero prefigurata e che pregustavo io stessa. Vabbè, ribellione è troppo, chiamiamola supplica: "No, fammi stare così!".

Così perché mi era venuto di guardarlo in viso come la sera prima non avevo fatto, perché volevo vedere quella incredibile bellezza trasfigurarsi in altra e altrettanto incredibile bellezza. Dominarlo da sopra mentre ero in tutto e per tutto sottomessa, illudermi di essere io a decidere i suoi tempi. Che la tua sia un'illusione lo percepisci quando ti tira quasi completamente su e poi bum! Di colpo incollata al suo ventre. Nemmeno fai in tempo a sentirti vuota che torni a sentirti piena come non lo sei mai stata. Urli e ti dimeni, se non ti afferrasse così saldamente finiresti disarcionata. Certe volte hai paura di spezzarti, di non farcela, hai paura che il prossimo orgasmo sarà quello che ti ammazzerà. Poi a un certo punto sticazzi della paura, succeda quel che succeda, ormai sei sul roller coaster più estremo del pianeta, sei vuoi strilla ma molto di più non puoi fare. Volevi la sua trasfigurazione? Beh, renditi conto che quella trasfigurata sei tu.

Ti becchi il suo "ehi, pezzo di fregna”, ti becchi il suo “ora ti spacco". Perché anche lui desidera vederti sconvolta nelle fattezze, con le smorfie che ti alterano il viso. Diventare brutta? Macché brutta, è il marchio dell'amore. Lui non diventerà mai brutto quando tutti i suoi muscoli si fanno di pietra, anche quelli della faccia. Quando si indurisce, serra la mascella e strizza gli occhi, o li sbarra. Anche se è quasi impossibile, in quei momenti è ancora più bello. E per te è lo stesso, lo sai. Può sembrare che soffra, può sembrare che pianga, può sembrare che tu sia una povera pazza svuotata di senno, può sembrare che implori pietà. Lo sai che diventi così. E voi, voi vi siete mai viste? Avete mai visto il vostro viso deformarsi così? Siete d'accordo con me, vero, che quello è l'angelo della passione e del piacere che passa e ci impone la sua spada sulla testa? Registri il suo complimento, pagina uno del Galateo del sesso: ciò che fuori dal letto suona osceno, tra le lenzuola è stilnovismo puro, "pezzo di fregna" è il più delicato tra gli apprezzamenti di chi ti sbatte. Dovresti rispondere, ricambiare, no? Potresti dire "Luca sei così bello quando mi scopi, sei un dio greco". Sarebbe gentile da parte tua, no? Ma chi ce la fa? Non riesci nemmeno a dirgli ciò che pensi davvero, non riesci nemmeno a dirgli "che bastone". Sì perché, giusto en passant, parliamo un attimo di Lui: ma su che razza di trave ti sei andata a impalare? Per essere un bel cazzo è sempre stato un bel cazzo, ma che è successo stanotte? Gli è cresciuto? Si può sapere che gli è preso? Si rende conto della sbarra che ha? E te la voleva pure mettere nel culo? E' un pazzo, già il dito mi sembra enorme. E' una di quelle volte in cui dopo ti farà male, lo sai, in cui ti rannicchierai tremicchiante su un fianco dandogli le spalle sentendotela indolenzita che batte batte batte. Time out, ondeggiare tra la voglia di acqua fredda e quella di sentire prima o poi un suo rivolo tra le cosce. Vince sempre il rivolo, chissà perché. Vince sempre il desiderio di sentire quel dolore dissolversi prendendosi tutto il tempo che gli pare. E stavolta ce ne vorrà di tempo.

Quindi, rebus sic stantibus, nessuno si meravigli se quella notte lo scambio di reciproci convenevoli è stato rimandato a dopo: "pezzo di fregna", "grazie tesoro, dovresti sentire che razza di pene ti ritrovi stanotte", "cos'ha di diverso?", "io non lo so se è mai stato così duro, sai? complimenti vivissimi", "grazie, dici davvero?", "uh uh, non sto scherzando", "lo senti anche più grosso del solito?", "decisamente", "ma come è possibile, è sempre lo stesso!", "che ti devo dire? se volessi esprimere sinteticamente un concetto, magari esagerando un po', direi che è vero che me la stai rompendo", "ti faccio male? faccio più piano?", "no no, mi piace quando mi fai male", "allora continuo", "fai anche più forte se puoi", "sono quasi al limite", "tesoro, il tuo orgasmo è la cosa che desidero di più al mondo", "e il tuo?", "non si sono sentiti?", "intendevo: un altro?", "non lo so, chi può dirlo, ma tu vai, tranquillo".

Sarebbe buffo, no? Immaginate se avessimo un display sulla fronte dove tutte le cose che, non dico pensiamo perché pensare è troppo, dove tutte le cose che vorremmo esprimere apparissero scritte in un linguaggio il più possibile forbito. Mentre dalle nostre bocche escono concetti smozzicati, deformati, iperbolici: un lamentoso "così mi sfondi", un "come una troia" appena grugnito, un loop di "sì, così così così, sì sì sì!", un imperativo "fatti sborrare in bocca", un disperato "no, vienimi dentro". Per fortuna in quei momenti non siamo forbiti, siamo pazzi e svergognati. Ed è stato magico più del solito vedere anche lui andare fuori di testa. Vai, vai, vai! Tirami a te con tutta la violenza possibile degli ultimi colpi, digrigna i denti, rantola, grida, chiudi gli occhi e inclina la testa all'indietro sul cuscino, diventa tutto di marmo come questo marmo che mi ritrovo dentro, tutto: i muscoli del collo, il petto su cui fatico a tenere le mani, gli addominali che mi spingono in alto. Diventa quella bellezza speciale che sei quando arriva il momento in cui sento gli scatti del tuo cazzo e tu mi spingi nella fica gli ultimi spasmi e la schizzi. Ma quanta ne fai, eh? quanta ne fai, quanta ne fai? Bollore su bollore, bollore sulla mia voglia, bollore sul mio dolore.

Dopo quella notte anche certe cose sono ritornate. Non di botto, ok, progressivamente. Lui credo per paura di urtarmi, io per tenermi sotto controllo per un po'. Ma comunque sono tornati i suoi assalti a sorpresa, serali o mattinieri, gli aperitivi-con-bocchino sul divano, le magliette tirate su mentre sto al computer e il ghiaccio sui capezzoli, le provocazioni tipo accoglierlo a casa davanti ai fornelli vestita della sola parannanza, le baruffe dialettiche: "ti scoperei come una zoccola ma si bruciano le melanzane", "ahahahah, hai appena perso lo slot, stronzetto". Giocare al gioco dello stupro tenendo le gambe serrate dopo che lui mi ha stesa sul pavimento. "Non voglio, adesso sono io che non voglio!", lasciarmi forzare, lasciarmi spalancare e occupare la laguna che sono diventata, sentirsi sfottere "e meno male che non volevi", sentirsi fottere e implorarlo di fottermi sempre più forte. Sono tornate persino le piccole gelosie: "Che devo fare quando tu e quella vi guardate così, eh? Succhiartelo davanti a tutti?". Che poi, se fossi io quella cameriera, insieme allo spritz gli lascerei anche i contatti, altroché, ma la proprietà privata è proprietà privata. Ora più di sempre.

Beh, ecco, è successo questo. E adesso siamo qui, tra un sabato e una domenica in questa notte dolce, chiara e senza vento. Gli ho chiesto di incularmi, anzi, "voglio essere sodomizzata". Nulla di simbolico, ne ho semplicemente voglia. Gli animali in cui ci trasformiamo sono da un po' tutti di nuovo a farci compagnia, bentornati. Cagna, gatta, maiala, vacca. Pecora, ovviamente. Va bene tutto, Luca. Scegli tu il mio nome, non ha importanza. Perché una volta tanto non è questione di parole. E' un altro linguaggio. Quello che abbiamo imparato e che ci ha accompagnati dalla nascita ad oggi non conta più nulla. E' qualcosa che viene da prima di noi, da molto prima, dall'alba delle albe. E' stato bello il lampo nei suoi occhi dopo la mia richiesta, anche più bello che non abbia detto nulla. Semmai sono io a dirgli "no" prima di voltarmi e aprirmi le chiappe. No, non voglio che prendi il gel. Lo so già che mi pentirò di averlo fatto, ma il gel non c'entra. La resipiscenza tardiva in certe situazioni fa parte di me, mi spingo sempre oltre un limite oltre il quale tornare indietro non è impossibile ma molto difficile. Sin da quando consentii a un ragazzo di deflorarmi e, mentre lui mi si calò addosso, pensavo "non si potrebbe fare un'altra volta?". Sono quella che ci ripensa quando è sempre troppo tardi, ma chissenefrega. Credo pure che sia un modo per autoassolvermi, scaricarmi dalle responsabilità. Perché poi è bello pentirsi, dirsi "te lo meriti". E' bello soffocare un "diocristo" o lasciarsi andare agli strilli. Se gli resta come era prima, quando l'ho sfiorato, è più facile che avvenga la seconda che ho detto. L'ultima volta che l'abbiamo fatto così non ricordo quando è stata ma ricordo che venni, anche se dovetti toccarmi. Spero di non avere bisogno di toccarmi, stavolta. Non succede spessissimo ma se succede ti fa persino paura. Ma io le conosco bene le paure, non sono tutte da buttare via.

scritto il
2022-06-04
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