Dentro e fuori il ventre della festa

di
genere
sentimentali

Come sarò sopravvissuto all'infinita sequenza di colpi di fulmine per donne scrutate di spalle non ne ho idea.
Mai grato abbastanza con il responsabile di un impianto elettrico realizzato a regola d'arte, evidentemente.

Spesso basta una danza di capelli rossi, che accarezzino la schiena o che sfiorino a malapena le spalle, mossi o lisci, raccolti o liberi non ha importanza.
Oppure un vestito particolare, colori che emergono tra il bianco e nero della folla attorno.
O ancora un'andatura, un portamento, o un bagaglio fuori dal comune.
Che sia sulle scale della metro, su un marciapiede affollato, in un negozio in attesa del mio turno, gli occhi fissi sulla figura di spalle, la mia mente completa l'opera dipingendone il viso altrimenti nascosto, secondo canoni di bellezza a me solamente noti .
Occhi vivi, l'espressione aperta e curiosa, una bocca sorridente, guance morbide, occhiali sì/no a piacimento.
E per queste donne immaginate e da me solo create sono pronto a perdere la testa.

Non posso nascondere le altrettante delusioni quando, impaziente di confrontare la realtà con l'immaginazione, devo arrendermi di fronte alle illusioni infrante.
Ma stavolta è qualcosa di più

In balia della folla, succube degli sciami di persone accorse in paese alla sagra autunnale, avevo sentito in lontananza la banda di percussioni che inesorabile avrebbe attraversato il corso per arrivare fino a noi in piazza.
Le figure ritmiche di casse e rullanti e Percussioni erano inconfondibili: con fili di seta, le memorie del viaggio a Salvador de Bahia, delle strade del Pelourinho, avevano già preso il controllo del mio corpo, piedi e gambe e braccia e testa, prima lentamente, un ondeggiare accennato, poi sempre più deciso, al crescere dei decibel, all'avvicinarsi della marea.
Una colonna di uomini e donne vestiti di rosso, ognuno con il proprio strumento a formare un corpo unico che tagliava la folla, facendosi spazio con una cascata di sincopi e colpi in levare in mezzo ad un'informe massa di gente più interessata a cibo gratis e vino in bicchieri di plastica che alla musica.
La colonna compatta si affaccia ai bordi della piazza, due file di corpi che si muovono come un tutt'uno; si insinua tra la folla, la gente lentamente le fa spazio, ritmicamente guadagna terreno metro per metro nel ventre della festa, conquistandone l'intimità, pulsando sotto la spinta dei colpi di surdo.
Sono dentro, le due file si confrontano, in mezzo la guida a dettare tempo e stacchi e intensità.
E lì tra loro, una delle tante figure femminili che compongono la banda, inconsapevole dell'effetto su un attempato signore indistinguibile tra i tanti, si staglia il mio ennesimo fulmineo innamoramento.

Ancora una volta la mia attenzione era stata catturata da una massa di capelli rossi che si muovevano a ritmo su una figura di donna slanciata, il lungo collo, le braccia nude, alla vita - sorretto da una cinghia che correva attorno alle spalle - un rullante che lei suonava con istintiva sicurezza, aiutata dalla compattezza del gruppo.
Il suo volto mi è nascosto, lei guarda come tutti al centro della piazza verso la guida, mentre io ne occupo la periferia.
Eppure non riesco a staccare gli occhi dalla sua figura, le gambe lunghe e le spalle solide, il peso che si sposta a ritmo da un piede all'altro, un muoversi sinuoso sull'onda di secoli di tradizioni tramandate da uomini e donne che hanno dolorosamente conosciuto gli estremi del mondo.
Già lo so che finirò rapito, già sono rapito, lei e i suoi capelli rossi sono il centro della festa, balliamo assieme a sua insaputa, i piedi che pestano il terreno seguendo lo stesso ritmo e lei che getta un incantesimo sulla piazza come una sacerdotessa senza volto.
Il rullante grida parole ipnotiche appoggiato al suo addome mentre io l'adoro di spalle.

La guida chiama uno stacco, mano in alto a contare i tempi, un selvaggio botta e risposta di terzine impazzite tra casse e rullanti.
E d'improvviso le due file di celebranti si girano verso la folla, ed io sono illuminato del suo volto: è bellissima!

Mi ripaga di tutte le delusioni vissute in passato dalla mia fantasia fuori controllo, il suo sguardo si getta sulla folla ma giunge chissà dove, verso orizzonti infiniti, sospinto dai colpi della batugada, un inconscio sorriso estatico di chi sta celebrando un rito alla vita, i polsi e le mani che strappano incantesimi di fertilità dalla superficie del rullante tutt'uno con il suo addome ed i suoi fianchi.
Vanno avanti così per diversi minuti, un ritmo compatto anche se le due metà si danno le spalle, una celebrazione ipnotica che sembra non finire mai, io che benedico ogni istante che mi viene concesso per adorare il suo viso.
Poi le due file di uomini e donne tornano a guardarsi, al centro del ventre della piazza .
La guida invita la folla a passare attraverso le ali di percussioni, per essere immersi nei decibel in un bagno di samba.
Timidi i primi si affacciano, ridacchiando e guardandosi nell'imbarazzo.
A me è stata sottratta la vista del volto della mia rossa sacerdotessa.
Morirò se non faccio qualcosa.
Mi guadagno spazio tra la folla per girare attorno alla banda ed affacciarmi all'ingresso del corridoio di corpi, sgomitando nel terrore di perdere la mia occasione: magari lei mi vedrà, magari mi farà la grazia di un cenno dei suoi occhi, magari un'onda imprevista della danza dei suoi capelli mi farà suo per sempre.
Davanti a me si apre la strada, una via irrorata da ritmi ancestrali, una vagina che vuole inghiottirmi e darmi alla luce un'altra volta.
Esito, mi chiedo se sia all'altezza, se sia pronto a farmi battezzare dalle onde ritmiche dalla mia sacerdotessa danzante e finalmente prendo coraggio.
Il primo passo.
Il suono mi investe, da destra e sinistra, protetto da mille braccia che colpiscono i tamburi, risalgo una via materna e calda e qualcosa si muove nella mia pancia.
Avanzo ed il samba mi circonda, da tutti i lati, davanti e dietro, una spinta selvaggia e saggia di generazioni di uomini e donne.
Un utero mi avvolge e qualcosa dentro di me preme per voler nascere, risalendo il mio corpo affacciandosi alla gola.
Non la vedo più, probabilmente la mia sacerdotessa dai capelli rossi è ora alle mie spalle, ma la sua alta figura è come un velo incancellabile dai miei occhi, è come se potessi ancora osservarla, ha preso possesso di me e mi sussurra di non opporre resistenza.
Il ritmo accelera, avanzo un passo dietro l'altro, la musica mi incita e come un bambino di agita dentro di me per nascere, per essere accudito e coccolato.
Un'ondata di emozione viscerale che supplica di essere portata alla luce per adorare assieme la mia divinità dai capelli rossi.

E poi succede.
Piango, cazzo! Piango.
Una preghiera che esce a dirotto da qualche parte nascosta del mio essere.
Singhiozzi mi strappano come se volessero rivoltarmi da dentro a fuori, prendersi la mia intimità, nascosto al centro dell'utero di un corpo di donna che è tutto: ritmo, festa, folla, piazza.

Piango, neonato alla vita.
Io, figlio e apostolo di un rullante adagiato sul ventre fertile della mia rossa dea inconsapevole.
scritto il
2022-08-01
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