Galeotto fu il casotto 3
di
masoc
genere
gay
Il treno per Roma era quasi vuoto e riuscirono a trovare uno scompartimento tutto per loro.
Gianni prese a sonnecchiare e Marco, immerso nei suoi pensieri, ad osservare la campagna che scorreva attraverso il finestrino, quando il suo cellulare squillò. Era sua madre, si affrettò a rispondere, improvvisamente preoccupato che ci potessero essere cattive notizie.
- Ciao Marco, come va? - la voce era allegra e Marco si tranquillizzò - ti chiamo per comunicarti che papà ed io abbiamo deciso di andare a trovare zia Emilia, la sorella di papà e porteremo con noi anche zia Maria per farla distrarre un po’, poverina. Staremo fuori una settimana circa e abbiamo pensato che tu potresti fermarti a Roma con Gianni e Bea per qualche giorno e poi, quando tornerà zia Maria che ha manifestato il desiderio di rivederti dopo tanto tempo, deciderai se fermarti ancora o raggiungerci a casa.
Marco, colto di sorpresa non disse né si né no, rimase sul vago e con la scusa farlocca che il treno si trovava in galleria e non c’era campo interruppe la comunicazione.
Alzando lo sguardo incontrò quello di Gianni che evidentemente aveva sentito tutto e lo guardava fisso con un’espressione divertita sul viso. Cominciò ad accampare delle scuse, che forse non era il caso, che era meglio di no, insomma cercò di scappare come aveva sempre fatto finora.
Gianni dapprima gli diede ragione, poi poco a poco cominciò a instillargli dei dubbi.
- Certo che se cambiassi idea potrei farti vedere Roma come non l’hai mai vista, ti farei divertire, e poi potresti farlo per mia mamma che ha tanta voglia di rivederti. E tu non hai voglia di rivedere Bea? Mi hai fatto mille domande su di lei e ora che hai l’occasione di starci un po’ di tempo insieme te la fai scappare?
Tanto fece, tanto disse che Marco un po’ a malincuore si lasciò convincere.
Arrivati a Roma si recarono immediatamente a casa di Gianni, un piccolo appartamento all’interno di un caseggiato di epoca mussoliniana, che constava di un ingresso dal quale si dipartiva un corridoio sul quale si aprivano nell’ordine uno sgabuzzino e di fronte il bagno, la cucina che fronteggiava un ampio soggiorno e due camere da letto contigue, la prima più grande, con un letto matrimoniale che condividevano Bea e sua madre, e l’altra molto più piccola con il letto di Gianni e dove, a fatica, venne posizionato il materassino da campeggio di Marco.
Stanchi del viaggio fecero un rapido spuntino e si distesero a riposare.
Rimessisi in forze stavano preparandosi per uscire quando fece la sua apparizione Bea.
Capelli corti biondissimi, quasi bianchi, trucco leggero, niente tatuaggi e piercing, almeno a vista, un abitino corto che a malapena le copriva il sedere e sandali alla schiava. Un gran bel colpo d’occhio anche se Marco notò subito dei particolari che la rendevano diversa dalla Bea che aveva conosciuto da ragazza. Innanzitutto il sorriso, quel magnifico sorriso che un tempo le illuminava il volto sembrava un po’ spento e una piega amara era presente all’angolo della bocca.
Ed anche gli occhi erano più freddi e duri di quanto lui ricordasse.
Lo accolse festosamente e lo abbracciò baciandolo sulle guance.
- Ragazzi sono stanca morta, mi vado a buttare sul letto.
Così disse senza accennare minimamente al motivo della sua stanchezza e Marco, pur essendo curioso, non ebbe il coraggio di domandare.
- Bea noi stiamo uscendo, porto Marco un po’ in giro in qualche locale.
- Ok, ma se fate tardi rientrando cercate di non fare troppo casino.
- Stai tranquilla saremo silenziosissimi.
Così dicendo la salutarono ed uscirono.
Marco dovette ammettere che Gianni seppe mantenere la promessa fatta.
Era da tanto che non si divertiva così. Andarono in giro per locali, conobbero gente, ballarono, sballarono e, soprattutto, bevvero. Bevvero talmente tanto che quando si ritirarono verso le quattro del mattino erano ancora parecchio alticci.
- Piano, fai piano - era Gianni a parlare dopo aver aperto con qualche difficoltà la porta d’ingresso. Ora si trovavano nella semioscurità del corridoio, flebilmente illuminato da una luce di cortesia, con Gianni, più a suo agio tra quelle mura, che guidava il cugino verso la camera da letto. Per farlo gli aveva poggiato una mano sulla spalla sinistra mentre con l’altra aveva iniziato ridacchiando a palpargli la natica destra. Anche Marco ridacchiava evidentemente brillo e non si ribellò alle manovre del cugino che ne approfittò estendendo la sua esplorazione al resto del culo.
Durante il tragitto Marco urtò qualcosa col piede facendo un rumore che il silenzio della notte amplificò.
- Sssst, piano. Se Bea si sveglia si incazza e ti assicuro che è meglio non farla incazzare.
Stettero fermi per qualche secondo tendendo le orecchie poi, visto che tutto taceva, proseguirono e finalmente raggiunsero la loro camera.
La stanza era davvero minuscola, appena più grande della tenda che avevano condiviso durante la vacanza, e si ritrovarono a doversi spogliare a stretto contatto.
Quando Marco toltosi i pantaloni si voltò per riporli Gianni ne approfittò per abbassargli gli slip mettendogli a nudo il culo. La manovra sorprese Marco mentre si protendeva in avanti e la successiva mossa di Gianni che gli afferrò le natiche con entrambe le mani fece sì che lasciasse cadere i pantaloni per appoggiarsi alla parete e così restò come in attesa.
- Ma che fai, cosa vuoi fare? Smettila dai…
- Zitto lasciami fare, hai davvero un bel culo, se chiudo gli occhi sembra quello di una donna…
E così dicendo fece scivolare un dito tra le natiche, sfiorando l’ano e provocando in Marco un brivido. Visto che il cugino non si ribellava Gianni continuò a saggiare il buchetto con pressioni sempre più accentuate finchè non riuscì ad introdurre la prima falange del dito medio.
Questa intrusione così intima sommandosi all’emozione della situazione e all’alcool che aveva in corpo fece sì che Marco avesse un piccolo mancamento che lo portò a flettere le ginocchia ed a barcollare all’indietro andando a finire addosso a Gianni che subito approfittò della situazione e gli appoggiò il cazzo al culo sussurrandogli all’orecchio
- Te lo voglio mettere nel culo, sono due giorni che non penso ad altro - e trascinò Marco, ormai un fantoccio nelle sue mani, sul suo letto. Lo fece distendere bocconi e gli pose un cuscino sotto il ventre.
Marco, travolto dagli eventi, ritrovandosi col culo nudo all’aria e in procinto di essere inculato cercò, recuperando un barlume di lucidità, di far desistere il cugino dal suo intento.
- Per favore no, ti prego. Non l’ho mai fatto e il tuo cazzo è troppo grosso, mi farai male.
- Troppo tardi cuginetto e comunque non temere, farò piano, anzi, visto che è la prima volta ti infilerò solo la punta.
E così fece. Gli allargò le natiche e sputò sul buco del culo per creare un minimo di lubrificazione, poi appoggiò la cappella e spinse. L’introduzione fu alquanto laboriosa: il buco stretto, la cappella effettivamente di notevoli dimensioni, la lubrificazione scarsa fecero sì che Gianni faticasse non poco per entrare, ma una volta dentro mantenne la promessa. Nonostante l’istinto lo spingesse a sprofondare in quel culo fino alle palle non introdusse più di quattro/cinque centimetri e iniziò un andirivieni scandito dal respiro affannoso dei due e dal cigolio della vecchia rete del letto.
Il tutto durò non più di una decina di minuti poi Gianni con un grugnito di soddisfazione si svuotò nel retto di Marco e crollò su di lui schiacciandolo col suo peso, con il cazzo ancora sussultante per l’orgasmo ancora saldamente piantato nel culo del cugino.
Il quale da parte sua non aveva provato alcun piacere fisico, neanche dolore a dire il vero solo un certo fastidio per lo sfregamento. Il vero piacere era stato mentale, aveva goduto nell’essere trattato come un mero oggetto di piacere, come un corpo da usare per i propri scopi, usato come una femmina ignorando totalmente la sua parte maschile.
Si addormentarono così, esausti, uno sull’altro, uno dentro l’altro.
continua
Gianni prese a sonnecchiare e Marco, immerso nei suoi pensieri, ad osservare la campagna che scorreva attraverso il finestrino, quando il suo cellulare squillò. Era sua madre, si affrettò a rispondere, improvvisamente preoccupato che ci potessero essere cattive notizie.
- Ciao Marco, come va? - la voce era allegra e Marco si tranquillizzò - ti chiamo per comunicarti che papà ed io abbiamo deciso di andare a trovare zia Emilia, la sorella di papà e porteremo con noi anche zia Maria per farla distrarre un po’, poverina. Staremo fuori una settimana circa e abbiamo pensato che tu potresti fermarti a Roma con Gianni e Bea per qualche giorno e poi, quando tornerà zia Maria che ha manifestato il desiderio di rivederti dopo tanto tempo, deciderai se fermarti ancora o raggiungerci a casa.
Marco, colto di sorpresa non disse né si né no, rimase sul vago e con la scusa farlocca che il treno si trovava in galleria e non c’era campo interruppe la comunicazione.
Alzando lo sguardo incontrò quello di Gianni che evidentemente aveva sentito tutto e lo guardava fisso con un’espressione divertita sul viso. Cominciò ad accampare delle scuse, che forse non era il caso, che era meglio di no, insomma cercò di scappare come aveva sempre fatto finora.
Gianni dapprima gli diede ragione, poi poco a poco cominciò a instillargli dei dubbi.
- Certo che se cambiassi idea potrei farti vedere Roma come non l’hai mai vista, ti farei divertire, e poi potresti farlo per mia mamma che ha tanta voglia di rivederti. E tu non hai voglia di rivedere Bea? Mi hai fatto mille domande su di lei e ora che hai l’occasione di starci un po’ di tempo insieme te la fai scappare?
Tanto fece, tanto disse che Marco un po’ a malincuore si lasciò convincere.
Arrivati a Roma si recarono immediatamente a casa di Gianni, un piccolo appartamento all’interno di un caseggiato di epoca mussoliniana, che constava di un ingresso dal quale si dipartiva un corridoio sul quale si aprivano nell’ordine uno sgabuzzino e di fronte il bagno, la cucina che fronteggiava un ampio soggiorno e due camere da letto contigue, la prima più grande, con un letto matrimoniale che condividevano Bea e sua madre, e l’altra molto più piccola con il letto di Gianni e dove, a fatica, venne posizionato il materassino da campeggio di Marco.
Stanchi del viaggio fecero un rapido spuntino e si distesero a riposare.
Rimessisi in forze stavano preparandosi per uscire quando fece la sua apparizione Bea.
Capelli corti biondissimi, quasi bianchi, trucco leggero, niente tatuaggi e piercing, almeno a vista, un abitino corto che a malapena le copriva il sedere e sandali alla schiava. Un gran bel colpo d’occhio anche se Marco notò subito dei particolari che la rendevano diversa dalla Bea che aveva conosciuto da ragazza. Innanzitutto il sorriso, quel magnifico sorriso che un tempo le illuminava il volto sembrava un po’ spento e una piega amara era presente all’angolo della bocca.
Ed anche gli occhi erano più freddi e duri di quanto lui ricordasse.
Lo accolse festosamente e lo abbracciò baciandolo sulle guance.
- Ragazzi sono stanca morta, mi vado a buttare sul letto.
Così disse senza accennare minimamente al motivo della sua stanchezza e Marco, pur essendo curioso, non ebbe il coraggio di domandare.
- Bea noi stiamo uscendo, porto Marco un po’ in giro in qualche locale.
- Ok, ma se fate tardi rientrando cercate di non fare troppo casino.
- Stai tranquilla saremo silenziosissimi.
Così dicendo la salutarono ed uscirono.
Marco dovette ammettere che Gianni seppe mantenere la promessa fatta.
Era da tanto che non si divertiva così. Andarono in giro per locali, conobbero gente, ballarono, sballarono e, soprattutto, bevvero. Bevvero talmente tanto che quando si ritirarono verso le quattro del mattino erano ancora parecchio alticci.
- Piano, fai piano - era Gianni a parlare dopo aver aperto con qualche difficoltà la porta d’ingresso. Ora si trovavano nella semioscurità del corridoio, flebilmente illuminato da una luce di cortesia, con Gianni, più a suo agio tra quelle mura, che guidava il cugino verso la camera da letto. Per farlo gli aveva poggiato una mano sulla spalla sinistra mentre con l’altra aveva iniziato ridacchiando a palpargli la natica destra. Anche Marco ridacchiava evidentemente brillo e non si ribellò alle manovre del cugino che ne approfittò estendendo la sua esplorazione al resto del culo.
Durante il tragitto Marco urtò qualcosa col piede facendo un rumore che il silenzio della notte amplificò.
- Sssst, piano. Se Bea si sveglia si incazza e ti assicuro che è meglio non farla incazzare.
Stettero fermi per qualche secondo tendendo le orecchie poi, visto che tutto taceva, proseguirono e finalmente raggiunsero la loro camera.
La stanza era davvero minuscola, appena più grande della tenda che avevano condiviso durante la vacanza, e si ritrovarono a doversi spogliare a stretto contatto.
Quando Marco toltosi i pantaloni si voltò per riporli Gianni ne approfittò per abbassargli gli slip mettendogli a nudo il culo. La manovra sorprese Marco mentre si protendeva in avanti e la successiva mossa di Gianni che gli afferrò le natiche con entrambe le mani fece sì che lasciasse cadere i pantaloni per appoggiarsi alla parete e così restò come in attesa.
- Ma che fai, cosa vuoi fare? Smettila dai…
- Zitto lasciami fare, hai davvero un bel culo, se chiudo gli occhi sembra quello di una donna…
E così dicendo fece scivolare un dito tra le natiche, sfiorando l’ano e provocando in Marco un brivido. Visto che il cugino non si ribellava Gianni continuò a saggiare il buchetto con pressioni sempre più accentuate finchè non riuscì ad introdurre la prima falange del dito medio.
Questa intrusione così intima sommandosi all’emozione della situazione e all’alcool che aveva in corpo fece sì che Marco avesse un piccolo mancamento che lo portò a flettere le ginocchia ed a barcollare all’indietro andando a finire addosso a Gianni che subito approfittò della situazione e gli appoggiò il cazzo al culo sussurrandogli all’orecchio
- Te lo voglio mettere nel culo, sono due giorni che non penso ad altro - e trascinò Marco, ormai un fantoccio nelle sue mani, sul suo letto. Lo fece distendere bocconi e gli pose un cuscino sotto il ventre.
Marco, travolto dagli eventi, ritrovandosi col culo nudo all’aria e in procinto di essere inculato cercò, recuperando un barlume di lucidità, di far desistere il cugino dal suo intento.
- Per favore no, ti prego. Non l’ho mai fatto e il tuo cazzo è troppo grosso, mi farai male.
- Troppo tardi cuginetto e comunque non temere, farò piano, anzi, visto che è la prima volta ti infilerò solo la punta.
E così fece. Gli allargò le natiche e sputò sul buco del culo per creare un minimo di lubrificazione, poi appoggiò la cappella e spinse. L’introduzione fu alquanto laboriosa: il buco stretto, la cappella effettivamente di notevoli dimensioni, la lubrificazione scarsa fecero sì che Gianni faticasse non poco per entrare, ma una volta dentro mantenne la promessa. Nonostante l’istinto lo spingesse a sprofondare in quel culo fino alle palle non introdusse più di quattro/cinque centimetri e iniziò un andirivieni scandito dal respiro affannoso dei due e dal cigolio della vecchia rete del letto.
Il tutto durò non più di una decina di minuti poi Gianni con un grugnito di soddisfazione si svuotò nel retto di Marco e crollò su di lui schiacciandolo col suo peso, con il cazzo ancora sussultante per l’orgasmo ancora saldamente piantato nel culo del cugino.
Il quale da parte sua non aveva provato alcun piacere fisico, neanche dolore a dire il vero solo un certo fastidio per lo sfregamento. Il vero piacere era stato mentale, aveva goduto nell’essere trattato come un mero oggetto di piacere, come un corpo da usare per i propri scopi, usato come una femmina ignorando totalmente la sua parte maschile.
Si addormentarono così, esausti, uno sull’altro, uno dentro l’altro.
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